Staff leasing

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Come i contratti di somministrazione di lavoro di cui costituisce una variante specifica, il cosiddetto staff leasing si caratterizza per la presenza di tre soggetti all’interno del rapporto di lavoro invece che due (lavoratore e datore di lavoro). Esso prevede infatti la presenza di un rapporto triangolare fra prestatore di lavoro, somministratore di lavoro e utilizzatore, che si articola in due contratti distinti. Il primo contratto è stipulato fra prestatore di lavoro (lavoratore) e somministratore, solitamente un’agenzia specializzata (in Italia tali soggetti sono giuridicamente inquadrati sotto la categoria delle Agenzie per il lavoro), e nel caso dello s. l. è a tempo indeterminato. Il secondo contratto viene stipulato fra il somministratore e l’utilizzatore, ovvero l’impresa presso la quale il lavoratore va a svolgere le sue mansioni. Il lavoratore gode degli stessi diritti e trattamenti economici dei dipendenti dell’azienda presso cui lavora, a carico della quale è anche la corresponsione del salario; gli oneri assicurativi e previdenziali, che sono quelli previsti dalla legge in caso di assunzione a tempo indeterminato, sono invece a carico del somministratore. Nei periodi di attesa di assegnazione, al lavoratore viene corrisposta un’indennità, stabilita per legge e tramite contrattazione, da parte dell’agenzia per il lavoro presso la quale è impiegato. Attualmente in Italia lo s. f. non è applicabile a ogni tipologia di lavoro, ma solo ad alcune stabilite per legge. Tale forma contrattuale, sviluppatasi inizialmente negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta e ampiamente diffusa oltreoceano, è giunta solo di recente in Italia, ove ha per altro conosciuto una vicenda normativa travagliata e rimane a tutt’oggi sostanzialmente marginale. Introdotta dal governo Berlusconi II con la l. n. 30 del 2003 (meglio conosciuta come “legge Biagi”), la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (definizione giuridica di s. l.) è stata uno dei principali bersagli delle polemiche della sinistra radicale e di ampie aree della CGIL contro la crescente precarizzazione del lavoro subordinato. Essa è stata abrogata, anche in questo caso non senza polemiche da parte di Confindustria, CISL e UIL che invece la sostenevano come strumento di contrasto al precariato, con il protocollo sul welfare varato dal governo Prodi II (l. 24 dic. 2007, n. 247). Con la finanziaria 2010 (l. 23 dic. 2009, n. 191), il governo Berlusconi IV ha ripristinato la norma del 2003, ampliando al contempo le tipologie di lavoro alle quali si applica.

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