STAGNO

Enciclopedia Italiana (1936)

STAGNO (fr. étain; sp. estaño; ted. Zinn; ingl. tin)

Livio CAMBI
Angelo MANGINI
Armando MAUGINI
Livio CAMBI
Leonardo MANFREDI

Elemento chimico, il cui simbolo è Sn; peso atomico 118,70; numero atomico 50.

Cenni storici. - Lo stagno appartiene ai pochi metalli conosciuti dalla più remota antichità, poiché dove esistono fonti scritte si trova menzionato. Con il nome di bĕdīl viene indicato nel Pentateuco (Num., XXXI, 22) un metallo che sembra corrisponda allo stagno. Israeliti e Caldei lo chiamarono anak; gl'Indiani naja; gli Etiopi naak: ciò fa supporre che il centro di produzione fosse unico. Ma il più diffuso consumo dello stagno risale ai Cinesi: fra il 1800 e il 1500 a. C. fioriva in Cina l'industria del bronzo (v.); una storia naturale cinese del sec. XVI c'informa che l'uso dello stagno risale a tempi antichissimi: esso proveniva dall'India e con esso i Cinesi foggiavano i più svariati oggetti e sembra conoscessero la stagnatura.

Il nome κασσίτερος, che ricorre in Grecia ai tempi di Omero, fa credere che questo metallo provenisse dalle lndie (sanscrito kastira), mentre Erodoto (Hist., III, 115) dice che il nome deriva dalle Isole Cassiteriti, a lui d'ignota ubicazione, ma che secondo recenti studî sembrerebbero coincidere con le isole britanniche. Da tali isole proveniva ai Fenici, i quali ne fecero un notevole commercio, con centro a Marsiglia. Di là i Romani lo diffusero in tutto il mondo Plinio lo chiama plumbum candidum in contrapposizione al plumbum nigrum, mentre col nome di stannum indica una lega di piombo e argento. Anch'egli indica come centro di provenienza le isole britanniche.

Data la grande diffusione avuta per mezzo dei Romani, lo stagno era conosciutissimo dagli alchimisti dell'Occidente (per es., Geber, in Summa perfectionis magisterii, sec. VIII).

Per un bel pezzo l'Inghilterra fu incontrastata dominatrice nella produzione dello stagno. Nel Medioevo, a contrastarle il primato, sorsero due temibili concorrenti: Sassonia e Boemia. Al principio del sec. XIX si iniziò lo sfruttamento dell'isola di Banka, nel I853 dell'isola di Billiton; nel 1872 la Penisola di Malacca entrò in concorrenza e attualmente produce una larga parte del fabbisogno mondiale di minerale di stagno. Quasi contemporaneamente (1870) s'iniziò lo sfruttamento delle miniere australiane e, poco dopo, di quelle della Bolivia. Un notevole impulso ebbe il consumo dello stagno dall'applicazione dei suoi sali alla tintoria (sec. XVII); ma più ancora dalla fabbricazione della latta che sembra sia sorta in Germania verso la fine del sec. XV e sia stata introdotta in Inghilterra verso il 1670 e in Francia nel 1769.

Minerali e giacimenti - Allo stato nativo è molto raro: è stato trovato in Russia, nella Guiana francese, e nella Nuova Galles del Sud. Fra i minerali di stagno, oltre alla cassiterite (SnO2) si conoscono la stannite (SnS2Cu2S • FeS), la cuprocassiterite (4SnO2Cu2Sn[OH]6), la frankeite (solfuro di piombo, antimonio e stagno), la bolivianite (solfuro di stagno, rame e ferro), e la silesite (silicato).

Lo stagno si ricava soprattutto dalla cassiterite (SnO2). Essa è assai frequente in rocce granitiche, accompagnata da quarzo, apatite, topazio, scheelite, wolframite, ecc.; ma di gran lunga più importanti sono i giacimenti secondarî alluvionali, non tanto per i maggiori tenori di stagno che talvolta presentano, quanto, e sopra tutto, per la facile escavabilità, con draghe, all'aperto, e la possibilità di concentrazione per via meccanica. Vengono sfruttati con contenuti fino al 0,05% di Sn. Nelle stesse giaciture secondarie con la cassiterite sono sempre presenti i diversi minerali pesanti, e inalterabili dagli agenti atmosferici, sopra accennati.

I maggiori centri di produzione sono ancora gli stati della Malesia, le Indie olandesi (isole di Banka, Linkop, Billiton presso Borneo), che, nell'insieme, forniscono più del 50% della produzione mondiale. Il loro stagno è importante anche per la qualità, dovuta a cassiteriti di particolare purezza, che si riflette su quella del metallo. Lo stagno dî Banka e lo stagno degli Stretti sono le marche del metallo più puro.

La Bolivia occupa il secondo posto nella produzione mondiale; però i suoi minerali sono notevolmente impuri. Seguono la Cina, il Siam, l'Australia (Tasmania, Queensland, Nuova Galles del Sud); in Africa si deve segnalare la Nigeria e, con giacimenti di recente riconosciuti, il Katanga (Congo Belga).

La modesta produzione europea si restringe quasi esclusivamente alla Cornovaglia.

In Italia ebbero importanza nell'antichità i giacimenti di Campiglia Marittima, sfruttati dagli Etruschi, e probabilmente dai fonditori della preistoria. Presentano interesse attualmente i minerali che si rinvengono nella regione dell'Arborese (Cagliari), fra cui quelli della miniera di Canali Serci presso Villacidro. Il minerale, solforato, corrispondeva in alcuni saggi recenti a: Sn 2,85; Pb 8,96; Cu 0,71%; altri recenti campioni della stessa regione avevano: Sn 7,27; Pb 35,40; S 20,20%.

Occupa un posto notevole il ricupero dello stagno dai rottami e dai residui della lavorazione della latta. In via d'eccezione si ebbe, negli imperi centrali, durante la guerra mondiale il ricupero dello stagno dal bronzo, da rottami e dalle campane requisite dalle chiese.

Preparazione. - In laboratorio lo stagno si può preparare per fusione della cassiterite con cianuro potassico, che riduce l'ossido stannico a stagno metallico, ossidandosi a sua volta a cianato:

Industrialmente la riduzione della cassiterite viene fatta con carbone, dopo avere opportunamente arricchito il minerale grezzo al fine di ottenere i cosiddetti "concentrati di stagno" al 20-38% di SnO2. Questi concentrati a loro volta vengono arrostiti in forni a riverbero a griglia girevole, o meglio in forni rotativi, da soli o mescolati a cloruro sodico, per rendere possibile la separazione di arsenico, antimonio, bismuto, rame, tungsteno, ferro, ecc. (v. oltre).

Lo stagno fuso, proveniente dai forni di riduzione, viene colato in lingotti, ottenendosi così lo stagno grezzo, che nella maggior parte dei casi deve subire un'ulteriore purificazione col metodo elettrolitico, o per "liquazione" (v. avanti).

Lo stagno viene in commercio sotto forma di pani, lacrime, bacchette, e contiene sempre impurezze di antimonio, arsenico, piombo, bismuto, ferro, zolfo, e qualche volta anche cobalto e argento in rapporti differenti che possono raggiungere il 0,85% per le qualità ordinarie.

Lo stagno "standard" deve contenere non meno del 99,75% di metallo.

Proprietà fisiche. - Lo stagno è un metallo di colore bianco brillante; il suo peso specifico a 18° è 7,28, al punto di fusione 6,98. È poco elastico: il modulo di elasticità medio è di 4170 kg./mmq. È molto malleabile; può essere ridotto in foglie dello spessore di 0,0025 mm. (carta di stagno, di argento e stagnola); la sua duttilità è compresa tra quelle del rame e del platino; la durezza è 1,8.

Il coefficiente di dilatazione lineare è 27,03 • 10-6 (tra 18° e 100°); il calore specifico 0,055 (0 ÷ 100°), il calore atomico 6,27 a 13°,10. A pressione normale fonde a 231°,8/231°,9, e bolle a circa 2270°; il calore latente di fusione è compreso tra 14,25 e 14,60 cal.

I composti dello stagno colorano la fiamma dell'idrogeno in azzurro, e presentano allo spettro di scintilla righe caratteristiche nel giallo e nel verde.

Lo stagno è poco conduttore, circa 14 volte meno dell'argento, e la sua resistenza specifica è di 11 • 10-3 Ohm/cm.; è paramagnetico. Nella scala elettrochimica, si trova tra il cadmio e il piombo (e quindi il ferro lo sposta dalle sue combinazioni).

Lo stagno si presenta sotto due forme allotropiche: lo stagno bianco o quadratico (forma α) e lo stagno grigio o cubico (forma β). La forma ordinaria è la bianca, che a bassa temperatura passa nella forma grigia: il fenomeno prende il nome di "peste" o di "malattia" dello stagno; il punto di trasformazione è a circa 13°. Nella forma quadratica il rapporto assiale è a0 : c0 = 1 : 0,3857 e la cella elementare ha le dimensioni: a0 = 5,84 Å, c0 = 3,16 Å. Nella forma grigia cubica, la cella elementare ha la dimensione 6,46 Å, e a 18° una densità di 5,8; ossia la forma cubica è sensibilmente meno densa della varietà quadratica (7,28). Alcune discontinuità delle proprietà fisiche fra 160° e 205°, sono state spiegate ammettendo che lo stagno presenti un terzo stato allotropico, stagno γ o ortorombico.

Lo stagno è un elemento misto, risulta cioè costituito da 11 isotopi: 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 124, il più abbondante dei quali è il 118.

Proprietà chimiche. - Lo stagno con l'idrogeno molecolare non reagisce, con quello atomico (nascente) può formare l'idruro SnH4; a temperatura ordinaria e allo stato cristallino non è attaccato dall'ossigeno atmosferico, allo stato spugnoso (ottenuto per precipitazione dai suoi sali mediante zinco o alluminio) viene invece sensibilmente ossidato. Reagisce con vapore acqueo al rosso vivo trasformandosi in biossido; le soluzioni di cloruro di magnesio, cloruro di calcio o di sodio lo attaccano sensibilmente anche a temperatura ordinaria.

Gli alogeni reagiscono facilmente dando gli alogenuri stannici SnX4 con gli idracidi si formano invece gli alogenuri stannosi SnX2. Con l'acido solforico diluito e freddo il metallo non reagisce sensibilmente, a caldo esso forma solfato stannoso SnSO4, l'acido concentrato e caldo, viene invece parzialmente ridotto a idrogeno solforato e solfo con formazione di solfato stannico Sn(SO4)2 (e anche solfuro stannoso SnS).

Sono particolarmente interessanti le reazioni con acido nitrico: a circa 0°, con acido diluito, si ha parziale riduzione di questo ad ammoniaca e idrossilamina, e formazione di nitrato stannoso Sn(NO3)2:

l'acido di densità 1,42, a 0° forma nitrato stannico Sn(NO3)4. La soluzione così ottenuta, diluita con ugual volume di acqua, lascia separare per riscaldamento alcuni nitrati basici e acidi β-stannici (v. appresso) mentre si sviluppano biossido e protossido di azoto, e azoto elementare; per ebollizione più prolungata si ottengono solo acidi β-stannici. Con acido nitrico fumante non si ha reazione.

Con gli alcali si ha sviluppo d'idrogeno (onde l'uso come riducente nei laboratorî), e formazione di stannati alcalini.

Con zolfo, selenio, tellurio, fosforo lo stagno reagisce a caldo per dare solfuro, seleniuro, terrururo, fosfuro.

Forma facilmente leghe con l'arsenico, l'antimonio, il bismuto e con molti metalli, ed entra nella composizione dei bronzi e di leghe antifrizione.

Lo stagno si comporta da bivalente e da tetravalente; esso dà luogo perciò a composti stannosi del tipo SnX2 e stannici SnX4. l sali stannici sono più facilmente idrolizzabili degli stannosi. Questi vengono molto facilmente ossidati a sali tetravalenti, ad es., con iodio o con sali ferrici:

Questa è la ragione per cui i sali stannosi agiscono facilmente da riducenti, trasformando, ad es., i sali di oro, arsenico, mercurio e l'ossido di bismuto nei corrispondenti metalli allo stato libero.

La reazione inversa, ossia il passaggio dai composti stannici ai composti stannosi, è anche possibile, e avviene particolarmente bene, con zinco o alluminio metallici.

Composti stannosi. - L'ossido stannoso (SnO) si ottiene per calcinazione dell'idrato stannoso Sn (OH)2; questo a sua volta si può preparare facilmente precipitando un sale stannoso con ammoniaca o carbonato sodico:

Anche gli alcali caustici precipitano l'idrato stannoso, il quale però si ridiscioglie nell'eccesso di reattivo per formare stannito alcalino:

L'idrato stannoso è anche solubile negli acidi coi quali forma i sali stannosi:

Esso ha perciò un comportamento anfotero.

Fra gli alogenuri dello stagno bivalente quello più interessante è il cloruro,. che si conosce sia allo stato anidro SnCl2, che in quello biidrato SnCl2 • 2H2O. Tecnicamente è noto col nome di "sale di stagno", e si prepara trattando lo stagno con acido cloridrico:

È idrolizzato dall'acqua con formazione di ossicloruro; con acido cloridrico gassoso forma l'acido triclorostannoso HSnCl1 • 3H2O, del quale si conoscono i sali di potassio e ammonio, che si ottengono dalla combinazione del cloruro stannoso con gli alogenuri alcalini.

Il solfato stannoso SnSO4 si prepara trattando l'idrato stannoso con acido solforico diluito e evaporando cautamente la soluzione.

Sono noti anche alcuni fosfati stannosi.

Il solfuro stannoso SnS, si ottiene generalmente per fusione dello zolfo con stagno, o precipitazione di un sale stannoso in mezzo debolmente acido con idrogeno solforato: è bruno, insolubile in solfuro ammonico, ma solubile nel polisolfuro con formazione di solfostannato (NH4)SnS3.

Composti stannici. - Biossido di stagno (SnO2). Allo stato naturale forma la cassiterite, i cui cristalli possono raggiungere notevoli dimensioni dando geminati caratteristici; si può preparare soffiando aria calda sullo stagno fuso e forma allora delle masse bianche. Dell'ossido stannico si conoscono varî idrati, ma la conoscenza di essi non si può dire definitivamente acquisita.

Precipitando a freddo un sale stannico (ad es., cloruro) con ammoniaca, bicarbonato sodico, o soda caustica, oppure trattando uno stannato alcalino con un acido o con anidride carbonica a freddo, si ottiene un precipitato bianco voluminoso amorfo, che seccato all'aria assume un aspetto vetroso. Esso corrisponde alla formula SnO2 • 2H2O, ossia Sn(OH)4, ed è l'idrato normale, o acido ortostannico. Questo idrato in essiccatore su acido solforico concentrato o per cauto riscaldamento a 100° perde acqua per dare prodotti meno idratati come SnO2 • 1,5H2O, SnO2 • 1,25 H2O e infine SnO2 • H2O.

Questi prodotti di disidratazione dell'idrato normale sarebbero gli acidi α-stannici, essi sono tutti solubili negli acidi (compreso l'acido nitrico) e negli alcali diluiti, per formare sali stannici o stannati alcalini.

Quando invece s'idrolizza all'ebollizione la soluzione di un sale stannico o si fa agire acido nitrico a caldo sullo stagno, si separa una polvere bianca grossolana, amorfa, insolubile negli acidi anche concentrati, poco negli alcali, e che a seconda della temperatura a cui si opera mostra composizione differente, ma che si avvicina in tutti i casi a quella dei diversi acidi α-stannici. Sono questi gli acidi β-stannici, il cui contenuto in acqua è sempre minore dei corrispondenti acidi-α, e che pertanto si potrebbero anche considerare come acidi α-stannici a più alto grado di disidratazione, e cioè di condensazione.

L'idrato Sn(OH)4 è un colloide negativo, e come idrosolo può agevolmente ottenersi trattando un α-stannato con un acido; è precipitabile dagli elettroliti metallici, e si può facilmente peptizzare con gli alcali; adsorbe alcune materie coloranti come il violetto cristallo e il rosso di alizarina-S.

Anche acidi β-stannici, sono colloidi; l'acido cloridrico concentrato - che non li scioglie - dopo lungo contatto li peptizza; ma un'ulteriore aggiunta di acido li trasforma nuovamente in gelo. Anche l'azione degli alcali è più che altro di natura colloidale.

L'acido β-stannico mostra un forte potere di assorbimento verso l'acido cloridrico, l'acido fosforico e l'idrossido ferrico, ma non forma lacche con il violetto cristallo e il rosso di alizarina.

Lo studio röntgengrafico degli acidi α- e β-stannici ha permesso di stabilire che in qualsiasi modo essi vengano preparati, e disidrati, hanno sempre uno spettro praticamente uguale a quello della cassiterite SnO2 e perciò probabilmente sono da considerarsi delle varietà più o meno idratate dell'ossido SnO2: le misure di suscettività magnetica eseguite sui diversi acidi stannici conforterebbero tali ipotesi. Dalle soluzioni acquose concentrate della massa che si ottiene quando viene sciolto il biossido di stagno in soda o potassa caustica fuse cristallizzano gli stannati sodico potassico, che hanno rispettivamente la formola Na2[Sn(OH)6], e K2[Sn(OH)6] stabilita da I. Bellucci e N. Parravano.

Questi composti, facilmente solubili in acqua, sono isomorfi con Na2[Pt(OH)6] e K2[Pt(OH)6] e possono considerarsi come derivanti di un ipotetico acido H2[Sn(OH)6]. Di questo acido si conoscono anche i sali di calcio, bario, piombo.

Tra gli alogenuri stannici il più importante è il cloruro, liquido se anidro, cristallino se idrato (5H2O), detto anche "burro di stagno"; forma numerosi complessi di addizione con i composti ossigenati organici (R1R2)CO • SnCl4. Al cloruro stannico corrisponde l'acido clorostannico H2SnCl6, il cui sale ammonico (NH4)2SnCl6 viene impiegato come mordente, ed è chiamato "pink-salt".

Il solfuro stannico SnS2, per il suo colore giallo-oro, si chiama oro musivo, e si usa per false dorature; viene preparato o per fusione dello stagno con eccesso di solfo o precipitando un sale stannico con idrogeno solforato. A differenza del solfuro stannoso, è solubile in solfuro ammonico col quale forma il solfostannato ammonico uguale a quello che si ottiene trattando il solfuro stannoso SnS con polisolfuro ammonico.

Sono noti anche il solfato stannico, e alcuni fosfati; e inoltre alcuni composti organici dello stagno SnR4 (R = alchile), e alcuni ioduri stannoalchilici.

Riconoscimento e dosaggio. - Nelle leghe lo stagno si riconosce facilmente operando l'attacco con acido nitrico col quale forma acido β-stannico insolubile, bianco, polveroso. Nelle soluzioni si riconosce precipitando in soluzione acida con idrogeno solforato, ridisciogliendo il precipitato dei solfuri in acido cloridrico concentrato e trattato con zinco metallico: la soluzione di cloruro stannoso così ottenuta viene saggiata con cloruro mercurico:

Si ottiene un precipitato grigiastro costituito da cloruro mercuroso e mercurio metallico.

La soluzione di cloruro stannoso si può saggiare anche con molibdato ammonico: si ottiene in questo caso colorazione blu per formazione di blu molibdeno (reazione di Longstaff).

Il dosaggio dello stagno si esegue o per via elettrolitica in presenza di ossalato ammonico, o in soluzione cloridrica (in presenza di idrossilamina o solfato di idrazina); oppure pesando il biossido calcinato ottenuto o per idrolisi delle soluzioni stanniche in presenza di nitrato ammonico, o per azione dell'acido nitrico sulle leghe.

Volumetricamente si utilizza la reazione:

e cioè la soluzione trattata con ferro o zinco, per ridurre lo stagno alla forma stannosa, viene titolata con iodio N/10 in presenza di salda di amido come indicatore; si può eseguire la titolazione anche con bromato potassico.

Usi. - Lo stagno per la inalterabilità all'aria e per la bassa tossicità dei suoi sali presenta grande interesse pratico. Allo stato metallico viene usato per la preparazione dei serpentini per la distillazione dell'acqua, della carta di stagno o stagnola, della latta (lamiera di ferro ricoperta di stagno), dei bronzi e degli ottoni, per ottenere leghe facilmente fusibili (lega dei saldatori insieme con piombo, lega di Darcet, di Wood, di Parravano, ecc.); per la fabbricazione di leghe di uso dentario, degli specchi, delle canne d'organo.

L'ossido stannico viene usato nella fabbricazione degli smalti e delle vetrine, e il solfuro come polvere da bronzatura.

I cloruri sono usati per la carica della seta e nell'industria dei coloranti, funzionando da mordenti; il cloruro stannico è stato usato nella guerra mondiale come fumogeno (opacite) e attualmente viene usato come polimerizzante di alcuni idrocarburi per la fabbricazione del caucciù sintetico.

Trattamenti metallurgici. - Il metallo si produce per via secca o ignea e per via umida. La prima è di gran lunga più importante della seconda.

I concentrati che alimentano la metallurgia risultano da preparazione meccanica e magnetica del minerale, e raggiungono tenori elevati in metallo, dal 60% fino a oltre il 90% di SnO2.

Con minerali notevolmente impuri si deve ricorrere a procedimenti chimici di purificazione preventiva, per le difficoltà e l'aggravio economico della raffinazione del metallo grezzo che da essi, altrimenti, si otterrebbe. In generale da minerali impuri (ad esempio, quelli della Bolivia) non è ottenibile praticamente metallo corrispondente per purezza allo stagno Banka senza applicare la raffinazione elettrolitica finale.

Processo per via secca. - La metallurgia per via secca si compendia nelle operazioni fondamentali seguenti: a) preparazione meccanica, magnetica, e eventuale purificazione chimica del minerale; b) riduzione; c) affinamento del metallo grezzo a metallo commerciale.

Per la concentrazione meccanica e magnetica, v. miniera; Preparazione e arricchimento dei minerali.

Le principali impurezze dei concentrati sono, oltre al tungsteno e al ferro, il piombo, il rame, l'antimonio, l'arsenico, lo zolfo. Esse ostacolano il processo di riduzione provocando perdite di metallo, e soprattutto dànno luogo a metallo eccessivamente impuro. La wolframite (FeMn)WO4 si separa facilmente al magnete, ma la scheelite CaWO4 esige un trattamento relativamente costoso: cioè la disgregazione a secco con soda:

compiuta a temperatura fino ad agglomeramento, per evitare la formazione di stannato che appare a più alte temperature: il wolframato sodico si estrae con acqua; la soda si rigenera trattando la lisciva con calce, che precipita CaWO4. Gli altri componenti secondarî si eliminano mediante arrostimento semplice (600°-700°), oppure clorurante. Col primo sfuggono nei gas SO2, Sb2O3, As2O3; mentre Cu, Pb, Zn, passano a composti solubili in acidi diluiti, il Fe e il Bi si solubilizzano in acido cloridrico concentrato. Con minerali contenenti meno del 5% circa di zolfo si può operare l'arrostimento clorurante, con aggiunta di cloruro sodico: si ha volatilizzazione analoga alla precedente e le impurezze in parte distillano come cloruri (As, Sb, Bi, Pb, Cu). Ostacola il trattamento, che non può spingersi a fondo, la necessità di evitare troppo elevate temperature, che recherebbero perdite di stagno come cloruro e come solfuro. Con più elevati tenori di zolfo è opportuno procedere a un arrostimento in due tempi, semplice in un primo tempo, clorurante di poi. I forni per l'arrostimento sono dei tipi usati per i minerali solforati di altri metalli: per es., forni Wedge (v. rame).

Il concentrato, a non meno del 60% di SnO2, passa alla riduzione che si opera in forni a vento oppure in forni a riverbero.

La riduzione, che può essere schematicamente riassunta con le equazioni:

in pratica offre uno dei problemi più delicati e difficili della metallurgia, data la necessità di ottenere metallo sufficientemente puro con resa elevata restando nei limiti di un piccolo scarto di prezzo fra metallo nel minerale e metallo regolo commerciale.

L'alto calore di formazione di SnO2 (137,8 kcal./grml. a 15°) implica temperature di riduzione da 1000° a 1100°. La formazione e fusione della scoria necessariamente presente obbliga anzi a operare a temperature superiori, e a queste lo stagno che bolle a 1230° è volatile, per l'alta tensione di vapore che assume nell'intervallo da 1000° a 1200°.

Da tutto ciò possono derivare perdite notevoli nei fumi e nelle scorie. Il comportamento degli ossidi di stagno aggrava le difficoltà del trattamento: SnO2 è acido e, persistendo in mezzo neutro o ossidante, genera scorificando stannati; SnO, che si genera in mezzo riducente, è basico e passa nelle scorie come silicato.

L'ottenimento di scorie povere in stagno è ancora ostacolato dal fatto che le scorie stannifere assumono alte viscosità e trattengono il metallo in forma dispersa.

Il silicato stannoso resiste alla riduzione ulteriore: occorre operare in presenza di un eccesso di calce che sposta SnO dal silicato stesso,

il che implica l'intervento di alte temperature necessarie per fondere la scoria calcica. Il tutto concorre a deprimere i rendimenti. Si può agire anche per spostamento con un metallo più avido di ossigeno dello stagno, quale il ferro:

Ma questa reazione occorre limitarla, poichè il ferro ha grande tendenza a dare con lo stagno quelle leghe difficilmente fusibili, che, con nome tedesco, si dicono Härtlinge, che noi potremmo chiamare stagno duro, di non agevole elaborazione.

Quindi, per diminuire le perdite e per avere metallo al più alto grado di purezza, il processo di riduzione viene in generale suddiviso in due o più tempi. Nel primo trattamento si ha di mira soprattutto la purezza del metallo, operando alle più basse temperature possibili, e ottenendo una scoria più o meno ricca; nelle fasi susseguenti si ripassa la scoria e da questa si ottiene di frequente stagno impuro per ferro (Härtlinge), aggiungendosi talvolta anche questo metallo. Gli Härtlinge ottenuti si ripassano alla prima fusione, dove il ferro entra in reazione con gli ossidi di stagno e si elimina dal metallo.

Con terre ricche di ferro si producono scorie povere di silice, ad esempio, 31-32% SiO2, 17-22% CaO, 52-46% FeO; con ganghe acide siliciche le scorie sono per contro più povere di ferro, ad esempio, circa 50% SiO2, 25% CaO, 25% FeO. Con minerali dal 60% al 72% di Sn e fino al 6% di FeO e SiO2, il rendimento complessivo è di circa 96% e nei grandi forni a riverbero può salire fino al 98%.

Per evitare o limitare le impurità nel metallo, occorre operare con cariche a basso spessore, cioè con regime caldo, ma con rapida estrazione dei prodotti per contrastare la riossidazione e le perdite per volatilizzazione del metallo.

Soccorre a ciò la suola inclinata del crogiolo e la colata continua. Tali caratteri, infatti, ritroviamo nei forni a vento più moderni (fig. 1), ad esempio nel forno già costruito dalla Soc. Humboldt di Colonia, il quale ripete il tipo dei "Water-Jacket" per piombo, ma possiede la suola del crogiolo fortemente inclinata (26°), l'altezza ridotta a tre metri di carica, la sezione al piano degli ugelli del vento di 0,9 × 2 m., la capacità di 10-15 tonn. di minerale: il crogiolo a fondo inclinato è mobile per il ripristino periodico del rivestimento.

Il forno a vento, con terre polverose, implica naturalmente la brichettatura del minerale e negl'impianti moderni non può essere disgiunto da un impianto per la captazione dei fumi stanniferi. Il precipitatore elettrostatico (Cottrell) è il più adatto. Il ricupero di SnO2 dai fumi è essenziale per l'economia della fonderia; il metallo volatilizzato si riossida all'uscita dal forno e la dispersione può superare l'8% dello Sn caricato.

Le perdite nelle scorie, con gli accorgiment: suaccennati, si limitano notevolmente: salgono all'1-2%, con un tenore di Sn nelle scorie stesse del 0,8-1%.

Il carbone ideale per il forno a vento è quello di legna.

Il forno a fiamma o a riverbero introdotto recentemente offre maggiore elasticità: non esige la brichettatura dei "fini", si può alimentare con combustibile meno puro, specie rispetto allo zolfo. In esso il metallo è protetto dai prodotti della combustione e dalla scoria che lo ricopre; è possibile procedere in due tempi con la stessa carica: riduzione a metallo puro, susseguente esaurimento della scoria. Infine la dispersione nei fumi si limita al 4-7% e rende meno gravosa l'installazione di ricupero.

La fig. 2 indica che anche la suola di questi forni è inclinata, e conduce il metallo attraverso il foro di colata al serbatoio laterale di raccolta, evitandosi, come sempre, la permanenza o l'accumulo dello stagno nel forno.

Più recentemente si ebbero i riverberi a fiamme alimentate con polvere di carbone, olio, gas, e questi ultimi con ricupero di calore. Il consumo di combustibile è stato ridotto al 30-35% della carica, e, come riducenti, s'impiegano antracite o carbone di legna. Le temperature nella camera salgono a 1200-1300°.

La carica dei forni a riverbero è costituita, oltreché dal minerale, da limitate quantità di scorie di ritorno, che facilitano la scorificazione della calce e aumentano la massa della scoria finale necessaria a ricoprire il metallo; inoltre da calce viva o calcare; infine dagli Härtlinge provenienti da operazioni precedenti, e dai residui analoghi dell'affinamento per liquazione. Ad aumentare la fusibilità, e accelerare la formazione della scoria, si possono aggiungere come fondenti, a seconda dei casi, fluospato o carbonato sodico. I componenti della carica vengono preventivamente macinati e mescolati accuratamente. La massa della scoria, in alcuni impianti, si aggira sul 25% del minerale impiegato.

L'affinamento del metallo grezzo può avvenire per via termica o per via elettrolitica.

La possibilità di affinamento per via termica è limitata alla liquazione, al successivo perchage (v. rame), a una blanda ossidazione, colando all'aria il metallo fuso in getto sottile.

La liquazione si pratica con modalità diverse a seconda dell'eliminazione del ferro (come Härtlinge) o del piombo. Nel primo caso il metallo grezzo, in pani, viene riscaldato a temperatura appena superiore a quella di fusione dello stagno (232°): residuano e si separano meccanicamente le masse costituite principalmente dai cristalli aciculari della lega Fe-Sn, poco fusibile. L'operazione (detta Seigern dai tedeschi, liquating o sweating dagli inglesi) si compie in piccoli forni a fiamma con una o più suole inclinate. La lega Fe-Sn trattiene rame e in parte arsenico e antimonio. La separazione del rame è indipendente dal tenore di questo (almeno l'1%) ed esige elevato tenore di ferro. Per il piombo la liquazione si può compiere in caldaia, analogamente al vecchio processo Pattinson per la disargentazione del piombo. Piombo e stagno costituiscono un eutettico (64% Sn) che fonde a 181°, e il raffreddamento graduale del metallo impuro e fuso conduce a stagno che solidificando risulta con tenore del 99%, e a leghe di Pb-Sn che si rendono commerciali portandole al 20% di Pb.

Infine il perchage (ingl. boiling, poling), si compie sul metallo già depurato, o a elevato grado di purezza, fuso, usando pertiche di legno verde e umido. L'azione ossidante del vapor d'acqua si porta sulle impurezze Fe, As, Sb, Pb, ma anche sullo stagno, generandosi ossidi grigi ricchi di metallo. Nei tipi più puri del metallo, da minerali come quelli delle Indie Orientali, la raffinazione si riduce al solo perchage, prima della colata nei bagni per il commercio.

Altro metodo di affinamento per blanda ossidazione è quello detto di tossing, che consiste nel colare dall'alto, da un cucchiaio, il metallo fuso in filo sottile, e raccoglierlo in un crogiolo o bacino in cui è mantenuto fuso per alcune ore al fine di separarne gli ossidi formatisi, di peso specifico più elevato.

Le possibilità della raffinazione elettrolitica sono maggiori di quelle dei trattamenti finora descritti, e ciò venne riconosciuto fino dal 1906; ma soltanto nel 1915-17, sotto l'impulso delle richieste per la guerra mondiale si ebbero negli Stati Uniti e in Europa le prime e ragguardevoli installazioni industriali, che sono ferme o a produzione ridotta da qualche anno, per ragioni economiche.

Sussistono molteplici elettroliti in cui le impurezze più frequenti, As, Sb, Bi, Cu, Pb e altre, residuano insolubili nelle melme anodiche; nei bagni acidi il piombo viene insolubilizzato con acido solforico. Da anodi di stagno impuro si può ottenere al catodo il metallo confrontabile per purezza con quello degli Stretti o di Banka.

Le difficoltà consistono nella scelta degli elettroliti, con sufficiente stabilità della composizione, tale da mantenerne entro certi limiti le volute caratteristiche, da fornire depositi catodici compatti che permettano elettrolisi prolungate e rese di corrente sufficientemente elevate. Le difficoltà appaiono evidenti dalla letteratura; dalle varie proposte e tentativi; dalle stesse e ragguardevoli variazioni dell'elettrolito che ha offerto il maggiore impianto, quello di Perth Amboy (N. Y.), dal 1917 al 1922.

Gli elettroliti possono distinguersi in due tipi: alcalini e acidi.

Tra i primi, i bagni ad alcali caustico contenente stannato cedettero ben presto il passo a quelli di solfuro e solfostannato alcalino che, entro limiti di concentrazione e temperatura determinati, 90°~, possono dare depositi catodici soddisfacenti. I processi ai solfostannati sono tuttora fra quelli che consentono razionale raffinazione del metallo.

Grandi applicazioni si ebbero con i bagni acidi, dapprima sul modello del processo Betts per il piombo, a base di fluosilicato stannoso e di acido fluosilicico, poi con soluzioni aventi questi reagenti e acido solforico; infine, con elettroliti a base di acido solforico e solfato sodico, o anche con lo stesso acido e acido cresol-solfonico. I bagni al solfato rappresentano l'ultimo stadio del trattamento.

I bagni acidi funzionano con SnII, rispetto a quelli alcalini che contengono SnIV, e quindi offrono anche il vantaggio di rese di corrente teoricamente doppie.

Processi per via umida. - Si basano sulla deposizione elettrolitica finale del metallo, usando anodi insolubili, in genere di grafite o carbone.

I processi urtano contro una difficoltà fondamentale: la resistenza del SnO2 agli agenti chimici. Non è possibile, ad esempio, attuare una lisciviazione dei minerali stanniferi con reagenti acidi, quale si applica ad alcuni minerali cupriferi, e soprattuto a quelli zinciferi già ossidati o arrostiti. È stata tentata la fusione con solfuri alcalini, atti a generare solfostannati solubili, ad es., Na2SnS3. Ma il processo presenta, particolarmente nelle prime fasi, difficoltà tecniche varie, e nel complesso non risulta economico.

Il trattamento è stato attuato per via indiretta in impianti di prova, o con tentativi interessanti, ma che non hanno avuto finora, a quanto è noto, sviluppo significativo.

Gli americani Fink e Mandel proposero e attuarono di recente la riduzione con gas riducenti (gas d'acqua, idrogeno, ecc.) dei minerali concentrati o no, e la lisciviazione successiva del metallo ridotto con le soluzioni acide, impoverite di stagno, residuate dall'elettrolisi operata con anodi inattaccabili.

L'elettrolito acido consiste di acido solforico, 15%, con cloruro sodico, 5%. I cloruri elevano la solubilità dello stagno e ne accelerano il processo di dissoluzione. Il metodo si può riassumere nei seguenti schemi:

e corrisponderebbe a rendimenti del 95% sul metallo contenuto nel minerale; lo stagno verrebbe prodotto al 99,98%, con consumi globali di energia e combustibili contenuti in costi complessivamente minori del trattamento termico.

Questo processo in ogni caso, come è ovvio, potrebbe essere preso in considerazione per il trattamento di minerali impuri, analoghi, per esempio, a quelli boliviani.

Recentemente ha avuto luogo un altro notevole tentativo, dovuto alle iniziative della Siemens e Halske e della Hüttenwerken Tempelhof A. Meyer, per recuperare lo stagno dallo stannato di calcio, proveniente dalla raffinazione di piombo stannifero, col metodo Harris. Il processo si basava sulla trasformazione dello stannato in solfostannato alcalino e successiva elettrolisi. L'impianto è stato fermato nel 1927.

La produzione mondiale di stagno elettrolitico, computando la raffinazione e l'estrazione, è stata valutata nel 1930 a circa 4000 tonn. annue.

Ricupero dello stagno da leghe, residui, sottoprodotti varî, dalla latta. - I residui metallici, torniture, rottami, ecc., contenenti metalli varî, Sb, Pb, Cu (leghe fusibili, antifrizioni, ecc.), possono essere trattati in piccoli forni a fiamma con rifusione parziale, e successive liquazioni in caldaie, ottenendosi leghe commerciali, e stagno più o meno puro, applicando i metodi già indicati per l'affinamento.

I residui ossidati vengono trattati in piccoli forni a vento o a riverbero. Il metallo può essere infine affinato per via elettrolitica.

In Italia (a Como) si ebbero installazioni più o meno notevoli per il recupero dello stagno dall'ossido ricavato dai residui dei bagni per la carica della seta (bagni preparati con SnCl4 o con sale di Pink); l'ossido veniva ridotto al riverbero. Si applicò anche di recente il recupero per elettrolisi.

Il trattamento dei ritagli e dei residui di latta presenta tuttora interesse predominante. Fra i maggiori impieghi dello stagno è quello dato dalla fabbricaziome della latta, in cui la copertura di Sn può salire al tenore medio del 2% circa del peso. La produzione mondiale della latta negli ultimi anni ha toccato i tre milioni circa di tonnellate.

L'uso crescente delle lamiere stagnate, caratteristico dell'epoca nostra, ha imposto da tempo il problema del ricupero dello stagno dai ritagli della fabbricazione dello scatolame vario, dai residui, scatole usate, ecc. Problema particolarmente interessante per i paesi forti produttori o consumatori di latta, ma importatori di stagno. Da un lato interessa il ricupero del metallo ricorrente, dall'altro quello delle lamiere che possono ritornare all'acciaieria.

È necessario che il ricupero dello stagno si compia in modo economico e che, contemporaneamente, la distagnatura delle lamiere sia praticamente completa, tale da renderle atte alla rifusione nei forni Martin-Siemens.

I metodi di ricupero si possono suddividere in tre tipi, i due primi per via umida, il terzo per via secca: elettrolitici; attacco con soluzioni alcaline ossidanti, attacco con cloro secco.

a) I processi elettrolitici sono i più antichi. T. Goldschmidt li propose fino dal 1882. Si sono attuati anche in Italia con elettroliti acidi e alcalini. I processi acidi si ricollegano al vecchio tipico metodo della Siemens e Halske, in cui si impiegava acido solforico nella proporzione di circa il 10% in volume, attaccando i ritagli di latta all'anodo. L'elettrolito si alterava, caricandosi di solfato ferroso, e si aveva concomitante notevole produzione di questo sale. Il deposito catodico di Sn era più o meno spugnoso secondo l'acidità dell'elettrolito.

Il metodo venne ripetutamente modificato, usandosi soluzioni di solfati, fra cui quello di ammonio.

Il procedimento che ebbe, e conserva tuttora, maggiore sviluppo, è quello con elettrolito alcalino, che risale all'antica proposta di T. Goldschmidt.

Il bagno è costituito da soda caustica che si carica soprattutto di stannato, per l'attacco anodico dello stagno, e questo si depone in forma squamosa all'anodo. Dal lato elettrochimico il processo è perfetto, poiché l'attacco anodico si limita al solo Sn.

La composizione seguente è tipica per l'elettrolito: 3 ÷ 3,5% ossido di sodio, come idrato libero; 1 ÷ 1,5% ossido di sodio combinato con gli ossidi di stagno (principalmente stannati); 1,7 ÷ 2,8% ossido di sodio, come carbonato.

L'elettrolisi si attua in vasche di ferro, in cui le stesse pareti, oppure lastre di ferro sospese, costituiscono i catodi. I ritagli di latta vengono posti in panieri o corbe di rete di ferro robusta a grandi maglie, armate con angolari: circa 50 kg. di ritagli occupano 1 mc. di paniere. Le corbe sospese ai conduttori funzionano da anodi; il loro volume sta al totale delle celle come 3 a 5. L'elettrolisi si compie a 60°-70°. La durata della distagnatura varia da 2 a 7 ore. Con ritagli a circa il 2% di Sn si opera con circa 107 Amp./mq.; si porta in soluzione circa 1,1 gr. di Sn per 1 Amp. ora. I ritagli residui contengono al massimo 0,1%, di Sn e sono atti alla rifusione.

Lo stagno, che si depone in forma squamosa, viene staccato raschiando i catodi. Può venire lavato in centrifuga, poi compresso e infine fuso in pani.

Il bagno, all'aria, si carbonata più o meno rapidamente e occorre rigenerarlo carbonatandolo completamente con anidride carbonica (in genere con gas della combustione); precipita l'acido stannico che si raccoglie su filtro, e che, lavato e essicato, può essere impiegato in ceramica. La soluzione di carbonato viene caustificata con calce.

Al fondo delle celle si raccolgono melme, contenenti stagno, ferro, sabbia, alcali, che vengono periodicamente estratte, lavate e passate alla fusione per il recupero dello stagno.

Quanto sopra riguarda i ritagli delle fabbriche di scatole. Le scatole già usate vengono dapprima compresse e perforate, poi lavate con soluzioni caustiche e con acqua, infine con riscaldamento a bassa temperatura si decompongono vernici, gomme e si colano le saldature. Così preparate passano alla distagnatura.

b) I processi per via umida e per attacco chimico risalgono anch'essi a vecchia data; recentemente è stato proposto quello, ora applicato dalla Società Goldschmidt, basato sull'impiego di alcali concentrato e all'ebollizione in presenza di nitrato sodico. Lo stagno passa a stannato, e l'alcali si recupera con un procedimento che ricorda quello Harris per la depurazione del piombo.

c) Tra i processi per via secca si è da tempo affermato quello Goldschmidt al cloro secco, che è dominante su tutti gli altri procedimenti. Si basa sulla reazione esotermica:

e sull'inattacabilità del ferro da parte del cloro secco e a bassa temperatura.

Il SnCl4 bolle a 114° e si asporta facilmente a caldo, condensandolo come tale. Un tempo era usato in notevoli quantità nella carica della seta. Può venire anche idrolizzato e trasformato in ossido stannico.

La clorurazione si compie in grandi cilindri di ferro della capacità fino a 70 tonn. di ritagli che vengono immessi in pacchetti compressi di 50-65 kg.

Si segue il metodo cosiddetto a pressione variabile cioè dapprima si fa il vuoto, poi s'introduce il cloro a pressione gradatamente crescente da 3/4 a 2 atmosfere, in modo da mantenere la temperatura, anche con raffreddamento, da 50° a 90°: la reazione si compie in 12 ore per ogni carica. I cloruratori sono in serie: l'eccesso di cloro passa nel successivo apparecchio, previo raffreddamento dei gas per condensare il SnCl4.

I ritagli distagnati passano al lavaggio con acqua e alcali e infine alla rifusione.

Per la distagnazione della latta sono stati proposti altri processi; ma finora nessuno di essi presenta importanza pratica né si è mantenuto nell'industria.

Produzione e consumo. - La produzione mineraria e metallurgica nell'ultimo decennio ha subito la crisi generale dei metalli, come illustrano le tabelle e i dati che seguono.

Il massimo di produzione si raggiunse nel 1929; seguì una rapida riduzione raggiungendo il minimo nel 1933. Come produzione mineraria predomina l'Oriente cui seguono America e Africa.

I prezzi hanno segnato le oscillazioni caratteristiche del periodo: raggiunsero il massimo di Lst. 419 circa nel 1920 e caddero al minimo di Lst. carta 100 circa nel 1931 per tonn.; risalirono nel 1934 alle Lst. 244 ÷ 222. Il prezzo minimo dal 1890 al 1914 è stato di Lst. 58 nel 1895.

Sul mercato di Londra i tipi commerciali vengono distinti in "standard" (tipi da A a E), e "ordinarî" (tipi da X a Z): i primi hanno un tenore di stagno dal 99,991% (A) fino al 99,767 (E): i secondi dal 99,174 (X) al 99,108 (Z).

Lo stagno si commercia in pani, barre, verghe, lastre.

In questi ultimi anni è sorta in Italia l'officina metallurgica per stagno della S. A. Roneg, presso Bergamo, che si è dedicata al trattamento di minerali e residui varî.

Bibl.: P. Pascal, Traité de Chimie minérale, Parigi 1933; Abegg, Handbuch anorg. Chem., III, ii; Parravano e Bellucci, in Zeit. anorg. Chem., XLV (1905), p. 142; L. Guillet, Les industries métallurgiques à l'avant-guerre, Parigi 1917; E. Prost, Métallurgie de Métaux autres que le fer, 1924; V. Tafel, Lehrbuch der Metalhuttenkunde, II, Lipsia 1929; J. Billiter, Technische Elektrochemie, V: Die neueren Fortschritte der technischen Elektrolyse, Halle 1930; V. Engelhardt, Die technische Elektrolyse wässeriger Lösungen, I, i (1931); Quin's Metal Handbook and Statistics, 1935; Werkstoff, Handbuch Nichteisenmetalle, 1927.

Tossicologia.

Piccolissimo è il numero negli avvelenamenti per composti stannici e spesso molti degl'inconvenienti consecutivi all'ingestione di questi sono da attribuirsi a impurità quali l'arsenico e il piombo. L'azione farmacologica è essenzialmente quella dei caustici. La dose letale minima non è ben definita e oscilla entro limiti molto estesi. L'ossido, e il protocloruro di stagno, i più comuni dei sali impiegati, ingeriti provocano vomito violento, scialorrea, dolori gastrici, sintomi di gastroenterite: s'osservarono dei casi giunti all'autopsia con lesioni ulcerose della mucosa gastrica. Il paziente è prostrato, il polso è piccolo, frequente: intensa la dispnea. Frequenti le paresi muscolari, l'atassia e l'albuminuria. Talvolta insorgono convulsioni a precedere la morte che avviene per paralisi cardiaca.

Terapia: somministrazione di magnesia usta insieme con latte e acqua albuminosa; lo svuotamento non è indicato. Cure sintomatiche, eccitanti oppiacei.