STAMPA

Enciclopedia Italiana (1936)

STAMPA

Luigi RAGGI
Ottorino VANNINI

. È la riproduzione meccanica di segni, parole o immagini. Il vocabolo ha assunto peraltro diversi significati anche nell'uso quotidiano. Il più proprio è quello di "arte della stampa", e cioè sia di riproduzione diretta o indiretta di un soggetto (disegno, scritto), per cui v. grafiche, arti; incisione; ecc.; sia di riproduzione di un testo mediante caratteri mobili, per cui v. tipografia. Per "stampa" s'intende anche, comunemente, l'assieme dei giornali e dei periodici (v. giornale; periodici); e anche, in senso più estensivo, l'attività editoriale in genere (v. editore). Tale attività è disciplinata da norme giuridiche in tutti gli stati moderni.

Diritto pubblico vigente.

Nella dottrina tradizionale dello stato costituzionale, liberale e democratico, la libertà di stampa era considerata come una delle manifestazioni fondamentali del diritto di libertà dei singoli, concepito come connaturato nel cittadino e contrapposto al diritto dello stato. La dichiarazione dei diritti del 1789 la chiamava preziosa e la riconosceva come conseguenza del diritto di libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni: ammetteva però anche che degli abusi di tale diritto si dovesse rispondere. Come diritto fondamentale dei cittadini è riconosciuto dall'art. 28 dello statuto italiano, che però proclama il principio lasciandone la regolamentazione più precisa a leggi speciali. Dato che nella concezione fascista dello stato le manifestazioni del cosiddetto diritto di libertà in tanto esistono, in quanto lo stato nell'interesse generale ritiene di poterle concedere, le antiche leggi speciali, spesso imperfette nella formulazione e nell'applicazione, furono convenientemente modificate.

La stampa (e s'intende compreso nella parola stampa qualsiasi artificio meccanico atto a riprodurre segni figurativi: fotografia, litografia, silografia, ecc.) è sottoposta a misure preventive di sicurezza e a misure repressive. È ancora vigente in parte il cosiddetto Editto Albertino del 26 marzo 1848, emesso prima ancora che si aprissero le camere, in forza dei poteri straordinarî che il re si era riservato per l'esecuzione dello statuto con l'art. 83 dello statuto stesso (editto, pare, opera quasi esclusiva del ministro Sclopis). Esso fu modificato con leggi: 26 febbraio 1852, numero 1337, 20 giugno 1858, n. 2870; 6 maggio 1877 n. 3814; 20 giugno 1906. n. 2780. Si devono aggiungere il nuovo testo unico della legge di pubblica sicurezza, il codice penale e di procedura penale e, specie relativamente alla stampa periodica, il decr. legge 15 luglio 1923, n. 3288 (conv. in legge 31 dicembre 1925, n. 2309); il decr. legge 10 luglio 1924 n. 1081 (conv. in legge 31 dicembre 1925, n. 2308); la legge 31 dicembre 1925, n. 654 (v. anche la legge 27 maggio 1929, n. 810).

Le misure preventive sono diverse, secondoché si tratti di stampa in genere o di stampa periodica. Per la stampa in genere è disposto che ogni stampato deve indicare il luogo, l'officina, l'anno in cui fu impresso, il nome dello stampatore. D'altra parte non si può esercitare l'arte tipografica, litografica, fotografica o qualunque arte di stampa o riproduzione meccanica o chimica in molteplici esemplari, senza licenza del questore, che vale esclusivamente per i locali in essa indicati. Ogni stampatore (o editore) deve presentare la prima copia di qualsiasi stampato o pubblicazione alla procura del re (a scopi scientifici devono essere inviati con speciali cautele alla procura del re tre esemplari perfetti di qualsiasi stampato). Senza licenza dell'autorità locale di pubblica sicurezza è vietato distribuire o mettere in circolazione in luogo pubblico o aperto al pubblico scritti e disegni, affiggere scritti o disegni o giornali o loro estratti sommarî, fare uso di mezzi luminosi o acustici per comunicazioni al pubblico, o comunque collocare iscrizioni, anche se lapidarie (questi divieti non si applicano agli scritti o disegni delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, a quelli relativi a materie elettorali durante il periodo delle elezioni, a quelli delle autorità ecclesiastiche nell'interno o all'esterno delle chiese, ecc.). Inoltre è vietato fabbricare, introdurre nello stato, acquistare, detenere, esportare, allo scopo di farne commercio o distribuzione, o mettere in circolazione, scritti, disegni, immagini o altri oggetti contrarî agli ordinamenti politici, sociali, economici costituiti nello stato o lesivi del prestigio dello stato o dell'autorità o offensivi del sentimento nazionale, del pudore o della pubblica decenza, o divulganti mezzi diretti a impedire la procreazione o a procurare l'aborto o illustranti l'impiego dei mezzi stessi. L'autorità di pubblica sicurezza può sequestrare in via amministrativa tali scritti e disegni.

Per quanto, invece, si riferisce alla stampa periodica, i gravi inconvenienti che derivavano dall'applicazione dell'Editto Albertino e segnatamente dall'istituto del gerente (che dava luogo a critiche fondatissime nello stesso regime liberale), hanno portato a innovazioni radicali dell'editto stesso. Prima bastava che qualunque cittadino maggiorenne, qualunque società commerciale o corpo morale, presentasse una dichiarazione al prefetto e indicasse un gerente responsabile, per avere il diritto di pubblicare un giornale o una pubblicazione periodica. Ora invece (legge 31 dicembre 1925, n. 2307, art. 1) ogni giornale o altra pubblicazione periodica deve avere un direttore responsabile (qualora il direttore sia senatore o deputato, il responsabile dev'essere uno dei principali redattori ordinarî): egli deve ottenere il riconoscimento del procuratore generale presso la corte d'appello, presentando analoga domanda, che dimostri l'esistenza di tutti i requisiti necessarî, e il procuratore generale, può negare o revocare il riconoscimento con provvedimento motivato (contro il quale si può ricorrere al ministero e poi per legittimità al consiglio di stato) a chi sia stato condannato due volte per delitti commessi a mezzo della stampa. La pubblicazione del periodico non può avere luogo sino a quando non sia intervenuto il provvedimento del procuratore generale, e il giornale o periodico pubblicato prima del riconoscimento deve essere sequestrato dall'autorità di pubblica sicurezza. Contemporaneamente alla domanda per il riconoscimento del direttore, lo stampatore e l'editore devono presentare al procuratore generale una dichiarazione contenente le generalità di tutti i proprietarî del giornale, il loro domicilio e la loro residenza; se la proprietà del giornale appartiene a una società regolarmente costituita, deve essere allegata copia dell'atto di costituzione, indicando le persone che ne hanno la rappresentanza; se la società è di fatto, bisogna indicarne tutti i componenti. Tale dichiarazione dev'essere rinnovata ogni anno e dentro 15 giorni da quello in cui si siano verificate variazioni nella costituzione della società. La professione del giornalista è consentita solo a coloro inscritti negli albi tenuti dai relativi sindacati.

Quando durante la vita d'un giornale, venga richiesto il riconoscimento di un nuovo responsabile, il procuratore generale, prima di provvedere sulla domanda di riconoscimento interpellerà il prefetto perché dichiari se ritiene di doversi opporre al nuovo riconoscimento. Il prefetto può chiedere formalmente al procuratore generale di negare il riconoscimento, quando il direttore precedente sia stato revocato, oppure nello spazio di due anni sia stato condannato due volte, per reato commesso a mezzo della stampa, a pena restrittiva della libertà personale non inferiore a sei mesi, o quando il giornale sia stato colpito da provvedimenti prefettizî e assuma nuovi titoli per continuare la pubblicazione. Il procuratore generale in questi casi emette dichiarazione di non luogo a deliberare sulla domanda di riconoscimento: si può ricorrere al ministero dell'interno contro tale dichiarazione entro 15 giorni. Se il procuratore generale ha già concesso il riconoscimento prima che il prefetto abbia potuto essere interpellato, il prefetto può chiederne la revoca.

Il prefetto (salva l'azione penale) può diffidare il responsabile d'un giornale: a) se il giornale con notizie false o tendenziose rechi intralcio all'azione diplomatica del governo o danneggi il credito nazionale all'interno o all'estero o desti ingiustificato allarme nella popolazione o dia motivi di turbamento dell'ordine pubblico; b) se il giornale istighi a commettere reati o ecciti all'odio di classe o alla disobbedienza alle leggi e agli ordini dell'autorità o comprometta la disciplina degli addetti ai pubblici servizî o favorisca gl'interessi di stati, enti o privati stranieri a danno degl'interessi italiani, ovvero vilipenda la patria, il re, la reale famiglia, il sommo pontefice, la religione dello stato, le istituzioni e i poteri dello stato o le potenze amiche. La diffida è pronunciata con decreto motivato, udito il parere di una commissione, composta di un giudice che la presiede, di un sostituto procuratore del re, e di un rappresentante della classe giornalistica nominato dalla locale associazione della stampa, o, in mancanza, dal presidente del tribunale penale. Quando il prefetto abbia diffidato due volte durante l'anno il responsabile, udita la commissione anzidetta, può anche revocarne il riconoscimento, salvo il ricorso entro 15 giorni al Ministero dell'interno e poi in via contenziosa al consiglio di stato, per legittimità. Infine il prefetto o un funzionario da lui delegato, indipendentemente dal procedimento di diffida, può ordinare il sequestro del periodico, quando gli scritti rientrino nei casi in cui si può procedere alla diffida. Il venir meno a questi precetti importa anche violazione di legge penale con le relative sanzioni (v. art. 352 cod. pen., che punisce chi vende, distribuisce o affigge in luogo pubblico o aperto al pubblico scritti o disegni di cui l'autorità abbia ordinato il sequestro; v. anche art. 663 cod. pen.). È vietata poi l'inserzione nei giornali di avvisi o corrispondenze che si riferiscano a mezzi diretti a impedire la procreazione o a procurare l'aborto, l'inserzione di corrispondenze o avvisi amorosi, la pubblicazione di ritratti di suicidi e di persone che abbiano commesso delitti: anche in tal caso l'autorità di P. S. procede al sequestro dei giornali in via amministrativa.

Bibl.: O. Ranelletti, Polizia di sicurezza, in V. E. Orlando, Trattato di diritto amministrativo, IV, i, Milano, p. 857 segg.; V. Miceli, Principi di diritto costituzionale, ivi 1913, p. 995 segg.; Codice della stampa e degli autori, illustrazioni e commenti di varî autori, a cura di G. Benedetti, ivi 1930; G. Benedetti, Codice della stampa, Bologna 1933.

Reati col mezzo della stampa. - Nei riguardi dei reati commessi col mezzo della stampa provvede la legge con norme speciali, che ai principî generali costituiscono deroga, allo scopo politico-criminale di colpire in ogni modo i reati predetti. Le deroghe, del resto, non sono di oggi. L'editto sulla stampa del 26 marzo 1848 in tema di stampa non periodica applicava, sull'esempio francese, il criterio della cosiddetta responsabilità par cascades: "Le azioni penali stabilite dal presente editto, salve le eccezioni per le pubblicazioni periodiche, saranno esercitate in primo luogo contro l'autore, secondo contro l'editore, se l'uno o l'altro siano sottoscritti o altrimenti conosciuti, e finalmente contro lo stampatore, in modo che l'uno sia sempre tenuto in sussidio dell'altro" (art. 4). E per la stampa periodica lo stesso editto stabiliva (art. 47 cap.) l'estendibilità della condanna, pronunciata contro l'autore, al gerente, "sempre considerato come complice dei delitti e contravvenzioni commessi con pubblicazioni fatte nel suo giornale". Circa il modo, però, d'interpretare l'art. 47 dell'editto, vi era discordanza in dottrina e in giurisprudenza, poiché, se poté prevalere la tesi di una presunzione assoluta (iuris et de iure) di colpevolezza nel gerente, non mancò chi vide nel citato art. 47 soltanto fissata una posizione processuale del gerente stesso, da giudicarsi sempre come complice ove provata fosse in lui la presenza del dolo (E. Florian). La materia relativa ai reati commessi col mezzo della stampa è oggi disciplinata dagli articoli 57 e 58 del codice penale.

Per l'art. 57, qualora si tratti di stampa periodica, colui che riveste la qualità di direttore o redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso, salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione, e salva pure, si comprende, la responsabilità di altre persone (es., stampatore, editore, ecc.) che possono risultare "concorrenti" in base alle regole generali sul concorso di persone nel reato fissate negli articoli 110 e segg. del codice penale. La legge dice "risponde per ciò solo...", e quindi è evidente trattarsi, nei riguardi del direttore o redattore, di una responsabilità puramente obiettiva (art. 42, terzo comma, cod. pen.), di una vera e propria presunzione assoluta di "colpevole partecipazione", preclusiva di ogni prova contraria. Si è voluto sanzionare dalla legge - come è scritto nella relazione ministeriale - tutto un sistema destinato a raggiungere la finalità di non lasciare impuniti i reati commessi a mezzo della stampa, non ammettendo in alcun caso, a favore del direttore o redattore responsabile, la possibilità di una prova liberatoria. Circa la stampa non periodica, dispone l'art. 57 del codice che del reato commesso risponde l'autore della pubblicazione, ovvero, se questi è ignoto oppure non è imputabile (per incapacità d'intendere o di volere: da non confondersi con "non punibile"), risponde l'editore, oppure, se anche questi è ignoto, o non imputabile, lo stampatore. Qui la legge applica simultaneamente a carico dell'editore e dello stampatore i criterî della responsabilità obiettiva e supplettiva; ma è chiaro che dal principio della responsabilità supplettiva si fa ritorno alle regole generali della partecipazione criminosa quando risulti che autore, editore e stampatore colpevolmente concorsero nel reato.

L'art. 58 del codice prevede l'ipotesi della stampa clandestina, disponendo che le regole sopra indicate trovano applicazione anche se non siano state osservate le prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione della stampa (periodica o non periodica), e che, se ignote o non imputabili sono le persone dell'autore, del direttore o redattore, dell'editore, dello stampatore, rispondono dei reati commessi col mezzo della stampa tutti coloro che in qualsiasi modo abbiano divulgato (venduto, distribuito, affisso al pubblico, inviato per posta, ecc.) gli stampati, anche se non vi sia stato tempo di conoscerne il contenuto.

Bibl.: S. Longhi, Limiti alla reponsabilità del gerente, in Gerarchia, 1924; E. Tommasone, Attività di prevenzione e attività di repressione in materia di stampa, in Riv. di diritto pubblico, 1925; C. Saltelli-E. Romano di Falco, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, Roma 1930; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, II, Torino 1933; E. Florian, Parte generale del diritto penale, II, Milano 1934.