KRAMER, Stanley

Enciclopedia del Cinema (2003)

Kramer, Stanley (propr. Stanley Earl)

Francesco Bolzoni

Produttore e regista cinematografico statunitense, nato a New York il 29 settembre 1913 e morto a Woodland Hills (California) il 19 febbraio 2001. Seppe quasi sempre conservare un equilibrio fra l'atteggiamento liberal caratteristico dell'intellettuale newyorkese legato al pragmatismo democratico fiorito negli anni Trenta, e l'attivismo imprenditoriale dell'industriale cinematografico della California. I film da lui prodotti (e in seguito diretti) non erano rivolti alle élites ma alle masse amanti del romanzo poliziesco e del prodotto medio hollywoodiano, si avvalevano di giovani registi che ben conoscevano le strutture di una narrazione dinamica e di attori capaci di rompere il diaframma presente fra lo schermo e lo spettatore, e avevano caratteristiche ben precise: temi legati a questioni sociali, un modo di raccontare estroverso, chiaro e persuasivo, sceneggiature calibrate al millesimo, ritmi incalzanti, ambienti individuati con nitore realistico.

Fin da bambino frequentò l'ambiente del cinema poiché la madre lavorava presso la Paramount Pictures di New York. Dopo aver studiato business administration alla New York University (1933), si trasferì a Hollywood. Sarebbe arrivato tardi alla regia proprio per la consapevolezza delle difficoltà della 'macchina cinema' e per la volontà di conoscere ogni settore dell'industria cinematografica. Fu infatti montatore alla Metro Goldwyn Mayer (1935-1938) e quindi sceneggiatore alla Columbia Pictures, alla Republic Pictures Corporation e poi di nuovo alla MGM fino al 1943. Nel 1942 tentò anche, ma senza successo, di fondare con George Glass una propria casa di produzione. Tra il 1943 e il 1945 effettuò il servizio militare nei Signal Corps, e con Glass e Carl Foreman fu tra gli sceneggiatori della celebre serie di documentari Why we fight, realizzata da Frank Capra. Nel 1946 fondò con Armand Deutsch la Story Productions, ma dopo un anno ne uscì, e con Glass, Foreman e Herbert Baker diede vita alla Screen Plays Inc., che, sotto diverse ragioni sociali (Stanley Kramer Productions dal 1949, Stanley Kramer Company dal 1951, Stanley Kramer Pictures Corporation dal 1954), durò oltre quarant'anni. Nel corso dell'attività di produttore K. fu sempre ben attento a evitare il condizionamento dei gruppi finanziari e ciò gli consentì di scegliere soggetti che riteneva rispondessero alle esigenze sociali e psicologiche del momento, di farli sceneggiare evitando gli stereotipi, di affidarsi a registi di fiducia (tra i quali alcuni degli autori che disegnarono la fisionomia del cinema statunitense del secondo dopoguerra) e di scegliere attori fisicamente aderenti ai personaggi. Produsse così una serie di opere di forte impegno ed elevata qualità, ma anche di grande successo commerciale, quasi tutte sceneggiate da Foreman: Champion (1949; Il grande campione) di Mark Robson, fra i migliori film sul pugilato, in cui Kirk Douglas ebbe la sua prima parte di protagonista; l'antirazzista Home of the brave (1949; Odio) di Robson; The men (1950; Uomini o Il mio corpo ti appartiene) di Fred Zinnemann, che rivelò le notevoli potenzialità di Marlon Brando nel ruolo di un soldato rimasto paralizzato in guerra; Death of a salesman (1952; Morte di un commesso viaggiatore) di Laslo Benedek, con Fredric March; il noir The sniper (1952; Nessuno mi salverà) di Edward Dmytrik; il western High noon (1952; Mezzogiorno di fuoco) di Zinnemann, che, nell'esemplare odissea dell'uomo di legge (Gary Cooper) che tutti abbandonano e che con fermezza sceglie di affrontare dei malviventi in uno scontro quasi senza possibilità di sopravvivere, perviene a una misura narrativa classica e a una vertiginosa trasparenza, il cui merito va attribuito in parti uguali al regista, all'attore e al produttore.

K. in seguito si associò alla Columbia, a causa della ristrettezza delle proprie basi finanziarie ma anche della campagna dell'HUAC (House Un-American Activities Committee), che coinvolse molti dei suoi più vicini collaboratori, come Robson, Benedek, Zinnemann e soprattutto Foreman, che dovette abbandonare gli Stati Uniti. Benché la Columbia avesse assicurato per contratto a K. larghi margini di autonomia, le sue scelte furono inevitabilmente condizionate e tra i film che produsse fino al 1954 vanno segnalati: The wild one (1953; Il selvaggio) di Benedek, con Marlon Brando, e The Caine mutiny (1954; L'ammutinamento del Caine) diretto da Dmytryk, con Humphrey Bogart.Si potrebbe sostenere che, nel momemto in cui pervenne alla regia, K. aveva già dato il meglio di sé. Ma se i primi e gli ultimi film da lui diretti non sono privi di scorie melodrammatiche, la parte più consistente della sua attività di regista, racchiusa in una decina d'anni (1958-1967), comprende sette film (che riuscirono a raccogliere nelle diverse categorie ben 41 nominations e nove Oscar) e annovera alcuni dei risultati più interessanti del cinema classico americano, che confermano lo spirito progressista e l'impegno morale delle sue scelte produttive. La preminenza del messaggio civile sull'impianto stilistico, la costruzione solidamente ancorata a sceneggiature 'a tesi', la partecipazione di attori di fama e mestiere prettamente hollywoodiani (da Ava Gardner a Gregory Peck, da Spencer Tracy a Katharine Hepburn, da Robert Mitchum a Frank Sinatra), hanno fatto sì che i film di K. diventassero modelli di 'buon cinema': solido, onesto e non disgiunto da un uso (talvolta retorico ma efficace) della spettacolarità. Tale costante distinse tanto la meditazione sulla concreta possibilità di un olocausto nucleare in On the beach (1959; L'ultima spiaggia), quanto la tesa e compatta 'requisitoria' cinematografica sui crimini di guerra nazisti costituita da Judgement at Nuremberg (1961; Vincitori e vinti), rievocazione di uno dei processi svoltisi a Norimberga, e la folta galleria di personaggi del melodramma Ship of fools (1965; La nave dei folli). Questa allegoria della 'commedia umana' è in un certo senso anticipata, in un'insolita chiave comico-grottesca (preludio al futuro stile 'demenziale'), dal convulso affollarsi di tipi particolari e originali situazioni di It's a mad, mad, mad, mad world (1963; Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo). Costituiscono un'eccezione nel caratteristico andamento narrativo corale di K. tre film basati su un ristretto numero di personaggi, tre appassionate apologie della tolleranza: nei confronti delle teorie scientifiche ritenute 'scomode' in Inherit the wind (1960; … e l'uomo creò Satana), e dei rapporti tra razze diverse in The defiant ones (1958; La parete di fango) e Guess who's coming to dinner (1967; Indovina chi viene a cena?).

Negli anni Settanta l'attività di regista di K. si chiuse con prodotti che (sebbene conservino buona fattura, efficacia di ritmo e di tensione, senso dello spettacolo) non aggiungono molto al suo cinema, e consistono in indagini psicologiche e sociali all'interno dei diversi generi, come il western Oklahoma crude (1973; I duri di Oklahoma), o il fantapolitico The domino principle (1977; Il principio del domino: la vita in gioco). Nel 1997 pubblicò l'autobiografia, A mad, mad, mad, mad world: a life in Hollywood.

Bibliografia

V. Nedelin, Stenli Kreimer, Moskva 1970; D. Spoto, Stanley Kramer, film maker, New York 1978.

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