STELE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

Vedi STELE dell'anno: 1966 - 1997

SΤELE (v. vol. VII, p. 485)

F. Silvano
E. Merluzzi
I. Oggiano
R. Stupperich
F. Rebecchi
A. Filigenzi
S. Vita

Egitto. - Nell'Egitto antico esistono varie categorie di s. con funzioni diverse. Nella maggior parte dei casi si tratta di s. a nome di privati, sia funerarie, provenienti da tombe, sia votive, dedicate a nome proprio o di familiari presso vari centri di culto; tra questi il più famoso era quello di Abido. Per entrambe le categorie vale comunque il principio che la s. perpetuava il defunto, identificandolo con il suo nome e i suoi titoli e raffigurandolo nell'atto di ricevere offerte dai suoi familiari o in compagnia di divinità, cioè in una situazione da tutti auspicata nell'aldilà. Per questo all'inizio era importante l'elenco, o la raffigurazione, delle provviste necessarie alla sopravvivenza nell'oltretomba; la s. costituiva infatti il centro del culto funerario, e davanti a essa, nei giorni prescritti, venivano portate le offerte disposte su apposite tavole.

L'evoluzione tipologica di questi monumenti è complessa. Tipica dell'Antico Regno fu la s. a falsa porta che si sviluppò dalla facciata di palazzo, a pannelli sporgenti e rientranti, caratteristica delle mastabe delle prime dinastie: questa porta fittizia metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti, permettendo così allo spirito del defunto di ricevere le offerte e le preghiere necessarie alla sua esistenza ultraterrena. Tale tipologia venne abbandonata nel I Periodo Intermedio, quando si preferì la forma rettangolare, decorata molto semplicemente. Successivamente, nel Medio Regno, oltre alle s. rettangolari, talvolta inquadrate da toro, troviamo quelle con sommità arrotondata, ornata da elementi della simbologia religiosa. Il campo della s. è di solito ripartito in varî registri: il principale raffigura il defunto seduto, o in piedi, davanti alla tavola traboccante di offerte; gli altri, divisi in caselle, mostrano i familiari del defunto, tracciando delle vere e proprie genealogie. Nel Nuovo Regno si hanno più o meno gli stessi temi delle epoche precedenti, ma si fa sempre più frequente la presenza di divinità, verso le quali il defunto avanza con le braccia sollevate in atto di adorazione; nei registri inferiori ritroviamo il titolare della s., a volte in compagnia della moglie, nell'atto di ricevere l'omaggio dei parenti. Alla fine del Nuovo Regno appaiono per la prima volta le s. di legno, stuccate e dipinte, comuni poi in epoca tarda fino all'inizio dell'età tolemaica. Moltissime, quasi tutte centinate, rappresentano il defunto o la defunta, in atto di adorare la divinità.

Accanto alle s. votive e funerarie, che rappresentano la maggior parte della produzione egiziana, vi sono, anche se più rare, quelle storiche, fatte realizzare dal sovrano per propagandare le proprie imprese (guerre, spedizioni, costruzioni di templi, delimitazioni di confini), o semplicemente per rendere pubblico qualche decreto. Un'ultima categoria è infine costituita dalle cosiddette s. magiche con valore apotropaico e terapeutico: si identificano per lo più con il tipo di «Horus sui coccodrilli» e dovevano servire come difesa verso qualsiasi tipo di animali disegnato sopra di esse, in particolare gli scorpioni.

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(F. Silvano)

Vicino Oriente. - Siria e Levante. - Originarie dell'area palestinese sono le s. aniconiche e anepigrafi (in ebraico maṣṣebōt), che precedono quelle con decorazione a rilievo e coesistono con esse (v. vol. Il, p. 72 s., s.v. Betilo). Si possono distinguere diverse categorie: pietre grezze o appena sbozzate di grandi dimensioni; lastre, di minori dimensioni e spessore uniforme, con la sommità centinata e a volte rastremate; pietre di forma arrotondata con una sola faccia piana. Più rare sono le s. di forma quadrata e a obelisco (Graesser, 1972, p. 48). La funzione di questi monumenti, che venivano eretti isolati, in gruppo o disposti in fila (p.es. Siria: Tell Khuera, Biblo; Palestina: Bāb ed-Dhra', Gezer, Ḥazor), è difficile da ricostruire. C. F. Graesser (1972) ritiene che non vi fosse alcuna differenza, sul piano funzionale, tra le s. aniconiche e quelle figurate, entrambe utilizzate per fini cultuali, funerarî, commemorativi o legali; J. V. Canby (1976) identifica invece nella presenza o meno di raffigurazioni e/o iscrizioni e nella disposizione delle s. (isolate o in gruppo/fila) diverse funzioni e tradizioni. Le s. aniconiche in miniatura, rinvenute in Palestina all'interno di edifici di culto pubblici e privati (Ḥazor, Tell Ta'annak), avevano prevalentemente una funzione cultuale e/o votiva.

Pochi sono gli esemplari di s. figurate che risalgono al III millennio (Siria: s. di Tell Ḥalawa, s. di Ğebelet el-Bayḍa; Palestina: s. di 'Arād), in alcuni casi anche di difficile datazione (si veda la s. di Šīhān, in Transgiordania, la cui cronologia oscilla tra la seconda metà del III millennio e il IX-VIII sec. a.C.), mentre nel corso del II-I millennio si assiste, soprattutto in Siria, a un forte incremento della produzione.

Dal punto di vista morfologico si distinguono due principali tipi: le s. a struttura allungata e rastremata verso l'alto, con terminazione superiore centinata e suddivisione del campo figurato in registri sovrapposti, una caratteristica, quest'ultima, comune alle s. del III e della prima metà del II millennio nella Siria orientale (Tell Ḥalawa) e interna (Ebla, Ḥama); le s. decorate su una sola faccia, con bordo più o meno rilevato e sommità centinata, che a partire dal Bronzo Tardo costituiscono il tipo più diffuso. Nel I millennio questo tipo assume una forma standard caratterizzata dalla parte posteriore convessa (definita s. aramaica).

Le s. monumentali potevano essere fissate al terreno per mezzo di una base a tenone o semplicemente appoggiate a un muro; quelle di piccole dimensioni, considerate come mobili votivi, sembrano aver avuto lo stesso ruolo delle figurine e delle statuette cultuali.

Nell'Età del Bronzo (III-II millennio) le s. figurate sono quasi esclusivamente cultuali o votive, di solito anepigrafi, caratterizzate dalla raffigurazione di divinità isolate o di figure umane in atti rituali o di scene cultuali cui prendono parte figure divine e umane. Tra le rare eccezioni si ricorda la «s. doppia» di Ğebelet el-Bayḍa, fatta erigere forse da un sovrano locale e considerata il più antico monumento celebrativo rinvenuto in Siria (datato verosimilmente agli inizî del periodo accadico: Strommenger, 1974; Dolce, 1986; contra Moortgat-Correns, 1972). Su entrambi i lati maggiori della s. il sovrano è rappresentato - secondo un'iconografia comune all'arte ufficiale accadica - nell'atto di ergersi vittorioso sui nemici sconfitti.

Nel Bronzo Medio (c.a 2000-1600 a.C.) uno dei centri che ha fornito la più ricca documentazione è Ebla (v.): si tratta in massima parte di frammenti di s. in basalto, rinvenuti in situ o reimpiegati come materiale da costruzione nel vicino villaggio. L'omogeneità tipologica e iconografica (simbolo della divinità sulla sommità, scene cultuali e di sacrificio sulla faccia anteriore) di questa produzione rivela, secondo P. Matthiae (1987), l'esistenza di una sola bottega palatina che produceva su ordinazione le s. destinate a essere collocate nei templi in particolari occasioni, celebrate e commemorate nelle stesse scene raffigurate. La «s. di Ištar», rinvenuta in un tempietto nell'area sacra della dea sull'acropoli, è conservata quasi integralmente (manca solo parte della sommità) e costituisce un unicum nella produzione a rilievo di epoca paleosiriana.

Un altro importante centro di produzione delle s., attivo in particolare nella seconda metà del II millennio (Bronzo Tardo), è Ugarit. Qui è stata rinvenuta una delle più importanti serie di s. votive: circa venti esemplari completi e frammentarî di diversi tipi e dimensioni, con caratteristiche morfologiche, iconografiche e stilistiche che si distinguono chiaramente da quelle della Siria interna di epoca paleosiriana. Anche se la maggior parte non è stata rinvenuta in situ, ma dispersa già nell'antichità in prossimità dei luoghi di culto, è verosimile che in origine le s. fossero situate nei recinti sacri dei templi sull'acropoli (templi di Dagan e di Ba'al) e nella città bassa. Ciò che sorprende a Ugarit è la varietà della produzione: oltre al consueto schema iconografico del personaggio divino in posa stante sull'asse della s. (al quale in alcuni casi si aggiunge una piccola figura secondaria, probabilmente il re), ricorrono anche scene più complesse a soggetto cultuale (scena di presentazione: c.d. s. di El) e giuridico (c.d. s. del patto). Più rare le s. con sola iscrizione, o con la raffigurazione del motivo astrale stilizzato sulla sommità (c.d. s.-altare); per le s. del tutto prive di decorazione a rilievo è stata recentemente avanzata l'ipotesi che potessero essere in origine dipinte (Yon, 1991).

In Palestina nel II millennio la pur scarsa documentazione di s. figurate evidenzia strette relazioni sia con la Siria (si vedano in particolare le s. di culto di Tell Bayt Mirsim e Sichem), sia con l'Egitto (s. funerarie private di Deir el-Balaḥ con sommità triangolare e scena di adorazione di Osiride). Le s. di Seti I e Ramesse II rinvenute a Bet Šĕ'an testimoniano invece una stabile presenza egiziana in quest'area. Rimane tutt'ora senza alcun confronto la s. rinvenuta nello «Stele Temple» di Ḥazor, sulla quale sono raffigurate due mani aperte rivolte verso il simbolo composto dal crescente lunare e dal disco solare.

Con l'inizio del I millennio a.C. si assiste, soprattutto in area siro-anatolica, a una grande diffusione delle s. funerarie in cui la scena più ricorrente è quella del banchetto funebre cui prende parte il defunto. Le s. cultuali non si differenziano molto dalla precedente produzione: la divinità, posta sull'asse della s., è raffigurata stante e spesso sul dorso del suo animale-attributo (s. di Bar-Hadad, Tell Sifr, Qaḍbun). Scarsa è la documentazione di s., figurate e iscritte, che celebrano eventi storici (si ricordano a tale proposito le s. di Zakur da Afis, di Sefire e di Mesha).

In questo periodo fanno la loro comparsa, per la prima volta in area siriana, le s. «tipo Kharrān» (dal principale centro di produzione nella Siria nord-orientale), caratterizzate dalla raffigurazione simbolica del dio-luna Sin. Lo stendardo che rappresenta la divinità è costituito da un pilastro sormontato da una falce lunare con due nappe laterali alla base, a volte al di sopra di uno zoccolo a gradini. Il simbolo è riprodotto nella maggior parte dei casi da solo, oppure con iscrizione (s. di Qaruz, recentemente scoperta nella Siria settentrionale), più raramente insieme a una divinità (s. di Ali Gör) o ad altri personaggi (s. di Göktaşköyü, Tavla Köyü), nel qual caso si tratta probabilmente della commemorazione di un trattato (Kohlmeyer, 1992, pp. 98-99). In contrasto con la fortuna che ha avuto nel I millennio in area siro-palestinese il culto di Sin, l'area di diffusione delle s. «tipo Kharrān» è molto limitata (dalla pianura dello 'Amuq fino al Balīkh). Ciò dipende probabilmente dal fatto che in ambito neo-ittita e assiro prevale il gusto per l'immagine: la s. di Sin da Tell Aḥmar è un esempio di come gli Assiri, pur adottando in Siria gli dei locali, tendano a rappresentarli secondo schemi iconografici più consoni alle proprie tradizioni.

Anatolia. - La più antica documentazione risale al II millennio a.C. Le s. sono prevalentemente di tipo cultuale e vengono utilizzate principalmente in ambito privato; il ruolo commemorativo e celebrativo viene infatti svolto da un altro genere monumentale, che ha avuto un'ampia diffusione in questa regione: il rilievo rupestre. L'esiguità della documentazione è stata spiegata ipotizzando che un certo numero di s. fosse in legno o altro materiale deperibile. È tuttavia probabile che alla scomparsa di gran parte dei monumenti di culto abbia contribuito anche la riforma religiosa di Tutkhaliya IV (c.a 1260-1220 a.C.).

Al Bronzo Tardo (XIV-XIII sec. a.C.) si datano due s. votive in miniatura, rispettivamente in pietra e in bronzo, con la raffigurazione del dio della caccia (s. di Yeniköy) e del disco solare alato (s. di Alaca Hüyük) e la c.d. s. trono di Fasıllar, sulla quale è rappresentato il dio della tempesta stante al di sopra del dio della montagna, tra due leoni. La particolarità di questo monumento consiste nel fatto che le figure sono scolpite parte a rilievo parte a tutto tondo creando un effetto di grande monumentalità.

La presenza delle s. aniconiche, che in questa area sono limitate solo all'ambito funerario, e delle c.d. s.-altare presenti anche a Ugarit, rivela gli stretti contatti tra Anatolia e area siro-palestinese.

Per il periodo neo-ittita la maggior parte della documentazione finora nota è costituita dalle s. funerarie rinvenute nel centro di Gurgum (Maraş), opera di una scuola di scultura locale. Esse hanno generalmente la stessa forma delle c.d. s. aramaiche (v. supra), con o senza tenone alla base. Un esempio mirabile è costituito da una s. in basalto che raffigura un uomo e una donna in posizione frontale abbracciati e seduti su due seggi. È difficile stabilire se simili s. fossero in origine poste nelle necropoli o avessero solo il valore di pietre commemorative indipendenti dalle sepolture, visto che provengono per lo più da scavi clandestini o da contesti di riutilizzazione.

Le s. cultuali, molto più rare, presentano caratteristiche morfologiche diverse: possono avere la forma di una larga lastra rettangolare, non molto diverse dagli ortostati (s. di Karkemiš), o una forma simile alle s. aramaiche, ma con la decorazione estesa anche alle facce laterali levigate (s. di Darende e di Malatya).

Mesopotamia. - Le s. figurate commemorative costituiscono fino all'epoca paleobabilonese il tipo monumentale predominante in Mesopotamia. Erette all'interno dei principali santuarî esse rivelano, pur nella varietà delle rappresentazioni, le stesse finalità: celebrare e al tempo stesso sottoporre all'approvazione degli dei le imprese compiute dai sovrani in ambito sociale, edilizio, giuridico e militare. Uno dei generi più diffusi è costituito dalla s. di vittoria che anche in epoca neoassira - quando i rilievi parietali dei palazzi diventano il principale strumento per la celebrazione delle imprese militari e venatorie dei sovrani - rimane un importante mezzo di propaganda politica e militare. Più rare sono le s. cultuali, mentre del tutto assenti sono quelle funerarie. Le s. aniconiche iscritte, trionfali e giuridiche, ricorrono in maggior numero in epoca accadica, medioassira, cassita e neoassira.

Le s. mesopotamiche presentano una grande varietà morfologica, ma non è possibile ricostruire alcuna relazione tra forma e funzione. La s. a registri sovrapposti risale al periodo protostorico (v. il frammento di s. in calcare da Uruk con scene di lavoro su tre registri), ma solo in età protodinastica (c.a 2900-2350 a.C.) assume la forma consueta a lastra rettangolare con terminazione superiore centinata. Contemporaneamente fanno la loro comparsa la s. a forma di cippo (p.es. il c.d. kudurru di Larsa, v.) - che diviene il tipo predominante in età cassita - e la s. a pilastro (p.es. s. di Dēr di età protodinastica; s. di Sargon di età accadica). La s. di Naram-Sin di Accad, con la sua particolare forma rastremata, costituisce finora un unicum (v. vol. I, p. 13, s.v. Accadica, Arte). L'obelisco rappresenta un nuovo genere di monumento celebrativo di creazione assira: la sua forma con le quattro facce rettangolari leggermente rastremate verso l'alto ricorda la s. a pilastro del III millennio, con la differenza che il monumento è ora sormontato da una serie di gradini che si restringono progressivamente. Nel I millennio predomina il tipo di s. con bordo rilevato e sommità centinata, cui si affianca in Assiria un tipo rupestre che a volte ne ripete la forma. Le s. aniconiche sono spesso a forma di lastra rettangolare (a volte con la sommità centinata) con l'iscrizione su uno o su entrambi i lati o all'interno di un riquadro ricavato su un solo lato (v. la s. di Assur). Il c.d. obelisco di Maništusu di epoca accadica rappresenta uno dei più antichi esempî di s. monumentale iscritta.

La prima manifestazione di s. monumentale di vittoria è rappresentata dalla «s. degli avvoltoi» del re Eannatum di Lagaš (v. vol. IV, p. 1063 ss., s. v. Mesopotamica, Arte), anche se un frammento da Tello, con tracce di una scena di trionfo e di una processione di guerrieri e prigionieri, farebbe risalire questo genere a un periodo immediatamente precedente (Protodinastico II). La rappresentazione delle imprese militari promosse dai sovrani costituisce ancora in epoca accadica il tema predominante delle s. reali (s. a fregi di Naṣīriya e di Tellō, s. a pilastro di Sargon, s. di Naram-Sin). Le s. di Gudea di Lagaš rinvenute in frammenti a Tello e il monumento eretto da Urnammu a Ur, della fine del III millennio a.C., celebrano invece le attività edilizie promosse dai sovrani. La costruzione di un importante tempio, cui prende parte simbolicamente anche il re, i lavori di canalizzazione insieme alle cerimonie e ai rituali celebrati in occasione delle suddette imprese e altre scene simboliche si dispongono nei registri inferiori, mentre la rappresentazione del re nell'atto di rendere omaggio alle divinità cui è dedicata la s. occupa il campo superiore ad arco, che diventa l'apice della composizione. La stessa scena di omaggio alla divinità si ritrova nelle s. di epoca paleobabilonese. Sulla s. di Hammurapi (v. vol. I, p. 950, s.v. Babilonese, Arte) la raffigurazione del sovrano di fronte a Šamaš è posta nel campo superiore del monumento, mentre l'intero corpo della s. è coperto dall'iscrizione.

Nella seconda metà del II millennio la documentazione è molto scarsa: in Assiria si riscontra una netta preferenza per i monumenti iscritti rispetto a quelli figurati, mentre nella Mesopotamia meridionale si registra una grande diffusione dei c.d. kudurru (v.).

Le numerose s. di fondazione assire erette tra il XIV e il X sec. a.C. sono note finora solo dalla documentazione scritta. Non si conosce il loro originario aspetto, ma verosimilmente non dovevano differenziarsi molto dalle s. di Assur: semplici lastre di pietra rettangolari, a volte con la sommità centinata, recanti l'iscrizione su una sola faccia. A parte rarissime eccezioni, sembra che la capitale del regno medioassiro sia stata fino al regno di Assurna-sirpal II (IX sec. a.C.) la sede principale in cui i sovrani e gli alti ufficiali erigevano le loro stele. Non si conosce ancora la funzione di questi monumenti (c.d. Stelenreihen: c.a 140 s. erette tra il XIV e il VII sec. a.C.), iscritti e non, rinvenuti tra le mura interne ed esterne della città, forse connessi con la registrazione di eventi storici, secondo una più antica tradizione occidentale (Canby, 1976, pp. 125-128), o immagini simboliche del re e degli alti ufficiali, erette in origine nei templi della città (Miglus, 1984, p. 138).

I primi obelischi si datano alla fine del regno medioassiro (il c.d. Obelisco Spezzato di Assur-bel-kala e il c.d. Obelisco Bianco di Assurnasirpal I), mentre il c.d. Obelisco Nero di Salmanassar III rappresenta l'esemplare più recente finora conosciuto in Mesopotamia.

Nel I millennio le s. reali di vittoria costituiscono la maggior parte della documentazione (se ne conoscono oltre 20) e la loro diffusione, anche al di fuori del territorio assiro, è un evidente indizio della politica espansionistica dei sovrani assiri fin dal IX sec. a.C. Rare sono le s. di culto, mentre le s. di fondazione, più numerose, si differenziano da quelle aniconiche iscritte di epoca medioassira in quanto provviste spesso di un apparato iconografico (v. p.es. la s. «del banchetto» di Assurnasirpal II a Nimrud e le s. della «strada reale» di Sennacherib a Ninive).

Le s. che celebrano le imprese militari o la vittoria e annessione di un territorio venivano erette o scolpite lungo gli itinerarî militari (s. di Salmanassar III alle sorgenti del Tigri, s. di Sargon II a Larnaka, s. di Asarhaddon a Til Barsip) o nei territorî sottomessi (s. di Ašarne, Samaria e Ašdod di Sargon II), svolgendo anche la funzione di «cippo di confine», al fine di indicare il limite reale o ideale dell'impero (Morandi, 1988).

Non è escluso che alle s. reali neoassire fossero attribuite anche altre finalità, oltre quelle istituzionali e propagandistiche. La presenza di un altare davanti alla s. di Assurnasirpal II nel Tempio di Ninurta a Nimrud e la raffigurazione di un sacrificio di fronte a una s. reale su un rilievo delle porte di Balāwat (Salmanassar III) farebbero ipotizzare anche una funzione cultuale (Graesser, 1972, p. 44).

È interessante inoltre osservare come nel corso di circa due secoli e mezzo la rappresentazione del sovrano sulle s. neoassire resti pressoché invariata: viene raffigurato stante, di profilo, con la veste da sommo sacerdote, il braccio destro alzato e la mano nel tipico gesto rituale (indice teso con le altre dita chiuse a pugno) o nell'atto di afferrare il bastone-scettro. Completano la raffigurazione i simboli delle divinità nel campo superiore della s. e l'iscrizione, che in genere è posta al di sopra dell'immagine a rilievo, nel campo centrale. Una variante di questa iconografia è rappresentata dalle s. di vittoria di Asarhaddon (Til Barsip e Zincirli) ove compare il sovrano stante di fronte a due prigionieri imploranti legati a una fune, mentre sui lati brevi sono raffigurati i suoi due figli. Di chiara influenza babilonese è invece la rappresentazione del sovrano in posizione frontale e in veste di costruttore, che appare su alcune s. a forma di cippo del regno di Assurbanipal.

Iran. - Poche sono le s. trionfali e commemorative rinvenute finora in Iran e non è escluso che ciò dipenda anche dal fatto che in questa regione il rilievo rupestre ha avuto una maggiore diffusione (v. p.es. rilievi di Sar-e Pul, Naqš-e Rostam, Kul-e Farāh).

Forti influssi di tradizione mesopotamica caratterizzano le s. di produzione elamita. Alla metà del II millennio, alla fine del c.d. periodo dei Šukkalmakhu, si data una sola s. di vittoria rinvenuta a Susa, non interamente conservata e con raffigurazioni di chiara ispirazione babilonese. Le scene si dispongono sui quattro lati, su tre registri sovrapposti, di diversa altezza. Il miglior esempio di s. elamita è tuttora rappresentato dalla s. di Untaš-Napiriša (c.a 1265-1245 a.C.), anch'essa rinvenuta a Susa, ma eretta in origine nell'area sacra della città di Dūr-Untaš (oggi Čoqā Zanbil). È del tipo a registri sovrapposti (quattro), decorata su un solo lato e con terminazione superiore centinata, di chiara derivazione mesopotamica. Le scene a soggetto mitico-simbolico e cultuale sono delimitate lateralmente da un motivo a serpente che qui sostituisce il bordo piatto delle s. mesopotamiche. Nel registro superiore, come nelle s. neosumeriche e paleobabilonesi, è raffigurato il sovrano che rende omaggio al dio. Scarsa è la documentazione di epoca neoelamita: la s. di Adda- Khamiti-Inšušinak, una lastra in calcare di cui sono stati rinvenuti solo 6 frammenti, raffigura un personaggio, forse femminile (la regina?), stante di fronte al sovrano seduto.

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(E. Merluzzi)

Mondo fenicio-punico. - Le s. rappresentano una delle categorie artistico-artigianali meglio documentate nel mondo fenicio-punico. In base alla loro funzione si possono distinguere in s. votive e s. funerarie. Entrambi i tipi hanno origine in Oriente dove si sono individuati i prototipi tipologici di un genere che ampia fortuna ebbe nelle colonie d'Occidente.

In Fenicia le s. votive si ricollegano per tipologia (coronamento centinato), funzione (votiva) e iconografia (raffigurazioni di carattere divino) alla tradizione nord-siriana, in particolare ugaritica, del II millennio a.C. Le più antiche s. votive (IX sec. a.C.) attribuibili ad ambiente fenicio sono state ritrovate in Siria (s. di Aleppo e Qadmus). Esse rappresentano, dal punto di vista tipologico e iconografico, gli antecedenti di una s. di Amrit, di datazione incerta (tra il IX e il VI sec.), dove è rappresentato un personaggio maschile incedente sopra un leone. A età achemenide (V sec. a.C.) si data invece la s. di Yeḥawmilk di Biblo sulla quale, al di sopra di una lunga iscrizione dedicatoria, il re della città viene rappresentato di fronte alla «Signora di Biblo» seduta in trono. Una scena simile si trova sulla s. di Dibba, vicino a Tiro, pure di età achemenide. Componenti ellenistiche sono invece caratteristiche della produzione successiva (III-II sec. a.C.), documentata a Tiro, Arado e Umm el-‘Amed (s. funerarie).

L'altro tipo di s., che in Fenicia è attestato con funzione essenzialmente funeraria, è quella a edicola, naìskos, di tipo egiziano. Si ricordano l'edicola di Sidone, quella di Akziv, dove per la prima volta è attestata l'iconografia del c.d. idolo a bottiglia, e Burğ eš-Šemālī.

Il lotto più cospicuo di s. orientali è quello di Cipro, ancora in gran parte inedito. Esso è costituito da un gruppo di s.-naìskoi con nicchia profonda, a cornici multiple rientranti da Kourion e da diverse s. con iconografia hathorica databili tra il VII e il IV sec. a.C. rinvenute in diverse parti dell'isola.

È comunque in Occidente che la produzione delle s. raggiunge un grande sviluppo. Nell'Africa settentrionale, in Sicilia e in Sardegna vengono utilizzate nei tofet a contrassegno urne contenenti le ceneri dei bambini, spesso corredate da iscrizioni dedicatorie. A Cartagine le migliaia di s. provenienti dal tofet possono essere distinte in due gruppi dei quali si può ricostruire lo sviluppo tipologico riferibile a momenti cronologicamente distinti.

Un primo gruppo, databile al VII-VI sec. a.C., è costituito da cippi (a sezione rettangolare, semplici o sagomati nella parte superiore a forma di trono) e s. vere e proprie a sezione rettangolare con una faccia decorata che prevale sulle altre e sommità piatta. Nella seconda metà del VI sec. a.C. le s. -naìskoi si arricchiscono di elementi architettonici che si ispirano a modelli vicino-orientali sempre più vicini all'influsso egiziano dominante: una base che sostiene un'edicola, che può essere semplicemente scavata o rifinita con l'aggiunta di pilastri, sormontata a sua volta da un architrave dal profilo a gola egizia e da un fregio talora decorato a rilievo con file di urei stilizzati.

All'interno dell'edicola si trova un'immagine religiosa che può essere rappresentata da forme geometriche (betilo o pilastro sacro semplice o multiplo, la losanga e l’ «idolo a bottiglia») o antropomorfe come il personaggio nudo stante con le braccia distese lungo i fianchi e le gambe congiunte, talora con copricapo egiziano a klaft schematizzato, eventualmente tra due betili. In questa fase cronologica compaiono anche i primi cippi-trono e cippi-altare monumentali.

Il secondo gruppo è databile dalla fine del V al II sec. a.C. ed è costituito da s. di calcare a lastra sottile con sommità triangolare. Quest'ultima è a volte fiancheggiata da due acroterî e richiama l'aspetto di un frontone come nelle s. funerarie attiche. Compaiono nuove immagini come il c.d. segno di Tanit (un triangolo sormontato da una sbarra orizzontale e da un disco), il sacerdote sacrificante e il fedele adorante, motivi come la mano alzata in preghiera, la palma, il capitello. A questi motivi di origine fenicia se ne aggiungono altri di origine greca come la colonna ionica o dorica, il caduceo, il delfino, gli uccelli e motivi floreali varî.

Nel III-II sec. a.C. la decorazione si fa sempre più varia e complessa con lo sviluppo dei motivi geometrici (spine di pesce, cerchielli, ovuli, reticoli, foglie di edera), la diffusione dei motivi animali (cavalli, pantere, conigli, ecc.), di oggetti liturgici, carri e imbarcazioni. Tra le raffigurazioni antropomorfe prevalgono il personaggio offerente e il «temple boy», un fanciullo nudo che siede sulla gamba sinistra e ha la destra piegata.

A partire dal IV sec. a.C., ma soprattutto nel III-II sec. a.C. a Cartagine si affermerà l'uso delle s. funerarie. L'iconografia tipica di tali produzioni è quella del defunto stante con un braccio levato in segno di saluto o preghiera in uno stile piuttosto semplice che appena si richiama a quello delle produzioni ellenistiche.

Altri centri del Nord-Africa hanno restituito esemplari di s.: il nucleo più antico (VI-V sec. a.C.) è quello di Sousse (Hadrumetum) che si ricollega a quello di Cartagine con alcune particolarità per l'introduzione di variazioni iconografiche (le colonne scanalate che inquadrano i betili, le triadi betiliche doppie, gli «idoli a bottiglia» campaniformi) e di scene cultuali d'influenza vicino-orientale. Databili al III sec. a.C. sono gli esemplari di Cirta (Costantina) che nella fase più antica si ispirano ai modelli cartaginesi, mentre nella produzione successiva si distinguono per un caratteristico sviluppo locale, con il simbolo di Tanit fortemente umanizzato che regge in mano un caduceo o un ramo. La produzione nord-africana di s. continua anche dopo la caduta di Cartagine, come testimoniano la documentazione di Maktar, di Dugga (dal UT sec. a.C: al I-II sec. d.C.) e quella ancor più tarda della Ghorfa (II sec. d.C.) con la peculiare rappresentazione di un pantheon antropomorfizzato.

In Sicilia, sono documentate sia le s. votive (Mozia, Selinunte e Lilibeo) che quelle funerarie (Solunto, Palermo e Lilibeo). Da Mozia provengono oltre mille s. di calcare, incise, a rilievo e dipinte, inquadrabili cronologicamente tra l'inizio del VI e il V sec. a.C. Se nelle s. moziesi più antiche è possibile riconoscere realizzazioni che per tipologia e iconografìa sembrano collegarsi alla produzione cartaginese, la documentazione successiva si segnala per l'originalità delle soluzioni formali e figurative elaborate all'interno delle officine di lapicidi dell'isola che in parte si rifanno direttamente ai modelli della madrepatria fenicia. Si nota, p.es., la predilezione per le iconografie umane, rare e talora del tutto assenti a Cartagine, come la figura femminile nuda o con lunga veste, con mani al petto o con disco, quella maschile nuda frontale o di profilo con alta tiara e lunga veste.

L'originalità delle soluzioni iconografiche e di alcune tecniche esecutive della produzione moziese ha consentito di individuare, all'interno del complesso della documentazione, i prodotti attribuibili a singole officine di lapicidi se non a singoli artigiani.

Il resto della documentazione siciliana mostra sviluppi che, per le influenze ellenistiche dovute alla tardività della produzione, divergono nei caratteri e nelle funzioni dal tipico artigianato fenicio-punico delle stele. Così a Lilibeo, dove già negli esemplari del IV-III sec. a.C. è assai forte l'influsso greco e dove, dal II sec., le s., la cui funzione è mutata da votiva in funeraria, conservano ormai pochi elementi iconografici attribuibili ad ambito punico; a Selinunte gli esemplari di s. gemine, ritrovati nel santuario della Malophòros, databili al periodo di occupazione punica del sito (IV sec. a.C.), sviluppano probabilmente in modo popolaresco il tipo greco dell'erma; a Solunto elementi secondari delle iconografie puniche (falce lunare) compaiono su s. dai caratteri ormai pienamente ellenizzati.

Al di fuori di Cartagine, la Sardegna è la regione che ha restituito la documentazione più ricca e varia. Le s. di Sulcis ammontano a più di millecinquecento esemplari databili tra il VI e il I sec. a.C. Tipologicamente la produzione si evolve dai tipi più semplici (cippi o s. prive di figurazioni) fino agli esemplari più elaborati delle s.- naìskoi in tufo trachitico, arenaria e marmo (tipico l'uso del polimaterico con l'inclusione di alcune piccole s. in tufo o marmo entro blocchi di arenaria e il tipo di s. a sommità arcuata che si accompagna all'iconografia dell'animale passante). Caratteri peculiari della produzione sulcitana sono il netto prevalere delle figure antropomorfe (personaggio maschile con lunga veste e nella destra il segno egiziano della vita 'ankh; donna con mani al petto, con lungo fiore fra le mani, col disco al petto) e l'apertura verso modelli ellenistici, che a partire dal IV sec. sino al II sec. a.C. diventano prevalenti.

Ai modelli delle officine di Sulcis si ispirarono gli artigiani di Monte Sirai che sulle s. del tofet, databili tra il IV e il II sec. a.C., raffigurarono in forma semplificata le tipiche iconografie sulcitane.

Dal tofet di Nora provengono un'ottantina di esemplari databili al VI-IV sec. a.C. che si rifanno per la tipologia e l'iconografia (prevalgono le raffigurazioni geometriche come l'idolo bottiglia, la triade betilica e la losanga) alla produzione di Cartagine. Dalla metropoli africana dovevano probabilmente giungere i modelli a cui si ispiravano, secondo uno spirito conservativo e mostrando un livello esecutivo piuttosto basso, le botteghe norensi.

Considerazioni simili si possono fare anche per le circa trecento s. di Tharros che si datano tra il VI e il IV sec. a.C. L'originalità delle officine tharrensi emerge tuttavia nella realizzazione dei cippi-s., alti c.a 2 m, che recano nella parte superiore un trono a spalliera con betilo e alcuni troni cubici con sgabello sporgente. È da notare infine che in Sardegna la persistenza degli influssi punici è, seppure in forma assai blanda, riscontrabile in alcune s. funerarie d'età romana denominate «s. a specchio».

Bibl.: In generale: A. M. Bisi, Le stele puniche, Roma 1967; S. Moscati, Le stele puniche in Italia, Roma 1992. - Cipro: V. Wilson, Excavation at Kouklia (Palaepaphos). The Kouklia Sanctuary, in RDAC, 1974, pp. 139-146.

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- Mozia: J. I. S. Withaker, Motya. A Phoenician Colony in Sicily, Londra 1921; S. Moscati, M. L. Uberti, Scavi a Mozia - Le stele, 2 voll., Roma 1981. - Lilibeo: A. M. Bisi, Influenze italiote e siceliote sull'arte tardo-punica: le stele funerarie di Lilibeo, in ArchCl, XXII, 1970, pp. 93-130. - Selinunte: V. Tusa, Le stele puniche di Selinunte, Palermo 1976. - Solunto: A. M. Bisi, Le stele puniche di Solunto, in ArchCl, XVII, 1965, pp. 211-218. - Nora: S. Moscati, M. L. Uberti, Le stele puniche di Nora del Museo Nazionale di Cagliari, Roma 1970. - Sulcis: G. Lilliu, Le stele di Sulcis (Cagliari), in MonAnt, XL, 1944, coll. 239-418; P. Bartoloni, Le stele di Sulcis. Catalogo, Roma 1986; S. Moscati, Le stele di Sulcis. Caratteri e confronti, Roma 1986. - Monte Sirai: S. F. Bondi, Le stele di Monte Sirai, Roma 1972; id., Nuove stele da Monte Sirai, in RStPen, VIII, 1980, pp. 51-70. - Tharros: S. Moscati, M. L. Uberti, Scavi al tofet di Tharros. I monumenti lapidei, Roma 1985. - S. a specchio: S. Moscati, F. Lo Schiavo, F. Pitzalis, M. L. Uberti, Le stele «a specchio». Artigianato popolare nel Sassarese (Unione Accademia Nazionale. Corpus delle antichità fenicie e puniche), Roma 1992.

(I. Oggiano)

Daunia . - La presenza di scultura in pietra di carattere indigeno è attestata in Daunia a partire dall'Età del Bronzo: si possono datare a quest'epoca i monumenti antropomorfi di Castelluccio dei Sauri, riconducibili tipologicamente al fenomeno del «megalitismo antropomorfo» che interessa, tra il III e il I millennio a.C., diverse regioni del Mediterraneo, dalle coste orientali sino alla Spagna (Landau, 1977). Le sculture di Castelluccio dei Sauri sono in pietra arenaria e si presentano con caratteristiche femminili e maschili, del tutto analoghe a quelle delle statue-s. della Lunigiana. Le statue femminili presentano l'esaltazione dei caratteri sessuali secondarî (bozze del seno, separate da motivi incisi a semicerchio che si incontrano al centro del petto), mentre quelle maschili recano la raffigurazione di armi (pugnali triangolari sorretti da bandoliera).

È però a partire dalla fine dell'Età del Bronzo che si manifesta in questa regione una produzione scultorea con caratteristiche del tutto autonome e originali, diffusa su grande scala, e che raggiungerà la piena fioritura tra il VII e il VI sec. a.C. Tra la fine del X e gli inizî del IX sec. a.C. si possono infatti datare le prime sculture presenti a Monte Saraceno, le quali mostrano già alcune caratteristiche che diverranno peculiari e distintive dei monumenti daunî della piena Età del Ferro.

In questo sito, costituito da un promontorio costiero nell'area meridionale del Gargano, è stato rinvenuto un vasto villaggio fortificato (aggere composto da fossato artificiale e muraglione a secco), con annessa una vasta necropoli, di cui sono state individuate oltre seicento tombe.

I corredi hanno consentito di datare le deposizioni dalla fine del X a tutto il VII sec. a.C., con una massima intensità tra il IX e la prima metà del VII. Le sculture, rinvenute tutte nelle aree cimeteriali e sovente all'interno delle sepolture, sono rappresentate da scudi circolari su colonnetta-sostegno, realizzati in un unico blocco di pietra, e teste, sia iconiche (a volte anche con ornamenti: diadema, orecchini circolari), che aniconiche. La pietra impiegata per la realizzazione di queste sculture è il calcare locale. Sovente sulle teste di entrambi i tipi compare un'acconciatura a treccia posteriore, che rappresenta un elemento peculiare delle più tarde statue-s. della Daunia. Le sculture di Monte Saraceno possono essere interpretate come semata funerari; da notare che per le teste aniconiche è stata avanzata anche l'ipotesi che si sia inteso raffigurare una divinità, volutamente priva dei tratti del volto e destinata ad assumere, di volta in volta, la fisionomia dei diversi defunti.

Le statue. - S. istoriate sono state rinvenute con particolare abbondanza nelle aree delle antiche città di Siponto e Salapia, là dove Strabone (VI, 3, 9, 284) colloca il grande lago aperto verso il mare. Si tratta di manufatti, sempre in calcare locale piuttosto tenero, ma compatto e facile da lavorare, che si presentano come parallelepipedi, decorati su tutti i quattro i lati a incisione più o meno profonda, che ne risparmia solo inferiormente la base, in origine infitta nel terreno. Le s. rappresentano il defunto ricoperto da una ricca veste funebre che giunge sino ai piedi dalla quale fuoriescono solo le braccia; sulla veste sono rappresentati armi o ornamenti, che sono indice della classe sociale di appartenenza del morto. In base alla presenza degli oggetti di corredo è stato possibile operare una prima distinzione di questi monumenti, ovviamente convenzionale, in due grandi categorie.

La prima categoria, costituita dalle s. con ornamenti, è contraddistinta dalla raffigurazione di una collana a più giri, formata da serie sovrapposte di pendaglietti incisi. Nella parte anteriore è presente un collare suddiviso in riquadri decorati a motivi geometrici; al di sotto, sul petto, sono appuntate due fibule a lunga staffa con bottone terminale, che sostengono ognuna un pendaglio: più semplice quello superiore, complesso e di maggiori dimensioni il pendaglio inferiore che si colloca fra le mani giustapposte. Le braccia sono piegate sul petto e gli avambracci sono ricoperti da lunghi guanti ricamati. Sotto le braccia è raffigurata la cintura anteriore, liscia o decorata a motivi geometrici, dalla quale si dipartono, al centro e verso il basso, nastri triangolari in numero variabile da tre a cinque e ai cui lati si pongono due pendagli a doppio cerchio concentrico. Dall'altezza della cintura i bordi della s. sono decorati da riquadri, con motivi geometrici analoghi a quelli del collare, disposti in serie verticale a formare le bande laterali della veste ricamata, che si collegano a un'uguale banda orizzontale inferiore che conclude l'ornamentazione. Posteriormente la s. si organizza con collare, bande laterali verticali e orizzontale inferiore in maniera identica alla parte anteriore: le due bande laterali verticali occupano qui tutta la lunghezza della s., mentre la cintura, resa con una rigida fascia orizzontale, è costantemente decorata. I lati mostrano anch'essi un ornato, costituito da serie di motivi geometrici liberi o disposti in riquadri rettangolari verticali: sul lato destro, in corrispondenza del gomito, è sovente presente un pendaglio a doppio cerchio concentrico. La testa, ricavata nello stesso blocco, può essere caratterizzata dalla presenza di un copricapo conico che ne determina la forma o, nel caso di teste di forma sub-sferica, da una treccia che scende posteriormente a rilievo, interessando anche la parte superiore della stele.

La seconda categoria comprende le s. con armi. L'ornamentazione si organizza con un collare rettangolare, composto da riquadri a motivi geometrici che indicano le piastre della corazza. Al di sotto, in posizione centrale, è raffigurato un kardiophỳlax a doppia ascia, decorato lungo il bordo da angoli alterni o greche. Ai lati del kardiophỳlax si dispongono le braccia rappresentate sempre scoperte, piegate sul petto e con le mani giustapposte. Sotto la mano destra e trasversalmente alla s. è posta una spada con impugnatura a crociera, inguainata in un fodero dal puntale quadrangolare. La decorazione anteriore è completata dalla banda orizzontale inferiore, composta da riquadri ornati, come il collare. Questi due elementi si ripropongono identici anche nella faccia posteriore della s., i cui bordi sono decorati dalle bande laterali verticali. Il centro è qui occupato da un grande scudo circolare, con epìsema geometrico. Anche in questa categoria i lati appaiono rifiniti con motivi geometrici. Le teste di queste s. sono realizzate separatamente e imperniate sul collo: la loro forma è sub-sferoidale allungata a indicare la presenza di un elmo, oppure cilindrica, sormontata da un copricapo a disco posto orizzontalmente.

Se il gruppo con armi si può riferire agli esponenti della casta guerriera dell’èthnos daunio, non è altrettanto certa l'attribuzione delle s. con ornamenti (numericamente superiori a quelle con armi in un rapporto di 6 a 1), a sepolture muliebri, quanto, più genericamente, a deposizioni di defunti di entrambi i sessi. Tuttavia, la presenza di una treccia, che contraddistingue sia alcune s. di questa categoria sia teste a essa riferibili, costituisce un elemento per l'individuazione dei monumenti a destinazione esclusivamente femminile.

All'interno di entrambe le categorie di monumenti è possibile riconoscere un identico processo di restringimento e irrigidimento dei motivi decorativi geometrici, e una graduale tendenza all'aniconicità, attraverso passaggi che eliminano i riferimenti anatomici. Tra i motivi decorativi compare il «cane corrente». Anche nelle teste delle s. con ornamenti è possibile riconoscere l'evoluzione verso l'aniconicità: dai primi manufatti, contraddistinti da tratti del volto incisi (occhi e bocca) e a rilievo (naso e orecchie), si passa a teste in cui gli elementi fisionomici sono del tutto obliterati dal copricapo conico, posto direttamente sul collo della stele.

Le tipologie degli oggetti di corredo rappresentati consentono di attribuire i monumenti a un arco cronologico che abbraccia il VII e il VI sec. a.C., e mostrano stringenti affinità con i materiali rinvenuti nelle necropoli di area medio-adriatica di questo periodo. Interessanti sono anche i raffronti istituibili con la scultura di ambito abruzzese (Nava, 1980), riconoscibili nella presenza della maschera funebre, del copricapo a disco (cfr. Guerriero di Capestrano) e nell'acconciatura femminile a treccia (cfr. Torsetto femminile di Capestrano).

L'aspetto più interessante di questi monumenti è offerto dalle scene figurate che compaiono, sia sulle s. con armi sia su quelle con ornamenti, negli spazi lasciati liberi dalla decorazione geometrica e dal corredo. Tali rappresentazioni, in cui agiscono sia uomini sia animali, reali e fantastici, illustrano momenti dell'esistenza quotidiana, cerimonie funebri e propiziatorie, oltre a scene ambientate nel mondo degli Inferi e delle credenze mitologiche. Legate alla vita quotidiana sono le scene di caccia, principalmente al cervo, con cavalieri che si servono di lance e a volte sono coadiuvati da segugi, e agli uccelli con fionde o reti; è raffigurata anche la pesca in palude con la fiocina. Riconducibili ad attività produttive sono le rappresentazioni di navi, effigiate alla fonda o in navigazione, e le scene di tessitura e molitura del grano. Alla sfera delle attività cultuali sono invece ascrivibili le processioni di donne con vasi sulla testa o che recano offerte e che si dirigono verso un sacerdote che suona la lira, i combattimenti rituali fra cavaliere e desultor, i banchetti funebri. Alle credenze religiose si possono riferire scene e raffigurazioni in cui compaiono sovente mostri dalla molteplice natura, le cui caratteristiche hanno portato S. Ferri a individuare affinità con il mondo mitologico dei popoli stanziati nelle zone orientali del Mediterraneo: il cerbero, dal corpo maculato e tricipite, la chimera-leone, capra e serpente - il pegaso, il serpente marino (dràkon con i bargigli e la coda di pesce), e la lupa dalla coda lanceolata e zampe d'asina che ricorda le Onoskelèis di Luciano. Ancora alla sfera escatologica Ferri riferisce le scene in cui eroi con maschere-elmo a bucranio tricorne combattono un mostro anguiforme a sette teste, mentre a una mitologia omerica pre-ellenica, rivisitata in chiave daunia, attribuisce le raffigurazioni di offerte, in cui legge un «riscatto del corpo di Ettore», interpretato secondo la mentalità indigena. Anche per la rappresentazione di un sacrificio umano rituale, compiuto da due guerrieri che sgozzano un terzo con le lance, lo studioso ha trovato confronti e spiegazioni nella tradizione letteraria greca, in particolare in Erodoto (IV, 94), allorché descrive gli usi delle tribù della Tracia (Ferri, 1962-1967).

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(M. L. Nava)

Grecia . - Un prezioso arricchimento delle nostre conoscenze riguarda la colorazione delle s., soprattutto di quelle non a rilievo. Le ultime ricerche sulla policromia (von Graeve e collaboratori) utilizzano nuovi metodi di analisi da cui si ricavano ulteriori informazioni anche su pezzi già noti da tempo. Fra i gruppi di produzione locale sono particolarmente interessanti le s. di Demetrias, con le loro tracce di colore ben conservate. In alcuni tipi regionali di s. con motivi decorativi incisi bisogna supporre, nonostante le discussioni più recenti in proposito, che tale sistema costituisse solamente un ausilio per la pittura.

Per quanto concerne i rilievi votivi, rimane piuttosto oscuro il loro sviluppo originario; in alcune regioni essi manifestano strette connessioni con i rilievi funerarî. Sebbene le prime s. greco-orientali mostrino già la forma a naìskos, è dall'epoca tardo-arcaica che prevale quella più squadrata, originariamente derivata dalle tavole votive realizzate in materiale meno costoso. Per l'età classica il quadro è dominato dalla produzione attica; la grande maggioranza dei reperti più recenti appartiene all'epoca ellenistica o già a quella imperiale. Più tardi si accentua l'intercambiabilità tematica e talvolta appare difficile distinguere in generale tra rilievo votivo e s. funeraria solo in base al soggetto raffigurato (un esempio è dato dalla rappresentazione del c.d. banchetto funebre).

Il quadro che abbiamo del primo sviluppo delle s. funerarie è stato integrato negli ultimi anni da scoperte isolate e da rari studi sull'argomento, mentre il materiale di epoca classica, e soprattutto ellenistica e imperiale, è stato largamente accresciuto dai nuovi ritrovamenti, ispirando anche molti lavori originali. I recenti rinvenimenti di età arcaica provenienti dall'ambito orientale (ossia s. ad anthèmia dalla Lidia, s. figurate da Daskyleion) sono riusciti comunque a colmare delle lacune e a contribuire alla comprensione delle interrelazioni esistenti in precedenza tra l'iconografia greca e quella orientale.

Gruppi di motivi e forme particolari dell'arte funeraria attica sono stati sottoposti a una serie di ricerche specifiche, che sono state di grande ausilio all'interpretazione di questo genere artistico e alla conoscenza dettagliata della sua evoluzione, in particolare nel IV sec. a.C. Alcune delle nuove raffigurazioni hanno inoltre influito sullo sviluppo di s. in altre regioni della Grecia, grazie alla mobilità di lapidarî attici dopo l'interruzione della produzione di s. funerarie sotto Demetrio Falereo. Una tradizione specificamente arcaica viene proseguita nelle s. attiche a palmette del IV sec. a.C., utilizzate spesso per riportare l'albero genealogico di una famiglia.

L'ampia varietà di s. funerarie di produzione attica si rivela anche nella creazione, durante il IV sec. a.C., sia di s. con piccola rappresentazione figurata, le c.d. Bildfeldstelen, vicine alle s. relative ad atti pubblici, sia di grandi esemplari a forma di tempio. Per entrambi i gruppi è nota un'ampia sopravvivenza al di fuori dell'Attica. Le une e gli altri sono caratterizzati sostanzialmente da un trattamento particolare del rapporto tra figurazione e cornice, problema artistico costante nelle stele. Grazie ad artisti specializzati le cornici, interpretabili come una rielaborazione delle s. a naìskos sui recinti murarî delle zone funerarie, svolgono un ruolo di mediazione fra la produzione di s. greche e i grandi edifici sepolcrali come il Mausoleo di Alicarnasso o anche le tombe licie.

Spesso nei tentativi d'interpretazione è stata considerata, con esiti differenti, anche la relazione esistente tra iscrizione e rappresentazione figurata; senza raggiungere tuttavia risultati apprezzabili per il momento.

L'inserimento dell'evoluzione delle s. funerarie nella storia di Atene e nella realtà politica greca fornisce alcuni chiarimenti. A tale proposito assume un significato particolare l'impiego in Attica, stabilito dalla riforma di distene, del sepolcro eretto a spese dello stato, presso il quale venne inizialmente posta una s. per i caduti di ogni tribù attica. Riproduzioni e sviluppo in senso figurativo delle stesse si possono ipotizzare a partire dall'influsso esercitato sulle s. private. Considerati in connessione con queste iniziative statali, anche i divieti sul lusso nelle sepolture assumono un nuovo aspetto dal punto di vista storico. Proprio per quelle fasi in cui ci mancano s., le raffigurazioni funerarie su vasi prodotti specificamente per tale tipo di culto - soprattutto nel V sec. ad Atene e nel IV nell'Italia meridionale - ce ne forniscono un surrogato, che tuttavia pone alcuni problemi d'interpretazione.

I numerosi materiali e le possibilità d'interpretazione degli stessi hanno spinto ripetutamente, anche in tempi recenti, a ricerche globali di tipo storico-religioso sul culto dei morti, che quindi trattano questa tipologia di monumenti sotto aspetti assai differenti e si completano, più che sovrapporsi. Inoltre proprio l'osservazione dell'uso delle s. in relazione ad altri monumenti funerarî consente ampie deduzioni sulla funzione dei diversi tipi e sulle connessioni sociali.

La raccolta e la schedatura, intrapresa spesso negli ultimi tempi, delle serie di s. di determinate pòleis e regioni greche è utile non solo per lo studio delle correnti artistiche dalle isole Cicladi di cultura ionica (e in particolare Paro nell'epoca arcaica e della prima età classica), o in seguito di Atene; ma anche perché fornisce quadri estremamente diversi, e ciò appare storicamente assai significativo. Nella regione a S del Mar Nero, tali influssi sono evidenti su s. in parte di eccellente qualità. Mentre in epoca classica Tessaglia e Beozia dimostrano di essere veri e propri centri dove si sviluppò tale tradizione di s. a rilievo, in certe regioni della Grecia centrale o insulare, come a Rodi, cominciano a svilupparsi nuove forme, in cui spesso l'iscrizione assume un ruolo di importanza primaria. Interessanti evoluzioni specifiche si registrano in isole come Chio o nella tarda epoca ellenistica Delo o piuttosto Rheneia.

Recentemente anche le s. ellenistiche sono tornate al centro dell'attenzione; con esse sono state raccolte sistematicamente anche quelle provenienti dalle regioni orientali ellenizzate dai tempi di Alessandro Magno. Tali reperti, numerosi anche se spesso monotoni dal punto di vista tipologico, nella maggior parte dei casi perdurano senza interruzioni dall'ellenismo all'età imperiale romana; mediante un'analisi dettagliata essi ci consentono di conoscere le peculiarità locali e di elaborare una cronologia precisa, nonché di avere una conoscenza più approfondita, sebbene ancora parziale, della struttura sociale e della storia economica di tali regioni. Ma proprio in questo campo di ricerca rimane ancora qualcosa da fare. All'interno di grandi spazi unitari, come p.es. quello comprendente la Tracia e ampie parti dell'attuale Turchia occidentale, si individuano ambiti circoscritti con tipi particolari e un linguaggio formale originale. Dal punto di vista storico-culturale è anche interessante la ripresa soprattutto classicistica in s. del tardo ellenismo e della prima età imperiale, come si può osservare particolarmente nei monumenti che ricompaiono in Attica.

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(R. Stupperich)

Italia, Roma e l'Impero Romano. - L'insegna bilingue di un lapicida rinvenuta a Palermo (CIL, X, 7296) mostra una corrispondenza tra stèlai e tituli, vocabolo indicante le iscrizioni in genere, non solo quelle funerarie. Manca infatti nelle fonti latine un equivalente di s., termine usato oggi perlopiù a indicare un tipo di segnacolo sepolcrale. Nel mondo romano le s. ebbero funzioni diverse, anche onoraria, votiva, o di supporto per testi di varia natura, con o senza raffigurazioni: p.es. segnacoli di confine, ecc. Le caratteristiche più ricorrenti delle s. sono lo sviluppo verticale, lo spessore ridotto rispetto alle altre dimensioni e il prospetto prevalentemente rettangolare. La faccia principale, entro la quale è posto un campo epigrafico e che poteva essere anche centinata o cuspidata, è contraddistinta da un impianto a visione prevalentemente frontale, spesso inquadrato da membrature giustapposte a imitazione dell'architettura maggiore. Le lastre solitamente poste all'esterno erano infisse nel terreno e fissate mediante un paletto passante attraverso un foro nella parte inferiore, ovvero montate su una base sagomata (solea) entro un opposto incavo. Non mancano, sebbene limitatamente all'area campana e al Veneto meridionale, forme approssimativamente antropomorfe.

Il panorama tipologico è assai ampio e difficilmente riducibile a uno schema generale che valga per tutto il mondo romano. In via generale, le s. a fusto completamente liscio, privo di qualunque tipo di membratura, e di dimensioni notevoli, si collocano nel primo periodo della produzione di questi monumenti che non precede di solito la seconda metà del I sec. a.C. Le s. a fusto liscio potevano presentare anche il ritratto del defunto, così come quelle nelle quali il fusto era coronato soltanto da un frontoncino. Nel periodo giulio-claudio una cornice a doppia gola spesso inquadrava completamente la fronte delle s. sostituendosi in tutto o in parte alle decorazioni architettoniche. Questi tipi tendono, in epoca più recente, a sostituire col testo iscritto i ritratti e gran parte della decorazione figurata, anche se non si può escludere che in alcuni esemplari di marmo della media età imperiale (come quelli p.es. di Emerita Augusta) il ritratto fosse dipinto nello spazio vuoto del frontone.

La struttura architettonica conferiva ai ritratti un elevato decoro, facendo apparire i defunti come persone affacciate «alle finestre» di un edificio. Questa concezione è da inquadrare nei presupposti cui fa riferimento la pseudoarchitettura di quasi tutte le s. funerarie romane, che rimanda a quella degli heròa ellenistici, con lo spazio per le sepolture ricavato all'interno del podio. Anche nei segnacoli dalle dimensioni più ridotte si riflette l'architettura reale che dagli archetipi ellenistici era stata trasmessa ai grandi mausolei repubblicani e protoaugustei.

Nelle s. architettoniche si individuano chiaramente gli elementi compositivi tratti dai templi funerari a edicola: si tratta in primo luogo del frontoncino che coronava il monumento, le cui dimensioni determinavano probabilmente quelle di tutta la s., poi della struttura centrale a edicola che ospitava solitamente ritratti o figure intere a rilievo (più o meno come nei monumenti di grandi dimensioni la cella accoglieva le statue) e infine del basamento su cui correva l'iscrizione.

Un folto gruppo di s. è detto «a porta», perché presenta tra i pilastri dell'edicola la raffigurazione di una porta. Diffuse soprattutto in Italia tra l'area marsicana e il Piceno settentrionale, esse costituiscono la prova che questi monumenti rispecchiavano l'architettura reale (difficile in questi casi pensare alla c.d. porta Inferì).

La forma a heròon accresceva peraltro la valenza sacrale del monumento e ciò ancor più nei casi in cui i defunti erano ritratti sulle s. a mezzo busto ma senza abiti, raffigurati «alla greca» come personaggi eroici. Questo costume è da imputare al processo di imitazione delle famiglie più nobili che godevano del diritto di conservare e di esporre negli armaria collocati negli atri delle loro domus le immagini idealizzate degli antenati (ius imaginum; Plin., Nat. hist., XXXV, 6). Le cornici di legno degli armaria e le stesse piccole basi che reggevano questi ritratti sono spesso riportate sui rilievi delle stele.

La decorazione figurata. - In tutto il mondo latinizzato la decorazione figurata delle s. non si distingue particolarmente dalle iconografie tendenzialmente «realistiche» che ritroviamo su qualsiasi altro tipo di monumento funerario (cippi, altari, ossuari, mensae, ecc.). Solo l'esigenza autobiografica deve aver indotto ciascun committente a proporre agli scultori delle botteghe locali nuove composizioni iconografiche per aumentarne l'efficacia celebrativa. Ciò è quanto accade nei territori cosiddetti di frontiera, in particolare nelle provincie germaniche sul Reno e in quelle pannoniche sul Danubio, dove addirittura la figura del legionario armato prevale su quella del defunto in toga, simbolo per eccellenza della pienezza dei diritti di cittadino. Sul Reno, ma anche in alcune regioni africane o in altre dell'Europa settentrionale, come la Britannia, le s. con scene di singoli combattimenti equestri erano parte di composizioni più complesse con immagini di scontri tra truppe di cavalieri romani (o alleati) e drappelli di barbari. Il loro alto numero è giustificato dalla presenza sul luogo di contingenti di truppe ausiliarie a cavallo (alae). Lo schema più frequente consiste in un cavaliere che, avanzando da sinistra, assale il nemico appiedato, spesso già a terra, abbattuto o ferito. La composizione dipende, nella sua semplicità, da più antichi modelli greci (s. di Dexileos al Ceramico di Atene), che per la loro efficacia furono persino utilizzati presso i satrapi orientali, naturalmente con l'inversione dei soggetti in azione (esempî al museo di Antalya). Questi rilievi militari (c.d. Soldatenkunst), mal definibili sul piano formale, secondo un'ipotesi a lungo sostenuta si sarebbero diffusi nel resto d'Europa in seguito alla progressiva militarizzazione dell'impero, ma vanno ritenuti piuttosto un segno della nuova coscienza del ruolo delle milizie nel mondo romano.

In quasi tutte le aree periferiche, Cisalpina compresa, il repertorio figurato dei monumenti funerari, e così delle s., deve essere inquadrato all'interno di una cultura municipale, dominante sulle altre dal punto dal vista formale e l'unica cui potesse essere affidata la trasmissione dei modelli colti latino-ellenistici. Nella penisola iberica, p.es., è prevalentemente Mérida a offrire un esclusivo campionario di s. in marmo con ritratti maschili e femminili e decorazioni architettoniche ispirate alla cultura greco-romana. Nel resto del territorio sono diffuse le decorazioni e i simboli tratti dal mondo della cultura religiosa celtibera, tra cui spiccano gli animali connessi ai culti astrali e della fecondità, come i tori o i bovini che troviamo nelle s. delle regioni di Soria, Rio ja e Burgos, o le figure dei cavalieri eroizzati, perlopiù armati di lancia e seguiti da un servo che si lascia trascinare attaccato alla coda del cavallo. Al fenomeno della eroizzazione del defunto di rango rimandano peraltro anche le figure altrettanto schematiche delle s. libiche della regione cabila (II-I sec. a.C.), dove decorazioni allusive a simbologie religiose indigene rivelano che eredità e contatti col mondo punico resistono a lungo anche attraverso la più tarda romanizzazione dell'intera Mauretania. In territorio italico le rare semplificazioni riguardano soprattutto i ritratti, ma non si tratta di fenomeni di una cultura diversa da quella ellenistico-romana.

Notevoli appaiono alcune raffinate s. architettoniche del delta padano con ritratti di defunti i cui gentilizi sono di sicura matrice celtica (Turciacus, Andetiacus), mentre viceversa presentano caratteri primitivi nello stile e nella forma molti monumenti dell'Italia centro-meridionale (p.es. della Daunia o di Taranto).

I tipi del medio e tardo impero. - Con gli inizî del II sec. d.C. appare in Italia settentrionale un nuovo tipo di s. funeraria che utilizza come materiale il marmo. Questi nuovi monumenti fabbricati con lastre di spessore molto ridotto - in media di 6/7 cm, contro i c.a 25/30 cm delle s. più antiche - presentano prospetti dotati di moduli di impaginazione assai regolari e spesso piuttosto raffinati. Il frontoncino triangolare, ad angolo molto acuto, sovrasta solitamente una riquadratura eseguita con cornici a doppia gola diritta e rovescia, entro le quali è contenuto il testo epigrafico; ai lati del frontoncino è disegnata quasi costantemente con un solco semplice e lineare una coppia di acroterî semicircolari. La decorazione figurata è rara e limitata al ritratto del defunto ricavato a piccole dimensioni entro il frontoncino o, a volte, alla sua stessa immagine resa a figura intera all'interno dello specchio epigrafico, tuttavia sempre di dimensioni ridotte e con gli stessi moduli che troviamo nei sarcofagi contemporanei. È infatti da escludere che questi pezzi siano l'esito di un processo evolutivo dei modelli di epoca precedente, in particolare delle s. corniciate di età augustea, con le quali non hanno rapporti, né dal punto di vista tipologico né da quello artistico-culturale.

Come le s. architettoniche si possono considerare la trascrizione ridotta del grande monumento funerario a edicola, ultimo esito dell'architettura templare funeraria ellenistica, così queste produzioni marmoree della media e tarda età imperiale devono ritenersi ispirate ai sarcofagi. Tali produzioni sono state da una parte considerate un prodotto della «decadenza» tardoantica, dall'altra polverizzate in un numero eccessivo di varianti. In realtà tutte le varianti vanno ricondotte a un unico, semplice schema, che è rappresentato dalla sagoma dei fianchi dei sarcofagi corniciati con coperchio a spiovente di tipo microasiatico. Questo è reso evidente non solo dal tipo di frontoncino ad angolo acuto, che delinea proprio gli spioventi del sarcofago, ma soprattutto dal disegno degli acroterî a semicerchio, raramente sostituiti da quelli a palmette, a loro volta frequente ornamento degli acroterî dei sarcofagi microasiatici.

Anche il repertorio simbolico e iconografico di queste s. dipende da quello dei sarcofagi (eroti con ghirlande, teste di Medusa, ascia funeraria, bustino di Mercurio, piccoli ritratti negli acroterî e nel frontone, defunti su klìne, ecc.). Lo stesso uso, anche se non esclusivo, del marmo del Proconneso dimostra che abbiamo a che fare con monumenti complessivamente più modesti rispetto ai sarcofagi, ma nient'affatto poveri e che dei sarcofagi ricalcano lo schema e i motivi decorativi. Le s. marmoree di questo tipo sono inoltre maggiormente diffuse nelle regioni in cui era fiorente l'importazione dei sarcofagi in marmo del Proconneso, come l'Asia Minore, i Balcani e le provincie danubiane, soprattutto la Cisalpina. Il confronto con questi ultimi monumenti, assai più studiati, permette di datare con altri metodi molto più sicuri una serie di pezzi di cui non era sufficientemente chiara la cronologia, finora esclusivamente basata sull'analisi paleografica e onomastica.

Il modello delle s. disegnate come lati di sarcofagi fu poi ripreso anche in altre regioni dell'impero, eccettuate le provincie della Belgica e della Renania nelle quali restò in uso anche nelle versioni più piccole il tipo proposto dai monumenti funerarî «a pilastro» con le figure dei defunti a coppie o a gruppi, rese ad altorilievo in posa stante o seduta e collocate all'interno di elaborate nicchie architettoniche, spesso concluse in alto da un cielo «a conchiglia».

Una tipologia intermedia sembra quella delle s. che in gran numero sono state recuperate a Colonia, capoluogo della Germania Inferior, la cui produzione in calcare locale ebbe probabilmente inizio intorno all'epoca flavia. L'immagine più frequentemente raffigurata su questi monumenti è quella del defunto a banchetto, sdraiato sulla Mine e circondato da familiari seduti e da servitori in piedi presso la tavola della mensa. Il modellato di questi rilievi è assai preciso nei particolari e la qualità formale è alta e raffinata. Più semplice è invece il disegno della nicchia, in genere privo di elementi architettonici, ma proprio per questo sviluppato secondo uno schema a moduli curvilinei che è probabilmente da riferire, per la nicchia archivoltata, per gli acroterî semicircolari, e per la decorazione a fogliame d'acanto a particolari modelli di sarcofagi prodotti nelle provincie dell'Europa orientale.

In altri territorî dell'Europa centrale, distribuiti tra il Norico e la Pannonia Superiore, in età medio-imperiale dominano, oltre alle semplici s. rettangolari corniciate con protomi gorgoniche nel frontone, alcuni modelli di notevoli dimensioni che accolgono decorazioni architettoniche relativamente disorganiche e giustapposte, nonché una serie di soggetti figurati profondamente connessi alle tematiche della tradizione epico-mitologica, tipica della cultura colta attica. La preferenza per i soggetti mitologici è un chiaro indizio dell'influenza sulla plastica funeraria della regione del gusto ornamentale diffuso nella produzione dei sarcofagi attici.

Grazie all'apporto epigrafico le s. funerarie forniscono dati anche sulla posizione sociale dei committenti, appartenenti a gruppi sociali di varia estrazione, in genere di condizione media o modesta: piccoli proprietari terrieri a Tegianum, nel Vallo di Diano, una più agiata categoria di artigiani e commercianti nella zona di Capua, servi imperiali a Roma, coloni latini o italici nell'Italia settentrionale. I ritratti rivelano un'imitazione di forme in uso nel patriziato, ma con estrema libertà e schiettezza artigiani e piccoli commercianti vi associano scene e strumenti del loro mestiere di impronta «popolare», talora con punte di chiassoso autobiografismo. Più tardi è solo la famiglia l'elemento centrale della raffigurazione, assieme al graduale emergere della classe dei militari, principalmente in qualità di congedati, al loro reinserimento nella vita civile.

Diffusione in Italia e a Roma. - Elenchiamo qui rapidamente i principali processi di aggregazione e sviluppo delle s. funerarie in Italia. In area di tradizione magno-greca fioriscono, come a Tegianum, gli esemplari più antichi, ispirati ai modelli greci e microasiatici. Un altro caso eccezionale, che non lascia però tracce consistenti nel resto del territorio italico, è quello della necropoli ellenistica di Ancona, dove si trovano numerosi pezzi esemplati su modelli di s. attiche e greco-insulari, cronologicamente distribuiti tra il III e il I sec. a.C. Le loro edicolette architettoniche con semicolonne scanalate o pilastri lisci accolgono entro nicchie centinate le figure dei defunti ammantati e affiancati dal servo in atteggiamento dolente o attento a tenere per le redini la cavalcatura del proprio padrone. Vi figurano inoltre episodi di commiato femminile e una scena di banchetto, esattamente come nelle s. greche. Anche nel Sannio meridionale (Benevento) compare qualche edicola a colonnine scanalate di ascendenza ellenistica, ma con l'età augustea la regione è disseminata, più che di s., di rilievi «a cassetta» con ritratti di coppie di togati. Tuttavia un particolare interesse rivestono in questa zona le s. inquadrate da sottili paraste entro le quali sono scolpiti i busti, armati o togati, degli ufficiali dell'armata augustea, affiancati dai loro cavalli. Si tratta di personaggi di rango equestre che certamente ebbero in premio in occasione del congedo donazioni di terre e offerte di cariche nella municipalità locale. La tipologia a naìskos, con frontone largo e spioventi molto ribassati, è ancora di tradizione ellenistica, come quella delle s. dei liberti campani. Tra i territorî distribuiti ai coloni, il Piceno non offre all'inizio dell'impero particolari concentrazioni di simili monumenti. Vi si trovano tuttavia alcune s. di grandi dimensioni, ma senza ornati architettonici, come quelle innalzate dal seviro di Suasa e dal pretoriano di Fossombrone, entrambe di età augustea. A Pesaro una donna di rango è raffigurata entro un'edicola timpanata a pilastri lisci, quindi ellenizzante, che ha confronti con un esemplare coevo di Modena.

Le s. con impianti architettonici diversi o con ritratti isolati punteggiano la Cispadana. Nel Veneto viene elaborato un linguaggio formale più raffinato, che distingue la sua produzione scultorea in un senso quasi arcaizzante. Anche qui, a Padova, la prima età augustea ha il proprio testimone nella s. ellenizzante di un centurione caduto subito dopo la guerra di Modena (43 a.C.); più modesti sono gli esemplari diffusi in Lombardia, che si limitano all'imitazione sia del tipo corniciato che di quello con gruppi di ritratti in nicchie rettangolari, economica sostituzione delle edicole maggiori. Si distingue invece il Piemonte, dove sono scolpite anche in avanzata età imperiale s. di grandi dimensioni, ricoperte di ornati con richiami al mondo della mitologia o delle tematiche dionisiache e apollinee (cacce, grifoni, ninfe e stagioni, vasellame da banchetto), che impongono un collegamento con la scultura dei monumenti dell'Europa centrale.

Nelle regioni meridionali si ricordano tra i modelli più antichi le s. marmoree e antropomorfe caratteristiche, anche se non esclusive, della zona di Pompei, che nei tipi femminili presentano il prospetto piatto e sagomato e il retro su cui l'acconciatura è accuratamente eseguita. Ovunque sopravvivono poi in età imperiale le s. marmoree dalle forme semplicissime, a fastigio semicircolare o con sagome imitanti i fianchi dei sarcofagi, molto raramente ornate da una decorazione simbolica, malamente eseguita. Le stesse forme di produzione corsiva dominano a Roma tra servi e liberti. Nella capitale il tipo a elementi architettonici è ripreso più tardi da particolari gruppi di s. marmoree riservate a militari, le cui decorazioni principali (palmette, eroti dadofori, clipei) sono rapportabili a quelli dei coevi sarcofagi. Caratteristico è l'aspetto disorganico della struttura di inquadramento architettonico. Si tratta delle s. degli équités singulares, abbellite da scene di caccia a cavallo, dai ritratti dei defunti in clipeo sorretti da eroti alati e da scene di banchetto, e anche dei monumenti di alcuni pretoriani, tutti originarî delle provincie dell'Europa orientale, in cui le figure dei militari stanti e armati campeggiano all'interno di nicchie archivoltate e decorate da simboli astrali (sole, luna). Lo stile e l'impianto di questi monumenti della capitale, databili verso la fine del III sec. d.C., devono aver fatto da riferimento anche per il coevo gruppo di s. tetrarchiche di Aquileia, in cui alcuni militi della Legio XI Claudia e I Italica, qui stanziate con un distaccamento, forse al seguito di Massimiano Erculio, si fanno raffigurare con lo scudiero o con il proprio cavallo tenuto per le briglie, secondo la già nota composizione figurativa di origine greco-neoattica, che il più tenace conservatorismo iconografico aveva mantenuto inalterata. Da osservare il fatto che per la maggioranza delle s. di Aquileia si tratta di monumenti del I sec. riutilizzati.

Diffusione nelle provincie. - Sembra che le s. funerarie presentino nelle diverse provincie romane un maggiore o minore sviluppo monumentale in stretto rapporto con la maggiore o minore diffusione dei sarcofagi, la cui comparsa comunemente si ritiene successiva. In realtà nelle regioni orientali, e soprattutto in quelle dell'Asia Minore, i sarcofagi godettero di una pressoché ininterrotta continuità di produzione dall'epoca ellenistica alla tarda romanità, probabilmente per il fatto che là si trovavano sia le cave per l'estrazione del materiale (marmo del Proconneso, di Afrodisia, di Efeso, di Sidamara, di Docimeo, ecc.), sia le maggiori e migliori officine di scultori cui era affidata la loro produzione.

In Attica, prima dell'inizio della magnifica produzione di sarcofagi dalla tipica decorazione con eroti, ghirlande, scene epiche ed episodi mitologici, le s. marmoree ripeterono a lungo e con un buon livello di esecuzione artigianale l'usuale tipologia delle edicolette funerarie e votive ellenistiche, dai moduli architettonici molto semplici, con piatte lesene e frontoncini archivoltati. Tuttavia anche qui, nel I sec. d.C., gli artigiani raggiunsero in alcuni monumenti eseguiti per ufficiali e graduati dell'esercito romano (a Corinto, a Epidauro, a Patrasso) un altissimo grado di qualità artistica, che sicuramente influì anche sulla produzione romano-italica contemporanea (Padova). Queste tarde edicole attiche, piuttosto profonde e delineate da spioventi e da lisce paraste, riecheggiano a loro volta i modelli ateniesi tardoclassici. Anche lo splendido modellato delle figure dei militi romani, alle quali le «nuove» divise conferiscono uno spirito di straordinaria e vivace attualità, si pongono nel solco della stessa tradizione scultorea attica di elevata qualità. Si riscontrano anche in altri luoghi d'Oriente o dell'Africa, come a Cesarea, sculture ispirate a questi modelli attici. Ma soprattutto in Asia Minore si sviluppa sulle s. di epoca più tardiva il gusto della microscultura, che è facile riscontrare nella decorazione plastica dei sarcofagi. Qui una grande abbondanza di piccoli cippi riecheggia la forma tipica dei lati dei sarcofagi con la sagoma conclusa in alto dai caratteristici acroterî semicircolari, tracciati ai lati del fastigio triangolare, e offre, all'interno di nicchie poco profonde, quadrangolari o centinate, un insieme di immagini di palliati e di palliate, isolati o in quadretti familiari, sdraiati su klìne, a cavallo, o affiancati dagli oggetti del vivere quotidiano. In epoca tardoantica riappaiono i militari raffigurati isolati o con l'attendente al fianco. Tutte queste scene appartengono al repertorio comune a molti sarcofagi di produzione locale.

In Africa lo stile figurativo delle prime s. romane è fortemente influenzato dalla locale cultura punica, come si è visto nei rari esempî attribuibili a capi indigeni romanizzati della Mauretania Cesariense (s. libiche della Grande Cabilia). In questi pezzi non vi è traccia di struttura architettonica, a differenza delle s. cosiddette della Ghorfa, in realtà provenienti dal territorio di Mactar, nell'Africa proconsolare, nelle quali figura sempre un tempietto con decorazioni di tradizione punico-numidica di indirizzo ellenizzante. All'interno dell'edificio sacro sono raffigurati uomini e donne acconciati alla romana. Le s., che si datano tra l'età augustea e il II sec. d.C., avevano tuttavia carattere votivo, come molti altri rilievi in forma di piccole s., che nella zona erano dedicati a Saturno.

Nell'Illirico, nel Norico, in Pannonia, in Dacia le stele di grandi dimensioni (Pranger di Poetovium) sono un esito tardo, paragonabile a quello dei sarcofagi. Il loro sviluppo monumentale, autonomo in senso notevolmente barocco, non sembra dipendere dalle rigorose forme architettoniche delle s. cisalpine del I sec. d.C. In queste regioni sono più frequenti e numerose, nei primi tempi dell'impero, le s. semplicemente corniciate. Le lastre di maggiori dimensioni invece, ricoperte di rilievi con gruppi di famiglia o con scene di banchetto di stile assai modesto, sono particolarmente concentrate tra l'età antonina e l'età severiana. Esse sono spesso concluse in alto da elaborate cimase con clipei affrontati da coppie di leoni.

Per tipologia e stile questi ultimi sono confrontabili con quelli scolpiti sui rozzi sarcofagi prodotti in Cilicia.

Anche i tipici modelli di s. diffusi nelle due Germanie, dotati di raffinati rilievi con figure di militari e civili, eseguiti su lastre la cui nicchia arrotondata è quasi sempre contornata da fioroni che occupano i triangoli mistilinei agli spigoli, sembrano occupare, insieme con i più imponenti sepolcri della Gallia Belgica, il vuoto lasciato dalla mancata produzione dei sarcofagi. Altre s. più monumentali con figure disposte a semicerchio entro le caratteristiche nicchie a esedra presentano uno schema probabilmente influenzato dalle edicolette votive frequentemente dedicate alle locali divinità delle Matrones o alla dea Nehalennia.

La Narbonese si distingue per alcuni pezzi più antichi dal tono artistico più elevato, ispirati certamente ai modelli della capitale (Arles, Nîmes). Al contrario nella Gallia interna, come nella Britannia, le s. sono spesso utilizzate come disadorno supporto per uno scorretto testo latino (Saulieu) o per scolpirvi le immagini dei defunti e le solite decorazioni di repertorio in uno stile molto elementare.

Particolarmente caratteristica è infine la struttura a disco su corpo rettangolare di molte s. iberiche, alcune anche in granito dal territorio di Mérida, nelle quali i motivi ispirati all'astro solare o ad altri corpi celesti si confondono con figure umane rese come pupazzi dotati di teste smisurate (Cantabria, Navarra). La tipologia discende da una tradizione di scultura votiva celtibera che dalla Spagna più precocemente romanizzata (Ampurias) attraversa l'intera epoca di dominazione romana, fino all'età dei Vandali.

In Italia (Roma, Ravenna), come nelle provincie orientali, il cristianesimo non modifica, almeno fino a tutto il regno di Teodosio, le tipologie ereditate dal mondo pagano, cui sono tuttavia aggiunti simboli che a volte è difficile decifrare per la loro ambivalenza simbolica. Nella città asiatica di Bursa una s. databile agli inizi dell'età tetrarchica può forse essere attribuita a un cristiano a causa della croce incisa sul frontone dell'edicola, entro la quale è, come di norma sotto un tempietto, ospitata l'immagine del defunto.

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(F. Rebecchi)

Gandhāra. - Benché la produzione di arte del Gandhāra (ν.) sia ormai largamente nota e quantitativamente ben documentata, permangono dubbi su alcuni dei suoi caratteri fondamentali.

Tra i dati di incerta lettura rientra la categoria delle s., di cui si conoscono decine di esemplari, che difettano però di studî sistematici e di precise informazioni sulla loro collocazione originaria. La forma e le dimensioni dell'oggetto possono variare: ve ne sono di semplice forma a pannello rettangolare o centinato, o ancora profilate nella parte superiore attorno al campo figurato; le misure oscillano approssimativamente da un'altezza di 1,30 m a un'altezza di poco superiore ai 20 cm. Per alcune di esse la definizione stessa di s. permane incerta, a causa della presenza di tenoni nella parte superiore o inferiore, che presuppone l'esistenza di elementi congiunti; tuttavia tali elementi potrebbero consistere di coronamenti e basi che non alterano la natura dell'oggetto. È ampiamente documentata infatti l'esistenza di basi a forma di corolla di loto a petali eversi che fungono da supporto per immagini di culto, sia statue, sia stele. Una s. proveniente da Loriyān Tangai, attualmente all'Indian Museum di Calcutta, appare in vecchie fotografie di archivio fornita di una base di questo tipo - assente nelle fotografie pubblicate più recentemente - ove è ben visibile invece il tenone che fungeva da perno tra i due elementi. Di questa s. completa si può agevolmente immaginare la funzione e la collocazione originarie: essa possiede i caratteri di una vera e propria icona in pietra, che doveva poggiare su un piano senza bisogno di fissaggio a quello o a una parete. Queste caratteristiche la rendono difficilmente collocabile tra le sculture che solitamente decorano uno stūpa, mentre riusciamo facilmente a immaginarla all'interno di una cappella di culto.

Una certa omogeneità nelle s. si può cogliere nella scelta dei soggetti, per lo più ispirati a episodi tratti dalla letteratura agiografica, i quali, pure nella loro diversità, esprimono uno scopo comune: la celebrazione della natura trascendente del Buddha. Il programma illustrativo dell'arte del Gandhāra tenta di sintetizzare in una visione organica e comprensibile la vicenda insieme umana e divina del Buddha; convivono così, al suo interno, una vocazione didascalica, che si esplica nei rilievi narrativi e presenta il Buddha come campione esemplare di virtù, e una vocazione mistica, che coltiva la possibilità di esprimere, attraverso immagini sapientemente costruite, il senso del divino, di un ordine cosmico fondamentale, necessario, di cui il Buddha è il centro assoluto.

I due filoni sono interattivi, e certo il secondo non è riservato esclusivamente alle s.; è tuttavia in queste che esso trova la sua espressione più compiuta ed efficace, per il particolare risalto che, grazie al loro isolamento, conferiscono al tema rappresentato. Fra i soggetti più ricorrenti troviamo il miracolo di Śrāvastī, in cui il Buddha si libra in aria ed emette alternativamente acqua e fiamme dai piedi e dalle spalle; il Dīpaṃkara Jātaka, in cui il Buddha del passato Dīpaṃkara («colui che causa la luce») predice il futuro al fanciullo che si reincarnerà un giorno come Siddhārtha e a lui, che avrà identico destino, manifesta la sua natura divina emettendo fiamme dalle spalle; la visita di Indra, divinità del pantheon brahmanico, al Buddha meditante nella caverna, episodio che allude simbolicamente all'oscurità della materia rischiarata dalla luce divina. Altro soggetto caro a questo repertorio è la triade, composta da un grande Buddha centrale assiso, affiancato da due Bodhisattva di dimensioni minori, spesso inserita entro inquadrature architettoniche che, come nel caso della già citata s. di Loriyān Tangai, possono riprodurre in rilievo vere e proprie cappelle in miniatura. Il suo significato è probabilmente nell'incontro tra il mondo trascendente del Buddha e la realtà terrena, grazie alla corrente di infinita compassione che, tramite i Bodhisattva, si riversa dall'alto sulle creature viventi. Alla triade talvolta si accompagnano, in secondo piano, due divinità del pantheon brahmanico, Indra e Brahmā, in atteggiamento di ossequio, probabilmente a significare il primato del buddhismo su una tradizione religiosa che non vuol essere derisa o umiliata, ma convertita alla necessità di un superamento spirituale.

Triadi e pentadi sono state spesso, ma con poca verisimiglianza, ricondotte ad altri passi del racconto del miracolo di Śrāvastī, al pari di altre composizioni assai complesse, in cui il Buddha, seduto su un fiore di loto emergente dalle acque, è circondato da una folla di figure divine, inserite in una struttura architettonica ordinata su più piani che riproduce, pur con grande libertà compositiva, uno splendido palazzo. I Nāga, re delle acque e simbolo del mondo sotterraneo, e talvolta due piccole figure umane, completano l'affollato microcosmo; secondo un'interpretazione recente, la scena raffigurerebbe il paradiso di Amitābha, uno dei cinque Buddha trascendenti, che regna sulla Terra Pura dell'Ovest dove i fedeli possono sperare di rinascere a patto di adempiere determinati voti.

Quale che sia la fonte di ispirazione di tutti questi soggetti, essi restano essenzialmente delle teofanie, che l'iconografia illustra con linguaggio efficacissimo, ricorrendo a schemi costanti come il gigantismo e la frontalità della figura del Buddha (artificio psicologico che ne evidenzia la priorità assoluta, ma anche artificio tecnico che ne esalta la luminosità), o a elementi accessori, quali il loto, simbolo di nascita divina, che quasi ¡sempre funge da sostegno alla figura, o ancora lo spazio sacro definito dal palazzo celeste o dalla cappella, o l'antitesi oscura della caverna; si traduce così in messaggi visivi di grande forza evocativa l'idea del Buddha fonte di luce, centro mistico dell'universo, irresistibile richiamo al riassorbimento del molteplice nell'Assoluto.

Bibl.: A. Foucher, Le Grand Miracle du Buddha à Śrāvastī, in Journal Asiatique, 1909, pp. 5-78; A. C. Soper, Aspects of Light Symbolism in Gandhāran Sculpture, in ArtAs, XII, 1949, pp. 252-283, 314-330; XIII, 1950, pp. 63- 85; J. C. Harle, A Hitherto Unknown Dated Sculpture from Gandhāra. A Preliminary Report, in J. E. Van Lohuizen-de Leeuw, J. M. M. Ubaghs (ed.), SAA 1973, Leida 1974, pp. 128-135; M. Taddei, Appunti sull'iconografia di alcune manifestazioni luminose del Buddha, in Gururājamañjarikā. Studi in onore di G. Tucci, Napoli 1974, pp. 435-449; A. M. Quagliotti, Osservazioni sul Buddha di Bruxelles, in RivStOr, LI, 1977, pp. 137-140; J. C. Huntington, A Gandhāran Image of Amitāyus Sukhāvati, in AnnOrNap, XL, 1980, pp. 651-672; J. Brough, Amitābha and Avalokitéśvara in an Inscribed Gandhāran Sculpture, in Indologica Taurinensia, X, 1982, pp. 65-70; R. L. Brown, The Śrāvastī Miracle in the Art of India and Dvāravatī, in Archives of Asian Art, XXXVII, 1984, pp. 78-95; G. von Mitterwallner, The Brussels Buddha from Gandhara of the Year 5, in M. Yaldiz, W. Lobo (ed.), Investigating Indian Art, Berlino 1987,pp. 213-247.

(A. Filigenzi)

Asia centrale: v. altai.

Cina. - Il termine «s.» viene comunemente usato nel contesto culturale cinese per tradurre il vocabolo bei, che indica una lastra di pietra verticale contenente un testo iscritto. Questa, oltre che a commemorare i defunti - funzione che ebbe fin dall'inizio - serviva a celebrare eventi pubblici di vario genere, quali gesta di personaggi esemplari, decisioni di imperatori e principi. Inoltre, nel corso dei secoli, in Cina si è fatto ricorso alla s. per affidare a un materiale duraturo la trasmissione di testi che godevano di un prestigio eccezionale nella tradizione religiosa o culturale in senso lato (i «classici» confuciani, le scritture buddhiste o taoiste, componimenti poetici famosi, ecc.).

Gli esemplari più antichi risalgono alla fine della dinastia degli Han Occidentali (206 a.C.-24 d.C.), più o meno attorno agli inizî della nostra era. La tesi tradizionalmente accettata sulla loro origine vuole che essi derivino da tavole di legno usate nei templi per legarvi le vittime sacrificali o collocate ai quattro lati della fossa in cui veniva calato il sarcofago. In entrambi i casi un foro praticato nel centro permetteva di farvi passare delle corde. Nell'ambito degli usi sepolcrali, in particolare, tali oggetti divennero ben presto il supporto per l'iscrizione tombale che indicava il nome, il titolo ufficiale, le date della morte e dei funerali del defunto.

Le s. cinesi hanno per lo più forma rettangolare. La sommità è a forma di doppio spiovente o di arco, oppure presenta una sagoma più o meno arcuata recante motivi ofidici scolpiti. La forma a spiovente è predominante nella fase più antica, sotto gli Han Orientali (25-220 d.C.), mentre l'evoluzione artistica dell'apparato decorativo porta a configurazioni più complesse soprattutto all'epoca dei Tang (618-906 d.C.). Anche le dimensioni crescono nel corso dei secoli, fino ad arrivare all'imponenza monumentale delle s. Tang. Le s. antiche sono in genere formate da un'unica pietra. Successivamente, gli esemplari di forma più complessa risultano invece dalla composizione di due blocchi: il corpo vero e proprio e un frontone finemente decorato con motivi animali o vegetali. Molte s. Han, tra il frontone e il corpo conservano un foro che, per i motivi di cui si è detto, si pensa servisse a far passare una fune, la quale, peraltro, a volte è addirittura presente come motivo scolpito attorno al foro stesso.

La parte inferiore della pietra veniva in origine conficcata direttamente nel suolo. Forse per evitare che col tempo la parte inferiore dell'iscrizione risultasse illeggibile si sviluppò l'idea di fare poggiare le s. su basamenti in pietra. All'epoca dei Tang, la grandiosa solennità tipica delle s. del periodo è messa in risalto anche da questo elemento che, negli esemplari di grandi dimensioni o in quelli che recavano incisi scritti dell'imperatore, aveva forma di tartaruga, intesa come animale mitico dalla forza enorme.

La parte in cui si trova l'iscrizione viene considerata la fronte della s., ma anche il retro e lo spazio laterale possono presentare un testo inciso. L'intestazione, racchiusa nel frontone, costituisce un elemento tradizionalmente importante per la valutazione estetica. Essa contiene il titolo del testo in caratteri più grandi, scritti di solito in uno stile calligrafico diverso, che fa uso - specie nella fase più antica - della grafia «sigillare» (zhuanshu) o «cancelleresca» (lishu). Poiché durante il periodo degli Han la s. è formata da una pietra unica, la relazione tra intestazione e testo è più stretta. Maggiore indipendenza ha invece l'intestazione delle s. Tang, dove il titolo è ripetuto in forma estesa nella prima riga del testo. Sul retro compare spesso l'elenco di coloro che hanno finanziato l'erezione della s., soprattutto nel caso che essa abbia una funzione celebrativa all'interno di templi o santuarî. In iscrizioni di lunghezza eccezionale non mancano esempî in cui il testo continua sui fianchi o, addirittura, si sviluppa su tutti e quattro i lati. Non è raro vedere le superfici laterali occupate da fregi decorativi.

La funzione funeraria delle s. viene ereditata dal IV-V sec. d.C. in poi anche da altri tipi di lastre di pietra iscritte: in particolare le «tavolette sepolcrali» (muzhi). Queste si differenziano dalle bei innanzitutto per la loro posizione, dato che venivano disposte in senso orizzontale dentro le tombe. Non potevano quindi essere viste dall'esterno e anzi, in moltissimi casi, erano ulteriormente nascoste da una copertura con ricche decorazioni, sulla quale il nome del morto è inciso in caratteri «sigillari». Anche le dimensioni sono più contenute, trattandosi di lastre quadrate di 40-50 cm di lato. I reperti dell'epoca più antica sono concentrati nel Nord della Cina; quelli anche numericamente più rappresentativi risalgono al periodo dei Tang (618-906 d.C.). Essi hanno spesso grande valore artistico per l'usanza da parte delle famiglie illustri di affidare la realizzazione grafica del testo a famosi calligrafi.

Simili alle «tavolette sepolcrali» sono, infine, gli «epitaffi per stūpa» (taming), destinati esclusivamente alle tombe di monaci buddhisti. Essi condividono grosso modo le caratteristiche retoriche dei testi dei muzhi, ma sono visibili all'esterno. La lastra viene infatti murata su una delle pareti del sepolcro, tipicamente a forma di pagoda. Mentre i muzhi erano destinati a segnalare ai discendenti la presenza della tomba, anche qualora fosse venuta meno ogni indicazione esterna di essa, i taming avevano piuttosto una funzione religiosa, in quanto sottolineavano con toni agiografici il rilievo paradigmatico delle vicende biografiche del monaco defunto.

La prima fioritura delle s. risale al periodo degli Han Orientali (25-220 d.C.). Rimangono quasi 400 esemplari di quest'epoca, in genere provenienti da tombe o santuari. Le s. Han sono esempî della grafia «cancelleresca» adottata dalla dinastia per i documenti ufficiali. In particolare, tre s. che si trovano nel Tempio di Confucio a Qufu (nell'odierna provincia dello Shandong) hanno tradizionalmente costituito un modello calligrafico: quella di Yi Ying (153 d.C.), quella «dei vasi rituali» (156 d.C.) e la s. di Li Chen (169 d.C.), tutte erette per ricordare l'opera di notabili locali in favore del tempio. Tra le scoperte recenti vale la pena di ricordare, per l'ottimo stato di conservazione e il fregio decorativo con motivi animali non troppo comune per l'epoca, la «s. di Xianyu Huang» (165 d.C.), trovata nel 1973 a Tianjin e ora nel museo storico della città. La «s. di Wang Sheren» (183 d.C.), venuta alla luce nel 1982 nello Shandong, è di grande interesse dal punto di vista scultoreo. Essa, oltre alla decorazione con motivi animali, presenta già il tipico basamento a forma di tartaruga che si diffonderà solo più tardi. Infine, una delle maggiori testimonianze epigrafiche del periodo degli Han, anche in termini quantitativi, è data dalle grandi lastre su cui era iscritto l'intero repertorio dei classici confuciani, un'opera gigantesca realizzata tra il 175 e il 183 d.C. e poi imitata a più riprese dalle dinastie successive. Frammenti o s. intere provenienti da questo gruppo sono ora dispersi in varie istituzioni museali (Museo Storico di Pechino, Museo dello Shanxi, Museo dello Henan, Museo dell'Arte dell'Incisione in Pietra di Luoyang, ecc.).

Il periodo di divisione che intercorre tra il crollo degli Han e la riunificazione dell'impero a opera dei Sui (581- 618) segna, dal punto di vista calligrafico, un'evoluzione dalla grafia «cancelleresca» a quella «esemplare» (kaishu o anche «regolare», zhengshu), che sotto i Tang avrà la preminenza. Tuttavia, soprattutto nel Sud, la documentazione soffre a causa delle ripetute proibizioni a erigere stele. I reperti epigrafici di quest'epoca sono invece rappresentati meglio dalle «tavolette sepolcrali», la cui forma classica si stabilizza soprattutto nel Nord. Le s. che rimangono rivelano dimensioni maggiori rispetto a molti esemplari delle epoche precedenti. Modelli di uno stile «cancelleresco» diverso da quello caratteristico degli Han e testimonianza del trapasso da un'epoca all'altra sono anzitutto le due s. che magnificano l'opera di Cao Pei (220 e 276 d.C.), primo sovrano del regno dei Wei (220- 266 d.C.). In esse viene giustificato il trasferimento del mandato celeste dagli Han alla nuova dinastia e si narrano i dettagli della cerimonia di accessione al trono. Cronologicamente all'altro estremo di questo periodo è invece la «s. di Zhang Menglong», eretta nel 522 a Qufu. Conosciuta e celebrata a partire dall'epoca dei Song (960- 1279 d.C.) dagli appassionati di calligrafia, essa offre un esempio già maturo della grafia «esemplare» che si affermerà sotto i Tang,

L'epoca d'oro di quest'arte è, tuttavia, quella dei Sui (581-618 d.C.) e dei Tang (618-906 d.C.), anche grazie alla funzione «pubblica» che all'epoca ebbero calligrafia e ortografia, considerate come uno dei requisiti del buon funzionario. La più famosa s. Sui fu eretta per la costruzione del Tempio Longzangsi (586 d.C.), nell'odierna provincia dello Hebei. Essa è stata riportata al suo splendore originario con lavori di restauro effettuati nel 1987 e rappresenta il punto di arrivo della tradizione calligrafica in stile «esemplare» sviluppatasi sotto le dinastie meridionali. La stagione più feconda per la calligrafia e quindi per l'arte delle s. viene inaugurata dall'imperatore Taizong dei Tang (626-649), devoto ammiratore dell'opera del grande Wang Xizhi (probabilmente 303-361 d.C.). La produzione da ora in poi diventa sconfinata. L'eredità di Wang Xizhi è raccolta dalla «s. del Jiucheng gong» (632 d.C.) di Ouyang Xun, sul monte Tiantai dello Shanxi, dove all'epoca si trovava una villa imperiale. Per la diffusione dello stile di Wang altrettanto rappresentativa è la s. della prefazione di Taizong al canone buddhista (672 d.C.), ora nel Museo della «Foresta delle Stele» (Beilin) di Xi'an. Per realizzarla il monaco Huairen avrebbe copiato i caratteri necessari dagli esemplari calligrafici di Wang Xizhi esistenti all'epoca. Un grande repertorio dell'arte delle s. è, inoltre, il mausoleo di Taizong, chiamato Zhaoling.

La recente apertura di un museo permette ora una visione d'insieme del materiale epigrafico, compresi numerosi nuovi reperti finora inaccessibili. Vi sono rappresentati un po' tutti gli stili calligrafici, con una significativa preponderanza, però, di quello «regolare». Un ritorno della grafia «cancelleresca», in polemica con la tendenza precedente, inizia attorno alla metà della dinastia. Ne è indizio l'attività di varî calligrafi, ma l'esempio più apprezzato nel corso dei secoli è forse la s. per il «Maestro di meditazione Dazhi» (736 d.C.), di Shi Weice. La seconda metà del periodo dei Tang è invece dominata dalla figura di Yan Zhenqing (709-785 d.C.), tra le cui opere va fatta menzione speciale della s. per la «Pagoda dei Tesori» (752 d.C.), anch'essa nella «Foresta delle Stele» di Xi'an. Infine, la dimensione internazionale della società Tang traspare anche da una serie di s. bilingui, tra le quali assai note sono quella sino-tibetana dell'823 (Tangbo huimeng bei) e quella «nestoriana», in cinese e con nomi in siriaco sui lati, che documenta la presenza di comunità cristiane nella Cina dell'VIII sec. (781 d.C.).

L'apprezzamento delle s. come modelli calligrafici condusse a perfezionare la tecnica del calco a inchiostro con la quale si trasferisce su un foglio di carta l'iscrizione «in negativo» (cioè con caratteri bianchi su fondo nero). Il foglio viene fatto aderire alla pietra inumidendolo, in modo che si adatti perfettamente alla superficie e, in modo particolare, alle parti incise corrispondenti al testo. Con un tampone imbevuto di inchiostro si picchietta quindi uniformemente sul foglio, ottenendo una replica in cui i caratteri risaltano sullo sfondo dell'inchiostro applicato all'intera superficie. Questa tecnica ha una storia antica, anche se la sua diffusione presuppone innanzitutto l'esistenza di un tipo di carta adatta allo scopo. In ogni caso, i primi riferimenti a calchi risalgono al V-VI secolo. All'epoca dei Sui (581-618 d.C.), secondo la storia dinastica ufficiale (Suishu), la biblioteca imperiale conteneva già parecchi «rotoli» di iscrizioni su stele. I più antichi calchi tuttora esistenti risalgono all'VIII-IX sec. d.C. e sono stati ritrovati nelle grotte di Dunhuang. Tra essi il più antico (datato 653 d.C.), conservato ora a Parigi, riproduce l'«Epigrafe per la fonte calda» in stile «corsivo» (xingshu), opera dell'imperatore Taizong. Possediamo anche calchi di s. ormai perdute da secoli, e inoltre calchi Song e Ming, eseguiti in epoca in cui la pietra era in uno stato di conservazione assai migliore di oggi.

Dall'epoca dei Song Settentrionali (960-1127 d.C.), lo studio delle s., insieme a quello di tutte le altre forme di documenti epigrafici, è divenuto l'oggetto di indagine di una disciplina denominata Jinshixue («Scienza delle pietre e dei metalli»). In questo modo, per parecchi secoli, generazioni di studiosi si sono dedicate a classificare e analizzare questi reperti da ogni angolazione. Attualmente, le collezioni più rappresentative si trovano nella già menzionata «Foresta delle Stele» a Xi'an e nel Museo dell'Arte dell'Incisione in Pietra a Luoyang. Non meno importanti sono le raccolte di calchi, tra le quali vanno ricordate quelle della Biblioteca Nazionale di Pechino e dell'Accademia Sinica di Taipei, oppure, in Giappone, quelle delle Università di Kyoto (Istituto di scienze umane) e Tokyo (Istituto di cultura orientale) e della biblioteca Tōyō Bunko di Tokyo.

Bibl.: Opere generali: Ch. Ye, Yushi («Discorsi sulle pietre»), 1909 (rist. Taipei 1968 e rist. anastatica dell'edizione originale Shanghai 1986); J. Zhu, Jinshixue («Epigrafia»), Shangai 1930; T. Tsien, Written on Bamboo and Silk, Chicago 1962; Ζ. Xu, Beijing tushuguan cang shike xulu («Note sulle iscrizioni conservate alla Biblioteca Nazionale di Pechino»), Pechino 1988; Y. Huang, Hikokugaku (jō) («Scienza delle iscrizioni su stele»), in Shoron, XXV, 1989, pp. 132-152; Zh. Shi, Jinshi conghua («Collezione di note epigrafiche»), Pechino 1991. - Collezioni di testi: AA.VV., Shike shiliao xinbian («Nuova edizione di documenti storici iscritti su pietra»), 90 voll., Taipei 1977-1986. - Riproduzioni: AA.W., Shodō zensha («Raccolta completa di arte calligrafica»), 25 voll., Tokyo 1954-1961; Y. Nishikawa, Seian hirin («La foresta di stele di Xi'an»), Tokyo 1966; Y. Li, M. Zhao, Β. Lei, Xian beilin shufa ishu («L'arte calligrafica della Foresta delle stele di Xi'an»), Xi'an 1983; AA.VV., Chūgoku shodō zenshū («Raccolta completa di arte calligrafica cinese»), 9 voll., Tokyo 1987-1989; AA.W. (ed.), Beijing tushuguan cang zhongguo lidai shike taben huibian («Corpus dei calchi di iscrizioni cinesi su pietra delle varie epoche conservati alla Biblioteca Nazionale di Pechino»), 100 voll., Pechino 1989. - Repertorî: H. Walravens (ed.), Catalogue of Chinese Rubbings from the Field Museum, Chicago 1981; AA.VV. (ed.), Guoli zhongyang tushuguan jinshi tapien jianmu («Catalogo essenziale dei calchi epigrafici della Biblioteca Nazionale Centrale»), Taipei 1983; Η. Mao (ed.), Zhongyang yanjiuyuan lishi yuyan yanjiusuo cang lidai beizhiming tazhiming zazhiming tapian mulu («Catalogo dei calchi di iscrizioni per stele, stūpa e di varia origine conservate all'Istituto di Storia e Filologia dell'Accademia Sinica»), Taipei 1987; Η. Li (ed.), Shanxi shike wenxian mulu jicun («Repertorio di testi sulle iscrizioni su pietra dello Shanxi»), Xi'an 1990.

(S. Vita)

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