Stella

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Stella

Alessandro Pizzella

Lo sviluppo di strumenti ottici interferometrici ha aperto nuove frontiere nelle osservazioni astronomiche. Questa tecnica permette di ottenere dati caratterizzati da una eccezionale risoluzione spaziale. Nelle bande radio l'interferometria è già utilizzata da tempo. Più piccola è la lunghezza d'onda della radiazione elettromagnetica che si utilizza, maggiori sono le difficoltà tecniche per la costruzione di strumenti interferometrici. Il più moderno interferometro per l'astronomia ottica si trova a Cerro Paranal (Cile) ed è stato costruito dall'ESO (European Southern Observatory).

Eta Carinae

Tra i primi risultati ottenuti vi è la misura diretta del diametro e della forma di Eta Carinae. Questa s. è estremamente massiva e luminosa (rispettivamente, quasi 100 volte e cinque milioni di volte la massa e la luminosità del Sole), è da poco entrata nello stadio finale della sua evoluzione ed è molto instabile: di tanto in tanto, infatti, la s. subisce dei brillamenti, e uno dei più recenti, quello del 1841, ha generato la nebulosa Homunculus. In quel periodo, nonostante si trovi a circa 7500 anni luce dalla Terra, Eta Carinae appariva come la seconda s. più brillante nel cielo. Le sue dimensioni sono maggiori di quelle dell'orbita di Giove, anche se non è possibile definire esattamente quale sia la sua superficie, a causa della notevolissima perdita di massa della s. (l'equivalente di circa 500 masse terrestri l'anno), che rende impossibile distinguere tra gli strati esterni appena espulsi e definire la s. vera e propria. Utilizzando lo strumento VINCI (VLT INterferometer Commissioning Instrument), operativo all'osservatorio di Cerro Paranal, è stato possibile determinare la forma dello strato più esterno di Eta Carinae, ovvero la forma entro la quale il vento stellare è così denso da non poter essere attraversato dalla luce. Le osservazioni interferometriche mostrano che il vento stellare ha una forma allungata in direzione parallela all'asse di rotazione della s., con l'asse maggiore lungo una volta e mezza quello minore. Se i modelli teorici che descrivono questo tipo di s. sono corretti, ciò significa che essa sta ruotando a una velocità pari al 90% della velocità di soglia oltre la quale si sfalderebbe. Non è dato sapere se in un futuro immediato si produrrà un outburst come quello del 1841 o quello del 1890, ma è chiaro che la s. non è destinata a trovare un equilibrio. Al tasso attuale, la perdita di massa è tale da farla scomparire in meno di 100.000 anni, ma molto probabilmente la s. si distruggerà ben prima, esplodendo come supernova con una luminosità che la renderà visibile a occhio nudo in pieno giorno probabilmente nei successivi 10.000÷420.000 anni.

Proxima Centauri

Si trova a 4,2 anni luce dalla Terra ed è una s. di piccola massa. Proxima Centauri è circa sette volte più piccola del Sole, otto volte meno massiva e 150 volte meno brillante. La sua massa è poco sopra il limite necessario per poter innescare la combustione dell'idrogeno nel suo nucleo. È classificata come s. di tipo M5.5V uno dei tipi di s. più numerosi e interessanti della nostra galassia, in quanto si trova al confine tra s., nane brune e pianeti. Ha una massa 150 volte quella di Giove, ma è solo una volta e mezza più grande. La misura diretta del diametro di questo tipo di s. permette di migliorare la comprensione del comportamento della materia in condizioni estreme. Per una s. come il Sole la materia si comporta come un gas perfetto e le sue dimensioni sono proporzionali alla sua massa. Per s. di piccola massa, come Proxima Centauri, effetti quantistici diventano invece importanti e la sua materia diventa degenere, resistendo maggiormente alla compressione rispetto a un gas perfetto. Per masse inferiori alla metà di quella di Proxima Centauri la materia è completamente degenere. Non è stato ancora possibile misurarne il diametro con precisione; secondo le prime misure ottenute con l'interferometro VLT (Very Large Telescope), utilizzando due telescopi da 8,2 m di diametro posti a 102 m di distanza, si è ottenuta una misura del diametro di 1,02±0,08 millesimi di secondi d'arco. Il risultato ha confermato quanto previsto dagli attuali modelli di pianeti e s. di piccola massa.

Le pulsazioni delle stelle Cefeidi

La notevole risoluzione spaziale permessa dall'interferometria ha reso possibile misurare il cambiamento di diametro delle s. Cefeidi durante il loro ciclo. Combinando questa informazione con la misura della velocità radiale è possibile determinare in maniera geometrica la distanza di questi oggetti e quindi la loro luminosità assoluta. Una volta nota la luminosità è possibile calibrare il punto zero della relazione empirica luminosità-periodo che permette di usare le s. Cefeidi come indicatori di distanza. Questa relazione è di fondamentale importanza in quanto è il primo gradino nella scala della misura delle distanze in astronomia. Per ora sono state misurate le pulsazioni di L Carinae, il cui diametro oscilla tra 2,6 e 3,2 millesimi di secondi d'arco.

I lampi gamma

I lampi gamma (GRB, Gamma Ray Bursts) sono fenomeni relativamente comuni, ma la loro origine non è stata completamente individuata. Dal punto di vista fenomenologico essi appaiono come delle improvvise emissioni puntiformi di fotoni nella banda gamma. Nell'arco della loro breve manifestazione l'intensità varia in maniera irregolare e imprevedibile, rendendo di fatto i lampi diversi gli uni dagli altri. È tuttavia possibile distinguere due famiglie di GRB: i lampi brevi di durata di qualche frazione di secondo e i lampi lunghi di durata di qualche decina di secondi. L'esplosione iniziale è seguita poi da un'emissione (afterglow) a lunghezze d'onda più lunghe, che può durare settimane o anche anni. Si distingue poi tra un'emissione gamma dura o morbida a seconda dello spettro gamma, rispettivamente per un lampo che emette raggi gamma di piccola lunghezza d'onda (quindi più energetici) e un lampo che emette raggi gamma di lunghezza d'onda più lunga (quindi meno energetici).

Poiché la radiazione gamma è completamente schermata dall'atmosfera terrestre, i lampi gamma sono visibili solo da telescopi orbitanti. Nel 1967 i satelliti militari Vela per la prima volta hanno ottenuto misure in luce gamma del cielo e nel 1973 è stata divulgata la scoperta di questo fenomeno. I primi telescopi gamma erano dotati di una scarsa risoluzione spaziale: non era quindi possibile individuare con immagini ottiche la sorgente dell'emissione gamma. Per molti anni la distanza da cui provenivano tali lampi è rimasta ignota. Il fatto che fossero distribuiti in modo uniforme nel cielo ha permesso di escludere un'origine all'interno della nostra galassia, lasciando la possibilità che si trattasse di fenomeni interni al nostro Sistema solare oppure legati a galassie lontane. L'aumento della risoluzione spaziale dei satelliti negli anni ha permesso di individuare la controparte ottica dei lampi con sempre maggior frequenza.

Nel 1997 è stata rilevata per la prima volta la controparte ottica di un lampo gamma (catalogato GRB970228, dalla data in cui è stato visto) anche grazie al telescopio italo-olandese BeppoSAX. La sorgente del GRB è stata individuata in una debole e remota galassia. Il fatto che i GRB provengano da enormi distanze significa che hanno una luminosità estremamente elevata. Inoltre la loro breve durata è indice del fatto che il fenomeno che li genera coinvolge un volume estremamente piccolo. Un'altra pietra miliare è rappresentata dal GRB980425 del 1998: in prossimità di questo lampo gamma è stata individuata la supernova 1998bw esplosa in una galassia distante 120 milioni di anni luce. Ora si sa che si trattò dello stesso evento generato dall'esplosione di una supernova brillante di tipo Ic. Negli anni successivi sono state individuate le controparti ottiche di altri lampi gamma lunghi. Si pensa che questi GRB siano associati all'esplosione di supernovae ultraenergetiche, per le quali è stato coniato il termine di ipernova. Il processo che subisce la s. non è ancora perfettamente delineato; un possibile scenario considera una s. della massa di almeno 20÷40 masse solari alla fine della propria vita. Dopo aver eiettato nello spazio gli strati più esterni di idrogeno, ciò che rimane è una s. di Wolf-Rayet della massa di 5÷14 masse solari nel cui nucleo carbonio e ossigeno stanno subendo un processo di fusione nucleare. Quando questi elementi si esauriscono, la gravità non è più controbilanciata e il nucleo collassa per formare un buco nero. I processi fisici che avvengono non sono ancora ben chiari. La forte rotazione potrebbe impedire alla regione equatoriale della s. di collassare e va a formare un disco di accrescimento caldo attorno al buco nero; viene quindi generato un getto di materia, collimato dal forte campo magnetico, lungo l'asse polare del buco nero e questo attraversa la s. in una decina di secondi causandone la completa esplosione.

L'emissione gamma avviene solo in direzione dell'asse polare. Un osservatore che non si trovi lungo questa direzione vedrebbe solo l'esplosione dell'ipernova e non il GRB da essa prodotto. Il fatto che l'emissione gamma non sia isotropa ma collimata in un cono, la cui ampiezza si stima essere dell'ordine di una decina di gradi, implica che l'energia sprigionata all'atto dell'esplosione sia molto meno elevata di quanto un'emissione isotropa implicherebbe.

Più controversa è l'interpretazione dei lampi brevi, dato che la rivelazione della loro controparte ottica è più difficile. Due dei primi lampi brevi di cui è stata individuata la controparte ottica sono GRB050509 e GRB050709. Il primo, della durata di 40 millisecondi è stato individuato dal telescopio orbitale Swift, che ne ha determinato la posizione con una precisione di 10 secondi d'arco. Osservazioni ottiche hanno poi appurato che il lampo è avvenuto in una galassia ellittica formata da s. vecchie. Non è quindi possibile che sia stato generato da un'ipernova, in quanto queste sono presenti solo all'interno di popolazioni stellari molto giovani. GRB050709, della durata di 70 millisecondi, è stato individuato dal telescopio orbitale HETE-2 della NASA. Successive immagini ottiche hanno localizzato la controparte ottica del GRB seguendone la rapida attenuazione. Il GRB è avvenuto in una galassia giovane in cui si stanno formando stelle. Anche tre settimane dopo l'evento il transiente ottico (così è anche detta la controparte ottica, in quanto rapidamente variabile) è chiaramente apparso non essere un'ipernova.

Un terzo lampo breve è stato individuato ancora grazie al telescopio Swift. La galassia entro cui è avvenuta l'esplosione è una galassia ellittica distante 3 miliardi di anni luce e composta da una popolazione stellare evoluta, per cui il lampo non può essere stato generato da un'ipernova. La teoria più accreditata ipotizza che i lampi brevi siano prodotti dalla collisione di due oggetti collassati come due s. di neutroni. Queste infatti possono essere numerose in galassie ellittiche o a spirale indipendentemente dall'età della popolazione stellare.

Nel caso di GRB050724, la rilevazione di un secondo e più debole brillamento avvenuto dopo circa 200÷300 s, ha portato a ritenere che la collisione abbia interessato una s. di neutroni e un buco nero.

Magnetar

Questi corpi celesti sono un tipo particolare di s. di neutroni, caratterizzate da un campo di induzione magnetica estremamente intenso che può raggiungere 1011 tesla, mille volte più intenso del campo magnetico di una tipica s. di neutroni e 1012 volte più intenso di quello terrestre. Per dare un'idea di quanto intenso sia un simile campo, si può pensare che è in grado di smagnetizzare una carta di credito da una distanza pari a metà della distanza tra la Terra e la Luna. Le magnetars conosciute sono 13, di cui quattro sono note per emettere di tanto in tanto un lampo gamma, detto lampo gamma ricorrente in quanto viene emesso più volte dalla stessa sorgente, a differenza dei normali lampi gamma che non si ripetono mai nella stessa posizione.

Il 27 dicembre 2004 è stato rilevato l'evento più energetico mai osservato al di fuori del Sistema solare, osservato con telescopi sia dallo spazio sia dalla Terra in un ampio spettro di lunghezze d'onda, con la massima brillantezza raggiunta nel dominio dei gamma. Questo lampo gamma è stato associato alla magnetar SGR 1806-20 situata nella costellazione del Sagittario, a circa 50.000 anni luce di distanza, non lontano dal centro della Via Lattea. L'evento potrebbe essere stato causato da un sisma sulla crosta della s. o da un'eruzione sulla sua superficie. L'energia rilasciata nello spazio dai lampi gamma in un decimo di secondo è tipicamente dell'ordine di 1030÷1035 erg, ma nel caso dell'episodio del dicembre 2004 sono stati raggiunti 1040 erg, un'energia paragonabile a quella che il Sole emette in 150.000 anni. Poco dopo la scoperta dell'esistenza dei raggi gamma negli anni Ottanta del 20° sec., si accese un dibattito nella comunità scientifica sulla distanza delle esplosioni che generavano tali lampi, se si trattasse cioè di esplosioni avvenute all'interno della Via Lattea o in galassie esterne. Verso la fine degli anni Novanta, dopo ldella controparte ottica di alcuni lampi e la misura del loro redshift, apparve chiaro che i lampi gamma avvenivano in galassie remote e che quelli ricorrenti erano un fenomeno di natura differente. L'enorme lampo generato da SGR 1806-20 ha riaperto tale dibattito.

Interessante è l'effetto che le esplosioni sulle magnetars possono sortire sulla Terra: un'esplosione proveniente da SGR 1900+14 il 27 agosto 1998 ha interagito con la parte superiore dell'atmosfera terrestre ionizzandola. Il Sole produce in genere un effetto simile, ma di giorno. L'esplosione di SGR 1900+14 ha raggiunto la Terra dal lato in cui era notte provocando quindi una ionizzazione dell'atmosfera anomala e della stessa intensità di quella provocata usualmente dal Sole. Poiché la ionizzazione dell'atmosfera ha conseguenze sulla trasmissione delle onde radio, le esplosioni delle magnetars possono avere conseguenze sulle attività terrestri.

Pianeti extrasolari

La ricerca di pianeti extrasolari, ossia di pianeti legati a s. che non siano il Sole, ha avuto un notevole sviluppo.

Osservare direttamente i pianeti è estremamente difficoltoso, in quanto un pianeta non emette luce propria (non possedendo massa sufficiente a innescare reazioni termonucleari al suo interno), ma riflette quella della s. intorno alla quale orbita e della quale è molto più piccolo, per cui la s. risulta estremamente più brillante dei suoi pianeti. Giove appare un miliardo di volte meno brillante del Sole. Inoltre, la separazione angolare tra il pianeta e la s. è piccola. Il primo pianeta extrasolare, ossia 51 Pegasi, è stato trovato nel 1995. Le due tecniche osservative principali con le quali sono stati individuati diversi pianeti extrasolari sono una di tipo spettroscopico e l'altra di tipo fotometrico. Poiché è ormai possibile misurare la velocità radiale di una s. con una precisione anche di 5 m/s, si può mettere in evidenza l'effetto dinamico che un pianeta causa sull'astro intorno a cui sta orbitando. Non è infatti corretto pensare che il pianeta orbiti attorno alla s. mentre questa resta ferma; piuttosto il sistema stella-pianeta orbita intorno al baricentro del sistema, punto che non coincide con il centro della s., ma si scosta da questo tanto più quanto più alto è il rapporto tra le masse dei due corpi. La s. orbita attorno al baricentro con lo stesso periodo del pianeta: in altre parole, mentre il pianeta, nel corso della sua orbita, si allontana rispetto a noi, la s. si avvicina e viceversa. Dato che la s. non è ferma, ma si sta muovendo con una qualche velocità, l'effetto della presenza di un pianeta viene visto come un'oscillazione della velocità radiale dell'astro attorno al suo valore medio. Il periodo di un'oscillazione coincide con quello orbitale del pianeta. L'ampiezza dipende invece da diversi fattori: è tanto maggiore quanto più è grande la massa del pianeta MP, quanto minore è la massa della s. e il periodo orbitale e quanto più l'inclinazione i è vicina a 90° (l'inclinazione è definita essere 90° nel caso in cui la congiungente tra l'osservatore e la s. si trovi nel piano orbitale e 0° nel caso in cui sia perpendicolare al piano). Se i=0° non è possibile misurare alcuna oscillazione della velocità. Inoltre, non è possibile determinare la massa MP del pianeta e l'inclinazione dell'orbita i separatamente, ma soltanto il valore del prodotto MP seni, che coincide con MP solo se i=90°. Nel Sistema solare, Giove induce un'oscillazione della velocità del Sole di 12,4 m/s, la Terra di 0,1 m/s. Mentre questo secondo valore è difficilmente rivelabile, misurare variazioni di velocità di s. brillanti dell'ordine dei 10 m/s è possibile, sebbene al limite delle tecniche osservative. Con questo tipo di osservazioni, per evidenziare la presenza di un pianeta è necessario osservare la s. numerose volte in modo da definire la funzione con cui varia la velocità radiale.

Un metodo alternativo e complementare è la cosiddetta tecnica fotometrica dei transiti: in questo caso la presenza di un pianeta viene messa in evidenza in quanto, transitando di fronte al disco stellare, ne occulta una piccola porzione. Date le piccole dimensioni del pianeta rispetto a quelle della s., è necessario poter individuare minime variazioni della luminosità di questa. La diminuzione percentuale di luminosità apparente dovuta al transito di un pianeta è proporzionale al quadrato del rapporto tra il raggio del pianeta e quello della stella. Nel caso del sistema Sole-Giove la diminuzione di luminosità è circa dell'1%. Dalla durata dell'eclisse e dal periodo orbitale è possibile ricavare i parametri orbitali. Il principale svantaggio di questa tecnica consiste nella possibilità di individuare solo pianeti il cui piano orbitale è visto di taglio, svantaggio compensato dalla possibilità di monitorare la luminosità di un gran numero di s. alla volta. Anche in questo caso per individuare un pianeta sono necessarie numerose osservazioni, in modo da poter coprire un intero periodo orbitale. Il primo pianeta osservato con il metodo dei transiti è nel sistema stellare HD209458, dove è stata osservata un'attenuazione della luce della s. di circa l'1,5%.

Una tecnica che avrà presumibilmente un forte sviluppo nel futuro è quella dell'immagine diretta. Per raggiungere questo traguardo è necessario migliorare la risoluzione angolare, per es., compensando la turbolenza atmosferica. Questo sarà possibile con la prossima generazione di telescopi che saranno dotati di specchi dell'ordine dei 50 m di diametro. L'unico pianeta extrasolare di cui si ha una immagine diretta, indicato con la sigla 2M1207b, ha una massa pari a 5 masse di Giove e orbita attorno alla nana bruna 2M1207A.

La missione GAIA (Global Astrometric Interferometer for Astrophysics), il cui lancio è previsto nel 2011, misurerà la posizione di un enorme numero di s. più volte nell'arco di diversi anni e con estrema precisione, trattandosi di uno strumento orbitante posto al di fuori dell'atmosfera. Sarà quindi in grado di individuare pianeti che orbitano in un piano parallelo al piano del cielo (e in questo senso si tratta di una tecnica complementare alla tecnica della velocità radiale e dei transiti) in base alla oscillazione della s. centrale rispetto al baricentro del sistema stella-pianeta dovuta alla presenza del pianeta stesso.

Sono stati individuati circa 170 pianeti extrasolari, una ventina dei quali in sistemi multipli. Upsilon Andromedae è un sistema con tre pianeti e 55 Cancri un sistema con quattro. La maggior parte dei pianeti individuati con la tecnica della velocità radiale ha masse superiori a quella di Giove e periodi di rivoluzione inferiori a un anno (la metà ha un periodo inferiore a 50 giorni). Vi sono però notevoli effetti di selezione dovuti alle tecniche impiegate. Sono attive campagne osservative di lunga durata che permetteranno di trovare pianeti con periodi orbitali lunghi. La maggior parte dei pianeti ha orbite fortemente eccentriche, a differenza di quanto avviene nel Sistema solare. Vi sono pochi pianeti con massa superiore a quella di Giove, nonostante siano più facilmente individuabili e la maggior parte dei pianeti abbia una massa piccola, al limite delle capacità strumentali. Le s. legate ai pianeti hanno tipicamente una massa tra 0,7 e 1,4 masse solari. È stata trovata una significativa correlazione tra la probabilità di trovare un pianeta e la presenza di metalli pesanti nella stella. Non vi è ancora un'interpretazione chiara di ciò: sembra che la presenza di metalli sia connessa alla presenza di polveri nel disco protoplanetario che circonda la stella. La presenza di polvere favorirebbe la formazione di pianeti.

Età della Via Lattea

La stima dell'età della Via Lattea può essere effettuata misurando la quantità di berillio presente. Il berillio è il quarto elemento della tavola periodica: solo idrogeno, elio e litio sono più leggeri. A differenza di questi ultimi tre, che si sono formati durante il Big Bang, e di quelli ancora più pesanti che vengono generati all'interno delle s., il berillio viene prodotto per frammentazione di nuclei più pesanti veloci prodotti nelle esplosioni delle supernovae quando collidono con nuclei leggeri (tipicamente protoni e particelle alfa) nel mezzo interstellare. Il berillio presente nella nostra galassia è stato prodotto negli anni con un tasso stabile: la sua quantità è pertanto andata aumentando nel tempo e può quindi essere utilizzata come una sorta di cronometro. Maggiore è l'intervallo di tempo tra la formazione della prima s. (o meglio l'esplosione come supernova) e la formazione delle s. di un ammasso globulare, maggiore era il contenuto di berillio presente nel mezzo interstellare da cui le s. dell'ammasso si sono formate. Questo tipo di tecnica presenta però una difficoltà. Il berillio si distrugge a temperature superiori a qualche milione di gradi. Quando una s. evolve verso la fase di gigante, le forti convezioni che si attivano mettono in contatto l'atmosfera stellare con il plasma caldo che altrimenti sarebbe confinato in zone più interne. Parte del berillio presente nell'atmosfera viene distrutto e nell'atmosfera stellare ne rimane una quantità che è inferiore a quella originale. Le misure spettroscopiche forniscono solamente la quantità di berillio presente nell'atmosfera stellare e non nelle parti più interne. È quindi fondamentale misurare l'abbondanza di berillio in s. che non abbiano ancora attraversato la fase di gigante. Queste sono s. meno evolute e quindi meno massive e sono intrinsecamente deboli.

Il berillio viene individuato grazie a due righe di assorbimento caratteristiche che cadono alle lunghezze d'onda di 313,04 nm e 313,11 nm, che sono di poco superiori al limite attorno ai 300 nm sotto il quale non è possibile effettuare osservazioni da terra a causa dell'opacità dell'atmosfera. Inoltre, dato che stiamo osservando s. che contengono una piccola frazione di berillio, le sue righe di assorbimento sono estremamente deboli, specialmente se confrontate con quelle di altri elementi che cadono a lunghezze d'onda prossime. Questo è il motivo per cui solo nel 2005 si è riusciti a utilizzare il berillio per datare la formazione stellare primordiale nella nostra galassia. Per fare ciò è stato utilizzato l'ammasso globulare NGC6397, che, trovandosi a circa 7200 anni luce dal Sole, è il secondo ammasso globulare più vicino e appare relativamente brillante (le s. poco evolute di turn-over nella funzione di luminosità hanno in questo caso una magnitudine apparente di 16). È emerso che l'ammasso si è formato 200÷300 milioni di anni dopo la formazione delle prime s. della Via Lattea. Dal momento che, in base ai modelli di evoluzione stellare, NGC6397 ha una età di 13.400±800 milioni di anni, la Via Lattea deve avere 13.600±800 milioni di anni. Poiché l'età dell'Universo è stimata essere di 13.700 milioni di anni, si può dedurre che la Via Lattea si è formata immediatamente dopo la fine del periodo detto età oscura, che è durato per circa 200 milioni di anni dopo il Big Bang.

La missione GAIA

Un passo importante nello studio delle s. sarà compiuto quando verrà resa operativa la missione GAIA dell'ESA, (European Space Agency), che rappresenta il naturale sviluppo della missione Hipparcos completata nel 1993. Scopo di GAIA è di produrre la più vasta e precisa mappa della nostra galassia osservando più di un miliardo di stelle.

Ogni s. sarà monitorata con circa 100 osservazioni nell'arco di 5 anni, determinandone la posizione, il movimento e il cambiamento in luminosità. In particolare, ci si aspetta di trovare numerosi pianeti extrasolari per effetto delle oscillazioni delle s. attorno alla loro posizione, e nane brune. Per quanto riguarda lo studio del Sistema solare, ci si attende che vengano identificati decine di migliaia di asteroidi. Questa enorme mole di dati di alta precisione permetterà di costruire un modello tridimensionale della nostra galassia, distinguendo le diverse popolazioni stellari che la compongono sia in base alle loro proprietà chimiche, sia in base alle loro proprietà cinematiche.

Stelle di quark

Già nel 1970 fu teorizzata la possibilità che potessero esistere s. formate da quark: esse avrebbero una densità maggiore di quella di una s. di neutroni e di quella necessaria per formare un buco nero e dovrebbero essere più compatte e più fredde delle s. di neutroni. Queste ultime sono ciò che resta di una s. massiva esplosa come supernova e sono formate principalmente da neutroni. La pressione dovuta alla forza di gravità è controbilanciata dalla pressione di Fermi che impedisce ai neutroni di avvicinarsi troppo l'un l'altro (dovuta al fatto che i neutroni sono dei fermioni e obbediscono al principio di esclusione di Pauli). Se la pressione esercitata dalla gravità supera un certo limite a causa dell'eccessiva massa della s., questa collassa ulteriormente. Si ritiene che tale collasso finisca inevitabilmente con il formare un buco nero. È stata però avanzata l'ipotesi secondo la quale una volta iniziato il collasso della s. di neutroni, questi si scindano nei loro costituenti, cioè i quark (ogni neutrone è formato da tre quark). A questo punto sui quark, anch'essi fermioni, torna ad agire la pressione di Fermi che potrebbe fermare il collasso.

Nell'aprile 2002 osservazioni ai raggi X del satellite Chandra hanno fornito quella che potrebbe essere, se confermata, la prima prova dell'esistenza delle s. di quark. L'oggetto RX J185635-375 ha un diametro di 11 km e appare avere una densità troppo elevata per essere composto da neutroni, compatibile invece con la presenza di quark. Un secondo oggetto, indicato con la sigla 3C58, appare invece essere troppo freddo per essere una s. di neutroni quale lo si crede: esso è associato all'esplosione della supernova osservata dagli astronomi cinesi e giapponesi nel 1181, per cui si sa con esattezza da quanto tempo si sta raffreddando. La temperatura della s. risulta non essere compatibile con quella di una s. di neutroni, bensì con quella di una s. di quark, che si raffredda più rapidamente.

In entrambi i casi la questione è ancora aperta, in quanto vi sono stime secondo le quali il diametro del primo oggetto potrebbe essere maggiore di 11 km, mentre particolari modelli di raffreddamento delle s. di neutroni potrebbero riuscire a spiegare la bassa temperatura di 3C58 senza richiedere l'ipotesi di una s. di quark.

La prima stella

La prima generazione di s. (dette anche di popolazione iii) avevano caratteristiche differenti dalle s. formatesi nelle generazioni successive. Convenzionalmente vengono dette di popolazione ii le s. evolute presenti nelle galassie ellittiche e nei bulbi delle galassie a spirale e di popolazione i le s. che formano i dischi delle galassie a spirale.

Il gas primordiale da cui si sono formate le prime stelle era composto solamente da idrogeno ed elio (con una piccola frazione di litio), essendo gli altri elementi generati dalle stesse nel corso della loro evoluzione. Simulazioni al computer mostrano che una nube di gas molto estesa (400.000 anni luce) può collassare senza frammentarsi e formare un'unica s. di massa tra le 50 e le 300 masse solari. Questa avrebbe avuto una vita molto breve, dell'ordine di qualche milione di anni, durante i quali sarebbe stata caratterizzata da un'elevata temperatura e alta luminosità. Le s. di popolazione iii sembrano soddisfare tale modello in quanto, data l'alta temperatura, emettono un'intensa radiazione ultravioletta.

Pulsar

Le pulsar (pulsating radio source) sono s. di neutroni in rapidissima rotazione e dotate di un intenso campo magnetico. Sono prodotte dall'esplosione di supernovae massive (massa superiore a 5÷10 masse solari). Scoperte nel 1967, il loro studio ha avuto un ruolo importante sia in ambito astronomico, sia fisico.

Quando l'esplosione della supernova causa la contrazione del nucleo stellare, questo, per la conservazione del momento della quantità di moto, acquisisce una rapidissima rotazione. Il forte campo magnetico accelera le particelle cariche presenti attorno alla s. facendole spiraleggiare lungo le sue linee di forza e generando un'emissione radio (radiazione di sincrotrone) diretta lungo l'asse magnetico della stella. In una pulsar l'asse magnetico non coincide con l'asse di rotazione della s. e quindi l'emissione radio non punta in una direzione fissa nello spazio, ma rotea con un comportamento analogo a quello di un faro. Ogni volta che il fascio di emissione punta verso la Terra viene rilevato un segnale radio e, a causa della rapida rotazione, il segnale assume la caratteristica pulsazione.

Sono note circa 1700 pulsar, la maggior parte delle quali ha un periodo dell'ordine del secondo. Il periodo è estremamente stabile nel tempo ed è possibile prevedere la ricezione di ogni singolo impulso a distanza di anni. Oltre che dal periodo di rotazione ogni pulsar è caratterizzata da una variazione di tale periodo, che diminuisce nel tempo con un tasso dell'ordine di 10−15 s al secondo.

Se il progenitore di una pulsar apparteneva a un sistema binario, può accadere che il sistema sopravviva all'esplosione che genera la pulsar. Il 4% delle pulsar appartengono infatti a sistemi binari. In questi sistemi è stato possibile misurare la perdita di massa che la pulsar subisce come conseguenza dell'emissione di onde gravitazionali. Nel 1993 R.A. Hulse e J.H. Taylor hanno ottenuto il premio Nobel per la fisica proprio per aver confermato sperimentalmente tale perdita di massa.

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