STERILIZZAZIONE eugenica

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

STERILIZZAZIONE eugenica (XXXII, p. 719)

Ottorino VANNINI

Diritto penale. - Il delitto di sterilizzazione appare per la prima volta nella legislazione penale italiana vigente. Non mancano, però, precedenti storici degni di rilievo.

Basti pensare che nel diritto romano imperiale venivano puniti in base alla legge Cornelia de sicariis et veneficiis, tanto coloro che eseguivano la castrazione, quanto coloro che alla castrazione stessa consentivano (Dig., XXXXVIII, 8, ad l. corn. d. sic., 4,2). La sterilizzazione è considerata come fatto delittuoso non solo per la contrarietà della medesima ai sentimenti morali e religiosi del popolo italiano, ma soprattutto per la grave minaccia che per essa subisce l'interesse demografico della nazione (relazione al re, n. 177).

Mentre in Germania la sterilizzazione è praticata (v. leggi 14 luglio e 24 novembre 1933) sulle persone tarate in applicazione di un programma razzista (v. p. 719), in Italia la politica di tutela della razza (v. App.) non ha adottato alcun provvedimento del genere. Il reato su indicato (collocato nel titolo decimo del codice fra i delitti contro l'integrità e la sanità della stirpe) trova la sua norma nell'art. 552. Si tratta, evidentemente, di un reato di pericolo per la cui consumazione non occorre che si sia verificato l'effetto voluto; e poiché per l'esistenza del reato basta il compimento di un solo atto, purché idoneo, diretto a rendere una persona impotente alla procreazione (e non soltanto ad impedire lo stato di gravidanza), non è configurabile nel reato stesso l'ipotesi del tentativo. Il reato è altresì collettivo: la legge, per ragioni che male si riesce a spiegare, non incrimina il fatto, egualmente lesivo dell'interesse protetto, commesso da taluno sulla propria persona. Il soggetto consenziente, sul quale si esplicano gli atti diretti a renderlo impotente alla procreazione, è oggetto materiale (oltre che soggetto attivo) e non soggetto passivo del reato. Se il consenso manchi o non sia valido, il reato in esame viene assorbito nel più grave titolo criminoso previsto nell'articolo 583, 2ª parte, n. 3 (lesione personale gravissima); ma all'esistenza di un valido consenso equivale (art. 47) l'erronea supposizione di detta esistenza da parte del colpevole. E poiché, in virtù del consenso validamente prestato, il fatto non può costituire lesione personale, ne viene di conseguenza che se dagli atti diretti a rendere una persona impotente alla procreazione deriva la morte di essa, non potrà parlarsi di omicidio preterintenzionale, ma di materiale concorso del delitto in oggetto con il delitto di omicidio colposo aggravato (art. 586). Il delitto qui esaminato è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire mille a cinquemila. Se poi il colpevole esecutore degli atti diretti al fine criminoso sia una persona che esercita una professione sanitaria, la pena è aumentata per lui ed eventualmente per i concorrenti; ma si ritiene (Manzini) che non sia aumentata per la persona consenziente sulla quale gli atti esecutivi sono esplicati (art. 555).

Bibl.: V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino 1936, VII, p. 552 segg.; E. Altavilla, Delitti contro la integrità della stirpe, Milano 1934, p. 332 segg.

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