Musica, Storia della

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Musica, storia della

Luisa Curinga

Il mondo dei suoni attraverso i secoli

La musica è l’arte che consiste nell’ideare e nel produrre successioni strutturatedi suoni. In quanto attività sociale, essa appartiene a tutte le epoche e a tutte le culture, mutando il proprio significato e la propria funzione, e manifestandosi in una grande varietà di forme e tecniche a seconda dei periodi storici e delle aree geografiche. Nella civiltà occidentale si possono distinguere la musica colta o d’arte, composta ed eseguita da professionisti e tramandata tramite la scrittura, la musica popolare o folclorica di trasmissione orale, e la musica di consumo destinata alla diffusione di massa

La musica in Grecia e a Roma

Grande rilievo ebbe la musica nell’antica Grecia. Lo stesso termine musica, con cui si indicava l’unione tra musica, poesia e danza, deriva dal vocabolo greco musikè, cioè «arte delle Muse», le mitiche protettrici delle arti. La fusione tra musica, gesto e parola diede vita ai generi teatrali-musicali, molto seguiti dal pubblico, della tragedia e della commedia.

Alla musica, di origine divina, fu riconosciuta una fondamentale funzione educativa: Platone e Aristotele, filosofi vissuti tra il 5° e il 4° secolo a.C., sostenevano che differenti tipi di musica potessero modificare il carattere dei giovani.

Solo pochi frammenti con notazione musicale sono pervenuti fino a noi; purtroppo la trasmissione orale causò la perdita del patrimonio musicale dell’antichità. La teoria e l’acustica musicale, separate dalla pratica, furono invece oggetto di riflessione da parte di matematici e filosofi, come Pitagora, vissuto tra il 6° e il 5° secolo a.C., e la scuola di questi. Essi ritenevano che lo studio fisico e acustico della musica – che rispecchiava l’ordine e l’armonia del cosmo – avvicinasse alla comprensione dell’Universo.

La musica romana non produsse, rispetto alla musica greca, contributi originali. Dopo il 3° secolo a.C. si sviluppò a Roma un tipo di teatro tragico e comico in lingua latina, in cui i modelli greci venivano modificati con l’inserimento di parti di altri drammi, detto contaminatio («contaminazione»).

Il primo Medioevo e il canto liturgico cristiano

I primi canti cristiani, di cui non è pervenuta nessuna testimonianza musicale, erano probabilmente un adattamento dei salmi ebraici; gradualmente essi si modificarono assimilando elementi greco-orientali a Bisanzio, e forse etruschi a Roma, arricchendosi di forme nuove, come gli inni e le antifone.

Le melodie cristiane erano monodiche, ossia a una sola linea vocale, e strettamente legate all’intonazione del testo liturgico: esse non erano pensate per il piacere dell’ascolto, ma come un mezzo per innalzare preghiere. A Gregorio Magno, papa tra il 590 e il 604, si fa risalire l’opera di riordino dei canti sacri, che da lui presero il nome di canti gregoriani.

La tradizione teorica greca proseguì nel primo Medioevo, quando la musica fu considerata una scienza, basata su leggi matematiche e fisiche. Già all’inizio del 6° secolo il filosofo Boezio classificò la musica in mundana (l’armonia delle sfere celesti), humana (l’armonia dell’animo umano) e sonora (la musica pratica creata a imitazione delle altre due). Nell’ordinamento didattico medievale, inoltre, la musica apparteneva al quadrivium, che comprendeva le quattro arti matematiche (aritmetica, geometria, musica e astronomia) in contrapposizione alle arti retoriche del trivium (grammatica, logica e retorica).

Le origini della polifonia e della musica profana

Nel 9° secolo si diffuse l’uso di eseguire le melodie gregoriane con l’accompagnamento di una seconda voce parallela, all’intervallo di quarta inferiore o di quinta superiore (musica, grammatica della). Questa forma primitiva di polifonia, cioè di canto a più voci, si chiamava organum o diafonia. Più tardi in Inghilterra nacque il gymel, un canto a due voci per terze parallele. Il contrappunto, ossia l’arte di sovrapporre più linee melodiche, si sviluppò rapidamente dando origine alle prime forme polifoniche, tra le quali il mottetto.

Il culmine di questa prima produzione polifonica si ebbe fra il 12° e il 13° secolo nella parte settentrionale della Francia, con la Scuola di Notre-Dame, rappresentata da Léonin e Pérotin.

Non abbiamo testimonianze del canto profano latino dell’Alto Medioevo; tuttavia con il passare del tempo musica sacra e musica profana si influenzarono reciprocamente. Dagli inni latini derivarono forse le canzoni fiorite nella Francia meridionale per opera dei trovatori (11°-13° secolo), artisti colti e raffinati di cui ci sono pervenuti molti testi poetici, ma poche melodie. L’opera dei trovatori fu proseguita nella Francia settentrionale dai trovieri, e in Germania dai Minnesänger. In Italia verso il Duecento nacque la lauda, un canto di argomento religioso in volgare.

L’arte musicale del Tre e Quattrocento

Il termine ars nova fu coniato dal teorico del 14° secolo Philippe de Vitry, per contrapporre l’arte del Trecento – ricca di innovazioni nel campo della teoria, dei trattati, della notazione e dello sviluppo polifonico – a quella precedente, denominata ars antiqua. Il mottetto continuò a essere impiegato come forma sia sacra sia profana, servendo anche come mezzo di satira politica.

I principali centri di fioritura dell’ars nova furono la Francia, dove Guillaume de Machault compose per primo un’intera Messa polifonica, e l’Italia (soprattutto Firenze con Francesco Landino). Lo stile francese era intellettuale e sofisticato, mentre in Italia nacquero le nuove forme profane, dagli schemi più semplici, del madrigale, della caccia e della ballata.

Nel Quattrocento le forme polifoniche raggiunsero la massima fioritura e complessità, e nel nuovo clima umanistico la musica aumentò la sua autonomia rispetto alla Chiesa.

Guillaume Dufay fu il maggior esponente di una scuola a carattere internazionale nata in Borgogna agli inizi del secolo; egli definì le forme e gli stili della scuola fiamminga – i cui più significativi musicisti furono Jacob Obrecht, Johannes Ockeghem e Josquin Després – e inserì nella Messa anche temi tratti da canti profani. I compositori franco-fiamminghi trascorsero buona parte della loro vita presso le corti rinascimentali d’Italia, dove diffusero le loro raffinate tecniche contrappuntistiche, assimilando contemporaneamente elementi della musica locale. Tra le forme caratteristiche del Quattrocento troviamo, oltre alla Messa e al mottetto, le forme profane della chanson e quelle tipicamente italiane come la frottola, il canto carnascialesco, lo strambotto e la canzone a ballo.

La musica italiana del Cinquecento

Il Cinquecento vide il predominio della musica italiana, rappresentata dalle grandi scuole romana e veneziana; la prima ebbe la sua più luminosa affermazione con Pierluigi da Palestrina che, fedele allo spirito della Controriforma, compose musica sacra per coro a cappella, cioè con le sole voci senza accompagnamento di strumenti.

A Venezia, accanto alle composizioni religiose che impiegavano voci – spesso con cori multipli – e strumenti, fiorirono la musica profana nella forma del madrigale polifonico (che Claudio Monteverdi portò, agli inizi del Seicento, al più alto grado di perfezione) e la musica strumentale nelle nuove forme della toccata, del ricercare e della canzone da sonare. In tutta Italia il madrigale fu tra le forme predilette dai musicisti legati alle raffinate corti del tardo Rinascimento, come Luca Marenzio e Carlo Gesualdo da Venosa.

A Firenze sul finire del secolo ebbero origine le prime forme di recitar cantando in stile rappresentativo, volte alla resa espressiva della parola: un gruppo di umanisti, intellettuali e musicisti riuniti nella Camerata Fiorentina diede l’avvio con la Dafne di Jacopo Peri nel 1598 alla prima opera in musica. Intanto anche l’armonia veniva modificandosi, con l’affermazione progressiva della moderna tonalità.

In Germania, in conseguenza della Riforma di Martin Lutero, venne creato un repertorio liturgico in tedesco su melodie popolari.

Il trionfo dell’opera nel Seicento

Il declino della polifonia a favore dello stile recitativo e della monodia accompagnata portò al grande sviluppo dell’opera, che intendeva rappresentare, per mezzo della ‘teoria degli affetti’, i sentimenti espressi dalle parole; aprendo un nuovo corso nel 1607 con l’Orfeo di Monteverdi, essa si diffuse in tutta Europa.

In Francia il fiorentino Giovanni Battista Lulli, mutato il nome in Lully, assimilò con tale perfezione il gusto e la sensibilità locale da creare un’opera nazionale francese (tragédie-lyrique); in Germania Heinrich Schütz compose opere sul modello fiorentino.

In tutta Europa si diffusero le opere italiane e in Inghilterra Henry Purcell creò un modello di opera nazionale. A Roma l’opera rimase legata a temi religiosi e allo spirito della Controriforma.

Parallelamente si sviluppò la musica strumentale, caratterizzata dallo stile concertante – che implicava un dialogo fra gli esecutori, i quali intervengono singolarmente o in gruppo – e dall’uso del basso continuo, una parte strumentale indipendente, al grave, che sostiene le voci senza raddoppiarle. Alla creazione delle nuove forme strumentali, tra cui la sonata da chiesa e la sonata da camera, e più tardi il concerto grosso e il concerto solistico, contribuirono compositori come François Couperin e Jean-Philippe Rameau in Francia, Girolamo Frescobaldi e Arcangelo Corelli in Italia, Dietrich Buxtehude in Germania.

Le nuove tendenze influenzate dall’Illuminismo

Il mutamento delle condizioni sociali e politiche e l’affermarsi dell’Illuminismo favorirono lo sviluppo di nuove tendenze. Per i filosofi razionalisti il valore della musica risiedeva nel suo carattere matematico; allo stesso tempo si sviluppò la tendenza a evidenziare gli elementi espressivi e ‘naturali’ della musica e la capacità della musica di commuovere e suscitare emozioni, aprendo la strada allo stile galante.

Quest’ultimo stile – rappresentato da Carl Philipp Emanuel Bach – reagiva alla sontuosità delle opere e alle grandi orchestre con una musica raccolta ed elegante destinata ai piccoli organici e al clavicembalo. La ‘teoria degli affetti’ si estese anche alla musica strumentale, che si manifestò in forme descrittive di eventi psicologici o naturali.

Le principali forme strumentali della prima metà del secolo furono il concerto, la suite e la sonata. Quest’ultima si orientò verso forme solistiche – come le sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti – o per strumento accompagnato dal clavicembalo; la pratica del basso continuo andò gradatamente scomparendo. In quest’epoca spiccano le figure somme di Georg Friedrich Händel e Johann Sebastian Bach; in Italia la musica strumentale ricevette impulso grazie ad Antonio Vivaldi, mentre l’opera seria italiana, rappresentata soprattutto da Alessandro Scarlatti, dominava l’Europa.

Nella seconda metà del secolo si attuò il passaggio dallo stile barocco a quello del classicismo viennese. Nell’ambito dello stile classico nacquero la forma sonata e si portarono a perfezione la sonata, la sinfonia e il concerto solistico, espressi ai massimi livelli da Franz Joseph Haydn e da Wolfgang Amadeus Mozart.

All’opera seria italiana gradualmente si affiancò l’opera buffa con musicisti come Giovanni Battista Pergolesi, Giovanni Paisiello e Domenico Cimarosa; anche in Francia si affermò l’opéra-comique. In Germania verso la metà del secolo Christoph Willibald Gluck iniziò una riforma dell’opera in nome della verità dell’espressione drammatica e contro il virtuosismo fine a sé stesso. Le sonate per pianoforte, i quartetti e le sinfonie di Ludwig van Beethoven mostrano il geniale passaggio dal Settecento alla nuova sensibilità dell’Ottocento.

La grande stagione romantica e tardoromantica

L’Illuminismo aveva considerato la musica in termini di piacere e imitazione della natura; nel Romanticismo invece essa diventò un linguaggio puro e assoluto, l’unico in grado di esprimere concetti universali e di attingere direttamente all’‘ineffabile’ e all’‘infinito’. Esaurita l’epoca dei grandi principi mecenati, il compositore dovette confrontarsi con il pubblico pagante delle sale da concerto – che idolatrava i grandi virtuosi come Niccolò Paganini – nonché con editori, impresari e critici musicali.

Il pianoforte, giunto di recente a perfezionamento, diventò lo strumento più amato: Beethoven, Franz Schubert, Robert Schumann, Fryderyk Chopin e Franz Liszt gli dedicarono pagine di sublime bellezza.

Musicisti quali Hector Berlioz, Liszt e Richard Strauss coltivarono inoltre il genere descrittivo e psicologico della musica a programma. La musica sinfonica tardoromantica tedesca degli ultimi decenni del secolo fu rappresentata da Johannes Brahms, che si ispirava alla perfezione formale dei classici, da Anton Bruckner e da Gustav Mahler.

In Francia sul finire del secolo Camille Saint-Saëns e Gabriel Fauré svilupparono uno stile elegante e raffinato, mentre soprattutto nei paesi slavi si formarono le scuole nazionali, che inserirono le tradizioni popolari locali nei modelli del linguaggio musicale romantico. In Russia tale indirizzo fu rappresentato da Modest Musorgskji; Pëtr I. Čajkovskij fu invece più legato alla tradizione occidentale.

I generi vocali, come il Lied in Germania e l’opera lirica in tutta Europa, conobbero una splendida fioritura. L’Italia espresse sommi musicisti nel melodramma, quali Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti nella prima metà del secolo, e a seguire Giuseppe Verdi – il quale operò un rinnovamento del teatro musicale assai significativo, ottenendo l’unità drammatica di pensiero e musica – e Giacomo Puccini. In Francia si sviluppò il grand-opéra, genere grandioso e magniloquente, e fu ripresa l’opéra-comique, di argomento borghese, in cui si alternavano parlato e cantato. In Germania i più importanti elementi di innovazione, armonica e formale, si ebbero dopo la metà del secolo grazie a Richard Wagner; egli creò il Wort-Ton-Drama, ossia un’opera che perseguiva l’unità indissolubile di poesia, musica e scena.

La crisi della tonalità nel primo Novecento

Già preannunciata da Mahler e Wagner, la crisi della tonalità (il sistema che per tre secoli aveva retto la musica occidentale) fu lo specchio della crisi politica, sociale e culturale di quegli anni, che sfociò nella Prima guerra mondiale. In Francia Claude Debussy sviluppò un linguaggio profondamente originale alternativo al wagnerismo, e musicisti come Maurice Ravel, Erik Satie, Darius Milhaud e Arthur Honegger reagirono alla crisi con l’ironia e la raffinatezza. A Vienna la fine dell’Impero austroungarico fu vissuta in modo più drammatico portando alla corrente dell’espressionismo e alla dissoluzione della grammatica musicale precedente: Arnold Schönberg giunse negli anni Venti alla formulazione della teoria dodecafonica, che aboliva il concetto di tonalità a favore di una nuova organizzazione dei dodici suoni della scala cromatica. Alban Berg e Anton Webern proseguirono in tale orientamento applicando la nuova tecnica non solo alle note, ma anche alle intensità, alle durate e ai timbri (serialismo integrale), mentre l’ungherese Bela Bartók elaborò un linguaggio atonale basato sullo studio scientifico del folclore.

In Italia il tentativo di emanciparsi dal melodramma ottocentesco portò a un rinnovato interesse per la musica strumentale da parte di grandi musicisti quali Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco Malipiero e Alfredo Casella. Tra le due guerre Luigi Dallapiccola assimilò e ricreò in maniera personale la dodecafonia.

Fino alla metà degli anni Trenta la musica russa mostrò una significativa apertura verso l’Occidente: fu proprio a Parigi che ebbe luogo la prima dirompente rappresentazione del balletto La sagra della primavera (1913) di Igor Stravinskij. Negli Stati Uniti si svilupparono alcune forme originali di sperimentazione; intanto la musica europea mostrava in molti casi l’influenza del jazz e del music-hall.

Il secondo dopoguerra

Il serialismo rigoroso di Webern e le nuove tecniche compositive sviluppate dal francese Olivier Messiaen costituirono un modello per molti musicisti dell’avanguardia del secondo dopoguerra, tra cui Pierre Boulez, Luigi Nono e Karlheinz Stockhausen.

Negli anni Cinquanta, con la fondazione di gruppi di ricerca in Francia, Germania e Italia, iniziò a svilupparsi la musica elettronica. Negli stessi anni si fece strada un nuovo principio musicale, quello dell’alea: promosso da diversi musicisti, tra cui lo statunitense John Cage, introduceva nelle composizioni elementi più o meno ampi di casualità, rivalutando il ruolo dell’interprete e della pratica improvvisativa.

A partire dagli anni Sessanta convivono molteplici posizioni e personalità talvolta difficilmente inseribili in una corrente definita. Tra i maggiori compositori si ricordano in Italia Bruno Maderna, Goffredo Petrassi, Luciano Berio, Sylvano Bussotti, Franco Donatoni, Salvatore Sciarrino; in Europa Iannis Xenakis, György Ligeti, Mauricio Kagel.

Negli anni Ottanta si è sviluppato in Europa un indirizzo neoromantico alla ricerca di una maggiore semplicità e comunicativa, esigenza già avvertita negli Stati Uniti dai minimalisti, la cui musica è basata sulla ripetizione variata di brevi elementi ‘minimi’, come in Philip Glass e in Steve Reich.

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