STRATEGIE POLITICHE DELLE TELECOMUNICAZIONI

XXI Secolo (2010)

Strategie politiche delle telecomunicazioni

Paolo Alagia

Evoluzione del settore

Il settore delle telecomunicazioni registra continue innovazioni tecnologiche che trasformano rapidamente le modalità di produzione e consumo dei servizi di comunicazione e, di conseguenza, le forme di intervento pubblico. La rivoluzione digitale costituisce il motore del cambiamento. La digitalizzazione del se­gnale ha uniformato i sistemi di trasmissione dei servizi audio (inclusa la telefonia vocale), video (inclusa la televisione) e dati (incluso l’accesso a Internet). Le reti trasportano bit, senza la necessità di distinguere in base ai servizi veicolati.

Con lo sviluppo delle reti e dei servizi ivi trasportati, i consumatori – famiglie, imprese e pubblica amministrazione – sono indotti, in misura sempre crescente, ad acquisire la disponibilità di collegamenti ad alta velocità, detti a banda larga (broadband). Il 1° luglio 2009, nell’Unione Europea le linee broadband attivate dagli utenti finali erano oltre 119 milioni – non raggiungevano i dieci appena sette anni prima, il 1° luglio 2002 –, 82 dei quali nei cinque maggiori Paesi dell’Unione, Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito (fig. 1); peraltro, tra questi cinque Paesi l’Italia registra il più basso tasso di penetrazione, il 20,6% al 1° gennaio 2010, valore inferiore anche alla media dell’Unione, pari al 24,8% (fig. 2).

D’altra parte, i servizi di trasmissione dati rappresentano una quota in aumento della spesa degli utenti finali per servizi di telecomunicazione, sebbene la telefonia vocale costituisca ancora oggi il principale servizio scambiato sul mercato. Sempre nell’Unione Europea, il fatturato stimato delle imprese di telecomunicazione per la fornitura di servizi di telefonia mobile, fissa e dei servizi a banda larga, nel 2007 è risultato pari, rispettivamente, a 137, a 79 e a 62 miliardi di euro, mentre il fatturato complessivo del settore ha rappresentato circa il 3% del PIL dell’Unione (Commissione delle Comunità europee 2008).

L’insieme delle trasformazioni tecnologiche e l’evoluzione del settore – che lo configurano sempre più in senso multirete e multiprodotto – ha modificato le strategie politiche delle telecomunicazioni, da parte sia dell’industria sia del settore pubblico. La sfida dell’industria, nel prossimo decennio, consiste nel soddisfacimento di nuovi bisogni e nella produzione di nuovi servizi emergenti ad alto valore aggiunto, compatibilmente con i vincoli finanziari derivanti dai significativi investimenti che devono essere sostenuti per la realizzazione delle nuove reti a banda larga. Il settore pubblico, a sua volta, ha di fronte una duplice sfida. Lo sviluppo della cosiddetta società dell’informazione e della e-economy è considerato un fattore necessario per la modernizzazione della società e per la crescita dell’economia (Commissione delle Comunità europee 2005). Un importante prerequisito per la transizione verso l’e-economy è rappresentato dalla diffusione nella popolazione degli accessi a banda larga ad alta velocità di trasmissione, i quali consentono di disporre di connessioni Internet always-on (sempre attive), grazie alle quali l’utente può fruire contemporaneamente dei servizi Internet e voce. Di conseguenza, le autorità nazionali vengono chiamate a stimolare la realizzazione di reti per la fornitura di servizi a banda larga e di reti di nuova generazione.

Allo stesso tempo, la Commissione europea prevede che le autorità nazionali del settore riducano progressivamente, nei prossimi anni, la regolamentazione settoriale ex ante a mano a mano che si svilupperà la concorrenza nel mercato. In tal senso, le autorità nazionali completeranno il processo di liberalizzazione, avviato negli anni Novanta, che ha portato alla riduzione, in modo consistente e uniforme, delle barriere all’ingresso nel mercato, nonché alla privatizzazione delle imprese storiche di telecomunicazione (solitamente classificate con il termine incumbent), il cui controllo è stato trasferito a imprese di diritto privato di proprietà, in molti casi, di soggetti esterni al settore pubblico. Tale processo è stato accompagnato dalle autorità nazionali di regolamentazione, che hanno stabilito un insieme di regole volte a promuovere un mercato aperto e competitivo per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, e a tutelare gli interessi sia dei cittadini sia dei consumatori. Al momento attuale, l’obiettivo è quello di superare la regolamentazione ex ante e ricondurre il settore delle telecomunicazioni nell’alveo esclusivo della disciplina antitrust.

Il terreno in cui si svolgeranno queste sfide è quello dei mercati all’ingrosso (mercati wholesale) ai quali si rivolgono gli operatori al fine di acquisire beni intermedi, necessari per operare nei mercati al dettaglio dei servizi di comunicazione destinati agli utenti finali (mercati retail). Al crescere della competizione nei mercati al dettaglio, a causa dell’aumento nel numero di fornitori dei servizi agli utenti finali registrato negli ultimi anni, i nodi competitivi si stanno concentrando nei mercati a monte, e i risultati concorrenziali dipendono in maniera cruciale dalle possibilità offerte ai diversi soggetti economici di disporre delle infrastrutture di accesso.

In particolare, nel prossimo decennio sarà fondamentale la disponibilità delle reti di accesso a banda larga per la fornitura dei servizi di telecomunicazione. I mercati dell’accesso sono caratterizzati da ostacoli strutturali, derivanti dalle condizioni iniziali dei costi o della do­manda, che creano situazioni asimmetriche tra operatori storici e nuovi operatori, rendendo difficile o addirittura impossibile l’ingresso nel mercato da parte di questi ultimi. Gli ostacoli strutturali dipendono dai vantaggi di costi assoluti, dalle economie di scala e/o di diversificazione, nonché dai costi sommersi (sunk costs) di cui beneficiano gli operatori dell’incumbent. Pertanto, compito fondamentale del regolatore sarà garantire che le imprese che dispongono di elementi di rete tecnicamente non duplicabili concludano accordi di accesso con le imprese concorrenti che ne facciano richiesta.

In questo contesto, il policy maker ha di fronte a sé il problema di scegliere le modalità più opportune per superare gli ostacoli che ancora si frappongono all’installazione e/o alla fornitura generalizzata di reti di accesso a banda larga. Gli strumenti a disposizione comprendono la promozione di investimenti privati per la realizzazione di reti a banda larga, l’introduzione di nuove misure per stimolare la concorrenza nel settore, nonché il finanziamento diretto degli investimenti per la realizzazione di reti a banda larga. Tali scelte, che avranno un impatto profondo sulla configurazione del settore, saranno esaminate, nell’ordine, nei prossimi paragrafi, dopo una breve illustrazione tecnica delle reti di telecomunicazione.

Le reti di telecomunicazione

Le reti a banda larga sono costituite, schematicamente, dal segmento nazionale (dorsale o backbone), dal segmento metropolitano (costituito da anelli cittadini interconnessi con il backbone nazionale) e dal segmento di accesso (ossia l’ultima tratta di collegamento verso gli utenti finali). Mentre i livelli gerarchici superiori dell’architettura di rete (i segmenti nazionali e metropolitani, generalmente indicati come rete di trasporto) sono già oggi do­tati, in larga misura, di portanti fisici atti a veicolare la banda larga (per es., fibre ottiche) e richiedono un rinnovamento contenuto, il segmen­to dell’accesso necessita di un’ampia ristrutturazione.

Le reti a banda larga attualmente disponibili utilizzano prevalentemente, nell’ultimo miglio, il doppino in rame e le tecnologie x-DSL (Digital Subscriber Line). Tra le varie tecnologie x-DSL a disposizione, buona parte delle connessioni attualmente attive utilizzano la tecnologia ADSL1 (Asymmetric Digital Subscriber Line), con velocità in downstream (trasferimento dei dati dal server verso il cliente) offerte agli utenti pari al massimo a 4 Mbit/s, e, in misura minore, la tecnologia ADSL2, che permet­te di fornire servizi in downstream fino a 20-24 Mbit/s.

Le reti di accesso di nuova generazione (NGAN, Next Generation Access Networks) comprendono l’insieme delle reti di telecomunicazione che hanno una capacità trasmissiva superiore a 20 Mbit/s. Tali reti sono destinate a sostituire, nel prossimo decennio, le reti a banda larga oggi disponibili, in quanto queste ultime registrano un grado di utilizzo della capacità produttiva molto elevato e prossimo alla saturazione. Infatti, le attivazioni di servizi ADSL non possono superare il 65-75% dei doppini attestati su ciascuna centrale locale (quota già raggiunta in alcune aree urbane), pena l’eccessiva degradazione del segnale e il deterioramento della qualità del servizio a causa dell’aumento delle interferenze sul cavo. Inoltre, la disponibilità di banda per ciascun utente rischia di essere insufficiente, vista la crescita attesa della domanda di servizi a banda larga.

In particolare, le reti richiedono la sostituzione, almeno in parte, del doppino in rame che collega l’utente finale alla prima centrale attestata sulla rete nazionale. Occorre considerare, infatti, che la rete di accesso in rame si articola in rete primaria (dalla centrale locale fino agli armadi di distribuzione) e rete secondaria (dagli armadi di distribuzione fino alla sede dell’utente). La costruzione delle NGAN impone l’installazione di portanti in fibra ottica almeno nella rete primaria, nonché il rinnovo degli apparati di commutazione. Inoltre, l’ammodernamento della rete fisica di accesso consentirà la razionalizzazione e la sostituzione delle centrali locali, che verosimilmente verranno ridotte di numero. Al termine del processo, le reti di accesso a banda larga in cavo garantiranno all’utente un’ampiezza di banda potenzialmente pari a 100 Mbit/s.

Le reti a banda larga possono impiegare nel segmento dell’accesso, oltre al cavo (reti wireline), lo spettro hertziano (reti wireless). Le recenti evoluzioni tecnologiche che hanno interessato la telefonia mobile e, in particolare, l’evoluzione dello standard di trasmissione UMTS (Universal Mobile Telecommunications System) hanno condotto alla nascita dell’HSPA (High- Speed Packet Access), una famiglia di protocolli per la telefonia mobile che include l’HSDPA (High-Speed Downlink Packet Access) per la trasmissione dati in downlink (verso l’utente) e l’HSUPA (High-Speed Uplink Packet Access) per la trasmissione dati in uplink (verso la rete). L’HSDPA è già disponibile in molti Paesi e consente, nella versione attuale, una velocità di 7,2 Mbit/s in downlink e di 384 Kbit/s in uplink, e, in prospettiva, permette di aumentare la velocità di trasmissione, raggiungendo la velocità teorica di 14,4 Mbit/s. L’HSUPA permette di migliorare le performances di uplink fino a 5,76 Mbit/s teorici. Recentemente, l’HSPA è stato ulteriormente migliorato, con l’introduzione di nuove versioni, al momento non ancora commercializzate, indicate come HSPA+ (HSPA Evolution), potenzialmente in grado di offrire una velocità di accesso fino a circa 50 Mbit/s. Tuttavia, si deve notare che la velocità effettiva può essere notevolmente inferiore, in quanto la banda radio è una risorsa condivisa tra gli utenti e quindi risente del numero di clienti contemporaneamente connessi nella stessa cella.

Un’altra soluzione tecnica che potrebbe rappresentare nel prossimo futuro un’alternativa alla NGAN via cavo è rappresentata dal WiMax (Worldwide interoperability for Microwave access), che consente l’accesso a reti di telecomunicazioni a banda larga e senza fili (BWA, Broadband Wireless Access). Tale tecnologia supporta velocità di trasmissione di dati condivisi fino a 70 Mbit/s in aree metropolitane e fornisce, potenzialmente, una copertura a banda larga per un ampio raggio (fino a 50 km) da ciascuna stazione base. Tuttavia, alcune sperimentazioni hanno accertato velocità di trasmissione effettive ben inferiori a quelle teoriche, e accettabili esclusivamente nel raggio di pochi chilometri, raggio che si riduce ulteriormente in condizioni di assenza di visibilità ottica tra la stazione di trasmissione e l’utente.

Pertanto, dato lo stato delle tecnologie, la rete fissa non sembra avere nel medio periodo alcuna praticabile alternativa di mercato ai fini della fornitura di servizi a larga banda; le reti wireless sembrano destinate a svolgere un ruolo complementare nel soddisfare i bisogni di comunicazione.

Incentivare gli investimenti

Dal punto di vista del settore pubblico, il problema prioritario è quello di stabilire le modalità più adeguate per promuovere gli investimenti privati diretti alla realizzazione di reti a banda larga e di reti di telecomunicazione di nuova generazione.

Molti operatori hanno predisposto (o sono in procinto di farlo) i piani di investimento per la realizzazione delle reti NGAN wireline, rinnovando le infrastrutture di cui oggi dispongono. L’ordine di grandezza degli investimenti richiesti dipende, tra l’altro, dall’architettura di rete che l’operatore intende realizzare, nonché dalla dimensione e dalla densità abitativa delle aree interessate dal progetto. Comunque, le imprese del settore stimano l’ammontare richiesto per la costruzione delle NGAN in una misura compresa tra i 500 e i 1000 euro per ciascun utente (famiglia o impresa). Ciò significa che la copertura dei Paesi europei di maggiore dimensione richiede un investimento di almeno 10-12 miliardi di euro, circa il 50-60% del fatturato annuo prodotto, a livello nazionale, dai servizi di telecomunicazione in postazione fissa.

Come visto, la disponibilità di connessioni a elevata ampiezza di banda dipende, prevalentemente, dagli investimenti effettuati nella rete di accesso, e l’installazione di NGAN richiede ingenti investimenti iniziali, la cui redditività risulta differita nel tempo e rischiosa. Sebbene i costi degli apparati diminuiscano al crescere delle quantità richieste, i costi fissi iniziali rimangono elevati; inoltre, la costruzione della rete richiede la realizzazione di onerose infrastrutture civili; infine, il costo unitario cresce notevolmente al decrescere della densità della popolazione. A fronte degli ingenti costi, i ricavi futuri attesi risultano incerti: lo sviluppo della domanda per servizi innovativi fruibili esclusivamente su NGAN è ancora da verificare e dev’essere tenuto in considerazione un effetto di sostituzione per quei consumatori che già oggi utilizzano i servizi a banda larga. È vero, altresì, che le NGAN riducono i costi di produzione per tutti i servizi prodotti, in quanto richiedono minore manutenzione ed energia. Pertanto, la redditività degli investimenti, che hanno un ciclo di vita e periodi di ammortamento pluriennali è, soprattutto nelle aree rurali, alquanto incerta. Inoltre, unitamente all’incertezza della domanda, un altro fattore che incide sulla rischiosità dell’investimento è rappresentato dai possibili sviluppi tecnologici. In particolare, gli investimenti per la realizzazione di NGAN wireline potrebbero essere spiazzati dall’evoluzione dei servizi a banda larga disponibili sulle reti wireless.

Le incertezze legate alla redditività degli investimenti nell’ammodernamento della rete fissa rendono quindi impraticabile la costruzione ex novo di una rete NGAN, la cui realizzazione richiede, inevitabilmente, l’aggiornamento della rete di accesso dell’operatore incumbent, con probabili ripercussioni sul grado di concorrenza finora conseguito nel settore. Infatti, gli operatori che concorrono con l’incumbent nei mercati retail forniscono servizi di telecomunicazione agli utenti finali sulla base di servizi acquistati all’ingrosso da altri operatori, in particolare proprio dall’incumbent che detiene, per ragioni storiche, una rete capillare diffusa sull’intero territorio nazionale. Tali servizi all’ingrosso (quali, per es., i servizi di accesso disaggregato alla rete locale, che può avvenire in modalità esclusiva, full unbundling, o in modalità condivisa, shared access) hanno richiesto investimenti da parte degli operatori al fine di potere entrare nelle centrali locali degli operatori storici. Nel momento in cui l’incumbent modifica la propria architettura di rete, eventualmente sostituendo le centrali locali, gli operatori suoi concorrenti, in assenza di regolamentazione, verrebbero spiazzati, perché potrebbero perdere la disponibilità dei servizi intermedi utilizzati per servire gli utenti finali (in quanto l’incumbent non produce più tali servizi) e si troverebbero nell’impossibilità di replicare i servizi a banda larga su NGAN offerti dall’incumbent.

Il passaggio alle reti di nuova generazione pone al policy maker la necessità di risolvere un dilemma regolamentare, la cui soluzione è imprescindibile per la definitiva evoluzione, in senso concorrenziale, del settore delle telecomunicazioni. Infatti, le autorità nazionali di regolamentazione, da un lato, incoraggiano investimenti efficienti e sostenibili in materia di infrastrutture, promuovendo l’innovazione e lo sviluppo di reti e servizi a banda larga e, dall’altro, assicurano agli utenti il massimo beneficio sul piano della scelta, del prezzo e della qualità garantendo al tempo stesso, alle imprese presenti nel settore, che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza, tali da produrre una rimonopolizzazione dei mercati finali.

Nel contesto descritto, le autorità nazionali di regolamentazione, in ultima analisi, contemperano l’obiettivo di sviluppare nel lungo periodo una competizione tra operatori infrastrutturati con l’intento di non scoraggiare altre forme di competizione basate su un minore grado di infrastrutturazione. A tal fine, il regolatore – considerate le specifiche circostanze del mercato nazionale – può utilizzare diversi strumenti che attengono sia alla leva dei prezzi sia al controllo delle condizioni tecniche.

In primo luogo, il regolatore potrebbe lasciare alla negoziazione tra le parti (e quindi non regolamentare: la cosiddetta regulatory holiday) le condizioni economiche e tecniche della fornitura di servizi di accesso alle reti a banda larga. In questo modo, l’impresa che investe nella realizzazione di NGAN ha ampia libertà nel definire il business plan del progetto. Tuttavia, l’operatore potrebbe attuare strategie di pre-emption del mercato volte a escludere altri operatori e a sfruttare il vantaggio derivante dall’essere il first-mover. La regulatory holiday porrebbe le imprese concorrenti in condizioni di svantaggio e metterebbe a repentaglio anche gli investimenti effettuati dalle imprese sino a ora.

In secondo luogo, il regolatore può utilizzare leve diverse dal prezzo. In tale ambito, assume particolare rilievo la vigilanza sul percorso di migrazione verso le tecnologie di nuova generazione. Nel momento in cui l’incumbent modifica la propria architettura di rete, risulta necessario garantire la continuità dei servizi all’ingrosso attualmente esistenti, nonché specificare con congruo anticipo le modalità di transizione verso i nuovi prodotti all’ingrosso. In tal modo, gli operatori concorrenti dell’incumbent avranno la possibilità di programmare gli investimenti in condizioni di piena ed effettiva simmetria informativa rispetto alle divisioni commerciali dell’incumbent.

In terzo luogo, il policy maker può usare la leva del controllo dei prezzi per assicurare la parità di trattamento degli operatori che non effettuano gli investimenti in NGAN, al fine di garantire un assetto di mercato durevolmente concorrenziale. In particolare, il regolatore potrà manovrare i prezzi all’ingrosso dei diversi servizi di accesso, in quanto gli investimenti degli operatori dipenderanno dai prezzi assoluti e relativi dei diversi servizi di accesso alla rete a banda larga e alla rete tradizionale. Il regolatore dovrà definire un sistema dei prezzi bilanciato, tale per cui il livello del prezzo di ciascun servizio soddisfi le esigenze di promuovere gli investimenti nelle reti NGAN e, al tempo stesso, di tutelare gli investimenti realizzati dagli operatori concorrenti.

Nell’ambito del controllo dei prezzi, sarà dirimente la determinazione di un’equa e ragionevole remunerazione del capitale investito. Infatti, il rischio derivante dagli investimenti in NGAN è incorporato nel tasso di redditività del capitale impiegato, riconosciuto dal regolatore all’operatore dominante. In tale contesto, il regolatore dispone di due opzioni: a) consentire il recupero di un unico tasso di remunerazione del capitale investito; b) riconoscere tassi di remunerazione differenziati a seconda del servizio wholesale offerto dal proprietario della rete.

L’imposizione di un unico tasso di remunerazione del capitale investito è una misura relativamente semplice da introdurre, ma appare difficile da stimare e vigilare. La stima del grado di rischio associato all’investimento in NGAN richiede un elevato numero di informazioni per il regolatore, strutturalmente in una posizione di asimmetria informativa rispetto all’impresa regolata. Allo stesso tempo, il rischio tende a variare nel tempo, con profili differenti per le diverse tranche dell’investimento. Infine, tale approccio non incentiva necessariamente gli investimenti efficienti, in quanto gli operatori potrebbero vedere garantito un tasso di redditività alto indipendentemente dalla qualità della rete realizzata.

Al fine di evitare le distorsioni che eventualmente potrebbero essere incorporate nel metodo sopra descritto, il regolatore può adottare un tasso di remunerazione del capitale investito differenziato a seconda del servizio prodotto – che tenga in considerazione il differente livello di rischio di ciascuna attività – e del periodo temporale in cui viene effettuato l’investimento. Naturalmente, il problema informativo cui si è fatto cenno permane, e risulta anzi esacerbato, in ragione delle maggiori informazioni necessarie per distinguere i diversi profili di rischio dei servizi regolamentati. Inoltre, l’adozione di tale opzione, anche se consente agli operatori un ritorno degli investimenti che riflette propriamente il grado di rischio assunto e incentiva la realizzazione di investimenti efficienti, aggrava il compito del regolatore nella misura in cui diventa più difficile costruire un sistema coerente dei prezzi relativi dell’accesso.

Promuovere la concorrenza

Lo sviluppo di reti a banda larga e di NGAN incide anche sulla seconda sfida che il policy maker è chiamato ad affrontare nei prossimi anni, ossia la riduzione progressiva della regolamentazione settoriale ex ante via via che si sviluppa la concorrenza sul mercato, con l’obiettivo finale di ricondurre il settore delle telecomunicazioni nell’alveo esclusivo della disciplina antitrust.

Il vigente impianto regolamentare del settore si basa sul presupposto che, in un mercato caratterizzato dal persistere di grandi differenze nel potere negoziale delle imprese e dal fatto che alcune di esse offrono i servizi finali avvalendosi dell’infrastruttura messa a disposizione da altre, sia opportuno stabilire un quadro di regole che garantisca il corretto funzionamento del mercato stesso. Il regolatore, quindi, ha assunto come un dato la struttura verticalmente integrata del mercato (in cui l’impresa che detiene l’infrastruttura dell’accesso – risorsa non duplicabile – è attiva anche nel mercato finale) e di conseguenza opera al fine di facilitare le negoziazioni tra gli operatori esistenti, garantendo agli operatori concorrenti l’accesso all’essential facility (porzione della rete tecnicamente o economicamente non duplicabile) dell’incumbent.

In Europa, in questi anni, è in corso un ampio dibattito – sia in sede comunitaria sia nei singoli Stati membri – circa l’opportunità di dare all’autorità di regolamentazione il potere di imporre forme di separazione verticale all’impresa che integra le attività di rete con le attività commerciali e dispone di un significativo potere di mercato. La Commissione europea, nell’ambito del processo di revisione del quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche attualmente in corso, ha proposto di dare tale potere alle autorità di regolamentazione del settore. A livello nazionale, si registra l’esperienza del Regno Unito, dove British Telecom (l’operatore storico) nel 2005 ha deciso – su pressione del regolatore – di costituire una società per la gestione della rete di accesso, Openreach, le cui attività sono soggette al controllo del regolatore britannico (Ofcom, Office of communications). Irlanda, Italia e Svezia rappresentano altri Paesi dove il dibattito in materia ha condotto i soggetti interessati, imprese e policy makers, alla formalizzazione di alcune ipotesi di intervento.

Il quadro di regole esistenti è ispirato ai principi del diritto della concorrenza. Le autorità nazionali di regolamentazione definiscono, innanzi tutto, i mercati rilevanti sulla base delle caratteristiche e della struttura del mercato nazionale delle comunicazioni elettroniche e, successivamente, analizzano i mercati così individuati al fine di verificarne l’effettivo grado di concorrenza. Qualora, in esito a tale analisi, un’impresa venga designata come detentrice di un significativo potere di mercato, l’autorità di regolamentazione impone alcuni obblighi con lo scopo di ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. Tali obblighi sono definiti in relazione alla natura dei potenziali problemi concorrenziali accertati, e devono essere proporzionati e giustificati alla luce degli obiettivi generali della regolamentazione.

L’obbligo di trasparenza in materia di termini e condizioni dell’accesso e dell’interconnessione, in particolare in materia di prezzi, consente di accelerare i negoziati e di evitare le controversie tra gli operatori, nonché di monitorare in modo più efficace l’applicazione dell’obbligo di non discriminazione. Quest’ultimo, d’altra parte, garantisce che l’operatore applichi, nei confronti di altre imprese, condizioni equivalenti in circostanze equivalenti, e fornisca a terzi servizi e informazioni garantendo condizioni e un livello di qualità identici a quelli che assicura per i propri servizi o per i servizi delle proprie società controllate o collegate. La separazione contabile, invece, garantisce la visibilità dei trasferimenti interni di prezzi e consente di verificare, se necessario, l’osservanza degli obblighi di non discriminazione. L’obbligo di consentire l’accesso all’infrastruttura di rete può essere giustificato quando l’eventuale rifiuto ostacolerebbe l’emergere di una concorrenza sostenibile sul mercato al dettaglio o sarebbe contrario agli interessi dell’utente finale. Il controllo dei prezzi, infine, risulta necessario quando l’operatore, in assenza di regolamentazione, avrebbe modo di fissare prezzi eccessivi oppure di praticare sussidi incrociati, fissando prezzi ingiustificatamente elevati per i servizi di accesso e sovvenzionando così il prezzo di altri servizi offerti in concorrenza con altre imprese.

Le analisi di impatto della regolamentazione stanno dimostrando come gli obblighi imposti a valle delle analisi di mercato risultino alquanto efficaci nell’indirizzare i potenziali comportamenti anticoncorrenziali sui prezzi e come, al contrario, non sempre riescano ad affrontare, in modo efficace, i comportamenti strategici e discriminatori adottati dagli incumbents nella fissazione delle condizioni tecniche di fornitura dei servizi all’ingrosso. In particolare, in diversi Paesi è stato registrato un aumento dei casi di contenzioso tra gli incumbents e gli operatori concorrenti, con il ricorso sempre più frequente alla giustizia amministrativa, oppure lo scarso successo di alcuni prodotti wholesale, imputabile a comportamenti dilatori (foot-dragging) dell’incumbent all’atto della fornitura del servizio. Altri comportamenti anticoncorrenziali riscontrati attengono le condizioni di fornitura degli input: tempi di fornitura (provisioning) e standard qualitativi discriminatori rispetto a quelli riconosciuti alle proprie divisioni commerciali; aggregazione non giustificata di servizi/prestazioni (tying), che impone al concorrente di acquistare prestazioni non necessarie, con conseguente indebito aumento dei costi; configurazioni tecniche che limitano la capacità di differenziazione dei prodotti finali da parte delle imprese concorrenti; scambio di informazioni tra le unità organizzative preposte alla gestione della rete e le unità organizzative commerciali.

Il riconoscimento del permanere di problemi concorrenziali – strutturali, duraturi e concentrati nelle condizioni tecniche e commerciali di fornitura dei servizi wholesale – ha suggerito l’ipotesi di intervenire sulla struttura del mercato al fine di imporre la separazione verticale dell’incumbent, vale a dire la separazione tra le attività di gestione dell’infrastruttura dell’accesso e le attività di commercializzazione dei servizi ai clienti finali, mercati ritenuti (potenzialmente) concorrenziali. La separazione verticale dell’impresa ridurrebbe, per il monopolista, gli incentivi ad attuare comportamenti discriminatori che distorcono i mercati a valle. Tuttavia, la separazione verticale nel mercato potrebbe imporre alle imprese, in precedenza integrate, inefficienze produttive in presenza di economie di scopo e di varietà. Inoltre, l’imposizione di una forma di separazione tra le attività retail e wholesale e, all’interno di queste ultime, tra accesso e trasporto, potrebbe costituire un disincentivo a investire per la manutenzione, la sostituzione e il rinnovo degli elementi di rete. Infatti, il coordinamento tra le diverse attività svolte da un’impresa, verticalmente e orizzontalmente integrata, può risultare determinante nelle decisioni di investimento dell’operatore (Cave, Doyle 2007). Pertanto il policy maker, nel decidere circa l’eventuale separazione delle attività dell’impresa integrata verticalmente, dovrà contemperare due esigenze contrapposte: da un lato, ridurre al minimo gli incentivi, per l’impresa dominante, a praticare comportamenti anticompetitivi nella fornitura dei servizi intermedi agli altri operatori, suoi concorrenti nei mercati finali; dall’altro lato, promuovere gli investimenti dell’operatore nelle reti e nei servizi di comunicazione elettronica (e in particolare, nell’attuale contesto di mercato, per la realizzazione della NGAN).

L’eventuale intervento, che dipende necessariamente dalle specifiche circostanze nazionali, implica un triplice ordine di decisioni di natura giuridica, tecnica ed economica. Sotto il profilo giuridico, la separazione delle attività può avvenire in base a una decisione coercitiva del regolatore, oppure sulla base di impegni volontariamente presentati dall’impresa. Quest’ultimo caso presenta vantaggi sia per l’impresa, che contratta le modalità tecniche di separazione delle attività, sia per il regolatore, che acquisisce informazioni nel processo di interlocuzione precedente la decisione di adozione degli impegni vincolanti, colmando almeno in parte il deficit informativo.

Sotto il profilo tecnico, la separazione può intervenire a diversi livelli di rete. Tipicamente, i servizi di telecomunicazioni si compongono, come visto, di tre aree di servizi: le attività retail di vendita agli utenti finali, le attività della rete di accesso e le attività della rete di trasporto. Il perimetro della separazione sarà influenzato essenzialmente dall’identificazione dei cespiti e dei servizi associati che possono costituire un’essential facility non duplicabile nel medio periodo. La valutazione circa l’esatta individuazione del perimetro delle attività oggetto di separazione è, ovviamente, influenzata dalle tecnologie di cui dispone l’incumbent e dall’architettura di rete che intende realizzare.

Sotto il profilo economico, una volta individuato il perimetro delle attività da scorporare, la separazione può incidere in diverso modo sui processi produttivi dell’impresa verticalmente integrata. Martin Cave (2006) propone sei gradi di separazione, oltre quello della separazione contabile (con la produzione di bilanci separati per le diverse attività), ordinati in base al crescente grado di invasività delle misure: a) creazione di una divisione wholesale, che dispone di personale e management dedicato; b) separazione virtuale, che incide sul perimetro delle attività svolte dalle diverse divisioni dell’impresa; c) la business separation, che modifica anche i sistemi informativi e incide sulle modalità di fornitura dei servizi; d) separazione funzionale con incentivi specifici e/o separazione degli organi decisionali, che prevede un sistema di premi e incentivi per l’intero personale distinto da quello previsto per le altre divisioni; e) separazione societaria, che implica la costituzione di una società, con un proprio statuto; f) separazione proprietaria, che impone la vendita dei cespiti e delle attività a soggetti terzi.

In sintesi, l’intervento sulla struttura di mercato viene visto come un’opportunità per conseguire contemporaneamente diversi obiettivi. In primis, l’introduzione di forme di separazione verticale renderebbe più efficace la regolamentazione nei mercati che hanno dimostrato, nel tempo, ostacoli strutturali allo sviluppo di una concorrenza effettiva e duratura. Al contempo, si ritiene che un quadro più stringente della regolamentazione dell’essential facility consentirebbe di allentare i vincoli regolamentari sia nei mercati retail, anche in virtù del loro crescente grado di concorrenza, sia nei mercati wholesale, in quanto l’entità separata avrebbe minori incentivi ad attuare comportamenti che discriminano tra i diversi acquirenti dei servizi di accesso. Tuttavia, i benefici derivanti dall’eventuale intervento vanno confrontati, nelle specifiche circostanze nazionali, con i costi di realizzazione della decisione, tra i quali assumono particolare rilievo gli effetti che tale scelta avrebbe sull’efficienza produttiva e sulle decisioni di investimento dell’impresa destinataria del provvedimento.

Investimenti pubblici per infrastrutture

Il settore pubblico, oltre ad adottare misure volte a incentivare le imprese private a realizzare infrastrutture di rete e a ridurre l’entità della regolamentazione ex ante, può intraprendere iniziative per finanziare direttamente lo sviluppo di reti e servizi a banda larga.

I progetti in questione sono adottati sia dai governi nazionali sia dalle amministrazioni locali. A titolo di esempio, si menzionano alcuni dei casi più recenti, quali i progetti nazionali o regionali predisposti in Grecia e in Galles, e i programmi varati dalle amministrazioni delle città di Amsterdam (Paesi Bassi) e Praga (Repubblica Ceca) e della contea del North Yorkshire (Inghilterra); tra le iniziative avviate in Italia, si considerino quelle promosse dalle Regioni Piemonte, Veneto, Toscana, Sardegna e Trentino-Alto Adige.

La principale motivazione dell’intervento pubblico diretto è rinvenibile nella necessità di colmare il divario digitale (digital divide). Il digital divide indica i vantaggi di cui beneficiano i cittadini e le imprese che dispongono di servizi a banda larga rispetto ai soggetti che ne sono sprovvisti. La manifestazione del fenomeno dipende da varie ragioni, di ordine economico (date sia dal livello dei prezzi sia dal rapporto costi-benefici connesso alla disponibilità dei servizi), sociale (differente grado di istruzione e di alfabetizzazione informatica) e tecnico (assenza di infrastrutture nell’area di residenza o di lavoro).

La rimozione o, in subordine, la riduzione degli ostacoli che si frappongono alla diffusione dei servizi a banda larga sono perseguite con politiche che agiscono sui lati della domanda e dell’offerta di tali servizi. In particolare, al fine di rimuovere le ragioni sociali che presiedono al fenomeno del digital divide, il settore pubblico interviene con politiche volte a fornire ai cittadini le capacità di base per utilizzare autonomamente i principali strumenti informatici. I finanziamenti per l’acquisto dei personal computer, dei modem e di altri apparati, oppure i contributi alle famiglie meno abbienti per il pagamento dei canoni di abbonamento ai servizi a banda larga, perseguono l’obiettivo di riduzione dei costi per l’utente finale, mentre l’ampliamento dei servizi web offerti dalla pubblica amministrazione ai cittadini e alle imprese accresce i benefici derivanti dalla sottoscrizione dell’abbonamento. Infine, l’intervento pubblico può agire sul lato dell’offerta al fine di assicurare che le reti a banda larga garantiscano la copertura dell’intero territorio nazionale, rimuovendo così le ragioni tecniche sottostanti il digital divide.

L’intervento pubblico diretto per la realizzazione di reti a banda larga, tuttavia, potrebbe interferire con l’impianto regolamentare vigente, finalizzato all’affermazione di un mercato aperto e competitivo. Gli spazi di intervento pubblico risultano pertanto ridotti, se si vuole salvaguardare la coerenza del sistema normativo adottato. In questo quadro, le iniziative pubbliche volte a finanziare l’installazione di nuove reti di telecomunicazione, sebbene siano in linea con gli obiettivi generali di rendere la banda larga un motore cruciale al fine di stimolare la crescita economica e di colmare il digital divide, pongono inevitabilmente alcune questioni: quali investimenti sono compatibili con i meccanismi competitivi di un libero mercato e, in particolare, quando risulta giustificabile il sostegno pubblico? Tali domande hanno risposte diverse che dipendono dalla natura del progetto finanziato e dai criteri utilizzati per misurarne il relativo impatto sui meccanismi di funzionamento del mercato.

I progetti pubblici, nella loro variabilità, possono essere classificati a seconda dell’area territoriale su cui vanno a incidere e delle finalità perseguite con l’investimento che viene finanziato.

Le aree di un Paese, sulle quali insistono i progetti pubblici, possono essere classificate in funzione della capacità delle imprese di autofinanziare gli investimenti in reti a banda larga alle vigenti condizioni del mercato. In particolare, i progetti pubblici possono essere volti a garantire la disponibilità di servizi a banda larga nelle aree rurali e scarsamente popolate, dove non sono presenti infrastrutture, in quanto la loro realizzazione non risulta economicamente profittevole (aree bianche). Il finanziamento pubblico può interessare, inoltre, zone dove sono già disponibili servizi a banda larga, ma sulla base di tecnologie che non consentono elevate velocità di trasmissione del segnale (aree grigie): in questo caso risulta necessaria la sostituzione degli apparati e dei portanti trasmissivi, nonché la realizzazione di nuove opere civili. Infine, i finanziamenti pubblici possono essere destinati alla realizzazione di infrastrutture laddove sono già disponibili servizi a banda larga forniti agli utenti finali da imprese di telecomunicazione (aree nere).

I progetti pubblici possono essere finalizzati esclusivamente alla costruzione delle infrastrutture oppure anche alla fornitura di servizi agli utenti finali. Nella prima ipotesi, le autorità pubbliche supportano la creazione di infrastrutture (per es., cavidotti, siti di colocazione per gli operatori) che sono messe a disposizione degli operatori attraverso procedure aperte, a condizioni non discriminatorie. Generalmente, le infrastrutture restano di proprietà dello Stato, che le assegna a un’impresa indipendente la quale gestisce unicamente l’accesso all’ingrosso e non offre servizi agli utenti finali. Nel caso di progetti volti alla fornitura di servizi agli utenti finali, invece, l’impresa che ottiene in gestione l’infrastruttura dovrà fornire i servizi di accesso alle imprese concorrenti e, contemporaneamente, agli utenti finali. Usualmente, l’infrastruttura è di proprietà dell’impresa selezionata.

In generale, il policy maker dovrà valutare l’opportunità dell’intervento sulla base degli effetti che le opere finanziate sono destinate a produrre nel sistema economico e nei mercati delle telecomunicazioni, verificando la capacità del progetto di ridurre gli ostacoli strutturali affrontati dagli operatori e, al contempo, di mantenere gli incentivi agli investimenti dei soggetti economici privati. In definitiva, l’intervento pubblico non deve alterare i meccanismi di funzionamento del mercato e, di conseguenza, deve essere in linea con uno dei seguenti criteri.

Innanzi tutto, i progetti non distorcono la concorrenza se le autorità intervengono nel mercato alle stesse condizioni che fronteggerebbe un investitore privato. Questo caso è comunque piuttosto raro, in quanto le autorità pubbliche generalmente intervengono al fine di superare un fallimento del mercato che comporta una mancata produzione (o una insufficiente quantità) del servizio. Nonostante ciò, il progetto potrebbe essere capace di generare nel tempo un ammontare di ricavi sufficienti a coprire l’investimento e produrre una congrua remunerazione del capitale investito.

La realizzazione di una rete a banda larga potrebbe essere giustificata come investimento volto alla realizzazione di un’infrastruttura di interesse generale per il Paese. Tale principio – che si fonda sul presupposto che il mercato non sia capace di produrre il bene – va interpretato, tuttavia, in modo stringente, e difficilmente può essere applicato ai finanziamenti per la costruzione delle reti di telecomunicazioni: tali progetti, generalmente, consentono l’individuazione di precise categorie di soggetti (in particolare le imprese) che beneficiano della realizzazione dell’opera; e il mercato registra, seppure non sempre in misura sufficiente, investimenti da parte dei soggetti privati.

Il progetto non contrasta con l’approccio regolamentare vigente se finanzia la produzione di servizi di interesse economico generale. La qualificazione del progetto, nell’ambito dei servizi di interesse economico generale, richiede che esso sia definito in modo tale da non risultare in contrasto con la disciplina di settore (e, in particolare, con i principi in vigore per la fornitura del servizio universale), da avere un interesse che va oltre il funzionamento del settore delle telecomunicazioni (e, in tal senso, occorre dimostrare che il progetto stimola la crescita e la competizione anche di altri settori) e da rappresentare il rimedio a un accertato fallimento del mercato (e, in tal senso, risulta cruciale circoscrivere l’ambito territoriale del progetto alle zone bianche o, al più, a quelle grigie).

In ultimo, il progetto potrebbe essere ammissibile se l’intervento dello Stato fosse giustificato, in termini di riconosciuti obiettivi o come rimedio di uno specifico fallimento di mercato accertato, proporzionato agli obiettivi perseguiti e a condizione che l’intervento medesimo abbia un effetto netto positivo sul benessere sociale e sulla concorrenza.

È evidente, comunque, che la valutazione relativa alla conformità dell’intervento pubblico ai corretti meccanismi di funzionamento del mercato deve avvenire caso per caso. Esaminando le decisioni della Commissione europea in merito a casi di aiuti di Stato, è stato osservato (Hencsey, Reymond, Riedl et al. 2005) che i progetti con minori probabilità di distorcere i meccanismi concorrenziali sono quelli che prevedono l’assegnazione dei diritti d’uso per mezzo di una procedura aperta, che impongono alle imprese assegnatarie del finanziamento di concludere accordi di accesso con le imprese concorrenti che ne facciano richiesta e che interessano aree in cui non sono già disponibili reti a banda larga (aree bianche e grigie). Al contrario, gli interventi che incentivano la fornitura di servizi agli utenti finali, sebbene siano generalmente finalizzati a sostenere la rapida costruzione di reti a banda larga in regioni prive di copertura e richiedano tempi più brevi rispetto a quelli solitamente previsti per la costruzione di infrastrutture, implicano spesso l’esistenza di sussidi per la fornitura dei servizi agli utenti finali i quali tendono ad avvantaggiare l’operatore che beneficia del finanziamento.

Prospettive

Nel prossimo decennio il settore delle telecomunicazioni è destinato a vivere una profonda trasformazione, sotto la spinta rapida e incessante delle innovazioni tecnologiche. In questo processo evolutivo, il policy maker è chiamato ad anticipare i nuovi scenari economici e tecnici, al fine di assicurare un sistema di norme completo e pienamente idoneo a promuovere la concorrenza: l’assetto che il settore assumerà alla fine del processo dipende dalle scelte e dalle strategie che verranno adottate dal policy maker.

Il settore pubblico ha di fronte una duplice sfida. Le autorità nazionali dovranno stimolare la realizzazione di reti per la fornitura di servizi a larga banda e di reti di nuova generazione, al fine di consentire lo sviluppo della società dell’informazione, della e-economy e, in ultima istanza, allo scopo di favorire la modernizzazione della società e la crescita dell’economia. Parallelamente, le autorità nazionali del settore do­vranno perseguire l’obiettivo di ricondurre il settore delle telecomunicazioni nell’alveo esclusivo della disciplina antitrust: a tale scopo, dovrà essere progressivamente ridotta la regolamentazione settoriale ex ante via via che si sviluppa un mercato aperto e competitivo per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.

A fronte di tali sfide, le scelte che il policy maker dovrà compiere attengono, innanzitutto, all’individuazione delle modalità più adeguate per promuovere gli investimenti privati per la realizzazione di reti a banda larga e le reti di telecomunicazione di nuova generazione. Nel passaggio alle reti di nuova generazione, il policy maker dovrà bilanciare l’esigenza di promuovere lo sviluppo di reti e servizi a banda larga con la necessità di assicurare agli utenti il massimo beneficio sul piano della scelta, del prezzo e della qualità e, al contempo, garantire agli operatori che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza. Gli strumenti a disposizione sono diversi: la regulatory holiday, il controllo dei prezzi e il controllo delle condizioni tecniche di fornitura dei servizi wholesale.

La riduzione progressiva della regolamentazione settoriale ex ante potrebbe richiedere un’innovazione nell’impianto regolamentare. Finora, il regolatore ha assunto come un dato la struttura verticalmente integrata dei mercati delle comunicazioni elettroniche e, di conseguenza, ha operato al fine di facilitare le negoziazioni tra gli operatori esistenti, garantendo l’accesso all’essential facility agli operatori concorrenti dell’incumbent. Il riconoscimento del perdurare di problemi concorrenziali ha posto l’ipotesi di intervenire sulla struttura del mercato per imporre la separazione verticale dell’incumbent. Un quadro più stringente della regolamentazione dell’essential facility potrebbe consentire di allentare i vincoli regolamentari sia nei mercati retail, anche in virtù del loro crescente grado di concorrenza, sia nei mercati wholesale, in quanto l’entità separata e indipendente avrebbe minori incentivi ad attuare comportamenti discriminanti tra i vari acquirenti dei servizi di accesso. Tuttavia, il policy maker, nel valutare l’opportunità dell’intervento, terrà altresì in considerazione l’esigenza di promuovere gli investimenti dell’operatore nelle reti e nei servizi di comunicazione elettronica. L’eventuale intervento implica tre categorie di decisioni, di natura giuridica (coercitiva o sulla base di accordi volontari), tecnica (volta a stabilire il perimetro delle attività svolte dalla nuova entità separata) ed economica (relativa al grado di intervento sui processi produttivi).

Infine, il settore pubblico, oltre ad adottare misure volte a incentivare le imprese private a realizzare infrastrutture di rete e a ridurre la regolamentazione settoriale ex ante, è chiamato a decidere se intraprendere iniziative volte a finanziare direttamente lo sviluppo di reti e servizi a banda larga, compatibilmente con l’impianto regolamentare vigente, finalizzato all’affermazione di un mercato aperto e competitivo. Pertanto l’opportunità del finanziamento pubblico andrà valutata sulla base dei presumibili effetti che il progetto finanziato produrrà nel sistema economico e nei mercati delle telecomunicazioni, verificando la capacità del progetto medesimo di ridurre le barriere per l’insieme degli operatori che forniscono servizi agli utenti finali, di consentire l’accesso alla rete a parità di condizioni e di mantenere gli incentivi agli investimenti dei soggetti economici privati.

Le sfide e le strategie descritte ruotano intorno alla questione della costruzione delle reti a banda larga e di nuova generazione. Nuove questioni regolamentari si imporranno con l’avvento delle reti di nuova generazione. Di seguito se ne segnalano tre.

Innanzi tutto, gli operatori proporranno, in misura sempre crescente, offerte congiunte di servizi voce, video e Internet (triple play) e, in virtù della diffusione dei servizi a banda larga sulle reti mobili, tali operatori tenderanno a includere nei pacchetti i servizi mobili (quadruple play). L’affermazione di operatori convergenti richiederà necessariamente una revisione degli interventi regolamentari, finalizzati a garantire pari condizioni di partenza agli operatori, indipendentemente dal settore – telecomunicazioni, Internet o televisione – di provenienza.

Strettamente legato al processo di convergenza è il dibattito sulla net neutrality. Gli operatori che gestiranno la NGAN saranno sempre più incentivati a praticare condizioni economiche differenziate a seconda del contenuto trasportato sulla rete, specialmente nel momento in cui vengono garantiti diversi livelli di qualità del servizio e di distribuzione del segnale (per es., distinguendo tra servizi Internet, telefonia e televisione). D’altro canto, viene osservato come tale pratica si baserebbe sulla creazione di una rete Internet a più livelli di qualità, superando l’impostazione originaria di Internet che escludeva restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi. In particolare, i sostenitori della necessità di mantenere un unico livello qualitativo temono un progressivo deterioramento della qualità del servizio per gli utenti aventi una minore capacità di spesa. La regolamentazione sarà quindi chiamata a disciplinare le possibili forme di discriminazione in un ambiente multimercato.

Un ultimo tema che richiederà nuove forme di re­golamentazione è rappresentato dagli obblighi di servizio universale. Tali obblighi – relativi a un insieme minimo di servizi di una qualità determinata che devono essere disponibili a tutti gli utenti, a prescindere dalla loro ubicazione geografica, e offerti a un prezzo accessibile – sono declinati, attualmente, con riferimento esclusivo alla telefonia vocale. Tuttavia, la crescente importanza dei servizi a banda larga imporrà al policy maker di valutare l’opportunità di includere anche questi ultimi nel servizio universale.

Bibliografia

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Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni – i2010: una società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione, Bruxelles 2005.

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