Stress

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Stress

Francesca Cirulli
Seymour Levine

Lo stress è una risposta del sistema nervoso centrale (SNC) a stimoli che rappresentano incertezza. Le reazioni allo stress sono regolate dal SNC e possono variare in base alle esperienze individuali e al patrimonio genetico. Sebbene vi sia una copiosa letteratura sulle conseguenze biologiche e psicologiche di una molteplicità di situazioni che sono state classificate come stress, tra gli addetti ai lavori non c'è ancora un accordo sulla definizione più calzante per questo concetto. In molte occasioni ciò ha fatto sì che si abbandonasse il problema della definizione, focalizzandosi sulle specifiche risposte psicobiologiche a un determinato stimolo. I problemi legati alla necessità di definire lo stress diventano chiari quando si esamina l'evoluzione del concetto. Nella sua famosa descrizione della risposta allo stress come flight-fight (fuga-combattimento), Walter E. Cannon dimostrò l'importanza della secrezione di adrenalina e noradrenalina, ormoni del sistema nervoso simpatico, rilasciati l'uno dalla porzione midollare del surrene, l'altro dalle terminazioni simpatiche. Hans Selye fu l'autore (1956) della prima e ormai famosa serie di esperimenti che hanno portato alla formulazione di una solida interpretazione dello stress, la sindrome generale di adattamento. Egli descrisse una triade di risposte che implicava: il coinvolgimento del sistema endocrino, con un aumento nella secrezione di adrenocorticotropina (ACTH, Adrenocorticotropic hormone) dall'ipofisi e di corticosterone dalle ghiandole surrenali; un aumento nell'attività del sistema nervoso autonomo (SNA), che si manifestava nelle ulcerazioni dello stomaco; l'attivazione del sistema immunitario. Inoltre, secondo gli studi di Selye, queste risposte si manifestavano in maniera aspecifica in seguito a qualsiasi tipo di stimolazione, indipendentemente dalla natura dello stimolo stesso.

Nel 1975 John W. Mason presentò una versione del concetto di stress, che era parzialmente in contrasto con la dottrina enunciata da Selye, in cui enfatizzava il ruolo cruciale dei processi psicologici messi in atto nelle reazioni emotive o di attivazione a seguito di eventi pericolosi o spiacevoli che si possono manifestare nella vita quotidiana. Egli riteneva che le risposte endocrine aspecifiche allo stress fossero dovute alla componente emozionale derivante dal subire stimoli stressogeni. Perciò la risposta non specifica descritta da Selye è principalmente di natura comportamentale o psicologica e i processi interpretativi alla base delle risposte fisiologiche aspecifiche probabilmente coinvolgono un livello di funzionalità del SNC più elevato di quanto non fosse stato in precedenza supposto. Oggi sappiamo che la componente endocrina della risposta allo stress, l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, rappresenta un indicatore sensibile dello stato di allerta dell'organismo e che perciò la sua risposta riflette un'aumentata attivazione emozionale. In passato lo stress è stato definito come lo 'stimolo' (input), la 'risposta' (output) oppure qualche variabile intermedia, mentre attualmente esso si può descrivere come formato da tre componenti: uno stimolo (lo stressor), l'elaborazione dello stimolo stesso da parte del cervello (lo stress) e il risultato dell'elaborazione (la risposta allo stress).

Lo stimolo: lo stressor

fig. 2

L'elenco degli stimoli potenzialmente stressanti, definiti appunto stressor, include sia quelli fisici (per es., in animali di laboratorio, la simulazione di un intervento chirurgico, l'emorragia, lo shock elettrico, il rumore intenso, l'iniezione di sostanze tossiche), sia quelli puramente psicologici (per es., la frustrazione, la separazione tra madre e prole, la separazione da gruppi di cospecifici, un aumento nella quantità di lavoro, la perdita degli affetti). John W. Mason e Seymour Levine hanno affermato in diverse occasioni che l'elemento comune a tutti quegli stimoli definiti 'stressanti' è di natura psicologica o emozionale. Mason ha dimostrato che se uno stimolo termico viene presentato improvvisamente si ha un'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, mentre se il soggetto sperimentale viene esposto allo stesso aumento di temperatura in maniera graduale non si assiste ad alcuna risposta. Sulla base di questo e di altri studi egli ha concluso che la differenza tra questi risultati è la risposta emozionale associata all'improvviso cambiamento di condizioni ambientali. Nel tentativo di trovare fattori tramite i quali raggruppare i diversi stimoli che provocano una risposta allo stress, si può affermare che la loro caratteristica comune sia una mancanza di informazione (incertezza). L'incertezza potrebbe derivare sia dall'assenza totale di informazione, sia dall'incapacità di espletare un'azione richiesta, quale ricevere un rinforzo positivo o evitarne uno negativo (fig. 2). Anche l'assenza o la perdita di controllo e l'incapacità di predire le conseguenze di un'azione sono in grado di produrre un'incertezza che, elaborata dal cervello, mette in moto gli eventi neurobiologici che risultano nella risposta allo stress.

Da un punto di vista psicologico, si può ipotizzare che gli stimoli in grado di indurre stress rappresentino l'assenza di componenti critiche dell'ambiente che permettano all'organismo di ottenere un risultato positivo o di evitarne uno negativo. Perciò gli stimoli stressanti indicano la mancanza di qualcosa che viene ritenuta estremamente importante per l'organismo. Dunque, è possibile classificare gli stimoli stressanti non solo in termini di manifestazione di un evento, ma anche in termini di omissione o di assenza di componenti critiche dall'ambiente. Molti stimoli stressanti possono essere descritti in questo modo, per esempio la frustrazione, la perdita della madre, la separazione dai cospecifici, la perdita del lavoro, e così via. Noi proponiamo l'ipotesi secondo cui in tutti gli eventi psicologici che vengono visti come stress, sarebbe insita l'omissione o l'assenza di informazione critica (incertezza) che mette in atto una cascata di risposte regolate dal cervello.

fig. 3

Gli studi di Jay M. Weiss (1972) sul comportamento di coping (fronteggiamento) hanno dimostrato come una risposta fisiologica (ulcera allo stomaco) a uno stimolo fisico ben definito quale lo shock elettrico può essere modificata se si permette all'animale di esercitare qualche forma di controllo o di previsione su di esso. Un gruppo di animali sperimentali poteva porre fine allo shock eseguendo l'appropriata risposta operante, mentre un altro gruppo di soggetti sperimentali riceveva la stessa stimolazione con lo shock, ma non poteva mettere fine allo stimolo. I soggetti di un ulteriore gruppo sperimentale venivano posti nell'apparecchiatura senza ricevere alcuno shock (fig. 3). I risultati di questi studi hanno dimostrato che gli animali che non avevano avuto la possibilità di porre fine allo shock presentavano le ulcerazioni più evidenti, nonostante fossero stati sottoposti a una stimolazione di intensità simile a quella degli altri gruppi sperimentali. In esperimenti successivi Weiss presentò agli animali un segnale sonoro che precedeva, perciò predicendolo, l'inizio dello shock. Se confrontati con soggetti non esposti allo stimolo uditivo (non prevedibilità), quelli che avevano udito il segnale presentavano un numero minore di ulcere. Inoltre, egli dimostrò che anche un segnale presentato successivamente a una risposta operante positiva era in grado di prevenire, almeno in parte, le ulcerazioni allo stomaco (feedback).

Possiamo ipotizzare che i processi cognitivi e comportamentali che riducono l'incertezza determinino la diminuzione o l'eliminazione di una o più risposte fisiologiche a un evento stressante. Il controllo fornisce all'organismo la capacità di eliminare, o almeno regolare, la durata e l'intensità dello stimolo. La prevedibilità, per definizione, dovrebbe avere lo scopo di ridurre l'incertezza. Anche il feedback può ridurre l'incertezza, poiché fornisce informazioni sull'efficacia e sul successo della risposta. Tali modificazioni della risposta allo stress risultanti da una, o da una combinazione, delle variabili esaminate rappresenterebbero, secondo questo approccio, il coping. Forse il più potente dei meccanismi che costituiscono il coping è il controllo. Sebbene negli esperimenti originali la variabile dipendente fosse rappresentata dalle ulcere allo stomaco, si è visto che altri sistemi fisiologici sono influenzati dal concetto di controllo. Questi includono il sistema nervoso autonomo, i processi neurochimici, le risposte neuroendocrine e nervose. Inoltre, gli effetti del controllo sono stati dimostrati in numerose specie di Mammiferi quali ratti, cani, Primati non umani e nell'uomo.

Richard S. Lazarus e Susan Folkman nel 1984 hanno ulteriormente definito il coping come il complesso dei tentativi di risolvere un problema messi in atto da un individuo quando le richieste che gli vengono sottoposte sono molto importanti per la sua esistenza, come in una situazione di estremo pericolo o in una particolarmente favorevole, e quando queste richieste attingono alle sue risorse adattative. Tale definizione implica molti concetti. In primo luogo, enfatizza l'importanza nel coping del contesto emozionale; in secondo luogo, permette l'inclusione sia del lato negativo (o stress) delle emozioni, sia del loro lato positivo come potenziale mezzo di realizzazione o gratificazione. Infine, dà risalto a quelle prove che non sono di routine o automatizzate, cioè quelle dagli esiti incerti e che approssimano ai limiti le capacità adattative individuali. Ciò che appare chiaro dalla definizione di coping proposta da Lazarus è che alcuni processi di coping possono aumentare il rischio di assumere un comportamento non adattativo, mentre altri potrebbero migliorare l'adattamento e ridurre il rischio di esiti negativi. Perciò questa definizione di coping contempla la possibilità di adottare sia le strategie di coping efficaci, sia quelle che non lo sono. Al contrario, secondo la teoria proposta da Weiss non può esservi un coping inefficace: il coping è infatti definito come una risposta con esito positivo che si basa per lo più sulla riduzione degli indici patologici o fisiologici.

Elaborazione dello stimolo: lo stress

L'elaborazione di un evento come incerto dipende anche dalle esperienze maturate in precedenza. Inoltre, per determinare se una situazione si presenta come incerta, l'organismo ha bisogno di un comparatore: l'unico capace di questa funzione è il sistema nervoso centrale (SNC). L'attivazione fisiologica in risposta all'incertezza è una delle componenti centrali del modello presentato da Evgenij N. Sokolov (1960). Sebbene il modello di Sokolov fosse un tentativo di spiegare il processo di abituazione, una sua interpretazione più ampia potrebbe anche spiegare perché l'incertezza determini le risposte solitamente associate allo stress. Quando il soggetto sperimentale viene esposto a uno stimolo improvviso, ne consegue una risposta di orientamento. Se lo stimolo viene presentato frequentemente, la maggior parte di queste reazioni diminuisce in modo graduale per poi scomparire del tutto.

Il modello di Sokolov si basa su un comparatore in cui stimoli o situazioni nuove vengono confrontati dal SNC con una rappresentazione di eventi precedenti. Questo processo di comparazione genera aspettative. La violazione di tali aspettative porta a una risposta di attivazione (stress). Perciò l'incertezza può essere vista come violazione di un'aspettativa. Secondo questa prospettiva, la valutazione degli stimoli in entrata da parte dell'individuo è cruciale per determinare se essi provocheranno o meno una risposta di stress. La valutazione dello stimolo dipende dall'attività del SNC, dove l'informazione in entrata viene posta a confronto con quella precedentemente immagazzinata. Questi confronti possono essere considerati come l'aspettativa.

Robert C. Bolles, nel 1972, ha ipotizzato che vi siano diversi tipi di aspettative. Sono, nell'ordine, aspettative rispetto allo stimolo e rispetto all'esito della risposta. Le aspettative rispetto allo stimolo hanno a che vedere con l'immagazzinamento di informazioni sulle relazioni temporali tra stimoli (si veda il condizionamento classico). Le aspettative rispetto all'esito della risposta derivano dall'apprendimento delle conseguenze di specifiche azioni. Tali aspettative riguardano gli esiti della risposta e sono in relazione con il condizionamento strumentale. Poiché il coping può essere inquadrato nel contesto delle aspettative sugli esiti della risposta, esso è il risultato di un processo di apprendimento. Un essere vivente si aspetta che l'esito sia positivo con un alto livello di probabilità, e questa aspettativa riduce nell'individuo la sua risposta allo stress.

L'ottenimento di esiti di risposta positivi dipende da alcuni meccanismi di coping descritti precedentemente: il controllo e la capacità di agire attivamente in presenza di stimoli positivi o negativi e di imparare le conseguenze di tali atti. Se la risposta ha un esito positivo, come ottenere un rinforzo positivo o essere in grado di sfuggire o di evitare un evento fastidioso, il cervello immagazzinerà quest'informazione come un'aspettativa dell'esito positivo. Per questo tipo di apprendimento è necessario non solo che tali eventi positivi accadano, ma anche che il cervello sia capace di codificare questi risultati. L'incapacità di coping e, di conseguenza, l'incapacità di registrare gli esiti positivi di una risposta, portano ad alti livelli di stress. Lo stabilirsi di risposte con esito positivo riduce l'attivazione fisiologica sia nell'uomo sia nell'animale. Perciò eventi puramente psicologici, quali l'assenza di informazione (novità), il non essere all'altezza delle aspettative, o l'omissione (frustrazione) di un rinforzo positivo precedentemente atteso, sembrano essere elementi critici in grado di provocare stress.

Differenze individuali

Esistono notevoli differenze individuali nel modo di elaborare uno stesso stressor da parte di individui differenti. È stato, infatti, ampiamente documentato che, a parte il background genetico, le esperienze precoci (prenatali e postnatali) possono modificare in maniera permanente la struttura e la funzionalità cerebrale. Il paradigma sperimentale più utilizzato in questo ambito è stato quello chiamato 'manipolazione precoce' di neonati di cavie da laboratorio, che consiste semplicemente in un breve periodo di separazione dalla madre. È stato dimostrato come tale procedura modifichi gli esiti dell'esposizione allo stress nel soggetto adulto. Le risposte comportamentali, endocrine, neurochimiche e immunologiche a stimoli identici risultano molto diverse in adulti manipolati precocemente. In generale, gli effetti della manipolazione precoce si riflettono in una diminuzione generalizzata nella risposta allo stress. Recentemente si è appurato che altre forme di esperienze precoci producono soggetti adulti con una risposta allo stress molto marcata. Lunghi periodi di separazione materna (tre ore giornaliere, dal secondo al quattordicesimo giorno postnatale) sono un esempio di manipolazione che determina nel soggetto adulto una risposta allo stress accentuata, sia dal punto di vista comportamentale sia endocrino.

Anche le esperienze avute in età adulta possono causare modificazioni a lungo termine del SNC. Al contrario delle esperienze precoci, questi cambiamenti sembrerebbero essere reversibili. L'esposizione a uno shock inevitabile e non anticipabile, per esempio, fa sì che il soggetto diventi iperreattivo agli stimoli e presenti risposte esagerate. Tali risposte non sembrano dipendere dal tipo di paradigma sperimentale e possono essere generalizzate a numerosi stimoli. Un esempio degli effetti dell'esposizione a stimoli avversivi non anticipabili e incontrollabili è il fenomeno della learned helplessness (impotenza appresa), un precursore della depressione clinica nelle persone. Le differenze individuali nella risposta allo stress possono anche dipendere dal contesto in cui viene presentato lo stimolo capace di indurlo. Nell'uomo è stato dimostrato che la presenza di un supporto sociale aumenta la capacità di sostenre alcuni eventi stressanti; effetti simili sono stati dimostrati anche nei Primati non umani che vivono in strutture sociali complesse.

La risposta allo stress

La risposta allo stress dipende dal modo in cui il cervello percepisce gli stimoli come stressor e attiva specifici sistemi neuronali, endocrini, immunitari e comportamentali che portano a una cascata di risposte. Nella situazione più comune, quando sperimenta eventi stressogeni, l'organismo mette in atto una serie di risposte coordinate e sincrone. Nella maggior parte dei casi, il ricercatore concentrerà la propria attenzione sul sistema che ritiene essere il più interessante e che ha mostrato di essere un indicatore affidabile dello stress. L'intero sistema nervoso è coinvolto nella regolazione delle risposte.

Per fare solo alcuni esempi, i neuropeptidi, che rivestono un ruolo diretto nella regolazione del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene, hanno anche la capacità di influenzare il sistema nervoso autonomo e il comportamento. Per esempio, i principali neurotrasmettitori della famiglia delle catecolammine rispondono tutti agli stessi stimoli, sia pure ognuno in un modo diverso. Molti di questi neurotrasmettitori sono coinvolti in maniera diretta nella regolazione della secrezione endocrina. Le relazioni reciproche tra i sistemi endocrino, autonomo e immunitario sono molto ben documentate, anche se permangono notevoli lacune. I maggiori sistemi fisiologici che sono stati utilizzati come indicatori di risposta allo stress sono il SNC, l'asse lobo limbico-ipotalamo-ipofisi-surrene e inoltre il sistema immunitario.

Il sistema nervoso autonomo

fig. 4

Il sistema nervoso autonomo (SNA) è uno dei primi sistemi fisiologici di cui è stato dimostrato il ruolo nella risposta allo stress: esso ha il compito di regolare molte delle risposte periferiche associate allo stress. Il cervello regola l'azione del SNA tramite proiezioni neuronali che dall'encefalo afferiscono al tronco dell'encefalo, al midollo spinale e infine agli organi periferici (fig. 4). Il SNA è suddiviso in due sistemi che sono apparentemente opposti: il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico. Il primo attiva molte delle risposte alle situazioni definite d'emergenza. Queste includono i cambiamenti nella frequenza cardiaca, un'aumentata sudorazione, variazioni nella conduttanza della pelle, un aumento della pressione sanguigna e della motilità gastrica, la secrezione di noradrenalina dalle terminazioni nervose simpatiche e di adrenalina dalla porzione midollare del surrene. Le risposte del SNA sono in gran parte involontarie, sebbene mediante l'impiego di una terapia comportamentale chiamata biofeedback (procedura di apprendimento del controllo volontario di risposte viscerali) sia possibile indurre qualche regolazione volontaria di questo sistema.

Le varie componenti del sistema nervoso simpatico vengono attivate per preparare il corpo a rispondere in modo appropriato alle emergenze reali o percepite come tali. Esse sono coinvolte nella reazione di combattimento-fuga. Poiché queste reazioni vengono regolate da connessioni neuronali dirette, esse sono molto rapide. Alcune delle risposte di questo sistema utilizzano come mediatori chimici la noradrenalina e l'adrenalina. Poiché il rilascio di questi neurotrasmettitori dai nervi simpatici e dalla porzione midollare della ghiandola surrenale è anch'esso regolato da un'innervazione diretta, tale processo dev'essere molto veloce. Il sistema nervoso parasimpatico gioca in generale un ruolo opposto, mediando le attività vegetative. Per esempio, l'attivazione della componente parasimpatica del SNA subito dopo un pasto abbondante, determina uno stato di calma e di letargia. Le proiezioni simpatiche e parasimpatiche dall'encefalo raggiungono i loro specifici organi di innervazione e, una volta che sono state attivate, producono su di essi risultati opposti. Chiaramente l'attivazione simultanea di entrambi i rami del SNA sarebbe controproducente; si otterrebbe una situazione analoga a quella in cui si mettesse il piede contemporaneamente sull'acceleratore e sul freno. Affinché ciò non accada, le regioni cerebrali che attivano la componente simpatica durante lo stress allo stesso tempo inibiscono quella parasimpatica.

Il sistema endocrino

L'ipofisi, tradizionalmente considerata come la ghiandola principale, secerne la maggior parte degli ormoni peptidici che regolano la secrezione delle ghiandole periferiche. Questi ormoni ipofisari prendono il loro nome dagli organi bersaglio; per esempio, l'ormone di stimolazione tireotropo (TSH, Thyroid stimulating hormone) viene così chiamato perché la sua azione è quella di stimolare il rilascio e la sintesi di tiroxina dalla ghiandola tiroide. Qui si concentrerà l'attenzione sull'ormone ipofisario adrenocorticotropina (ACTH), che regola la secrezione di glucocorticoidi da parte della ghiandola surrenale. Esistono delle differenze di specie nel tipo di glucocorticoide che viene secreto dalla ghiandola surrenale. Nei Roditori il glucocorticoide principale è il corticosterone, mentre nei Canidi, nei Primati e nell'uomo il glucocorticoide più potente è il cortisolo. L'adrenocorticotropina e il corticosterone, o il cortisolo, sono considerati i principali ormoni dello stress.

Nel 1948 Geoffrey W. Harris presentò una teoria che avrebbe rivoluzionato il mondo dell'endocrinologia: egli postulò che l'ipofisi fosse un organo dipendente, regolato da peptidi sintetizzati e immagazzinati nel cervello e rilasciati e trasportati attraverso i vasi portali che mettono in connessione anatomica l'ipofisi con il cervello. Se la sintesi di questi neuropeptidi venisse bloccata, mediante lesioni o un altro tipo di danno dell'ipotalamo, o se il loro trasporto fosse interrotto, per esempio, interrompendo il flusso sanguigno dall'ipotalamo all'ipofisi, questa ghiandola non sarebbe più in grado di rilasciare i suoi ormoni, inattivandosi. La teoria di Harris si riferiva specificamente al controllo di quegli ormoni secreti dall'ipofisi anteriore. Ernst Scharrer aveva precedentemente dimostrato che la vasopressina, un ormone dell'ipofisi posteriore, viene sintetizzata nel cervello per essere poi trasportata direttamente all'ipofisi posteriore. Originariamente, Harris aveva postulato che per ciascun ormone ipofisario vi fosse un corrispondente ormone di rilascio sintetizzato nell'ipotalamo, una piccola struttura vicino alla base del cervello. Oggi sappiamo che l'ipotalamo contiene un insieme di fattori che regolano l'ipofisi, la quale a sua volta controlla la secrezione delle ghiandole periferiche. In alcuni casi il cervello blocca il rilascio di un ormone ipofisario mediante un singolo fattore inibitore. Più spesso, gli ormoni ipofisari sono regolati dall'azione coordinata di fattori sia di rilascio sia inibitori. Inoltre, la secrezione di almeno uno dei fattori di rilascio ipotalamici più critici coinvolto nella risposta allo stress, l'ormone di rilascio della corticotropina (CRF, Corticotropin releasing factor), dipende da una vasta gamma di stimoli afferenti ad altre strutture nervose.

fig. 5

Si è già detto di due dei più importanti ormoni dello stress, l'adrenalina e la noradrenalina. Nel sistema nervoso periferico, gli altri due ormoni importanti sono l'adrenocorticotropina e il corticosterone. L'attivazione di questi ormoni avviene a partire dagli impulsi nervosi che stimolano il rilascio di corticotropina dall'ipotalamo nel sistema portale per poi raggiungere l'ipofisi. La corticotropina agisce quindi sulle cellule ipofisarie aumentando la sintesi e la secrezione di adrenocorticotropina che, a sua volta, stimola le cellule della corteccia surrenale a sintetizzare e rilasciare il corticosterone (fig. 5). Quest'ultimo e le secrezioni del sistema simpatico sono insieme responsabili della maggior parte degli eventi che si susseguono nel corpo in seguito a stress. Come nel caso di molti processi fisiologici, esistono alcuni meccanismi in grado di inibire questa cascata di eventi. Il meccanismo principale è costituito dalla capacità del corticosterone di inibire la secrezione di corticotropina e di adrenocorticotropina agendo con feedback negativo su alcune strutture del SNC, quali l'ippocampo, l'ipotalamo e l'ipofisi.

Sebbene le risposte allo stress solitamente coinvolgano gli ormoni che abbiamo menzionato, le dinamiche di tali risposte possono variare a seconda del tipo di stimolo o dell'intensità dello stimolo stesso. Diversamente dall'attivazione acuta, la presentazione cronica di stimoli in grado di provocare stress modifica il pattern degli ormoni rilasciati. In generale, la maggior parte degli stimoli stressanti provoca i cambiamenti ormonali che abbiamo descritto, tra cui vi sono sicuramente quelli relativi alle componenti glucocorticoide e simpatica. Tuttavia, la rapidità e l'intensità delle modificazioni del rilascio ormonale possono dipendere dallo stimolo. È come se diversi stimoli producessero una diversa 'firma ormonale', specifica per quel tale stimolo e che può anche differire in soggetti diversi.

Il sistema immunitario

Negli ultimi decenni del Novecento abbiamo assistito all'emergere di una disciplina interamente nuova, definita 'psiconeuroendocrinoimmunologia'. All'interno del sistema immunitario avvengono diversi tipi di processi immunitari che rendono lo studio assai complesso. Per esempio, abbiamo un'immunità mediata da cellule e un'immunità umorale. Inoltre, il funzionamento del sistema immunitario sembra essere molto diverso da quello degli altri sistemi (nervoso autonomo ed endocrino). Nel SNA e in quello endocrino, l'attivazione dell'ormone periferico è mediata centralmente. Al contrario, i prodotti del sistema immunitario possono, dalla periferia, attivare alcuni meccanismi nervosi. L'esempio più evidente di questo processo è rappresentato dalla relazione tra le citochine e il rilascio di corticotropina, campo di ricerca che ha recentemente ricevuto notevole attenzione. È stato dimostrato che alcune citochine prodotte dai macrofagi, in particolare l'interleuchina-1 (IL-1), agiscono direttamente sull'ipotalamo per indurre la secrezione dell'ormone di rilascio della corticotropina che, a sua volta, determina un aumento della secrezione dei glucocorticoidi che possono tamponare attivamente molte delle funzioni del sistema immunitario. Perciò la regolazione omeostatica del sistema immunitario avviene attraverso meccanismi diversi da quelli che intervengono nella regolazione dell'attività endocrina.

La maggior parte delle recenti evidenze sperimentali indica che i sistemi endocrino, nervoso autonomo, immunitario e nervoso centrale interagiscono e rispondono a stimoli farmacologici e fisiologici in maniera coordinata con l'intermediazione di IL-1 e corticotropina. La presenza in tutti questi sistemi degli stessi ormoni, neurotrasmettitori e recettori rafforza l'ipotesi che tra essi esista una comunicazione bidirezionale. Più in particolare, le risposte allo stress da parte dei sistemi nervoso centrale, endocrino e immunitario forniscono un esempio di risposta integrata. Esiste una vasta letteratura clinica che documenta come lo stress cronico possa avere profonde ripercussioni sulla salute. Nonostante alcuni risultati interessanti, rimane poco chiaro quanto lo stress, e in particolare lo stress cronico, renda un individuo più vulnerabile a malattie che, in circostanze normali, sarebbero efficacemente combattute dal sistema immunitario. Molti dei parametri del sistema immunitario studiati in laboratorio non possiedono alcuna relazione conosciuta con lo stress, anche se non è possibile negare che vi sia qualche tipo di relazione tra stress e salute e che lo stress cronico possa produrre molti effetti negativi sulla salute. Ma, come è stato acutamente rilevato da Robert M. Sapolsky, non tutto ciò che è malattia trova la sua causa nello stress, né è in nostro potere guarire noi stessi da tutti i peggiori incubi sulle malattie semplicemente riducendo lo stress e pensando in maniera positiva alla nostra salute.

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