STRUMENTI musicali

Enciclopedia Italiana (1936)

STRUMENTI musicali

George MONTANDON
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Tra i numerosi strumenti usati nella pratica musicale troveranno qui trattazione soltanto quelli d'interesse specialmente etnografico, mentre per gli strumenti cosiddetti d'arte, cui s'è diretta e si dirige la produzione musicale delle civiltà classiche e moderne si rimanda alle singole voci dedicate a ognuno di essi. V. inoltre: orchestra; strumentazione.

Etnografia.

La classificazione comunemente usata degli strumenti musicali in strumenti a percussione, a corda e ad aria, non può essere mantenuta nel campo etnografico. Essa d'altra parte non sarebbe neppure logica perché i tre gruppi vengono a essere distinti in base a principî diversi, riferendosi la denominazione di strumenti a corda al corpo vibrante, mentre quella di strumenti a percussione al modo con cui è ottenuta la vibrazione: per cui un pianoforte verrebbe a essere tanto uno strumento a corde quanto a percussione. Ma soprattutto essa non è completa, perché non tiene conto di numerosi strumenti che hanno un particolare interesse per l'etnografo, a causa della loro primitività, e che non rientrano in alcuno dei tre gruppi suddetti. Perciò quasi tutti gli etnografi hanno sostituito alla classificazione abituale la seguente:

a) idiofoni, strumenti nei quali il suono è dovuto alla vibrazione del corpo stesso;

b) membranofoni, nei quali il suono è prodotto dalla vibrazione di membrane tese;

c) cordofoni, nei quali il suono è causato dalla vibrazione di corde;

d) aerofoni, nei quali il suono è prodotto dalla vibrazione di una colonna d'aria.

Queste quattro classi si suddividono in numerosi gruppi e sottogruppi. Non si contano meno di 298 gruppi di strumenti, 108 dei quali appartengono alla categoria degl'idiofoni, 36 ai membranofoni, 82 ai cordofoni e 72 agli aerofoni.

Ma nemmeno questa classificazione puramente sistematica soddisfa pienamente l'etnologo. Come in zoologia vengono separati oggetti che si somigliano per convergenza, ma la cui genealogia è diversa, così in etnologia è necessario riunire gli strumenti, qualunque sia la loro ultima forma di sviluppo, in gruppi i cui tipi derivino gli uni dagli altri e provengano quindi da uno stesso principio originario. Si tratterà dunque di studiare i particolari morfologici degli strumenti musicali (avendo pure la loro "fisiologia", vale a dire lo studio dei suoni emessi, una notevole importanza) in modo che tali dati anatomici permettano di stabilire, passando dal più semplice al più complesso, una genealogia più o meno attendibile degli strumenti. Si vedrà così che gl'idiofoni derivano da varî principî, che i membranofoni non sono che prodotti secondarî, che i cordofoni, nella loro grande maggioranza, derivano da un solo principio base - principio che ha dato origine anche ad alcuni idiofoni - e infine che gli aerofoni provengono ugualmente da principî diversi. A partire dai 9 principî base si otterranno 14 famiglie di strumenti fra le quali si ripartiranno i numerosi gruppi. Un altro studio si occuperà della distribuzione geografica delle forme e del loro collegamento all'uno o all'altro ciclo culturale.

Idiofoni a percussione. - Gl'idiofoni possono funzionare secondo 5 principî o modi: l'urto, la percussione, lo scuotimento, lo sfregamento, il pizzicamento.

Gl'idiofoni a urto (famiglia I) vanno distinti da quelli a percussione, perché nell'urto ambedue i corpi battuti producono suono. Questo perciò non risulta mai molto netto e il principio non ha dato origine a strumentì di tipo elevato.

Senza parlare delle forme eccezionali, si osservano fra gli strumenti a urto le coppie di bastoncini o di tavolette, i bambù a molla (bambù spaccati in cui ogni metà fa da molla all'altra), i nottolini a cerniera (fig. 1), le castagnette (nacchere). Lo strumento più elevato e più caratteristico di questa famiglia è la coppia di cembali metallici, derivati forse dalle tavolette, per la forma, o da campane primitive senza battaglio battute l'una contro l'altra. Sebbene strumenti di questa famiglia s'incontrino ovunque, essi hanno raggiunto il loro sviluppo più caratteristico nell'Asia meridionale.

Il principio della percussione dà origine anzitutto agl'idiofoni per percussione (famiglia II). Nella percussione uno dei corpi risuona e l'altro no; ne derivano suoni più puri e la possibilità di creare strumenti di tipo più elevato, più "musicale" di quelli derivati dal principio dell'urto.

Una delle percussioni più semplici, ben inteso sempre con scopo musicale, è quella che praticano ad es., i Ghiliaki battendo in cadenza con le mami su di un grosso palo appeso orizzontalmente. Ma la percussione di corpi semplici e pieni ha pure prodotto uno strumento metallico che è ancora in uso in alcune orchestre europee: il triangolo.

Un altro gruppo di strumenti a percussione è dato dai bastoni e, in particolare, da bambù tagliati. Questi possono essere tagliati a strisce per colpire l'aria come verghe, o come fruste a corregge (Asia sudorientale) o il bambù può essere spaccato e battuto contro la palma della mano, ciò che costituisce, nell'Arcipelago Indiano, uno strumento non occasionale, ma normale, ed è il prototipo di quello che, più tardi, in Europa, sarà il diapason.

Un terzo gruppo di strumenti a percussione deriva da un pezzo di legno cavo naturalmente, da una canna di bambù percossa. Lo sviluppo di questa forma può avvenire sia nel senso di un aumento del numero dei bambù - silofono di bambù (fig. 2) - sia nel senso della riproduzione ipertrofica di un legno cavo che ha portato al tamburo di legno (fig. 3) delle regioni equatoriali dell'Africa, dell'Indocina (Assam), della Papuasia e dell'America Meridionale. Questo strumento è ottenuto da un tronco d'albero che viene svuotato attraverso una fessura non più larga del pugno di una mano. A volte rimane piantato verticalmente sul suolo (Nuove Ebridi): più spesso è tenuto orizzontale, poggiato o sospeso. Siccome il tronco ha talvolta alcuni metri di lunghezza, il lavoro di svuotamento richiede uno sforzo considerevole; ma anche la risonanza dello strumento risulta notevole e gl'indigeni riescono ad esprimere su di esso tutto un linguaggio convenzionale. Così in alcune colonie (Camerun) le autorità notavano con meraviglia che il passaggio delle colonne delle spedizioni militari era puntualmente segnalato, venendo i segnali di preavviso trasmessi dagl'indigeni, da un gruppo all'altro, per mezzo del grande tamburo di legno. Questo ha infatti assunto il nome di "tamburo da segnali".

Un quarto gruppo ha inizio nella forma di un recipiente naturale o manufatto. In alcuni templi dell'Asia sudorientale sono collocati dei recipienti di metallo, simili a coppe senza piede o a mortai da farmacista, che vengono usati esclusivamente come campane (fig. 4). Nell'Africa centrale s'incontra la campana vera e propria, semplice o doppia, generalmente senza battaglio (fig. 5). Vi è quindi uno strumento a percussione indiretta o scuotimento (e cioè appartenente ad un'altra famiglia) che va collegato geneticamente a queste forme: la campana a battaglio, divenuta lo strumento più elevato di questa famiglia. Un altro strumento da collocarsi nello stesso gruppo è costituito dal cristallofono: quella serie di recipienti di vetro che i comici musicali usano nei teatri in Europa.

Un quinto gruppo ha il suo punto di partenza nella percussione di una tavoletta di legno. Questa si può trasformare in una placca metallica e allora si ha il gong, il quale ha dato origine a sua volta ad uno strumento formato da una serie di gong (Asia sudorientale), oppure la semplice tavoletta di legno diventa multipla; nell'Indonesia e nella Papuasia si hanno così strumenti formati da serie di tavolette libere che vengono poggiate sulle ginocchia o poste al disopra di una buca praticata nel terreno. In una fase di sviluppo più avanzata, le tavolette vengono collegate organicamente a un risuonatore: collegamento che può aver luogo in due modi: nel primo, che è teoricamente più semplice, ma si trova realizzato fra popolazioni a cultura relativamente superiore (Malesia), si ha un solo risuonatore a cassa, e su di esso sono disposte le tavolette: è il silofono a cassa (Giava: fig. 6); nel secondo, teoricamente più complesso, ma praticato da numerose popolazioni inferiori, si ha un risuonatore, generalmente una zucca, sotto ad ogni elemento: è il silofono a zucche o "marimba", dal nome cafro dello strumento (fig. 7). La marimba si trova nell'Africa continentale e nell'America Meridionale e il fatto che essa manchi a Madagascar, nell'Indonesia e nella Papuasia, sembra dar ragione a coloro che le ammettono un'origine indipendente nei due continenti. Tuttavia il suo principio costruttivo non è sconosciuto nell'Indonesia, perché a Giava e a Bali si usano metallofoni di placche con un risuonatore di bambù ad ognuna di queste. Può darsi dunque che l'Africa e l'America Meridionale rappresentino le due estremità dell'area di diffusione della marimba, la quale al centro dell'area sarebbe stata sostituita da strumenti di tipo superiore. Questo gruppo comprende inoltre il litofono, serie di lastre di pietra di diversa grandezza usato specialmente in Cina (fig. 8). Rientra ugualmente in questa famiglia un altro strumento il cui sviluppo non poteva portare molto lontano, la tavola convessa battuta con i piedi; lo spazio fra la tavola e il suolo (Isole Andamane), oppure una fossa appositamente praticata sotto di essa (Papuasia), fanno da risuonatore.

Membranofoni. - Dallo stesso principio della percussione diretta deriva la prima e più numerosa famiglia dei membranofoni: quelli a percussione (famiglia IV); ma, come dice il nome, in questo caso la percussione viene fatta su di una membrana. La forma più semplice è costituita da una pelle di opossum tesa fra le ginocchia e battuta con le mani (Australia). Questo primo tipo di membranofono, che può ripetersi ovunque occasionalmente, va menzionato in particolare per l'Australia, poiché quivi non si conosce altro strumento. Allorché l'uomo capì che il suono poteva essere ottenuto percuotendo una pelle secca tesa su uno spazio vuoto (fra le ginocchia aperte, fra due pezzi di legno, sopra una fossa) pensò di ottenere lo stesso risultato con un oggetto cavo e portatile, insomma un recipiente (fig. 16) e certamente si giunse a tale conclusione in molte parti della Terra.

Un membranofono che ha conservato una forma molto primitiva è il timballo o timpano (fig. 17) in uso ancora presso la cavalleria di alcuni eserciti. Il timballo è da considerare uno strumento primitivo, non solo per la sua forma di coppa, ma per il fatto che esso ha solamente una membrana. La maniera con cui questa è percossa non è però primitiva, poiché invece delle mani si fa uso di bacchette. Per avere uno strumento ancor più leggiero del timballo non si conservò che il margine del recipiente: si ebbe così il tamburino (fig. 18) la cui morfologia è dunque secondaria; esso però continua ad essere battuto con le mani.

Allorché si volle rendere il membranofono stabile gli si adattò un piede; questa forma, con piccole dimensioni, generalmente è fatta in terra cotta nell'Africa settentrionale. Talvolta il piede assume esattamente le stesse dimensioni della parte superiore: si ha allora il membranofono a clessidra (fig. 19) frequente tanto nell'Africa quanto nell'Asia meridionale e orientale. Un tipo specialissimo di questa forma è quello del Tibet, costituito da due calotte craniche riunite per il vertice e ricoperte ciascuna da una membrana. I membranofoni a clessidra possono avere una o due membrane. Allorché la parete diventa un cilindro più o meno regolare si ha il tamburo, il quale può avere parimenti una oppure, negli esemplari di tipo superiore, due membrane.

I membranofoni si distinguono inoltre in tipi diversi a seconda del modo con cui è fissata la membrana. Il più semplice consiste nel fissare una pelle umida al telaio sul quale deve essere collocata e lasciare che seccando si ritiri e assuma la tensione voluta. In altri casi la membrana viene legata con una striscia di pelle o una corda, oppure viene inchiodata o cucita. Infine, la membrana può essere attaccata, e se è unica, l'attacco ha l'aspetto di una rete che circonda il cilindro; l'ultimo giro, più basso, della rete è talvolta fissato con cavicchi (Camerun, Indocina; fig. 20).

Se le membrane sono due, esse vengono fissate l'una all'altra: procedimento praticato nell'Asia meridionale e nei tamburi europei. Sono contrassegni di primitività o di superiorità, rispettivamente, la forma a recipiente o a cilindro, una o due membrane, i sistemi di tensione della pelle per essiccamento, avvolgimento, inchiodatura e cucitura di fronte all'attaccatura; la percussione a mano e quella a bacchette; possono naturalmente combinarsi i diversi sistemi, dando luogo a oggetti che riuniscono pertanto caratteri diversi.

Sono ora da menzionare i membranofoni derivati da principî diversi dalla percussione, ma la cui costruzione non può derivare che dal tamburo. Si tratta in primo luogo di membranofoni ad azione manuale atipica (famiglia VII). È in origine un tamburo a clessidra, a membrana doppia, battuta direttamente con due piccole palle attaccate all'estremità di cordicelle legate al collo dello strumento; agitando questo le palline vengono a battere sulle membrane.

In una forma minuscola, di una diecina di centimetri di diametro, e talvolta con le palline nell'interno del tamburo, è usato nelle pratiche del culto buddista in tutta l'Asia centrale e orientale. In altri membranofoni, detti bordoni, pure di piccole dimensioni, la vibrazione avviene per sfregamento ottenuto con la mano (Togo); o con una bacchetta che attraversa la membrana e può essere mobile (Africa, Venezuela) o con una bacchetta fissata alla membrana, che si fa vibrare scorrendo con le dita umide su una cordicella che attraversa la pelle ed è fissata dietro di questa con un nodo (varî punti della Terra esclusa l'Oceania). Inoltre vi sono membranofoni, molto simili a questi ultimi, la cui corda, fissata alla membrana, viene pizzicata (India); essi si collegano ai membranofoni anziché ai cordofoni, poiché è dai primi che derivano nella morfologia. Invece l'arco a terra e la cetra a terra, sebbene spesso forniti di una membrana, verranno descritti nei rispettivi gruppi dell'arco musicale e della cetra cioè fra i cordofoni.

Esiste inoltre un gruppo di strumenti di transizione fra i membranofoni e gli aerofoni: il nyastaranga e lo zufolo (fr. mirliton), membranofoni nei quali il suono è dovuto all'urto dell'aria (famiglia VIII). Il nyastaranga (India) è un corno a forma di trombetta, nel cui interno è tesa la tela di una specie particolare di ragno; il suonatore applica un corno a ciascun lato della laringe e canta; la vibrazione delle membrane dei corni conferisce alla voce un timbro speciale. Nessuno dei musicanti europei è riuscito ad ottenere col nyastaranga alcun effetto; ma sapendo a quale ginnastica vocale gl'Indù riescono a sottoporre la laringe, non si può dubitare che vi abbiano parte notevole speciali caratteri fisiologici. In quanto al mirliton la sua azione è del pari dovuta alla vibrazione di una membrana finissima, che ricopre l'orifizio di un aerofono. Esistono inoltre dei flauti muniti di più fori dei quali uno solo è ricoperto da una pelle sottile; l'ufficio di mirliton è, in questi flauti, del tutto secondario: essi vanno considerati quindi fra gli aerofoni.

Altre famiglie d'idiofoni. - Il terzo principio applicato nella produzione di strumenti musicali è quello dello scuotimento (famiglia III). In origine è semplicemente un frutto secco contenente dei semi che si scuote: da esso sono derivati i crepitacoli (fr. hochets).

L'India preistorica ha lasciato infatti dei crepitacoli di metallo che riproducono esattamente la forma di frutti (fig. 9), mentre quelli dell'India attuale sono stilizzati, e solo vedendo i primi risulta chiara la derivazione di questi ultimi. Nell'Africa i crepitacoli sono generalmente fatti ad intrecciatura (fig. 10). Un derivato di questo strumento è il sonaglio. Invece di scuotere un grosso frutto secco se ne possono scuotere diversi piccoli: ne derivano così corone di noci secche, di conchiglie o di palle di metallo che portano finalmente al sistro. La Malesia presenta vere orchestre di grandi sistri di bambù (fig. 11), mentre in alcune fanfare d'Europa si usa ancora il sistro di metallo (sistro degli scavi di Pompei: fig. 12).

Il quarto principio è quello dallo strofinio, che dà luogo agl'idiofoni a sfregamento (famiglia IV). Alcuni autori usano termini diversi per esprimere differenze di grado nello sfregamento: si può, p. es., riservare il termine di "strofinio" all'azione di un archetto liscio su materiale pure liscio, come, ad es., una corda, mentre allo sfregamento rude degl'idiofoni conviene meglio il termine di "raspamento".

In origine si cominciò a sfregare semplicemente un bastone ruvido: tutti i continenti presentano bastoni a intaccature di questo tipo, ma il loro sviluppo non ha portato molto lontano. Va notata la ruota dentata, o raganella (India, Europa), il bastone dentato con risuonatore (Africa: fig. 13), il quale nell'Estremo Oriente prende la forma di una tigre di legno di cui si sfregano con un bastone le apofisi prominenti della colonna vertebrale, mentre l'addome cavo fa da risuonatore; infine, un arco dentato, la cui corda non viene toccata ma vibra di riflesso quando il legno dell'arco è sfregato (Africa e India).

Il quinto principio è dato da pizzicamento. È da esso che ha avuto origine tutta la categoria dei cordofoni; ma, prima di questi, si produssero anche alcuni idiofoni: quelli a pizzicamento (famiglia V).

Si cominciò, dapprima, a pizzicare con l'unghia o col dito le fibre di una scorza. Negl'idiofoni, il pezzetto primitivo di scorza mantiene, nello sviluppo dello strumento, la forma di una linguetta sollevata ad una estremità; nei cordofoni, la linguetta si allunga formando una corda che dapprima è semplicemente sollevata dalla sua base (il fusto o la canna), mentre rimane attaccata ad essa con le due estremità. Una forma speciale degl'idiofoni a pizzicamento è data dalla cassa a linguette detta "cri cri" della Papuasia, costituita da un pezzo di legno svuotato, sul margine del quale sono lasciate delle linguette che piegate e poi abbandonate scattano come molle producendo un suono. Ma lo strumento più importante del gruppo è la sanza, tavoletta fornita di una diecina di "tasti" o lamine riportate, di legno o di metallo e talvolta anche di un risuonatore. Essa è propria del continente africano, dove la sua area di diffusione si stende dalle foci del Limpopo e dello Zambesi a quella del Niger. Ma, in questo dominio, ogni regione presenta forme speciali (figg. 14 e 15). Uno strumento europeo raro, detto violino di ferro, deve questo nome al fatto di essere suonato con un archetto, ma deriva nella costruzione dalla sanza, con la differenza che ha le linguette verticali, libere alle loro estremità superiori e disposte intorno a una scatola metallica di forma cilindrica appiattita. La scatola musicale deriva dallo stesso principio.

Cordofoni. - Il pizzicamento, come si è già detto, sta pure alla base di tutta la classe dei cordofoni. La nomenclatura di questi strumenti dà origine generalmente alla più grande confusione poiché non ci si basa su criterî costanti. A cominciare dal pizzicamento di una linguetta di scorza vegetale, sollevata dal suo fusto, si ebbe ben presto un duplice sviluppo. La scorza sollevata di un fusto rigido diede origine alla famiglia dei cordofoni senza manico (famiglia IX), che comprende le cetre in senso proprio o cetre senza manico, mentre la scorza sollevata di un fusto flessibile portò a tutti gli altri cordofoni. Le cetre senza manico sono caratterizzate da un risuonatore situato sotto le corde per tutta la loro lunghezza.

Questo gruppo comprende strumenti che, malgrado la loro costruzione molto delicata, si tengono in teoria vicinissimi alle forme basali dell'albero genealogico; sono le cetre di bambù, dette al Madagascar valiha (fig. 21); sono conosciute anche nella Malesia dove, più primitive, non hanno talvolta che una sola corda sollevata e un'apertura sotto le corde, che manca invece in quelli del Madagascar. Alcune cetre di bambù hanno una piastrina dello stesso materiale tesa fra due corde: il risuonatore batte sia sulle corde sia sulla piastrina. Nell'isola di Flores si trova una cetra fatta con un pezzo di grosso bambù, la cui corteccia è sollevata a corde (fig. 22); da questa forma alla cetra giapponese convessa non c'è che un passo, sebbene quest'ultima non sia più costruita in un pezzo di bambù e le corde siano riportate e metalliche.

Invece di un grosso bambù a corde sollevate tutto all'intorno, si possono avere più bambù piccoli riuniti, ciascuno con una corda rialzata: è la cetra a graticcio, diffusa nell'India e nell'Africa, dalla costa orientale al Togo, con differenze costruttive regionali. La stessa cetra a graticcio può avere le corde riportate (Nyassa); inoltre i piccoli bambù possono essere sostituiti da una tavoletta; in un ulteriore stadio di sviluppo la tavoletta è munita al disotto di un risuonatore, oppure è incavata (fig. 23), all'opposto delle cetre del Giappone, che sono convesse. Infine, in luogo di un risuonatore o di un incavo, si può avere una cassa di risonanza rettangolare: la cetra a cassa (vicino Oriente, India, Malesia). È a quest'ultima forma che si ricollegano la cetra piatta, il cembalo magiaro, poi il cembalo a tastiera e infine il pianoforte. Si collegano ad essa, finalmente, anche gli strumenti detti a torto "arpa d'Eolo" (invece di "cetra d'Eolo") in cui le corde sono fatte vibrare dal vento e il risuonatore sta sotto ad esse in tutta la loro lunghezza.

Tutti i rimanenti cordofoni sono cordofoni a manico (famiglia X) e derivano da una striscia sollevata da un fusto flessibile. Il loro rappresentante più primitivo è l'arco musicale. Ma di esso esiste una grande quantità di forme e i loro diversi caratteri sono distribuiti e si combinano in maniera così complessa da rendere difficilissimo ricostruire la loro successione. Consideriamo le diversità dei varî elementi costruttivi: l'arco costituito da una sola corda sollevata (monoidiocorde) o da più corde (polidiocorde); arco a tono unico oppure a toni multipli, essendo la sua o le sue corde divise in due sezioni con un nodo o con una bacchetta tenuta in mano o con un cavalletto. Importanti sono la mancanza o la presenza di un corpo risuonatore e le diverse specie di questo che dànno origine alle forme seguenti di arco musicale: 1. l'arco da bocca, in cui il risuonatore è costituito dalla bocca stessa di chi suona; 2. l'arco a risuonatore libero, in cui l'arco è semplicemente appoggiato sul risuonatore; 3. l'arco a risuonatore fisso, quando quest'ultimo è attaccato all'arco ed è costituito in generale da una zucca (fig. 24) fissata per lo più al legno dell'arco ma talora anche alla corda; 4. l'arco da laringe, che viene applicato contro quest'organo. Nell'arco a bocca, questa può essere applicata sia alla corda (ma sempre a un'estremità di questa) sia al legno (nel mezzo o a un'estremità). L'arco può inoltre essere battuto con uno o due plettri, pizzicato con una linguetta o con un dito, sfregato con un bastoncino o un archetto. Può anche venir soffiato dirigendo il soffio d'aria su una penna di struzzo posta al termine della corda (fig. 25). Esiste inoltre un arco più o meno occasionale, che rientra in parte nel gruppo dei membranofoni, in cui il legno è piantato nel suolo e una delle estremità della corda è fissata a una membrana tesa sopra una piccola fossa: l'arco a terra. Ma è un errore voler considerare, come fanno alcuni autori, questa costruzione complessa come un tipo primitivo. Invece del suolo si può avere una scatola di risonanza: l'arco su scatola. Infine, ed è l'ultima forma, quella che conduce agli strumenti più elevati, si possono avere più archi giustapposti con le rispettive corde riunite a una delle loro estremità e un risuonatore comune: il pluriarco (fig. 26). Queste diverse modalità non esistono però tutte separatamente, ma si presentano in determinate combinazioni.

I tipi di archi realmente esistenti e la loro distribuzione sono i seguenti:

a) archi idiocordi: alta Guinea, Nuova Guinea; b) archi da bocca diversi (non soffiati): ampie regioni dell'Africa, dell'Oceania e dell'America Meridionale; manca invece, salvo a Formosa, nell'Asia; c) arco da bocca soffiato: Boscimani, Ottentotti e Cafri (Africa del Sud); d) arco a risuonatore mobile: Alta Guinea, Africa del Sud, India, America Centrale (Amerindî e Negri); e) arco a risuonatore fisso (zucca): soprattutto nell'Africa e presso i Negri dell'America Centrale e Meridionale, poi nell'India, presso i Gond e i Kol e nelle Isole Marianne; f) arco da laringe: Brasile centrale; g) arco a terra: Africa, dalla regione dei Grandi Laghi alla Senegambia; h) arco su scatola: Annam; i) pluriarco: unicamente nella parte occidentale dell'Africa centrale.

La derivazione della lira è difficile a stabilirsi, ma la probabilità maggiore è che essa venga dal pluriarco, col quale, d'altronde, confina geograficamente occupando l'Africa settentrionale e nordorientale (fig. 27) e in passato anche l'Asia occidentale. L'arco su scatola può essere considerato come il prototipo dell'arpa tanto più che essi s'incontrano nella stessa regione: l'Indocina. L' arpa occupa, invero, anche l'Africa centrale, ma, come la lira, era usata nell'antico Egitto (fig. 28) e nell'antica Assiria, vale a dire in una regione intermedia fra le sue attuali aree principali di diffusione.

Le cetre su bastone derivano dall'arco e non rientrano quindi nella famiglia delle cetre propriamente dette, cioè quelle senza manico. Sono cetre poiché il corpo dello strumento, che è in questo caso il bastone, sta sotto alle corde per tutta la loro lunghezza, ma il risuonatore, invece di formare un tutto col bastone, cioè invece di essere una cassa, come nelle vere cetre, è mobile e può essere tolto senza che lo strumento sia messo fuori d'uso (Tanganica, fig. 29). Le cetre su bastone, oltre che in Africa, si sono grandemente sviluppate nell'India (vina).

Nel gruppo delle chitarre, come in quello delle cetre su cassa, il risuonatore non può essere tolto senza rendere inservibile lo strumento, ma esso non sta sotto le corde per tutta la lunghezza di queste; ciò che distingue d'altra parte la chitarra dalla cetra su bastone è il fatto che il bastone della chitarra invece di costituire il corpo dello strumento non è altro che un manico. È quindi chiaro come i violini si ricolleghino alle chitarre, avendo in comune con queste il principio fondamentale di costruzione.

Nelle forme originarie della chitarra il manico attraversa il risuonatore (fig. 30); in seguito il manico si allarga a poco a poco nel risuonatore e forma come il collo di questo (fig. 31); infine la cassa si separa di nuovo dal manico dando origine alla chitarra a cassa (fig. 32). L'Europa e l'India presentano una grande quantità di forme assai evolute di chitarra: nell'India vengono spesso applicate sotto alle corde o sul fianco dello strumento delle altre corde dette "simpatiche", le quali non vengono toccate, ma vibrano leggermente allorché si mettono in azione le prime (fig. 33).

Aerofoni. - Sono questi gli strumenti nei quali il suonatore fa vibrare una colonna d'aria. Negli aerofoni vengono applicati quattro nuovi principî capaci di produrre i suoni. Il principio sesto è dato da un soffio d'aria nastriforme che batte contro una cresta e ne derivano gli strumenti del genere del flauto (famiglia XI). A partire dalla semplice canna chiusa o aperta, il flauto ha subito diversi perfezionamenti, sia moltiplicando le canne, sia praticandovi dei fori laterali per le dita, e soprattutto modificandone l'imboccatura. Questa è dapprima costituita dall'estremità del tubo stesso aperta e tagliata perpendicolarmente al suo asse. In seguito, il margine superiore dell'imboccatura viene tagliato esteriormente a ugnatura, oppure a mezzaluna o a becco. In una fase ulteriore l'imboccatura del tubo è quasi del tutto chiusa e attraverso di essa passa solo un piccolo canale di insufflazione: nel punto dove finisce il canale la parete del tubo è fornita di un'apertura rettangolare a bordo tagliente (ugnatura a taglio esterno), contro la quale viene a rompersi l'aria soffiata nel canale. La colonna d'aria, comunque, deve avere una forma a nastro, che viene data dalle labbra nei flauti a imboccatura semplice, mentre in quelli provvisti di un canale di insufflazione è data dal canale medesimo. E il principio base consiste quindi nell'urto del soffio nastriforme contro la cresta dell'imboccatura di una canna.

Esso ha dato origine dapprima al flauto a imboccatura terminale (fig. 34). Da esso sono derivati, da una parte, il flauto a imboccatura laterale, un modello del quale è in uso anche in Europa; dall'altra i gruppi di flauti a imboccatura terminale, cioè il flauto di Pan (fig. 35), a canne aperte o chiuse. La Polinesia e alcune regioni vicine presentano il flauto nasale (fig. 36) che viene suonato soffiandovi da una narice.

Il settimo principio è dato dal soffio a scosse, prodotto dalla vibrazione delle labbra presso l'estremità di un tubo: aerofoni del genere della tromba (famiglia XII).

Tale soffio veniva praticato in origine sia in una conchiglia fornita di un buco terminale (India) o laterale (Malesia, intera Oceania) e in seguito anche di un'imboccatura riportata (Giappone), sia in un tubo semplice, che può assumere talvolta notevoli dimensioni (corno o portavoce delle Alpi: fig. 37) e può pure avere un' imboccatura laterale. I tubi a imboccatura terminale riportata si trasformano poi nelle trombe (tubi con fori laterali per le dita), nel trombone (tubo a scanalatura) e, infine, con l'impiego di pistoni, nella cornetta a pistone.

L'ottavo principio, è dato dal soffio a scossa praticato su una linguetta (ancia) doppia: p. es., nel gambo di una graminacea, spaccato e appiattito, che vibra; esso dà origine alla famiglia XIII di strumenti, quella degli aerofoni del genere dell'oboe (fig. 38).

La linguetta doppia (fig. 38,A) è così diversa da quelle che costituiscono la famiglia seguente da dover essere considerata a parte. La famiglia degli oboe è assai ristretta tanto che anche i suoi rappresentanti più perfezionati, gli oboe attuali, si attengono ancora integralmente nella costruzione dell'imboccatura al principio originale. Il tubo dell'oboe può essere diritto come quelli del Caucaso e della Grecia antica: l'αὐλός della Grecia era infatti un oboe dal suono forte e stridente e non, come si è creduto, un flauto, che avrebbe avuto un suono troppo dolce per condurre i guerrieri al combattimento. Negli oboe attuali il tubo è conico. L'oboe del Caucaso, detto duduki, si suona come quello europeo cioè con le labbra che si applicano, l'inferiore più indietro, direttamente sull'ancia, che vibra continuamente. È diverso il caso per gli oboe delle popolazioni semicivili: questi presentano una rotella di cuoio contro la quale si applicano le labbra del suonatore, il quale può così suonare a pieni polmoni, poiché la bocca fa da riserva d'aria. Il procedimento stanca meno di quello europeo, ma offre minore possibilità di modulare il suono.

Il nono principio è quello dello sferzamento dell'aria prodotto in origine con una bacchetta, poi soffiando a scosse su una lamina vibrante (ancia a lamina, ancia a battente, ancia libera); dà inizio alla famiglia XIV, degli aerofoni liberi e degli aerofoni ad ancia.

L'ancia a lamina, che precede le altre due forme, non è più usata in alcuno strumento superiore; la si trova in Europa solo in certi piccoli strumenti da bambini o da carnevale, formati da una cornice ovale di metallo dentro alla quale è tesa un'ancia di gomma che, sotto il soffio d'aria, produce un fruscio stridente.

La fig. 38 presenta lo schema dei tipi più comuni di ance. Si vede così che quella a battente e quella libera sono molto più affini fra di loro di quanto non lo siano con l'ancia doppia dell'oboe, perché sono ambedue ance vibranti sotto l'azione della colonna d'aria in un'apertura apposita corrispondente. Risulta inoltre che l'ancia a battente è più antica di quella libera. La prima (fig. 38,B) infatti non vibra che da una parte della parete, dove è praticata l'apertura; perciò può essere sufficiente anche un'ancia tagliata nella parete stessa del tubo. L'ancia libera (fig. 38,C) invece, vibra dalle due parti della parete e la sua base deve essere perciò assai pieghevole, più di quanto lo sia il materiale preso dalla parete stessa; essa quindi è riportata, fatta con materiale diverso e più elastico. In gran parte degli strumenti appartenenti a questa famiglia il tubo non serve a dare una data forma alla colonna d'aria vibrante, non serve cioè alla risonanza, ma soltanto a proteggere l'ancia, e l'ufficio del tubo si riconosce in genere da questo: che, se esso serve alla risonanza, è munito di fori per la variazione del suono, se i fori mancano, il tubo fa semplicemente da protezione.

È da rilevare che anche l'applicazione più elementare del nono principio, la bacchetta che sferza l'aria, ha dato alcuni strumenti. Si può considerare fra questi la tavoletta vibrante (rombo sonoro, o bull-roarer), usata nelle cerimonie dell'Australia, della Papuasia e della Guinea settentrionale. Essa da una parte ha condotto alle applicazioni moderne del ventilatore e della sirena, dall'altra, ha portato alla linguetta a lamina, usata in alcuni balocchi europei e presso gl'Indiani dell'America Settentrionale, e alla linguetta a battente, pure impiegata da sola dagli Amerindî settentrionali. I sistemi di tubi in serie, con linguette a battente, hanno prodotto alcuni degli organi europei. Ma la linguetta a battente ha dato origine anche a tutto il gruppo dei clarinetti. Questi possono essere muniti di un serbatoio per l'aria, come nel clarinetto a serbatoio rigido degl'incantatori di serpenti dell'India (fig. 40), o come nella cornamusa, in cui il recipiente che fa da serbatoio è floscio; il sassofono europeo è del pari costruito sul principio del clarinetto. Le applicazioni ulteriori della linguetta libera portano, da un lato, all'armonica da bocca e all'armonium, dall'altro all'organo da bocca dell'Estremo Oriente (fig. 41) e a un certo gruppo di organi europei.

Rapporti etnologici. - Se studiamo l'appartenenza degli strumenti musicali ai varî cicli culturali (v. culturali, cicli), si riscontra la distribuzione seguente:

1. Cicli primitivi: qualunque percussione naturale, oggetti che fanno naturalmente dei rumori e del fracasso, la tavola battuta con i piedi, tronchi vuoti battuti con i piedi, percussione a mano del suolo sovrastante a una cavità, pelli battute, colpo di un bastone spaccato che fa da molla.

2. Ciclo del bumerang: la tavoletta vibratoria, che è un elemento culturale esistente in tutti i continenti, ma solo nell'Australia strumento musicale, la rotella vibratoria (infilata in una cordicella) che accompagna talvolta, ma non in Australia, lo strumento precedente.

3. Ciclo del totem: la trave battuta sospesa orizzontalmente, i bastoni da colpo, corpi a sfregamento più o meno naturale, la zucca, i crepitacoli, il flauto primitivo, con o senza chiusura restringente, il flauto doppio, la conchiglia a imboccatura terminale, la tromba primitiva.

4. Ciclo delle due classi (primi veri strumenti musicali): il tamburo di legno nel suo complesso sviluppo, il membranofono a una membrana, il flauto di Pan e i primi cordofoni, cioè: l'arco musicale dapprima idiocorde, l'arco da bocca (anche a soffiamento), l'arco a risuonatore libero, l'arco a terra, la cetra a terra.

5. Ciclo dell'arco piatto: crepitacoli a cestino, blocco di legno scavato a linguette pizzicate, campanello di legno, i primi silofoni, cioè il silofono da tenere sulle ginocchia, il silofono su telaio, il tamburo a clessidra a una membrana, il mirliton, una grande ghimbarda a forma di navone, il flauto trasversale. Nell'Africa lo sviluppo ulteriore di questa cultura possiede il pluriarco, e, dopo la conoscenza del metallo, la sanza.

6. Cicli malese-polinesiano e sudanese: l'idiofono a sfregamento a forma di arco, la trottola ronzante, il vaso-fischietto, la zucca-trombetta, diverse specializzazioni del flauto di Pan, la conchiglia a imboccatura laterale, il flauto nasale, il flauto appuntito, il clarinetto, l'arco a risuonatore fisso, la cetra idiocorde a canniccio, la cetra idiocorde circolare su bambù, la cetra eterocorde (anche a forma di coccodrillo), la prima cetra su bastone, il silofono di più bambù, quello di zucche e quello su cassa, il grande sistro di bambù, il gong, il gong a ciotola, la serie di gong, il metallofono, la campana fusa e la campana doppia (ambedue senza battaglio), il tamburo a forma di coppa, il membranofono a sfregamento, la linguetta libera, l'organo da bocca.

7. Ciclo pastorale: pochissimi strumenti da musica proprî; forse la serie di placche di metallo, antecedente al metallofono, una cetra piatta e una chitarra con cavicchi posteriori per le corde (antenata della balalajka russa).

8. Ciclo messico-andino: strumenti corrispondenti a quelli dello stadio premetallico (propriamente polinesiano) della cultura maleopolinesiana, ma meno ricco dello stesso stadio polinesiano.

9. Ciclo indù: ha in comune col ciclo cinese i vasi a percussione e i campanelli, col ciclo mediterraneo i clarinetti a serbatoio d'aria. In questo ciclo si nota soprattutto lo sviluppo raggiunto dalle cetre su bastone (vina) e dalle chitarre, notevoli per le loro forme a larghe anse e il largo impiego di corde simpatiche.

10. Ciclo cinese: la scatola a percussione, la campana a forma di coppa, la serie di campane, il litofono, i piccoli tamburi a percussione indiretta, interna o esterna, il tamburino con bacchette (inchiodatura del tamburo e del tamburino), il tamburo a clessidra a due membrane, la freccia fischiante, la cetra ad archetto, diverse chitarre a manico transfisso o a collo o a cassa, generalmente caratterizzate da enormi cavicchi per le corde.

11. Ciclo musulmano: come la cultura pastorale, alla quale in parte si sovrappone, questo ciclo presenta pochi strumenti musicali di suo: usa molto la chitarra a collo, i membranofoni a cassa d'argilla, la grancassa.

12. Ciclo mediterraneo (che spinge le sue radici fino al vicino Oriente antico): il sistro, la raganella, il cembalo, le castagnette, la campana con battaglio, il tamburino, il tamburo europeo, la ghimbarda a staffa, la tromba, la trombetta a coda o ricurva, l'oboe, la cornamusa, la cetra trapezoidale e suoi derivati, la lira, l'arpa, diverse chitarre e probabilmente il violino, senza parlare di tutti gli strumenti dovuti alla tecnica moderna.

V. tavv. CXXVII e CXXVIII.

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