STRUTTURALISMO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

STRUTTURALISMO

Giulio Lepschy

Nella III Appendice dell'Enciclopedia Italiana (1961; cfr. 11, p. 860) lo s. veniva presentato come una tendenza degli studi linguistici articolata in tre correnti principali: il Circolo linguistico di Praga con N.S. Trubeckoj e R. Jakobson, la Scuola danese di L. Hjelmslev, e la Scuola di L. Bloomfield negli Stati Uniti. La prima formulazione sistematica veniva fatta risalire al Cours di F. de Saussure. L'impressione era quella di un orientamento "vasto", come veniva definito, ma abbastanza nettamente caratterizzato e delimitato all'interno degli studi linguistici. Oggi la situazione è diversa. Da un lato il movimento si è esteso fino a coprire quasi ogni aspetto della linguistica teorica contemporanea (tranne che per sacche culturalmente isolate o per anacronistici atteggiamenti polemici), allargandosi anzi ad altri settori delle scienze umane, dall'etnologia alla storia e alla critica letteraria; dall'altro il termine è stato usato, soprattutto dai fautori della grammatica generativa, a indicare, restrittivamente e negativamente, in particolare la tradizione bloomfieldiana. Non si tratta di una vuota questione terminologica, ma di una divergenza sostanziale nella valutazione della linguistica moderna. N. Chomsky, il fondatore della grammatica generativa, in un libro di geniale originalità (Cartesian linguistics, New York 1966; trad. it. Saggi linguistici, 3, Torino 1969) ha cercato, e trovato, sia pure a posteriori, i propri precursori nella linguistica sei-settecentesca, e in particolare in una tradizione idealistica che va da Cartesio e i Portorealisti fino a Humboldt, contrapposta alla glottologia ottocentesca e alla linguistica della prima metà del Novecento, particolarmente quella strutturale, criticate entrambe per essersi limitate a considerare le strutture superficiali delle lingue e per aver teorizzato descrizioni di tipo tassonomico, basate su procedimenti per la segmentazione delle frasi di un corpus e per la classificazione delle unità così ottenute. È degno di nota che in questa prospettiva il termine "strutturale" viene associato a caratteristiche come l'atomismo, l'empirismo, l'attenzione ai singoli fatti linguistici concreti, la mancanza del senso del sistema e del dinamismo del linguaggio, la scarsa consapevolezza della necessità dell'astrazione nel metodo scientifico, cioè appunto a quegli aspetti contro i quali lo s. reagiva nel periodo della sua formazione. In realtà è possibile vedere in queste posizioni generativiste una forzatura di prospettiva che accentua polemicamente un distacco rispetto a quella linguistica strutturale in cui la grammatica generativa trova invece la sua matrice e di cui costituisce uno degli sviluppi più interessanti. Tenendo presente dunque questa accezione non restrittiva del termine "strutturalismo", troviamo negli ultimi vent'anni un affinamento e una diffusione sempre più larga dei metodi dello strutturalismo. A ciò si è accompagnata una riduzione delle differenze fra le singole scuole, e insieme un frazionamento più minuto, una sfaccettatura del movimento che ha consentito ai singoli studiosi di approfondire i loro problemi e di elaborare i loro metodi in maniera più personale di quando sentivano il bisogno di aderire ortodossamente ai principi di questa o di quella scuola. In queste circostanze conviene non tanto cercare di delineare concettualmente ciò che accomuna i lavori strutturalistici (ciò che sarebbe poco caratterizzante e dovrebbe in buona parte ripetere l'esposizione della III Appendice) quanto offrire una rapida, e inevitabilmente frammentaria, rassegna di aggiornamento. In generale, si può notare che la considerazione della lingua come un sistema di rapporti, l'attenzione al condizionarsi reciproco degli elementi nella dinamica del funzionamento linguistico, l'uso della formalizzazione (praticata in modo particolarmente rigoroso e fecondo dalla grammatica generativa) si sono accompagnati a un allargarsi delle prospettive, all'estensione dell'interesse verso questioni diacroniche e verso i problemi posti dall'effettivo uso linguistico in concrete situazioni storiche e sociali. Agl'irrigidimenti, all'isolamento e all'isolazionismo che si potevano cogliere nel primo periodo della linguistica strutturale, è succeduta la duttilità, l'integrazionismo, lo scambio interdisciplinare, e il fiorire di discipline fecondamente ibride come la psicolinguistica, la sociolinguistica, l'etnolinguistica, ecc.

Il Cours saussuriano ha continuato ad agire come uno dei testi chiave della linguistica moderna, ricco di spunti la cui fecondità è ancora lontana dall'essere esaurita; in particolare l'opposizione dei due assi della sintagmatica e della paradigmatica è riemersa al centro della teoria delle funzioni linguistiche di Jakobson; la grammatica generativa ha ripreso, in termini di "competenza" ed "esecuzione", la dicotomia langue-parole, e ha riaffrontato la distinzione di sincronia e diacronia nell'ambito della fonologia generativa presentando regole sincroniche (per passare dalle strutture fonologiche profonde a quelle superficiali) che spesso ricapitolano sviluppi diacronici. È stato approfondito e rinnovato su basi filologicamente attendibili lo studio del pensiero saussuriano, attraverso la pubblicazione di inediti, il lavoro pionieristico di R. Godel (Les Sources manuscrites du Cours de linguistique générale de F. de Saussure, Ginevra 1957), l'edizione sinottica del Cours e degli appunti su cui si era basata la sua redazione, di R. Engler (Cours..., édition critique, Wiesbaden 1967), e il ricco e sistematico commento di T. De Mauro (Corso..., Bari 1967).

Negli Stati Uniti vanno ricordati, nel filone più propriamente bloomfieldiano, linguisti come B. Bloch, G.L. Trager, R.A. Hall, Jr., A.A. Hill; fra le personalità di maggior rilievo si ha quella, insieme eclettica e originale, di Ch. F. Hockett, di cui sono notevoli, oltre alle sistemazioni sintetiche (cfr. il Cours citato nella III Appendice), i tentativi di fare i conti con i nuovi sviluppi teorici (The state of the art, L'Aia 1968; trad. it.La linguistica americana contemporanea, Bari 1970); Z.S. Harris ha elaborato con rigore le tecniche della descrizione tassonomica (cfr. Methods, citato nella III Appendice) dando origine, nello sforzo per superarne le limitazioni, alle teorie trasformazionali (Papers in structural and transformational linguistics, Dordrecht 1970) sviluppate in maniera rivoluzionaria da Chomsky. Nella tradizione sapiriana troviamo M. Swadesh (The origin and diversification of language, a cura di J. Sherzer e D. Hymes, Londra 1972), e K. L. Pike, che ha elaborato una teoria chiamata "tagmemica" in cui cerca di render conto della complessa dinamica di gerarchie in cui si organizza il sistema linguistico (Language in relation to a unified theory of the structure of human behaviour, L'Aia 1967); il problema dei "livelli" nell'organizzazione linguistica è anche al centro della teoria "stratificazionale" di S. M. Lamb (Outline of stratificational grammar, Washington D.C. 1966). Particolarmente influente si è rivelato il lavoro di W. Labov che ha aperto nuove vie alla ricerca sociolinguistica, con implicazioni importanti anche per la linguistica generale e per la linguistica storica, poiché la finezza delle sue analisi delle differenziazioni sociali nell'uso del linguaggio gli consente d'indagare suggestivamente i mutamenti linguistici in atto (The social stratification of English in New York City, Washington D.C. 1966; Sociolinguistic patterns, Philadelphia 1972; in it. Il continuo e il discreto nel linguaggio, Bologna 1977). Di enorme importanza per lo sviluppo della linguistica americana è stato, a partire dal 1941, l'insegnamento di R. Jakobson, un linguista che per vigore e originalità creativa continua a svolgere un ruolo centrale nella scena linguistica internazionale. A lui s'ispira M. Halle, che nell'ambito della linguistica generativa ha elaborato la nozione di fonologia profonda (o astratta, o sistematica) (The sound pattern of Russian, L'Aia 1959; e, con N. Chomsky, The sound pattern of English, New York 1968; in it. vedi N. Chomsky, Saggi di fonologia, Torino 1977).

In Europa bisogna ricordare almeno la scuola di J.R. Firth in Gran Bretagna, collegata alle teorie antropologiche di B. Malinowski, in cui è stata elaborata una teoria chiamata "polisistemica"; sviluppi originali offre la teoria di M.A.K. Halliday, che fonda l'analisi su tre scale di astrazione (rango, esponenza, delicatezza) e quattro categorie grammaticali (unità, struttura, classe, sistema), e ha elaborato anche lo studio delle funzioni linguistiche (Esplorations in the functions of language, Londra 1973; Learning how to mean, ivi 1975; System and function in language, a cura di G. R. Kress, ivi 1976). In Francia va ricordata l'instancabile operosità di A. Martinet, uno dei pionieri della fonologia diacronica, che propone una coerente prospettiva "funzionale" degli studi linguistici (Èconomie des changements phonétiques, Berna 1955; trad. it., Torino 1968); Éléments de linguistique générale, Parigi 1960; trad. it., Bari 1966; A functional view of language, 〈ìxford 1962; trad. it., Bologna 1965); acutissimi sono i contributi teorici di E. Benveniste, che ha fornito esempi illuminanti di analisi strutturalistiche anche nella sua opera d'indoeuropeista (Problèmes de linguistique générale, Parigi, I, 1966 [trad. it., Milano 1971], II, 1974; Le Vocabulaire des institutions indo-européennes, ivi 1969; trad. it., Torino 1976). In Italia va ricordata in particolare la Scuola di L. Heilmann (La parlata di Moena, Bologna 1955); in Germania i lavori romanistici di H. Lausberg, H. Lüdke, H. Weinrich (di quest'ultimo cfr. Phonologische Studien zur romanischen Sprachgeschichte, Münster 1958), e successivamente l'elaborazione della linguistica "testuale" (cfr. l'antologia a cura di M.-E. Conte, La linguistica testuale, Milano 1977); in Polonia la sintesi nuova, operata utilizzando spunti provenienti dalla scuola di Praga e da quella di Copenaghen, da uno dei massimi indoeuropeisti del nostro secolo, J. Kurylowicz (Esquisses linguistiques, Breslavia 1960). In Danimarca la glossematica è stata coltivata e discussa da K. Togeby (cfr. il fascicolo da lui curato: La Glossématique: l'héritage de Hjelmslev au Danemark, di Language, 6,1967). In Cecoslovacchia gli studi linguistici sono stati ripresi con una certa vitalità e dal 1964 si è avviata la pubblicazione dei Travaux linguistiques de Prague. Nell'Unione Sovietica sì è avuta un'importante fioritura di studi di linguistica strutturale a partire dalla destalinizzazione (1956). In tutti i paesi d'Europa si è sviluppato rapidamente, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, lo studio della linguistica generativa.

Il fenomeno forse più notevole, a partire dagli anni Cinquanta, è stato la diffusione dello s. al di fuori della linguistica. Particolarmente importante è la sintesi in cui lo psicologo J. Piaget ha cercato di conciliare la dimensione storica e quella fisiologica nella prospettiva dello "strutturalismo genetico" (cfr. il suo originale profilo critico Le Structuralisme, Parigi 1968; trad. it., Milano 1968). Ma la figura centrale per il diffondersi dello s. è quella di C. Lévi-Strauss, che trasferendo i metodi della fonologia jakobsoniana alle sue analisi etnologiche ha consacrato la tendenza (e la moda) che considera la linguistica strutturale come la disciplina guida nel campo delle scienze umane. Lévi-Strauss interpreta il sistema dei rapporti di parentela, e in generale tutta l'organizzazione sociale, come se fossero sistemi semiologici, in terminì di segni e di scambi di messaggi (cfr. Les Structures élémentaires de la parenté, Parigi 1947; trad. it., Milano 1969; e i quattro volumi di Mythologiques, ivi 1964-71; trad. it., Milano 1966-74). Negli studi storici F. Braudel ha messo in rilievo gli aspetti strutturalistici nel metodo della scuola delle "Annales". R. Barthes ha lanciato una nozione di semiologia, o scienza generale dei segni, che invece di comprendere la linguistica tende piuttosto a modellarsi su di essa (Èléments de sémiologie, Parigi 1964; trad. it., Torino 1966); e il diffondersi di tendenze che si dichiarano strutturalistiche si nota in campi diversi, dalla psicanalisi, con J. Lacan, al marxismo con L. Althusser, all'"archeologia del sapere" elaborata da M. Foucault, per non parlare della critica letteraria in cui, riprendendo l'eredità dei formalisti russi e dei nuovi studi di retorica, si è potuto fare un uso più diretto e fecondo degli strumenti tecnici forniti dalla linguistica strutturale e trasformazionale. Esempi illustri di analisi "strutturali" di testi letterari sono stati offerti da R. Jakobson; e, con minore attenzione all'aspetto fonico, queste correnti si sono rivelate particolarmente importanti in Francia, dove gli studi di narratologia e di poetica si sono concentrati sulla struttura astratta del testo letterario, e in Italia, dove si è tenuto maggior conto dell'aspetto stilistico, e, attraverso lo studio della codificazione letteraria, della temperie culturale, richiamandosi anche alla precoce lezione di metodo di G. Contini.

Bibl.: Un'esposizione sistematica delle tendenze dello s. linguistico in G. Lepschy, La linguistica strutturale, Torino 1966 (con aggiornamento bibliografico, 1979); buone caratterizzazioni nel fasc. 24 di Il Verri, Lo strutturalismo linguistico, a cura di L. Heilmann; un'acuta e concisa prospettiva, d'impostazione generativista, è offerta da M. Bierwisch, Modern linguistics, L'Aia 1971 (originariamente in tedesco in Kursbuch, 5 [1966], pp. 77-152); buona scelta di testi in italiano in T. Bolelli, Linguistica generale, strutturalismo, linguistica storica, Pisa 1971; La linguistica: aspetti e problemi, a cura di L. Heilmann ed E. Rigotti, Bologna 1975. Su singole tendenze si veda anche: A Prague school reader in linguistics, a cura di J. Vachek, Bloomington 1964; J. Vachek, The linguistic school of Prague, ivi 1966; A Geneva school reader in linguistics, a cura di R. Godel, ivi 1969; per gli studi italiani: D'A.S. Avalle, L'analisi letteraria in Italia. Formalismo, strutturalismo, semiologia, Milano 1970; C. Segre, Structuralism in Italy, in Semiotica, 4 (1971), pp. 215-39. In generale un buon panorama complessivo, di vari autori, in Qu'est-ce que le structuralisme?, a cura di F. Wahl, Parigi 1968 (trad. it., Milano 1971); utile per pronto riferimento a ogni aspetto dello strutturalismo il Dictionnaire encyclopédique des sciences du langage, a cura di O. Ducrot, e Tz. Todorov, Parigi 1972 (trad. it., Milano 1972).

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