Stupefacenti

Dizionario di Storia (2011)

stupefacenti


Termine che designa le sostanze, naturali o sintetiche, in grado di alterare, una volta introdotte nell’organismo, le condizioni fisiche e psichiche dell’individuo. In termini farmacologici, gli s. sono delle droghe aventi un’azione psicoattiva, tali cioè da agire sul sistema nervoso centrale e da provocare alterazioni dell’umore e delle attività mentali. Le alterazioni in questione sono di vario genere: alcune sostanze stimolano il sistema nervoso centrale mentre altre lo deprimono; altre ancora riducono il dolore o alterano la funzione percettiva. Anche la potenza psicoattiva è differente a seconda delle sostanze; così come differenti sono i gradi di assuefazione, di dipendenza e di tossicità associati al consumo delle stesse. Se la connotazione del concetto di s. è piuttosto stabile nel tempo e nello spazio, la sua denotazione è invece mutevole. Il catalogo delle sostanze considerate s., infatti, risulta essere estremamente vasto e variegato se si considerano società differenti o se, viceversa, si osservano le stesse società in diversi momenti storici. L’estensione di tale catalogo va dalla cocaina e dagli oppiacei, come il laudano, la morfina e l’eroina, a sostanze quali il tè, il caffè e il cacao, passando per i prodotti cannabici, come la marijuana e l’hashish, i prodotti derivati dall’acido lisergico, come l’LSD e gli psicofarmaci, come gli ansiolitici – tra cui i barbiturici e le benzodiazepine –, gli antidepressivi e i neurolettici. Proprio la varietà e la numerosità degli s. inducono a integrarne la definizione farmacologica con una definizione di carattere sociologico. S., da una prospettiva socioculturale e non meramente biochimica, sono tutte quelle sostanze definite come tali attraverso un processo di costruzione sociale, a prescindere quindi dal loro effetto farmacologico. In questo senso, una sostanza è annoverata tra gli s. all’interno di specifici contesti sociali e culturali; all’interno di altri contesti può essere considerata e classificata in maniera differente. Anche il modo in cui le singole società hanno considerato e considerano gli s. è estremamente variabile. In quasi tutte le società, infatti, è presente una distinzione tra sostanze lecite e sostanze illecite. Il catalogo delle prime e delle seconde cambia tuttavia in contesti spaziali e politici differenti o in diversi periodi storici. La cocaina, legale nei Paesi europei e negli USA nella seconda metà dell’Ottocento, diviene poi illegale, negli stessi Paesi, agli inizi del Novecento. I prodotti cannabici, illegali in molti Stati, in altri Stati possono invece essere consumati legalmente, seppure in appositi spazi e a determinate condizioni. Oltre alle sostanze ritenute illecite in quanto tali, vi sono poi, all’interno di alcune società, sostanze considerate lecite ma il cui consumo, al di sopra di una certa soglia, è oggetto di sanzioni, morali e legali. È il caso, per es. dell’alcol: il consumo di questa sostanza, anche nei Paesi in cui è considerata legale, è moralmente sanzionato qualora dia luogo a fenomeni di ubriachezza, a meno che tali fenomeni non avvengano in specifiche circostanze – come feste o matrimoni – socialmente codificate e, di conseguenza, considerate accettabili. Allo stesso modo, i barbiturici, se assunti sotto prescrizione medica per aiutare il sonno, sono considerati ammissibili; se assunti invece – seppure al medesimo dosaggio – per indurre uno stato di euforia, sono considerati inammissibili. Ogni società, dunque, è caratterizzata da un certo grado di proibizionismo, ossia dalla presenza, più o meno vincolante, di un sistema di controlli elaborato per affrontare i problemi connessi all’uso delle sostanze stupefacenti. Un sistema di tal genere prevede necessariamente la definizione di una o più categorie di sostanze il cui impiego viene considerato inaccettabile e la creazione di misure legislative e amministrativo-burocratiche miranti alla repressione dei comportamenti legati al consumo delle stesse. Queste misure, storicamente, sono state spesso estremamente violente. Esemplificative, a riguardo, sono le vicende di due sostanze: il caffè e il tabacco. La prima, arrivata in Europa assieme al tè alla metà del 17° sec., è utilizzata prevalentemente come medicina; il suo uso extra-medico viene però successivamente proibito da diversi governi con la prigione o con pene corporali. La seconda, importata dal Nuovo mondo, nel Seicento è oggetto di pesanti divieti, la cui trasgressione è punita addirittura con la morte. Ora, la presenza di un sistema di controlli istituzionali non implica affatto che la proibizione formale sia accompagnata da una diminuzione significativa dell’incidenza sostanziale del consumo di s. all’interno di una data società. Tali sostanze, in altre parole, continuano a essere consumate anche in presenza di espliciti divieti e di specifiche sanzioni legali. Lo scarto persistente tra le prescrizioni normative e i comportamenti effettivi mostra allora come la motivazione al consumo di sostanze psicoattive sia fortemente radicata negli esseri umani, tanto da indurli a trasgredire, anche a costo di pesanti sanzioni, le regole sociali. L’utilizzo di s., quindi, come peraltro si evince dalla storia di queste sostanze, è un tratto universale del genere umano, tanto in senso geografico quanto in senso temporale, e non una caratteristica riscontrabile soltanto all’interno di alcuni gruppi. Lo scarto tra norme e azioni, inquadrato in una prospettiva storica di lungo periodo, rivela inoltre un altro elemento importante: laddove sono legalmente proibiti, gli s. sono comunque oggetto di vendita, ma all’interno di mercati illegali. La vendita di alcune sostanze psicoattive – vendita che, nell’ambito di un sistema legale, è affidata all’iniziativa dei privati o è regolata dagli attori pubblici, e in particolare dagli Stati – è sostituita dal traffico e dallo spaccio illegali. Nascono così specifici mercati, dotati di regole di funzionamento in parte diverse da quelle che governano i mercati legali ma caratterizzati da un ruolo comunque attivo, seppur spesso estremamente controverso, da parte degli attori statali. Emblematica della struttura di questi mercati, nonché del ruolo ambiguo svolto dagli Stati al loro interno, è la vicenda delle tra Gran Bretagna e Cina, avvenute a cavallo della metà del 19° secolo. Il motore del conflitto è qui costituito dagli interessi divergenti dei due Stati nel commercio di questa sostanza. La Cina, infatti, prova a contenere gli effetti dannosi dell’oppio sulla sua popolazione proibendone la vendita; la Gran Bretagna, invece, ha interesse a vendere l’oppio nel territorio cinese, e accusa la Cina di compiere un «intollerabile attentato contro la libertà di commercio». Se la consistenza di traffici e di mercati interstatali degli s. rappresenta un tratto caratterizzante la prima parte dell’Età contemporanea, lo sviluppo di mercati mondiali costituisce senza dubbio una novità del Novecento. Nei primi anni del 21° sec., poi, l’estensione di questi mercati ha raggiunto dimensioni ancora più ragguardevoli di quelle raggiunte nel corso del 20° secolo. In termini economici, secondo stime fornite nel 2010 dall’UNODC (United Nations office on drugs and crime), nei primi dieci anni dopo il 2000 il mercato degli oppiacei, per quanto riguarda la vendita ai consumatori, ha generato un giro di affari annuo di 65 miliardi di dollari americani; mentre il mercato della cocaina ha generato un giro di affari di 88 miliardi. Riguardo ai mercati degli s., Pino Arlacchi, uno dei massimi esperti delle rotte mondiali delle droghe, ha sottolineato come i traffici contemporanei, rispetto ai traffici che caratterizzavano epoche precedenti, svincolino completamente le sostanze s. dalle loro radici socioculturali, facendone un puro oggetto di consumo. Sostanze che in passato non erano merci, adesso diventano tali, creando così, per ciò che concerne le abitudini d’uso e i circuiti di commercio e di scambio, una rottura tra società tradizionali e società capitalistiche. Le modalità di consumo rituali che caratterizzavano le società premoderne, infatti, sono praticamente scomparse. Se in società di questo genere, statiche e chiuse, il consumo di s. non creava domanda, in molte società odierne, caratterizzate invece da circuiti mercantili illeciti più aperti e dinamici, le strategie di offerta di sostanze s. producono incessantemente un incremento della domanda, sfruttando la propensione al consumo degli individui appartenenti a tutte le classi sociali. Nuovi stili di consumo, spinti dall’intensificazione degli scambi culturali ed economici, vengono così esportati dall’area europea e dagli USA verso nuovi contesti geografici e sociali. A livello mondiale, emerge una figura inedita: quella del tossicomane, giovane consumatore di s., in particolare di eroina e di cocaina. Ma il consumo di sostanze psicoattive illegali non è un fenomeno che, adesso, riguarda soltanto i giovani. Secondo stime relative al 2008 fornite dall’UNODC, a livello mondiale, tra i 155 e i 250 milioni di persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni hanno fatto uso, nell’ultimo anno, di sostanze s. illecite, la più usata (tra i 129 e i 190 milioni di persone) è la cannabis. Sempre secondo la stessa agenzia dell’ONU, il numero di «problem drug users» di età compresa tra i 15 e i 64 anni, ossia di soggetti che fanno un uso di s. regolare o frequente, subendo conseguenze negative per la propria salute, varia tra i 16 e i 38 milioni. Mentre il numero di persone – sempre di età compresa tra i 15 e i 64 anni – che fanno uso di s. mediante iniezione oscilla tra gli 11 e i 21 milioni. Nonostante le difficoltà di comparazione tra Stati differenti dovute ai diversi metodi di rilevazione dei dati utilizzati, secondo stime fornite nel 2010 dall’EMCDDA (European monitoring centre for drugs and drug addiction), nell’area europea sono l’Italia e il Regno Unito – rispettivamente con il 9,03 e il 10,32 per mille della popolazione – i Paesi in cui è presente il maggior numero di consumatori abituali di stupefacenti. Con il cambiamento degli stili di consumo e con l’estensione globale del mercato, si affaccia, anche sul piano del diritto internazionale, la consapevolezza della necessità di una specifica normativa in tema di stupefacenti. Gli USA sono stati il primo Paese a prendere iniziative in questo senso, dapprima siglando accordi con singoli governi per proibire il traffico di droga, e successivamente promuovendo incontri internazionali per discutere degli effetti degli s. e delle politiche volte a contrastarne la diffusione. A riguardo, fu il presidente Theodore Roosevelt, nel 1909, a promuovere a Shangai una seconda Conferenza internazionale sull’oppio (una prima Conferenza, nella stessa città, si era già tenuta nel 1890), alla quale parteciparono, oltre agli USA, i principali Stati europei e numerosi Stati asiatici. Anche qui, come nel caso delle guerre tra Gran Bretagna e Cina, a dettare le priorità in tema di contrasto alla diffusione degli s. non sono soltanto le ragioni mediche e quelle umanitarie, ma sono anche – e forse soprattutto – le ragioni economiche e quelle geopolitiche. A ispirare la «crociata» statunitense contro le droghe vi è infatti, almeno inizialmente, l’interesse a limitare il dominio europeo nel commercio con la Cina. A ogni modo, l’attenzione internazionale per la questione degli s. continuò, fino a concretizzarsi, nel 1912, nella Convenzione dell’Aia, nell’ambito della quale i Paesi riunitisi in precedenza a Shangai concordarono sulla necessità di controllare la vendita e l’uso degli oppiacei e sottoscrissero il primo impegno a riguardo. A livello dei singoli Paesi, tuttavia, gli impegni sottoscritti durante la Convenzione faticarono a tradursi in leggi coerenti. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, l’applicazione a livello locale delle misure internazionali divenne ancora più complicata. Fino a quando, nel 1918, l’appena costituita Società delle nazioni, sulla base dell’art. 23 del Trattato di Versailles, ricevette ufficialmente l’incarico di rendere effettivi gli accordi internazionali precedentemente stipulati e di elaborare un’ampia strategia di controllo dei traffici degli stupefacenti. Nell’ambito di questa organizzazione, fu quindi istituita una commissione consultiva incaricata di valutare l’opportunità di introdurre in ogni Paese monopoli per la produzione e la vendita di oppio. Tale proposta incontrò però seri ostacoli, dovuti soprattutto alle preoccupazioni espresse a riguardo dai delegati statunitensi, che si manifestarono in due conferenze, riunite a Ginevra nel 1924 e nel 1925, e nell’istituzione, nel 1931, di un organo di controllo internazionale – successivamente piuttosto criticato – finalizzato ad assicurare il rispetto delle quote di produzione assegnate. Alla fine della Seconda guerra mondiale, tutte le competenze in materia di sostanze s. sono state trasferite dalla Società delle nazioni all’ONU. Nel 1948, l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) è designata come agenzia responsabile del controllo. Durante la Convenzione di Lake Success, nel 1946, il catalogo degli s. riconosciuti come tali venne ampliato, fino a comprendere tutte le molecole sintetizzate dopo la Conferenza del 1931. Anche il numero dei Paesi disposti a creare monopoli per la produzione e la vendita di s. venne ampliato, attraverso un protocollo firmato a New York nel 1953. Otto anni più tardi, nel 1961, venne firmato, sempre a New York, un trattato internazionale – la Convenzione unica sulle droghe s. – che vincola i contraenti a controllare la produzione, il traffico e l’uso di queste sostanze, costituendo, di fatto, il modello delle leggi antidroga nazionali. Il ricorso a politiche repressive da parte dell’ONU, pur nel riconoscimento della sovranità dei singoli Stati in materia, è ormai esplicito. Nel 1971, a Vienna viene firmata una nuova Convenzione sulle sostanze psicotrope, che include sostanze non previste nella Convenzione del 1961, come gli allucinogeni, le anfetamine, il THC e i barbiturici. Nel 1988, attraverso una nuova Convenzione unica, le politiche repressive si fanno ancora più esplicite: il «possesso», l’«acquisto» e la «coltivazione per uso personale» vengono considerati reati penali, seppur – nuovamente – nel rispetto dei principi costituzionali e dei concetti fondamentali dei sistemi legali dei singoli Paesi. Emblematica della stretta repressiva promossa dalle organizzazioni internazionali è l’evoluzione della normativa italiana in materia di stupefacenti. Nel 1975, infatti, l’Italia accolse le indicazioni contenute nelle convenzioni internazionali promulgando una legge quadro sugli s.: la legge 685 del 1975. L’art. 80 di questa legge sancisce il principio della non punibilità dell’acquisto o della detenzione per uso personale di una modica quantità di sostanze s., anche a scopo non terapeutico. Nel 1990, tuttavia, dopo la Convenzione unica del 1988 e la collaborazione sancita tra gli Stati dell’Unione Europea a Strasburgo l’8 novembre del 1990 – ratificata poi con gli accordi di Schengen e di Maastricht –, l’Italia si allinea alle nuove e più repressive indicazioni internazionali attraverso una nuova legge quadro: la legge n. 162 del 26 giugno 1990. Questa legge (successivamente modificata, in alcune sue parti, da alcuni provvedimenti normativi prima e dal referendum del 18 aprile 1993 poi) abolisce l’autorizzazione a possedere una «modica quantità» di droga per uso personale, ponendo così sullo stesso piano trafficante, spacciatore e consumatore, e prevedendo per quest’ultimo, identificato adesso attraverso il possesso di una «quantità non eccedente la dose media giornaliera», delle sanzioni, di carattere però soltanto amministrativo.

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