Superlativo

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

superlativo

Livio Gaeta

Definizione

Il superlativo è insieme al comparativo (➔ comparativo, grado) un grado degli ➔ aggettivi e degli ➔ avverbi, che segnala che la proprietà espressa dall’aggettivo o dall’avverbio è intensificata al massimo grado senza riferimento a un termine di paragone (superlativo assoluto), oppure in relazione a una gerarchia di altri nomi (superlativo relativo) che formano il ➔ secondo termine di paragone. In questo secondo caso l’intensificazione può avere valore sia positivo che negativo.

Negli esempi seguenti sono riassunti i vari tipi di superlativo assoluto (1) e di superlativo relativo (2), con riferimento sia ad aggettivi che ad avverbi:

(1)

a. Mario è molto simpatico / simpaticissimo

b. Mario corre molto velocemente / velocissimamente

c. Mario corre con molta / moltissima grazia

(2)

a. Mario è il più simpatico dei suoi amici

b. Mario è il meno scrupoloso dei suoi amici

c. Mario corre più velocemente di tutti

d. Mario corre con maggior grazia di tutti

Superlativo assoluto

Il superlativo assoluto ha due forme:

(a) quella analitica, in cui l’avverbio molto è anteposto all’aggettivo;

(b) quella sintetica, che si ottiene per mezzo del suffisso -issimo, attaccato alla base aggettivale.

Le due possibilità sono in larga misura equivalenti, benché il suffisso -issimo presenti alcune restrizioni distribuzionali che permettono anche di indagarne le caratteristiche. Viene detto anche elativo, perché «esprime il grado più elevato di intensità su una scala di valori alti ma non polari» (Merlini Barbaresi 2004: 448), che possono anche essere espressi per mezzo del ➔ raddoppiamento espressivo o dell’alterazione accrescitiva (➔ accrescitivo). Le basi aggettivali preferite da -issimo in genere coinvolgono una dimensione fortemente affettiva e la fiducia incondizionata nel giudizio espresso (Rainer 2003). Molto meno comuni sono basi che invece non coinvolgono tale dimensione, come gli aggettivi deverbali in -ivo come innovativo o significativo: con questi in genere si incontra il superlativo analitico.

Chiaramente, queste valutazioni esprimono solo una tendenza: significativissimo non è impossibile in assoluto, ma dato il suo impiego in registri stilistici (come la prosa scientifica) in cui il coinvolgimento emotivo è in genere evitato, il suo uso è raro. Tuttavia, il fatto stesso che questo suffisso abbia limiti di combinabilità solleva qualche dubbio rispetto al suo statuto morfologico. Benché tradizionalmente -issimo venga considerato un suffisso flessivo, la presenza di queste restrizioni ha spinto qualcuno a considerarlo di natura derivazionale (ad es., Schwarze 1988: 507), dal momento che è in genere con quest’ultima che osserviamo restrizioni e condizionamenti di carattere lessicale, mentre la morfologia flessiva è di solito produttiva in maniera categorica. Inoltre, -issimo seleziona, oltre agli aggettivi, anche avverbi (benissimo, malissimo, ecc.; e locuzioni avverbiali: d’accordissimo, in gambissima), pronomi indefiniti (nientissimo, nessunissimo) e nomi (campionissimo, occasionissima, ecc.), rispecchiando in larga misura la gerarchia che si incontra tipicamente con i procedimenti alterativi (➔ alterazione), seppur con la notevole eccezione dei verbi.

Tuttavia, anche alla luce della sua estrema produttività, molto più vicina a quella della flessione prototipica (cfr. Gaeta 2003), si può concludere che il suffisso elativo è un caso di flessione (di tipo inerente), non prototipica per le sue restrizioni e per il suo impiego con più classi di parole. Anche in questi casi, tuttavia, i lessemi selezionati «devono comunque possedere una quantità intensificabile al massimo grado, o intrinseca o secondaria (di carattere metaforico o contestuale)» (Merlini Barbaresi 2004: 448-449). Ciò vale sia per gli aggettivi di relazione (➔ relazione, aggettivi di) come ad es. gli ➔ etnici, che devono anche avere valore qualificativo (italianissimo, milanesissimo, ecc.), sia per participi (➔ participio) che esprimono condizioni non graduabili (mortissimo, sposatissimo): in questi casi «la qualità intensificata fino al massimo grado è ravvisabile nel valore estremo, inappellabile dello stato o condizione espressa dalla base» (Merlini Barbaresi 2004: 449). Infine, talvolta una base non intensificabile assume -issimo per segnalare un contrasto o un potenziale dissenso (3), o più in generale sottolineare il coinvolgimento emotivo (4):

(3) ma è fattibile? fattibilissimo!

(4) pronto? prontissimo!

In alcuni casi idiomatici si ritrova ancora il valore che aveva in latino di superlativo relativo, come La Serenissima, Il Santissimo.

L’unico esempio di ➔ allomorfi che coinvolgono il suffisso -issimo è l’aggettivo ampio, che oltre al superlativo ampissimo ha anche la forma latineggiante amplissimo. Inoltre, oltre agli elativi in -issimo, sono presenti, così come per il comparativo (➔ comparativo, grado) resti di superlativi suppletivi (anche detti organici; Serianni 1989: 219; ➔ suppletivismo; ► comparativi e superlativi di origine latina), che erano tali già in latino:

(5) buono → ottimo

cattivo → pessimo

grande → massimo

piccolo → minimo

Alla luce di quanto osservato non sorprende osservare che, benché in questi casi l’intensificazione sia già intrinsecamente codificata e non possa essere ulteriormente espressa per mezzo di avverbi (Mario è [*molto] ottimo / pessimo, ecc.), nondimeno si incontra, specie nei registri substandard (ma anche nell’uso ricercato), l’uso dell’elativo: ottimissimo, minimissimo.

Inoltre, troviamo anche alcuni superlativi fossili, a cui non corrisponde un aggettivo di riferimento:

(6) estremo, infimo, intimo, primo, postumo/postremo, supremo/sommo, ultimo

In latino questi aggettivi rappresentavano il grado superlativo dei rispettivi avverbi o preposizioni (extrā «fuori», infrā «sotto», ecc.), che solo in parte sono sopravvissuti in italiano. Questi aggettivi «hanno finito col perdere in tutto o in parte i tratti semantici del [...] superlativo» (Serianni 1989: 218), sicché, ad es., infimo non significa «che sta molto sotto» ma semplicemente «spregevole, di pessima qualità», postumo (dal lat. post «dietro, dopo») si riferisce solo a «ciò che avviene dopo la morte», ecc. In alcuni usi limitati, tipicamente riferiti a entità geografiche, si recupera almeno in parte il valore di superlativo come la Spagna estrema (cioè la parte più lontana della Spagna). Di uso solo letterario il fossile postremo; meno infrequente sommo.

Infine, un certo numero di aggettivi ha un suffisso di elativo diverso: si «tratta di un uso colto, che ricalca direttamente il modello latino degli aggettivi in -ĕr, e in -dĭcus, -fĭcus, -vŏlus» (Serianni 1989: 214):

(7)

acre → acerrimo

celebre → celeberrimo

integro → integerrimo

misero → miserrimo

salubre → saluberrimo

tetro → teterrimo

(8)

benefico → beneficentissimo

benevolo → benevolentissimo

malefico → maleficentissimo

malevolo → malevolentissimo

munifico → munificentissimo

Nel primo caso il superlativo riflette la forma del nominativo latino (ācer, celeber, ecc.), nel secondo l’allomorfia richiama una forma in -ente, attestata in almeno quattro casi su cinque: beneficente, benevolente, maleficente, munificente. Inoltre, il superlativo latineggiante facillimo da facile è ormai disusato, mentre asperrimo da aspro ha uso solo letterario, accanto al regolare asprissimo. Infine, tutte queste forme hanno in genere scarso impiego nella lingua parlata, che preferisce le forme regolari, quando esistono, come miserissimo, salubrissimo, ecc., oppure ricorre al superlativo analitico. Si noti che le forme irregolari sono in genere riservate per significati astratti: un nemico acerrimo, ma un sapore *acerrimo / molto acre. Va notato che acerrimo è ormai sentito come non superlativo e quindi si incontra anche la soluzione il più acerrimo.

Superlativo relativo

Il superlativo relativo si forma con la costruzione analitica formata dall’avverbio più o meno, cioè l’aggettivo al grado comparativo, preceduto dall’articolo determinativo (2). In questo caso si attribuisce il massimo grado a una proprietà all’interno di un insieme qualificato dal secondo termine di paragone.

Nel caso siano presenti, possono essere impiegati i comparativi suppletivi: Mario è il migliore / il più buono dei miei amici. Al posto di migliore e peggiore si trovano anche le forme avverbiali meglio e peggio con funzione attributiva in diverse varietà substandard (ad es., a Roma), oltre che nella lingua letteraria (il meglio ramoscello d’oro: Eugenio Montale, Sarcofaghi, 18; cfr. Serianni 1989: 212). Si noti che, quando l’aggettivo superlativo relativo è usato attributivamente ed è posposto al nome, tra il comparativo e il superlativo si neutralizza la differenza: la scatola più grande può opporsi, a seconda del contesto, a quella più piccola oppure essere la più grande di tutte quelle presenti o immaginabili. Inoltre, l’articolo è in genere omesso nel caso di avverbi accompagnati da secondo termine di paragone: Mario corre (*il) più velocemente di tutti i miei colleghi. In altri casi, l’articolo è invece ricorrente: vediamoci il più presto possibile.

Per converso, non è più possibile inserire, secondo il modello francese, l’articolo davanti a un aggettivo posposto a un nome: la cosa (*la) più bella, per il quale si hanno però esempi fino all’Ottocento: la «forte opposizione dei puristi ha certo contribuito a indebolire il costrutto, che oggi è pressoché scomparso dall’uso» (Serianni 1989: 186).

Secondo termine di paragone

Il secondo termine di paragone è in genere introdotto dalla preposizione di oppure da tra / fra, se si vuole accentuare il valore partitivo: Mario è il più bravo tra i miei colleghi.

Nel caso manchi il secondo termine di paragone, il valore superlativo è universale: il pendolino è il più veloce implica una gerarchia tra tutti i possibili treni (o almeno tra tutti quelli rilevanti nella situazione comunicativa in cui è pronunciato l’enunciato). Per evidenziare il valore di quantificatore universale si può posporre l’avverbiale invariabile possibile: i pendolini sono i più veloci possibile.

Con la sua forza di quantificatore universale il superlativo relativo rende sostanzialmente pleonastica la presenza di tutto nel secondo termine di paragone, a meno che non sia obliterata la distinzione dal comparativo, come con gli avverbi. Infatti mentre in: Mario è il più bravo di tutti i/dei miei colleghi il quantificatore può essere tralasciato, in una frase come: Mario corre più velocemente di tutti i/dei miei colleghi tralasciando il quantificatore si trasforma la frase in una comparativa. Quando il secondo termine di paragone è assente, per disambiguare si impiega in genere l’avverbiale possibile: Mario corre più velocemente possibile.

Studi

Gaeta, Livio (2003), Produttività morfologica verificata su corpora: il suffisso -issimo, in I nuovi media come strumenti per la ricerca linguistica, a cura di F. Rainer & A. Stein, Frankfurt am Main, Peter Lang, pp. 43-60.

Merlini Barbaresi, Lavinia (2004), Aggettivi deaggettivali, in La formazione delle parole in italiano, a cura di M. Grossmann & F. Rainer, Tübingen, Niemeyer, pp. 444-450.

Rainer, Franz (2003), Studying restrictions on patterns of word-formation by means of the Internet, «Rivista di linguistica» 15, 1, pp. 131-140.

Schwarze, Christoph (1988), Grammatik der italienischen Sprache, Tübingen, Niemeyer.

Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

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