SVAMPA, Giovanni, detto Nanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 94 (2019)

SVAMPA, Giovanni detto Nanni

Michele Sancisi

– Nacque a Milano il 28 febbraio 1938, secondogenito – aveva una sorella maggiore, Mabi – di Napoleone, detto Nino – ragioniere, titolare di una ditta edile – e di Lidia Cerutti, entrambi provenienti dal lago Maggiore, ma da sponde opposte, l’uno di Cannobio e l’altra di Sangiano, cosicché, diventato celebre, Svampa scherzava sul sospetto di essere stato concepito su un battello.

Durante lo sfollamento da Milano dovuto alla guerra, il piccolo Giovanni – poi ribattezzato Nanni da un suo insegnante di origine toscana – si trasferì con la famiglia a casa dei nonni materni nell’alto Varesotto, dove fece le scuole dell’obbligo con due anni di anticipo e visse – come avrebbe scritto molti anni dopo – «un’infanzia stupenda in campagna» (Scherzi della memoria, 2002, p. 9): il mondo contadino fornì alla sua fantasia poetica un vasto bagaglio di storie e personaggi. Il gusto per le canzoni e la narrazione gli venne dal padre, uomo brillante e di successo che, facendo il pendolare, intratteneva i compagni di viaggio, spesso in coppia con il giovanissimo Dario Fo, allora studente a Milano all’Accademia di Brera e residente a Porto Valtravaglia.

La pittoresca e bigotta provincia degli anni Quaranta, segnata dalla retorica fascista, stimolò nel giovane Svampa anche anticorpi politici che lo posero su solide basi progressiste e anticlericali. Come avrebbe in seguito raccontato spesso al suo pubblico, decise allora «la facoltà alla quale iscriversi da grande: l’osteria del paese» (Nanni Svampa: antologia della canzone milanese e lombarda, 2012, DVD 2). Il cappellaccio di feltro dei contadini in quei fumosi locali sarebbe rimasto per molti anni un accessorio di scena dei suoi concerti, così come la trasgressione del linguaggio, goliardica e libertaria, che lo aveva colpito da bambino. Ne è un esempio la filastrocca di Martino e Marianna, tratta dalla tradizione lombarda, che Svampa rese un classico.

Nel 1947 gli Svampa tornarono a Milano: la città era un nuovo teatro di tipi umani che, con gli anni, cominciò a ispirare il ragazzo, sia pur facendogli rimpiangere la campagna. Qualche anno dopo infatti – iscritto al liceo scientifico Leonardo Da Vinci – iniziò a comporre i primi versi e bozzetti comici in musica, arrivando più tardi a teorizzare che l’umorismo fosse nato in lui in quel periodo come reazione alla tristezza dell’appartamento urbano.

La Milano operaia e imprenditoriale che, dagli ideali della Resistenza, ripartiva verso il boom economico, conviveva allora con l’antica Milàn col coeur in man, dei trani (osterie popolari), delle fiere e della ligéra (piccola malavita), dei teatrini d’avanspettacolo dove si cantavano vecchie canzoni come La gagarella del Biffi Scala e stornelli della tradizione, simili a quelli delle taverne di provincia. Il giovane attinse da entrambe le anime della sua città, come dalla memoria contadina. Imparò a suonare, sognò il palcoscenico, ma per volontà paterna si iscrisse all’Università Bocconi (dove poi si laureò in economia e commercio), pur intuendo che il destino gli avrebbe riservato tutt’altro.

L’occasione del debutto arrivò nel giugno del 1961 sul palco del Piccolo Teatro, con la satira musicale Prendeteli con le pinze e martellateli, testo e regia di Nuccio Ambrosino. Con questo suo compagno di studi, Svampa aveva già inscenato serate goliardiche con il gruppo I Corvi e la rivista satirica I soliti idioti (1960, teatro delle Erbe). Nello stesso anno, in vacanza a Ponza, conobbe la concittadina Armanda, detta Dina, Gianone, che sarebbe diventata sua moglie per la vita e dalla quale ebbe due figlie, Elena nel 1969 e Lidia nel 1971.

In quel periodo, grazie a un’amica tornata da Parigi, Svampa fece la scoperta più importante della sua storia artistica: il cantautore francese Georges Brassens. Durante il servizio militare in Puglia prese a tradurre in milanese e a cantare, accompagnandosi con la chitarra, quelle strane canzoni che parlavano di poveri disgraziati e prostitute e mettevano in ridicolo l’ipocrisia dei benpensanti. Oltre a riconoscersi in quel mondo poetico e morale, Svampa scoprì le affinità fonetiche tra il francese e il lombardo e l’analogia tra personaggi e ambienti di una certa Parigi con quelli della sua terra. Il voyou francese diveniva il malnatt meneghino, l’argot trovava eco nel linguaggio del sottoproletariato lombardo. Ispirato dal maestro transalpino, Svampa cominciò anche a incidere i propri brani: il primo fu I teddy-boys (1961), invettiva contro i picchiatori in doppiopetto («Adesso vanno in giro pagati dai padroni / in mezzo alle sfilate a rompere i coglioni»), antitesi della canzone italiana di evasione tipica del Festival di Sanremo.

Nel 1962-63 si cimentò come attore e cantante in La cena delle beffe di Sem Benelli e in Il tarfante dell’amico Ambrosino. Dello stesso periodo fu l’esordio discografico, con due brani scritti insieme a Giampiero Borella e contenuti in un 45 giri: Me ricordi e A mi, ritratto di un cinico industriale pirata della strada («A me danno dell’egoista – dice il testo, in milanese –, a me che sono patrono dei Martinitt, che bevo solo acqua santa e voto la DC»). I temi forti di Nanni Svampa c’erano già tutti: critica sociale, bozzetto poetico, cinismo alla Brassens. A quest’ultimo dedicò il suo primo 33 giri di successo, Nanni Svampa canta Brassens (1965), in copertina una sua foto in completo nero, alla maniera degli esistenzialisti francesi.

Nei locali dei primi anni Sessanta, dove scoppiava la moda del cabaret, Svampa incontrò il chitarrista jazz Lino Patruno e il cantante Roberto Brivio, che interpretava strane storie di funerali e becchini. Con loro e con la soubrettina Didì Martinaz, Nanni formò il suo primo quartetto, che prese a esibirsi con successo. Al disappunto del padre, che lo voleva ragioniere ma lo vedeva rincasare all’alba, lui rispose con la canzone Io vado in banca (1964), primo cavallo di battaglia del gruppo che – persa la Martinaz e aggregato il mimo Gianni Magni – si costituì ufficialmente al Derby Club, nell’autunno del 1964, con il nome di Gufi, «quegli uccelli che di notte non dormono mai» (Nanni Svampa: antologia della canzone milanese e lombarda, cit., DVD 1).

L’idea, innovativa per un gruppo musicale, di avere un regista, fu proposta da Svampa e Brivio all’amico Vito Molinari, ma mai realizzata nei fatti. Nondimeno, in soli cinque anni di attività, i Gufi lasciarono un segno profondo nella canzone satirica italiana. Con le loro calzamaglie nere e le bombette, furono la prima formazione con un preciso look e un proprio ‘logo’. Nel mirino dei loro testi c’erano il clero, la borghesia, l’esercito, la Democrazia cristiana, l’ipocrisia dell’italiano medio, ma anche l’assurdo del quotidiano, l’esorcismo della morte. In imprevedibili performances scenico-musicali, alternavano pezzi comici e surreali a brani molto politici (esclusi dalle sortite televisive). Uno dei loro 33 giri, I Gufi cantano due secoli di Resistenza (1966), raccoglieva canti sociali e antimilitaristi dal Settecento al 1945. Altre canzoni (dovute anche all’autore Ario Albertarelli) puntavano sulla provocazione del macabro: Quando sarò morto; Funeral show; Vorrei tanto suicidarmi. In tournée al Sud, ebbero una denuncia per «vilipendio della religione e turpiloquio» a causa della canzone tradizionale abruzzese Sant’Antonio a lu desertu da loro rielaborata in chiave comica.

Il successo dei Gufi, amplificato dalla televisione in trasmissioni come Studio Uno (1966) e con ‘speciali’ loro dedicati, fu nutrito da un’intensa attività. Tra il 1965 e il 1969 Svampa e i suoi soci diedero alle stampe una discografia di tredici titoli, che culminò in due ambiziosi progetti musical-teatrali, scritti con il commediografo Luigi Lunari, Non so, non ho visto, se c’ero dormivo (1967) – sugli ideali della Resistenza disattesi dall’Italia del ‘miracolo economico’ – e Non spingete, scappiamo anche noi (1968) – dura satira antimilitarista, che provocò censure e contestazioni, logorando infine la coesione dei quattro. La produzione artistica personale di Svampa non coincise mai con quella del gruppo – nel corso della cui storia incise da solista ben undici dischi (sette a 45 giri e quattro a 33 giri) – ma l’osmosi fu ampia, grazie a suoi brani come Si può morire (1963) o la censurata Gabriella (1964), contenente riferimenti all’educazione sessuale e all’aborto clandestino.

Nel 1968 e nel 1969 Svampa presentò al Piccolo due recital – Nanni Svampa canta Brassens e altre ballate milanesi, con il solo Patruno, e La mia morosa cara, con Patruno e con la cantante Franca Mazzola – con canzoni tradizionali rivisitate e brani di Brassens, entrambi accolti con grande favore da critica e pubblico. Ma proprio il laghée (‘quello del lago’, tra i quattro) fu il primo a spingere per lo scioglimento del gruppo. Da ex Gufo (definizione che non amava), Svampa proseguì la carriera di autore, cantante e attore, lavorando ancora a lungo con Patruno e Mazzola. In televisione, i tre furono protagonisti di una nuova versione di La mia morosa cara (1972), primo canovaccio sceneggiato di un’antologia della canzone milanese e lombarda alla quale Svampa dedicò poi anni di ricerca – in collaborazione con Michele Straniero – e che, con il titolo Antologia della canzone lombarda, fu pubblicata dalla Durium in 12 dischi tematici nell’arco di otto anni, dal 1970 al 1977. Nota come La milanese, la raccolta resta un’opera di fondamentale importanza per lo studio della storia musicale dal Medioevo al dopoguerra, che valse a Svampa il Premio della critica discografica (1971). Analoghe antologie storiche furono incise da Roberto Murolo sul repertorio napoletano e da Sergio Centi su quello romano.

Svampa, Patruno e Mazzola furono attivi alla radio (A ruota libera, 1969; Off jockey, 1970; Jolly, 1970-71) e come intrattenitori di trasmissioni televisive (Addio Tabarin,1972; Gli amici del bar, 1973; Un giorno dopo l’altro, 1974), che rievocavano il vecchio e nuovo mondo della canzone e del varietà. Dopo la separazione dalla Mazzola, Svampa e Patruno ripartirono con lo spettacolo canoro Patampa (1974), crasi dei due cognomi, poi recitando insieme in Una bella domenica a Gavirago al Lambro (1975) di Lunari e Molinari, sorta di divertente sit-com ante litteram sul confronto-scontro tra Nord e Sud, in cui i due cantanti-attori ricoprivano ruoli sia maschili sia femminili. Al contempo, in tournée dal vivo, si attiravano critiche per brani urticanti come Povero Cristo (1969) o Pellegrin che vien da Roma (tradizionale rivisitato). Nel 1974 Svampa fu invitato e poi escluso dalla trasmissione Un disco per l’estate per una canzone (rimasta inedita) che metteva in ridicolo la passione degli italiani per le vacanze.

Mentre portava avanti una fortunata carriera parallela come attore di sceneggiati televisivi, quali Le cinque giornate di Milano (1970, regia di Leandro Castellani), Il mulino del Po (1971, regia di Sandro Bolchi), II calzolaio di Vigevano (1973, regia di Edmo Fenoglio) e Woyzeck (1973, regia di Giancarlo Cobelli), Svampa continuò sempre il suo lavoro di traduttore e cantante, con vari dischi dedicati a Brassens, del quale amava anche il gusto per le cose semplici e la ricerca della poesia nel quotidiano, adattati felicemente al mondo lombardo. In altri lavori, come Cabaret italiano (1977) o Concerto per Milano ed archi (1985), ripropose il repertorio lombardo riarrangiato da Patruno e poi da Ettore Cenci.

Nel 1975 si sciolse però il lungo sodalizio con Patruno, che riteneva l’amico Nanni troppo politicizzato.

Negli anni Ottanta, un po’ in crisi con il mondo della canzone, Svampa fece il conduttore di una trasmissione itinerante (Paese che vai, 1982) sulle tradizioni del mondo rurale e l’attore caratterista in altri film come Storia d’amore e d’amicizia (1982, di Franco Rossi), Verdi (1982, di Renato Castellani), Il conte di Carmagnola (1983, di Ugo Gregoretti). Con il programma Il playboy di mezzanotte (1978, trasmesso da un network di TV locali) tentò la conduzione di uno show notturno che alternava spogliarelli e comicità.

Un tentativo di réunion dei Gufi nel 1981 diede luogo a un programma TV di 40 puntate sulla rete Antenna Tre (Meglio Gufi che mai, regia di Beppe Recchia), all’uscita del 33 giri Sudameritalia per la CBS e a una partecipazione al Festival di Sanremo, ma ebbe respiro breve e si chiuse senza successo.

In quegli anni Svampa tornò gradualmente a vivere con la famiglia sul lago Maggiore, a Porto Valtravaglia, continuando a pubblicare dischi e a tenere molti concerti tra Lombardia, Piemonte e Svizzera ticinese, cioè il territorio della cosiddetta Insubria. Con Riflusso riflesso (1980-81) produsse un recital impegnato, alla Giorgio Gaber, sulla fine delle ideologie, il cui esito discografico fu però un insuccesso. Nello stesso tempo rievocò un personaggio archetipico della cultura meneghina nella serie televisiva È tornato Barbapedana (trasmessa dalla rete locale Canale 51). Come attore di prosa fu tra gli interpreti di Morte (una commedia) di Woody Allen (1986, da Death [play], 1975). Non riuscì mai però a dirigere nessuna delle sue sceneggiature, tra le quali vi è I promessi fusi, una versione satirica dei Promessi sposi. Infruttuosa fu anche la candidatura alle politiche del 1987 nelle liste del Partito socialista italiano.

Rimase attivo su più fronti fino al 2015, come chansonnier, produttore di spettacoli e talent scout, con la sua casa di produzione Ganiwell. Custode riconosciuto del dialetto colto e della tradizione lombarda, insignito nel 2001 dell’Ambrogino d’oro, Nanni Svampa morì a Varese il 26 agosto 2017.

Opere. La mia morosa cara: canti popolari milanesi e lombardi, Milano 1977 (come curatore); Canzoni e risate, ovvero: fare l’amore con un’ostetrica è un po’ come leccare un gelataio, a cura di G. Vettori, Roma 1979; Giobbiann: riti invernali del mondo contadino lombardo, Milano 1982 (con foto di A. Vergani); W Brassens, Milano 1983, edizioni riviste, ampliate e aggiornate (con il titolo W Brassens: i testi delle canzoni in milanese e in italiano), Milano 2001 e 2006; Brassens: tutte le canzoni tradotte, Padova 1991 (con M. Mascioli); Scherzi della memoria, Milano 2002 (autobiografia); Bisogna saperle raccontare: piccolo trattato della barzelletta in 160 esempi pratici, Milano 2005; Nanni Svampa: antologia della canzone milanese e lombarda, 3 DVD, 2012 (1, Nanni 70: i peggiori 70 anni della mia vita, documentario – liberamente ispirato a Scherzi della memoria – diretto da S. Del Vecchio, 2009; 2, Cabaret concerto, registrazione dal vivo al teatro Derby di Milano, febbraio 2008; 3, Omaggio a Brassens, registrazione dal vivo al teatro Sociale di Bellinzona, marzo 2008).

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