SVILUPPO

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

SVILUPPO (XXXIII, p. 71)

Pasquale Pasquini

Nell'embriologia sperimentale degli ultimi venticinque anni, l'attenzione dei ricercatori si è sempre più concentrata sul problema dell'induzione embrionale, fenomeno generale che dopo la celebre scoperta dell'organizzatore del blastoporo negli Urodeli (H. Spemann e H. Mangold, 1924) e, soprattutto, in riferimento alla natura dell'agente induttore, ha assunto un'importanza fondamentale nell'indagine causale dello sviluppo embrionale. Non a torto T. Yamada ha, di recente (1961), ribadito il concetto che fra i molteplici eventi epigenetici, che durante lo sviluppo presiedono alla realizzazione dell'organizzazione dell'embrione e all'insorgenza delle forme del corpo (che dipendono dal localizzarsi di processi differenziativi nei varî territorî), l'azione dell'organizzatore è, senza dubbio, la più importante. Qui si tratta, perciò, in particolare, dell'induzione nel differenziamento embrionale.

La natura del fattore responsabile dell'induzione embrionale, fin dapprincipio sospettato essere d'ordine chimico, è stata argomento di numerosi ed estesi lavori: preminenti quelli di due celebri gruppi di ricercatori, gli inglesi della scuola di Cambridge (J. Needham, C. H. Waddington) che sostennero la natura sterolica del principio inducente, e i tedeschi della scuola di Friburgo (F. G. Fisher, E. Wehmeier e coll., 1935) che ritennero invece responsabili dell'induzione gli acidi grassi. Questi ed altri tentativi per isolare ed identificare il principio inducente, misero in evidenza la sua estesa distribuzione nei più varî tessuti delle diverse specie animali (J. Holtfreter, 1934), anche se sottoposti ai più svariati trattamenti, negli estratti di tessuti e di organi, e controllarono anche l'azione di diverse sostanze chimiche manifestatesi inducenti (glicogeno, idrocarburi sintetici, cefalina, digitonina, ecc.).

I risultati ottenuti, i più disparati, hanno generato una certa confusione, sì che tuttora si è lontani dal possedere un'idea chiara dell'intimo meccanismo dell'induzione intesa come cambiamento nella direzione del differenziamento di un territorio o "sistema embrionale" per influenza di un altro, o di un "fattore" estraneo a quel territorio. Altrettanta incertezza grava sulla questione della esatta natura chimica dello stimolo induttore.

Sull'argomento si hanno esaurienti messe a punto quali quelle di J. Brachet (1947), di P. Pasquini (1949), di J. Holtfreter (1951), di J. Holtfreter e V. Hamburger (1955), di J. Needham (1955), nonché le più recenti di M. C. Niu (1956) e di T. Yamada (1958). L'introduzione di nuove metodiche di analisi dell'azione induttiva, che sono qui appresso indicate, sembra possa portare nuovi chiarimenti al problema.

Il metodo classico nello studio dell'induzione embrionale è stato, come è noto, quello microchirurgico, del trapianto, cioè, di frammenti del territorio organizzatore dell'uovo di Anfibî (il tessuto cordo-mesodermico del labbro dorsale del blastoporo nella gastrula di varie specie di Triturus) su un embrione ospite, sempre allo stadio di gastrula, al disotto dell'ectoderma; o inserendo, secondo la tecnica di O. Mangold (Einsteckmethode, 1923), tali frammenti, omoplasticamente o xenoplasticamente, nel blastocele di una giovane gastrula onde controllarne le capacità induttrici. Nella condizione più dimostrativa, quella dell'esperimento fondamentale di H. Spemann e H. Mangold, il labbro dorsale trapiantato induce nell'ectoderma adiacente un asse nervoso e, sempre a spese dei tessuti dell'ospite, parte di corda dorsale e dei somiti: si costituisce perciò, sull'embrione ospite, un tutto armonico, l'embrione secondario indotto, con le sue formazioni assili fondamentali, situate topograficamente come di norma.

Si è appurato che l'azione induttrice non ha specificità zoologica; che il potere inducente può trasmettersi per contatto ad un territorio inattivo; che un territorio indotto acquista a sua volta la capacità a indurre; che un organizzatore ucciso o narcotizzato conserva le proprietà induttrici; e che, per quanto riguarda l'induzione neurale, il differenziamento cioè di sistema nervoso provocato dall'organizzatore, l'ectoderma, per poter reagire specificamente allo stimolo inducente per dare tessuto nervoso, deve trovarsi in quel particolare stato fisiologico definito da C. H. Waddington (1932) competenza (la Reaktionsfähigkeit degli autori tedeschi), che raggiunge il suo massimo nello stadio di gastrula avanzata per poi attenuarsi progressivamente.

Nel 1933 l'Holtfreter mise a punto una nuova tecnica: racchiudeva, cioè, il materiale induttore in un lembo di ectoderma che coltivava in soluzione Holtfreter standard, metodo che poi perfezionò interponendo il tessuto induttore fra due lembi ectodermici, a mo' di "sandwich". Si poteva così dimostrare che l'attività induttiva posseduta dal territorio dell'organizzatore era diffusa a tutto l'ectoderma ventrale, della gastrula, dal quale, con la devitalizzazione dello stesso ectoderma. si liberava lo stimolo inducente. Lo stesso Holtfreter dimostrava - per primo - che tessuti differenziati dell'adulto di Vertebrati, impiantati in giovani gastrule di Triturus, erano capaci riprodurre evidenti induzioni neurali e mesodermiche.

Tutte le prove compiute ed i risultati ottenuti dal 1930-31 su organizzatori viventi o devitalizzati, su tessuti dei più svariati animali, su varî composti organici, concordemente affermano la natura chimica dell'agente induttore e di una presunta sostanza chimica inducente, diffusibile e trasferibile, di cui è stata confermata la presenza nei materiali più svariati. Per gli induttori chimici, per gli estratti di tessuti e di organi, il controllo delle attività induttive era fatto includendo la sostanza da saggiare in un substrato solido di agar o di albume (J. Needham, 1942) o facendo del composto una pallina (T. Yamada e K. Takata, 1955), e, nell'uno o nell'altro caso, operando secondo le tecniche già esposte.

Confrontate che furono le induzioni ottenute con induttori eterogenei o xenoinduttori, o con sostanze chimiche, con le induzioni realizzate con l'"organizzatore" vivente, ben presto si osservò che gli effetti erano ben diversi. Da ciò la distinzione fra evocatore, il principio attivante, ed organizzatore, il principio organizzante che produce l'individuazione della struttura indotta, cioè la sua regionalità. Nell'induzione, perciò, secondo J. Needham e C. H. Waddington, debbono distinguersi due componenti: l'evocazione - che può essere provocata anche dagli xenoinduttori e induttori chimici - e che dà luogo a formazioni generalizzate (neurali o neuroidi) e mai a organi tipici o ad aggruppamenti di parti di essi, e l'individuazione che dà luogo a formazioni regionali (cervello, occhio, ecc.), come nel caso dell'organizzatore del blastoporo. La natura delle strutture indotte, risulta, in questo caso, in stretto rapporto con la "competenza" del tessuto reagente.

Alcuni autori giapponesi, successivamente, riuscivano a mettere in evidenza che alcuni di questi induttori eterogenei producevano induzioni regionali specifiche senza alcuna relazione d'origine col tessuto inducente. H. H. Chuang (1938-39), per es., poté riscontrare che il rene di topo, fatto agire su ectoderma espiantato, induceva cervello ed organi di senso. laddove fegato di tritone produceva strutture spino-caudali; per cui si venne ad ammettere l'esistenza di induttori qualitativamente differenti per le strutture cefaliche e per quelle del tronco. Questo reperto assumeva un particolare significato tenuto conto che analoghe proprietà regionali erano già state messe in luce per l'organizzatore vivente da H. Spemann (1931) e collab., da O. Mangold (1933) nell'induzione del nevrasse, per cui si era ritenuto lecito supporre differenze qualitative regionali dell'organizzatore (il tetto archenterico), ciò che esperimenti xenoplastici assai dimostrativi dell'Holtfreter (1936) confermavano, apportando nuovi argomenti in favore dell'esistenza di un organizzatore cefalico e di un organizzatore del tronco.

I primi contributi per determinare chimicamente i fattori responsabili dell'induzione regionale sono quelli del finlandese S. Toivonen (1940-1949, ecc.), che ottenne induzioni di strutture cefaliche (archencefalo) da tessuti di fegato di cavia impiantati nel blastocele di una giovane gastrula di Triturus e, invece, strutture caudali (deuterencefalo) da tessuti di rene di cavia e di perca, sempre preliminarmente trattati con alcool. Estese ricerche biochimiche del Toivonen stesso e della T. Kuusi (1951-53), sua collaboratrice, mediante varî frazionamenti, confermarono che i fattori della induzione archencefalica erano chimicamente distinti dai fattori spino-caudali, gli uni termostabili ed eterosolubili, gli altri termolabili e solubili in etere. La Kuusir, in una serie di esperimenti volti a controllare l'attività induttiva dei varî componenti subcellulari separati con la centrifugazione differenziale, poteva precisare che i fattori archencefalici o neuralizzanti erano rappresentati dai granuli contenenti RNA, quelli spino-caudali o mesodermizzanti, da una proteina. Toivonen (1953) osservò anche che il midollo osseo di cavia possedeva capacità induttrici tronco-mesodermiche (corda dorsale e somiti del tronco, pronefros ed isolotto sanguigno) e la Kuusi tentò di ottenere in soluzione, dallo stesso midollo, i fattori inducenti specifici. Contemporaneamente altri autori (H. Tiedemann e H. Tiedemann, 1956) riuscivano ad isolare dall'estratto embrionale di pollo varie frazioni proteiche responsabili di induzioni regionali specifiche (archencefaliche, deuterencefaliche e spino-caudali).

In questa direzione l'indagine si è venuta largamente approfondendo ad opera di un gruppo di studiosi giapponesi. T. Yamada e collab. (1950-55), usando la tecnica già menzionata di Holtfreter, del "sandwich", controllando cioè l'azione dell'induttore su ectoderma isolato da una giovane gastrula e coltivato in vitro. Si venivano così ad eliminare quelle interferenze che l'esperimento di inserzione del materiale induttore nel blastocele comportava, come gli effetti regionali dell'ospite (Chuang, 1939), ma soprattutto si eliminava la difficoltà rappresentata dalla presenza degli altri foglietti (endoderma e mesoderma) e dello stesso liquido blastocelico che potevano ostacolare o addirittura impedire l'effettivo contatto dell'induttore sull'ectoderma. Nei primi esperimenti con induttori eterogenei era sembrato, infatti, che il materiale inducente dovesse agire soltanto per contatto diretto col tessuto reagente.

I risultati delle ricerche dei Giapponesi, sebbene si discostino da quelli degli autori finlandesi, parlano in favore di una pluralità di fattori che sarebbero coinvolti nell'induzione embrionale.

Così T. Yamada e H. Takata (1955) identificarono il fattore responsabile dell'induzione spino-caudale del rene di cavia in un complesso ribonucleoproteico che per azione del calore e di altri trattamenti può trasformarsi in un induttore di strutture archencefaliche. Y. Hayashi (1956), con un campione ribonucleoproteico preparato dal fegato di cavia, ottenne invece tipiche strutture archencefaliche. Partendo dal midollo osseo di cavia, Yamada (1958), con estrazioni, precipitazioni e frazionamenti, avrebbe dimostrato che soltanto i campioni contenenti scarse quantità di RNA posseggono forti capacità mesodermizzanti. L'agente induttore sarebbe in questo caso estraneo alle nucleoproteine, o per lo meno si tratterebbe di una proteina priva di acido nucleico. Con originali esperimenti di trattamento del midollo osseo col vapore, lo stesso Yamada poteva stabilire che gli effetti morfogenetici, sempre sull'ectoderma isolato, variavano secondo la durata del trattamento, avendo ottenuto, con un trattamento di 25 secondi, induzioni di tipo spino-caudale; con un trattamento da 25 a 40 secondi, in prevalenza di tipo deuterencefalico; ed induzioni archencefaliche, che mai si riscontrano nei controlli non trattati, con un trattamento da 40 a 60 secondi. Il midollo osseo, così trattato, può dare perciò tutti i tipi di induzione regionale.

Fra i varî tentativi di perfezionamento dei metodi per isolare il principio induttore, e valutarne anche quantitativamente le proprietà, si deve ricordare, sempre della scuola dei Giapponesi, la tecnica cosiddetta del "sandwich" di nailon (1959). Consiste nel porre l'ectoderma fra due foglietti di nailon che ne evitano l'accartocciamento, controllando in goccia pendente l'azione del campione induttore, non in forma solida, ma in soluzione: trasferito poi, dopo due giorni, l'ectoderma (denudato del rivestimento di nailon) in coltura, in medium standard, l'espianto si differenzia nei varî tipi regionali, dipendentemente dalla natura e dalla quantità dell'induttore aggiunto al medium che, nel caso del midollo osseo, si dimostra corrispondente a una proteina.

Che il principio induttore si potesse ottenere e fare agire in soluzione, lo dimostrano anche recenti ricerche di M. C. Niu e V. C. Twitty (1953) su colture di cellule di ectoderma presuntivo. Niu (1956) ha coltivato in goccia pendente e in soluzione modificata di Holtfreter espianti di tessuto organizzatore (labbro dorsale del blastoporo, piastra midollare di Triturus), immettendo poi nel liquido di coltura - dopo un periodo di permanenza dell'espianto, variabile da 7 a 10 giorni - frammenti di ectoderma. Il fatto che tali frammenti, nel 90% dei casi, si differenziavano in cromatofori e neuroblasti e che, trasferiti invece nel medium, dopo un periodo più lungo da 12 a 16 giorni, davano luogo a mioblasti, avrebbe dimostrato non soltanto l'accumulo di sostanze induttrici (diffusesi naturalmente dal tessuto organizzatore) nel mezzo di coltura, ma addirittura la presenza in esso di due sostanze, una neuralizzante nella coltura giovane e l'altra in quella più vecchia, capace di provocare un'induzione di tipo mioblastico. Il differenziamento indotto nel giovane ectoderma, in direzione neurale, accade anche in un mezzo sicuramente privo di cellule. dove siano stati preventivamente coltivati tessuti induttori: il cosiddetto mezzo condizionato. Nel mezzo condizionato di coltura, esaminandone lo spettro d'assorbimento, e con altre diverse tecniche (dialisi, precipitazione con alcool, ecc.), si poté appurare, anche in questi casi, la presenza di una nucleoproteina che rappresenterebbe perciò il fattore responsabile dell'induzione, come del resto viene anche dimostrato dal trattamento del mezzo mediante enzimi.

Emergono a questo punto l'interesse e l'importanza delle note e affermate ricerche di J. Brachet, che vanno dal 1940 al 1952, i cui risultati chiamarono per la prima volta in causa, nell'induzione, l'intervento degli acidi nucleici (come anche nei fenomeni di accrescimento e di differenziamento) e specialmente dell'acido ribonucleico, che è il costituente di quei granuli ultracentrifugabili del citoplasma noti col nome di microsomi (più precisamente i ribosomi). Di tali granuli J. Brachet ha illustrato la distribuzione nell'uovo e nell'embrione di Anfibî secondo gradienti e la loro concentrazione nelle cellule del labbro dorsale del blastoporo (sempre più debole a misura che procede l'invaginazione), dimostrando altresì che il potere induttore di estratti di tessuti o di embrioni, ottenuti con l'ultracentrifugazione e ricchi di tali granulazioni, è singolarmente elevato.

Gli argomenti in favore della tesi del Brachet hanno trovato anche una indiretta conferma nei controlli eseguiti dí recente da Yamada sulla capacità induttiva della frazione microsomica ottenuta da omogenati di neurule di Triturus pyrrhogaster, frazione che per l'alto contenuto in RNA dimostra la presenza della ribonucleoproteina.

In sostanza, nella interpretazione del Brachet, il processo induttivo, sia esso riferito all'azione dell'organizzatore, sia a quella degli induttori anormali, si intende dovuto al passaggio del RNA dall'induttore nel territorio indotto (per diffusione, pinocitosi, trasmissione di macromolecole, ecc.). La diminuzione o scomparsa delle capacità induttive mediante trattamento con ribonucleasi, peraltro messe in dubbio da Hayashi (1955) e dalla Kuusi (1951), sarebbero in favore di tale modo di vedere.

Le difficoltà tecniche di isolamento del RNA e le altre non meno lievi di identificazione delle varie specie di RNA; la difficoltà di individuare il meccanismo di passaggio dell'agente induttore nell'ectoderma reagente, nel quale anche acidi nucleici e nucleotidi potrebbero pure esercitare un'azione citolizzante, non permettono ancora di trarre conclusioni definitive al riguardo. Che azioni citolitiche provocate nelle cellule dell'ectoderma possano liberare l'agente neuralizzante e perciò manifestare indirettamente un effetto induttore, è risultato da ricerche di L.G. Barth e S. Graff (1938), di Holtfreter (1945), ma è altrettanto vero che in certi altri casi, studiati dallo stesso Barth (1941), da Holtfreter (1944), e da J. Pasteels (1947-1954) l'ectoderma espiantato può andare incontro a neuralizzazione ìn maniera "autonoma", senza cioè una citolisi apparente, e anche in assenza di induttore.

Tutto ciò ci fa sempre più persuasi della debolezza dell'assunto che vorrebbe identificare gli evocatori con gli organizzatori e ancora più prudenti nel paragonare l'induzione da xenoinduttori e da sostanze chimiche con l'induzione normale; gli effetti induttivi indiretti ottenuti per citolisi, con le induzioni cosiddette "autonome". Si deve tuttavia tener presente che in questi varî tipi di induzione, induzione regionale compresa, il significato dei granuli citoplasmatici (acido ribonucleico), dal punto di vista morfogenetico, è da tenersi in primissimo piano, come fonte di produzione di proteine specifiche che sono il necessario presupposto per il differenziamento embrionale.

Bibl.: P. Pasquini, Induzione embrionale e organizzazione, in Pubbl. Staz. Zoologica Napoli, Suppl. vol. XXI (1949), pp. 106-130; B. H. Willier, P. Weiss, V. Hamburger, Analysis of development, Filadelfia e Londra 1955; D. Rudnick, Cellular mechanism in differentiation and growth, The Fourteenth Symposium of the Society for the study of development and growth, Princeton University Press, 1956; W. D. McElbroy e B. Glass, The chemical basis of development, Baltimora 1958; L. Gallien, Problèmes et concepts de l'embryologie expérimentale, Parigi 1958; M. Abercrombie e J. Brachet, Advances in morphogenesis, I, Londra 1961.

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