DELLA BELLA, Taldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DELLA BELLA, Taldo

Giuliano Pinto

Figlio di Tedaldo di Accorri, fratello minore di Giano, nacque - probabilmente a Firenze intorno alla metà del sec. XIII da famiglia di antica origine, di sentimenti guelfi, dedita alle attività mercantili e finanziarie, che esercitava soprattutto Oltralpe; è probabile che in Francia il D. abbia trascorso parte della sua giovinezza. Nel maggio del 1289 lo troviamo tra gli 800 cavalieri fiorentini che scortarono Carlo II d'Angiò da Firenze a Rieti, dove il papa Niccolò IV lo incoronò re di Sicilia. Poco dopo prese parte, combattendo valorosamente accanto al fratello Giano, alla battaglia di Campaldino (11 giugno 1289). Durante il biennio del governo popolare di Giano Della Bella (1293-94) svolse un ruolo non secondario, assecondando in pieno la politica del fratello, ma distinguendosi più per il coraggio e l'irruenza che non per le doti di politico. Priore dal 15 agosto al 15 ott. 1293, successivamente, a partire dal 16 genn. 1295, fece parte della commissione che aveva il compito di rivendicare i diritti del Comune contro coloro, soprattutto esponenti del ceto magnatizio, che all'interno della città si erano impadroniti di costruzioni e di spazi pubblici - in particolare tratti della prima e della seconda cerchia di mura - e su di essi avevano edificato ex novo o costruito sopraelevazioni. Molti degli occupanti furono costretti a versare forti somme alle casse pubbliche in cambio della regolarizzazione dell'abuso.

Delle convulse vicende del gennaio-febbraio 1295, che portarono alla caduta del governo popolare, il D. fu, uno dei principali protagonisti, anche se il suo comportamento non contribuì certo a risollevare le sorti politiche del più illustre fratello. Fu lui infatti - insieme a Baldo del Borgo - a capeggiare la rivolta popolare scoppiata per protestare contro la sentenza del 23 genn. 1295 che si limitava a comminare una semplice pena pecuniaria a Corso Donati, accusato di crimini di sangue. Stando al Compagni (I, 16), i due capipopolo si mossero "più per malivolenzia aveano a messer Corso, che per pietà dell'offesa giustizia". Sta di fatto che i nemici di Giano Della Bella ebbero buon gioco ad accusarlo di aver provocato la sommossa, dal momento che il fratello ne era stato uno dei promotori. Il carattere battagliero del D. emerse anche nel momento dello scontro decisivo tra i due partiti, avvenuto alla metà di febbraio, quando i nuovi priori sfidarono apertamente Giano citandolo in tribunale come responsabile dei tumulti di gennaio. Il D. corse in Orsanmichele innalzando un gonfalone dipinto con le armi del Popolo e raccogliendo intorno a sé artigiani e gente minuta pronti a combattere; ma Giano - incerto sull'esito che avrebbe potuto avere un confronto armato, e forse timoroso per le conseguenze che ne sarebbero potute derivare alla città - lo convinse a desistere dalla resistenza e ad abbandonare Firenze insieme a lui. La condanna del 17 febbr. 1295 colpì quindi anche il D. insieme a tutti i componenti maschi della famiglia. Iniziò allora un esilio che durò tutta la vita.

Nei primi anni successivi alla fuga da Firenze, le vicende del D. si confusero ancora una volta con quelle di Giano. I due fratelli, insieme al nipote Ranieri di Comparino, furono infatti oggetto della bolla con cui Bonifacio VIII, il 23 genn. 1296, minacciò di scomunica chiunque avesse prestato loro aiuto, e di interdetto la città di Firenze nel caso li avesse richiamati dall'esilio. Poi le strade dei due fratelli si divisero. Infatti, Giano, stanco e deluso, si rifugiò - probabilmente dopo il 1297 - a Parigi, dove morì qualche anno dopo; il D., invece, continuò la sua battaglia contro il regime fiorentino. Nel 1301 combatté a fianco dei fuorusciti bianchi, e insieme a molti di loro venne condannato nuovamente a morte, in contumacia, con sentenza del 27 sett. 1302. Proprio nello stesso mese fece parte di una delegazione di fuorusciti che si recò a Genova per chiedere da parte di quel Comune il blocco dei rifornimenti granari destinati a Firenze, nella speranza che l'acuirsi della carestia mettesse così in difficoltà il governo fiorentino. La risposta di quest'ultimo fu un'ennesima condanna capitale - questa volta da eseguirsi mediante il rogo - per i quattro membri della delegazione (13 ott. 1302).

Base dell'azione del D. fu la ghibellina Pisa, dove egli aveva trovato rifugio, insieme agli altri membri della famiglia, fin dai mesi successivi alla caduta di Giano. A Pisa il D. aveva preso dimora nella "cappella" di S. Iacopo degli Speronai: lì continuò a dedicarsi alla mercatura e alle attività di banca col fratello Comparino, coi nipoti Ranieri, Marignano e Giano di Comparino, e con l'altro nipote Cione di Giano. Alcuni atti notarili dei primi anni del Trecento attestano stretti rapporti dei Della Bella con mercanti pisani, lucchesi e genovesi, nonché fiorentini (soprattutto gli Ardinghelli); e ancora investimenti in capi di bestiame in Maremma; interessi commerciali a Piombino e a Castiglion della Pescaia; attività, intensa, di prestito e di cambio. Non risulta invece che il D. fosse allora coinvolto direttamente nelle operazioni bancarie e mercantili in terra di Francia che erano tradizionali della sua famiglia e dove troviamo impegnato, a partire dagli ultimi anni del sec. XIII, il nipote del D. Ranieri di Comparino.

Il D. morì a Pisa poco dopo il 18 sett. 1313, data di redazione del testamento.

In un atto del 3 ott. 1313 i tutori della figlia Giovanna, tra cui la vedova del D., Bice del fuRecupero dei Cerchi, dichiarano di accettarne l'eredità, consistente - oltre che in crediti, in denaro e in terre poste nei pressi di Cerreto Guidi - in un terzo della casa avita, con la torre detta Boccadiforno, sita in Firenze nel popolo di S. Martino del Vescovo, e in un terzo di altre due case site nello stesso popolo: edifici descritti come malridotti ("dissipati") per effetto delle distruzioni ordinate a suo tempo dal Comune di Firenze. Bice era ancora viva il 14 nov. 1324, quando fece a un tal Lippo Cipriani da Firenze donazione di tutti i diritti e i crediti che in virtù della propria dote vantava sull'eredità del defunto marito e del cognato Giano Della Bella.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, Adespote, 1324 nov. 14; D. Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., IX, 2, a cura di I. Del Lungo, l. I, cap. 16; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, ibid., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, pp. 72 s.; G. Villani, Cronica, Firenze 1823, lib. VIII, cap. 8; R. Davidsohn, Forschungen zur Gesch. von Florenz, III, Berlin 1898, regg. 195, 558, 657, 702; Id., Storia di Firenze, I-VIII, Firenze 1956-1968, ad Indicem; G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, a cura di E. Sestan, Torino 1960, ad Indicem; P. Parenti, Dagli ordinamenti di Giustizia alle lotte tra bianchi e neri, in Ghibellini, guelfi e popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze 1978, p. 289; E. Cristiani, I discendenti di Giano Della Bella agli inizi del Trecento, in Studi per Enrico Fiumi, Pisa 1979, pp. 277-288.

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