Tangentopoli

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Tangentopoli

Donatella della Porta

Tangentopoli è un termine usato in Italia dal 1992 per definire un sistema diffuso di corruzione politica. Inizialmente è stata Milano, considerata la capitale morale del Paese, a essere designata come capitale delle tangenti dopo che il 17 febbraio 1992 venne arrestato M. Chiesa, amministratore socialista del Pio albergo Trivulzio, casa di riposo per anziani. In seguito, con l'allargarsi dello scandalo, il termine venne usato nel gergo politico e giornalistico per riferirsi ad aree geografiche, enti pubblici, frazioni di partiti il cui funzionamento apparve dominato dalla ricerca di tangenti. In tale senso, il termine divenne sinonimo di corruzione come scambio di denaro privato per accesso privilegiato alle decisioni della pubblica amministrazione. Più che a uno scambio individuale tra corrotto e corruttore, esso venne via via riferito a sistemi di corruzione allargata, con scambi molteplici, complessi e sistematici, tra cartelli di imprese private, clan di uomini politici e amministratori pubblici, intermediari e, talvolta, boss mafiosi.

Nella descrizione delle vicende politiche italiane, il termine tangentopoli emerse con le indagini conosciute come 'mani pulite'. Quello di Chiesa fu infatti il primo di una lunga serie di arresti di uomini politici provenienti da quasi tutti i partiti di governo, inquisiti per reati quali concussione, corruzione, ricettazione, associazione a delinquere, violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Trentacinque giorni dopo l'arresto, Chiesa - denunciato da molti dei fornitori dell'ente pubblico da lui stesso presieduto - iniziò, infatti, a collaborare con i giudici, innescando una catena di confessioni che portò, nel volgere di pochi mesi, all'incriminazione di diverse decine di amministratori pubblici e imprenditori. Le indagini da Milano si propagarono quindi verso Verona, Venezia, Reggio Calabria, Firenze, Varese, Ancona, Napoli, Parma e Roma. Parallelamente alla classe politica locale, furono coinvolti politici di rilevanza nazionale. Nel dicembre 1992 il segretario del Partito socialista italiano (PSI), B. Craxi ricevette la prima di una lunga serie di informazioni di garanzia, alla quale fece seguito, il 12 gennaio dell'anno successivo, una prima richiesta di autorizzazione a procedere al Parlamento che lo portò a dimettersi da segretario nazionale del PSI nel febbraio. Sette ministri del governo presieduto allora da G. Amato si dimisero a seguito del coinvolgimento nello scandalo.

Man mano che le indagini procedevano, un utilizzo sistematico di tangenti venne scoperto nella aggiudicazione e gestione degli appalti relativi a strade e autostrade, aeroporti e metropolitane, istituti penitenziari ed enti pubblici di varia natura. Mentre le principali imprese pubbliche, dalle Ferrovie alle Poste, dall'Enel all'Eni, conobbero le loro t., le inchieste coinvolsero anche le maggiori imprese del Paese, dalla Fiat all'Olivetti. Oltre 5000 persone, tra cui 4 ex presidenti del Consiglio e circa 200 parlamentari, furono indagate nel solo filone milanese delle indagini, che rivelarono, tra l'altro, la corruzione nelle stesse istituzioni addette al controllo e alla repressione dei reati: nel 1994 un filone di indagine su tangenti pagate da imprenditori per evitare controlli fiscali portò a circa 100 arresti nella Guardia di Finanza; nel 1996, vi fu l'incriminazione di giudici e avvocati, accusati di corruzione in atti giudiziari.

Al di là del caso milanese, le statistiche giudiziarie, che pure riflettono la sola parte emersa del fenomeno, segnalarono un forte attivismo della magistratura almeno fino alla metà degli anni Novanta. Nei soli reati di concussione, corruzione per un atto d'ufficio o per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione di incaricato di pubblico servizio, si passò da una media annua di 252 delitti e 365 persone l'anno denunciate per corruzione e concussione tra il 1984 e il 1991, a una di 1076 delitti e 1991 persone tra il 1992 e il 1996.

Si evidenziò così una complessa rete di scambi corrotti, governati da un sistema di norme illecite per la gestione di decisioni pubbliche, guidate dalla ricerca di tangenti. I reticoli di corruzione coinvolsero diversi attori. Gli imprenditori furono spesso parte di cartelli, dove informazioni riservate sui futuri appalti permettevano la manipolazione delle procedure. A turno, gli imprenditori coinvolti vincevano le gare pubbliche, riuscendo a ottenere alti profitti grazie alla collusione reciproca, mentre la lealtà interna era mantenuta con il ricatto di esclusione da futuri appalti. I cartelli di imprese corrotte socializzavano inoltre i loro membri alla corruzione, presentata come inevitabile.

I politici coinvolti nella corruzione, a loro volta, raramente nascondevano le loro attività illecite ai partiti di provenienza. Infatti, un sistema partitico parallelo a quello visibile gestiva la riscossione delle tangenti più elevate, oltre a raccogliere una percentuale su quelle estorte 'in proprio' dagli amministratori pubblici. I partiti corrotti assicuravano la riproduzione del sistema corrotto, socializzando i loro amministratori ad accettare le tangenti come comportamento politico normale, imponendole come tacita regola nei rapporti tra amministratori pubblici e imprenditori privati.

I politici corrotti furono inoltre capaci di acquisire consensi elettorali tramite una gestione clientelare della cosa pubblica e l'investimento di una parte delle tangenti nella creazione di personali macchine di potere. Tramite favori e minacce, essi riuscirono inoltre a ottenere la connivenza di coloro che avrebbero potuto denunciare la corruzione. Negli enti gestiti da personale politico corrotto di nomina partitica, anche i vertici della burocrazia pubblica furono infatti spesso coinvolti nella raccolta delle tangenti, trattenendone una parte in cambio del loro fattivo sostegno nella implementazione delle decisioni ottenute tramite scambi corrotti.

Le relazioni tra corrotti e corruttori vennero spesso facilitate dall'intervento di mediatori, specializzati nei mercati illegali, con la funzione di stabilire i contatti fra le parti, condurre i negoziati, trasferire le tangenti, accollarsi parte dei rischi. Poiché la fiducia non era sufficiente a imporre il rispetto degli scambi illegali, la criminalità organizzata interveniva spesso - soprattutto nel Sud del Paese - portando risorse di coercizione fisica da utilizzare per imporre i rispetto degli accordi illeciti e scoraggiare defezioni. I favori dei boss mafiosi furono poi ripagati con protezioni politiche dalle indagini, ma anche con la partecipazione alla spartizione delle tangenti.

Il 1992 non vide certo l'inizio della corruzione in Italia, bensì la sua pubblicizzazione e il conseguente scandalo legato alla denuncia pubblica dei fatti. Per molti anni la corruzione aveva conosciuto in Italia un'espansione invisibile, con un intreccio di differenti tipologie: dalla corruzione centralizzata del finanziamento occulto dei partiti politici a livello nazionale da parte delle grandi imprese pubbliche, alla microcorruzione di amministratori pubblici in ruoli marginali, alla complessa distribuzione di tangenti tra amministratori pubblici e segretari di partito, emersa come tipologia dominante nelle indagini di 'mani pulite'.

La diffusione delle varie forme di corruzione è stata attribuita a diverse patologie del sistema politico italiano: una burocrazia pubblica poco professionale, reclutata e gestita clientelarmente; consistenti macchine di partito, tanto più bisognose di risorse materiali quanto meno efficaci diventavano gli appelli ideologici; gestione degli enti pubblici economici da parte di un personale di nomina partitica; limitato senso dello Stato nel pubblico e nelle élites. Accanto alla politica, anche il mercato appariva come particolarmente permeabile alle pressioni partitiche, data la tradizione di imprese familiari, il controllo politico delle fonti di credito, il debole sviluppo della Borsa.

Nello spiegare l'emergere dello scandalo di t., infatti, le vicende giudiziarie si intrecciano con una serie di cambiamenti politici. Poco dopo l'arresto di Chiesa si tennero infatti le elezioni politiche del 5-6 aprile 1992 che, in un sistema caratterizzato fino ad allora da grande stabilità, videro invece un indebolimento dei partiti di governo e di opposizione, mentre la Lega Nord - movimento politico federale sorto nel 1981 - salì dallo 0,5 all'8,6%. Né la DC né il PSI - né del resto la maggior parte dei partiti minori che avevano, in diverse configurazioni, sostenuto i passati governi - sopravvissero fino alle successive elezioni anticipate del 1994.

I risultati delle elezioni segnalarono la crescente insoddisfazione dell'opinione pubblica, che si era ripetutamente espressa nei sondaggi d'opinione ma ancora non nel comportamento elettorale. A partire dal 1992, il pubblico sostegno alle indagini in corso incoraggiò infatti l'azione dei magistrati, indebolendo al tempo stesso quei partiti politici che fino ad allora avevano garantito, con la loro influenza sull'apparato pubblico, la spartizione delle tangenti e la protezione degli esponenti politici sottoposti a indagini. La crescita di nuovi movimenti e partiti di protesta, dalla Lega Nord a La Rete - movimento politico sorto nel 1991, aggregatore di forze cattoliche e di sinistra, confluito nel 1999 ne I democratici di R. Prodi -, ostili all'establishment politico e favorevoli (almeno inizialmente) all'azione dei giudici, offrì alla pubblica opinione una sponda in campo politico.

La percezione della crisi dei protettori politici del sistema di scambi corrotti facilitò, infatti, lo sviluppo delle indagini. In un circolo virtuoso, la consapevolezza da parte dei potenziali indagati della massa di notizie compromettenti in possesso dei giudici spinse i corrotti a confessare prima di essere coinvolti da altri.

Dinamiche politiche spiegano anche il declinante successo delle indagini a partire dalla metà del decennio. Se l'ondata di scandali e arresti aveva fatto parlare dell'emergere di una 'seconda', e più onesta, Repubblica grazie principalmente a una sorta di 'rivoluzione dei giudici', in realtà il ciclo di 'mani pulite' vide, alla metà del decennio, un rapido declino sia nella disponibilità di fonti di informazione, sia nel sostegno dell'opinione pubblica ai giudici. Essendo molti dei conti correnti dedicati al passaggio delle tangenti localizzati all'estero, le indagini dovettero scontare - insieme alle difficoltà tipiche della repressione dei reati economici con collusione fra agenti pubblici e privati - i tempi lunghi delle rogatorie internazionali, con la conseguente prescrizione per molti reati.

Soprattutto, gli scandali legati alla corruzione furono archiviati in assenza di riforme specificamente orientate a contrastare i reati contro la pubblica amministrazione. Nel 1993, la cosiddetta 'soluzione politica' a t. del governo tecnico presieduto da Amato - con una serie di misure che includevano sanzioni amministrative, con la restituzione triplicata delle tangenti e l'interdizione dai pubblici uffici da tre a cinque anni, oltre alla depenalizzazione del reato di illecito finanziamento ai partiti - fallì di fronte alle proteste dell'opinione pubblica contro il percepito 'colpo di spugna' e ai dubbi sulla costituzionalità del provvedimento espressi dal Presidente della Repubblica. L'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta su t., approvata il 7 luglio 1993 alla Camera con voto unanime, venne bloccata al Senato. Nel settembre 1996 la Camera dei Deputati nominò una Commissione speciale per l'esame dei progetti di legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di corruzione. Nessuna delle sue raccomandazioni venne comunque trasformata in legge, mentre si aprì un conflitto tra potere giudiziario e potere politico con interventi legislativi che le organizzazioni dei magistrati consideravano lesivi della loro indipendenza.

Al di là del caso italiano, la scoperta di t. ha avuto vasta risonanza internazionale e riflessi indiretti in altre democrazie. Gli anni Novanta videro infatti crescenti preoccupazioni sulla presenza e sulla pericolosità della corruzione politica nelle democrazie occidentali. Non solo i Paesi dell'area mediterranea, tradizionalmente considerati più esposti a certe 'patologie', ma anche sistemi democratici di consolidate tradizioni, dagli Stati Uniti alla Francia, dal Belgio alla Gran Bretagna, hanno conosciuto l'esposizione a scandali politici di varia entità. Numerose iniziative internazionali, susseguitesi in questi ultimi anni, confermano un'accresciuta preoccupazione per il fenomeno.

Gli scandali degli anni Novanta fecero emergere gli effetti della corruzione sulle democrazie. Intaccando i principi di eguaglianza di diritti e trasparenza nel funzionamento della amministrazione pubblica, essa tende a modificare la stessa natura, oltre che gli esiti, della competizione elettorale. In presenza di corruzione, la selezione del personale politico premia infatti non la capacità di rappresentare bisogni collettivi, ma le doti di spregiudicatezza o l'abilità nel reinvestire in politica il ricavato delle tangenti. La corruzione ha infine costi economici, come la crescita dei prezzi delle opere e dei servizi pubblici, la selezione di imprese inefficienti, lo spreco di risorse per tenere nascoste le attività illecite.

bibliografia

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