tarsia Termine usato sin dal 14° sec. in riferimento a una sorta di mosaico (intarsio) ottenuto accostando sottili lastre lignee, di varia forma, facendole aderire su una superficie, a formare un disegno geometrico o figurato; lo stesso termine è usato anche per indicare simili lavori in marmi e poi in pietre dure, similmente al termine commesso (usato dal 16° sec., più raramente per la t. lignea).
1. La t. marmorea e in pietre dure
La t. ha origine nell’antichità: si affermò soprattutto nel periodo ellenistico e fu diffusa nell’ambiente romano per rivestimento di pareti e di pavimenti, in specchiature di marmi bianchi e colorati a riquadrature e motivi geometrici. Oltre che negli ambienti più importanti delle case e dei palazzi, nelle celle dei templi e negli edifici pubblici, fu sfruttata durante l’Impero particolarmente nelle terme. Il gusto della t. marmorea (o opus sectile, anche con l’inserimento di altri materiali, come smalti e paste vitree) fu molto in voga nel tardo Impero. Oltre al repertorio di fasce, specchiature e motivi geometrici, si usò anche la t. di motivi figurati in pannelli semplici o in composizioni complesse figurate (decorazione della basilica di
Fu praticata soprattutto dal 14° al 16° secolo. La t. alla certosina, a piccole tessere poligonali di legno, osso, metallo e madreperla, disposte in forma geometrica, fu usata per la decorazione di piccoli oggetti. Perdurò anche nel 15° sec. specialmente in
Effetto simile alla t. marmorea è ottenuto con la scagliola, un tipo di stucco (gesso unito a sostanze leganti e coloranti) imitante il marmo. Il disegno è intagliato su uno strato di scagliola colorata, riempiendo gli incavi con altra scagliola, lucidando e verniciando poi la superficie, per ottenere piani di mobili, paliotti, lastre tombali. La tecnica fu praticata a Carpi, iniziata forse da Guido Fassi, detto Guido Del Conte (1584-1649), e fiorì fino alla metà del 18° secolo. In Toscana, con il vallombrosano E. Hugford e il suo allievo L.C.