TARSIA

Enciclopedia Italiana (1937)

TARSIA

Luigia Maria TOSI

. Lavoro di commesso, specialmente di legname, ma anche di pietre, i cui diversi elementi sono tagliati in modo da seguire nei colori e nella forma le diverse parti del disegno. Nella tarsia detta "alla certosina", di legname, gli elementi dell'ornato hanno forma regolare geometrica, commessi in decorazione continua, oppure a intervalli, avvalorando nell'effetto anche lo sfondo del legno in cui sono incastrati. Come la tarsia nei metalli, detta nel sec. XIV "tausia" o lavoro alla damaschina, la tarsia in pietra ha origine nell'antichità. Nei secoli V e VI d. C. abbiamo notevoli esemplari di tarsia marmorea in S. Sabina a Roma, nel duomo di Parenzo, in S. Vitale e nel Battistero degli Ortodossi a Ravenna, ecc.

Fu ripresa poi nel periodo romanico, dai Cosmati, per comporre vive note di colore sulle gravi architetture (chiostri di S. Giovanni in Laterano e S. Paolo fuori le mura), e specialmente dagli architetti toscani. Firenze rivestì le facciate delle sue chiese (S. Miniato, Badia Fiesolana, il Battistero, ecc.), con una larga tarsia di marmi bianchi e verdi, disposta secondo un gusto architettonico; più tardi la tarsia risentì d'influssi orientali nei pavimenti di S. Miniato e del Battistero. Pisa, Lucca, Pistoia, ecc., usarono la tarsia in forme molto più minute, con un gusto vivacemente pittorico d'influenza orientale. Tali caratteri perdurarono anche nel '300, nel duomo e nel campanile di Firenze e nel duomo di Siena.

Dal romanico fino al '500 la tarsia marmorea ebbe un valore particolare a Venezia, dove fu parte integrante dell'architettura. Qui i marmi preziosi, con delicate armonie, o con vivaci contrasti, si stesero secondo i più fantasiosi disegni sulle facciate dei palazzi e delle chiese (Palazzo Ducale, Ca' d'Oro, Scuola di S. Marco, Santa Maria dei Miracoli, ecc.). In genere però nel '400 e nel '500 il gusto della pura architettura prevalse su quello coloristico; per questo non molti sono gli esempî di tarsia architettonica nel Rinascimento. Stupende affermazioni sono tuttavia quelle dell'Alberti nella facciata di S. Maria Novella, nel tempietto del S. Sepolcro e nel tempio Malatestiano; di G. Sangallo nella Madonna delle Carceri; nel pavimento del duomo di Siena, ecc. Verso la fine del '500 iniziò la sua grande fortuna la tarsia in pietre dure delle officine fiorentine, che fu usata non solo come decorazione di piccoli mobili (tavolini, stipi, ecc.), ma anche nell'architettura (cappella Medicea di S. Lorenzo, ciborio di S. Spirito di G. Caccini).

Il '600, tutto portato verso effetti coloristici, trovò nella tarsia architettonica un mezzo efficacissimo di espressioni. Le pareti e i pilastri furono totalmente rivestiti di marmi rari e multicolori variamente disposti, quasi a simulare stoffe e damaschi di parata (la navata di S. Pietro a Roma, del Bernini, la cappella Paolina in S. Maria Maggiore a Roma, di Flaminio Ponzio, la cappella del Bernini in S. M. della Vittoria, la cappella della S. Sindone a Torino, del Guarini, la cappella Niccolini in S. Croce a Firenze, ecc.). Nelle costruzioni minori di tombe, altari, ciborî, ecc., l'apparato raggiunse una magnificenza insuperabile (tombe del Bernini in San Pietro e in S. Maria Sopra Minerva, altare del Gesù di A. Pozzo, altare della cappella Paolina, ecc.). Ai marmi si aggiunse in queste opere di minor mole anche l'incrostazione di pietre preziose (ametiste, lapislazzuli, diaspri, ecc.).

Nel '700, sebbene se ne abbiano ancora alcuni esempî (cappella Corsini in S. Giovanni in Laterano, di A. Galilei), la tarsia marmorea tende a poco a poco a scomparire, nella ricerca di più delicati effetti cromatici. Poco usata nell'800, la tarsia architettonica acquista un valore nuovo nell'architettura moderna come rivestimento totale, sobrio e nobile insieme, delle pareti.

La tarsia più propriamente detta, in legname, fu praticata specialmente nei secoli XIV, XV e XVI. Quella "alla certosina", aveva precedenti nei musaici ornamentali sia musulmani, sia cosmateschi (v. musaico); la tarsia in legname a elementi irregolari per comporre figure e ornati poté derivare dalla tarsia in pietra che ha lasciato, dal sec. XI al XIII, tanti grandi saggi nell'arte romanica toscana. La tarsia "alla certosina", a piccole tessere poligonali di legno, di osso, di metallo e anche di madreperla, disposte in forma geometrica a stellette, circoli, rombi, isolati o variamente combinati fra loro, fu molto usata per decorare piccole cose - cofanetti, cassettine, arredi sacri, ecc. - e perdurò anche nel '400, specialmente nella Lombardia e a Venezia, accanto alla tarsia prospettica e figurata, come decorazione di sedie, cassoni nuziali, facciate di armadioli, ecc. I mobili decorati alla certosina sono di solito i più semplici, privi assolutamente d'intagli, riserbando larghe superficie piane alla distesa dell'intarsio. Affine alla tarsia alla certosina, ma lavorata con elementi più varî di forma, e composta a riquadri, a circoli, a rosette, fu la tarsia geometrica, assai in uso nei mobili (stalli di coro, banconi, ecc.) fino al sec. XV inoltrato. Alla tarsia geometrica, all'inizio del '400, si sostituì quella pittorica, con motivi di fiori, di nastri, di anfore, con stemmi, con putti e infine con intere composizioni di figure. S'iniziò così quel florido periodo della tarsia italiana che comprende tutto il '400 e i primi decennî del '500.

Si faceva tagliando in lamine i diversi legni che occorrevano per determinare gli effetti di colore ricercati, e poi si componevano, mediante uno strato di mastice, secondo il disegno stabilito. Infine si disegnavano le ombre - sulla tarsia già posta in opera - passando sopra un ferro rovente. Le zone in luce, sia nel corpo umano sia nei disegni decorativi, erano ottenute mediante l'uso di un legno chiarissimo, detto silio. In seguito si complicò questo procedimento tingendo addirittura il legno nei varî colori voluti, giungendo così a una straordinaria ricchezza cromatica, seguendo, secondo il Vasari, la nuova tecnica introdotta in Toscana da Fra Giovanni da Verona, che nel 1505 aveva eseguito il coro di Monteoliveto. Prima di lui, infatti, i fratelli Cristoforo e Bernardino Canozzi da Lendinara l'avevano usata nel coro della Basilica del Santo di Padova (1462-69). In questi perfezionamenti tecnici era però già insito il pericolo della decadenza estetica della tarsia, la quale, come già il musaico, volle emulare la pittura, cadendo in effetti superficialmente illusionistici. Già con i seguaci di fra Giovanni, fra Raffaello da Brescia e fra Damiano da Bergamo, si hanno i primi sintomi di questo decadimento del gusto. In seguito la tarsia lignea fu sostituita spesso da quella dipinta, che permetteva un'estrema facilità di esecuzione e un piccolissimo costo (come già durante il '400, specialmente nella Lombardia, era stata usata nei mobili più modesti una finta tarsia impressa a due colori su carta di fondo bianco, ad es., nella decorazione di un seggio della collezione Bagatti Valsecchi di Milano), determinando solo in casi eccezionali opere degne di qualche rilievo (decorazione della sacrestia di S. Maria delle Grazie a Milano, stalli di coro del Museo Bardini di Firenze).

La tarsia pittorica si diffuse ovunque nel '400. Siena già nel sec. XIV vantava valenti maestri come Vanni dell'Ammannato (coro del duomo di Orvieto) e, al principio del '400, Domenico del Coro (coro della cappella di Palazzo); ma la scuola fiorentina che, secondo il Vasari, fa capo a Francesco di Giovanni detto il Francione, ebbe assoluta preminenza sulle altre. I disegni su cui si componevano le tarsie pittoriche erano dati o dagli stessi intarsiatori o da pittori (il Baldovinetti e Maso Finiguerra per quelle di Giuliano da Maiano della sacrestia del duomo, Francesco di Giorgio per quelle del Pontelli del palazzo ducale di Urbino, Filippino Lippi per le figure del coro di S. Maria Novella di Baccio d'Agnolo, ecc.). Perciò lo svolgersi dello stile della tarsia pittorica non può considerarsi isolato da quello della pittura e architettura del '400.

La tarsia fiorentina del '400, nella sottile eleganza dei suoi motivi, nell'austero senso di misura e di compostezza, ebbe un vero carattere architettonico. Lo dimostrano gli squisiti motivi vegetali che si snodano fluenti sulla porta del chiostro di S. Lorenzo, le tarsie di un armadio da sacrestia del museo Bandini di Fiesole, della porta della sala dei Gigli di Palazzo Vecchio del Francione e di G. da Maiano (Dante e Petrarca e le loro opere), delle splendide sedie corali del duomo di Pisa di G. da Maiano, del coro del duomo di Perugia (G. da Maiano e Domenico del Tasso), ecc. A volte i nitidi specchi dei mobili quattrocenteschi erano lasciati liberi, e la tarsia componeva squisiti motivi astrattamente decorativi solo nei fregi superiori (armadî di S. Maria del Fiore). Il Palazzo ducale di Urbino custodisce le tarsie di Baccio Pontelli (1479-82), che si svolgono sulle porte di una diecina di sale, e come rivestimento delle pareti dello studiolo del duca Federico.

Quivi motivi geometrici, ornati a mano libera, figure vedute in prospettiva, si alternano in una purezza di visione ch'è pari a quella rivelata sulla fronte di un cassone della galleria di Urbino, attribuito allo stesso Pontelli, sempre su disegno di Francesco di Giorgio.

Qualche mobile del '400 (ad es., nella collezione del palazzo Davanzati a Firenze alcuni armadî-stipo) offre egualmente esempio di finissime tarsie nel campo degli arredi domestici. In questi la tarsia era di solito usata nelle spalliere dei letti e nella decorazione di cassoni nuziali, con motivi geometrici, o vegetali, o puttini e stemmi, e degli armadî, come appare anche dagl'inventarî di Lorenzo il Magnifico (esemplari al Bargello, a Palazzo Venezia, nei palazzi Corsini e Davanzati a Firenze, ecc.).

Negli ultimi decennî del '500 l'intarsio risorse, ma con caratteri ben differenti da quello precedente. L'uso dei legni preziosi per la costruzione dei mobili, e la decorazione con pietre dure conferiscono un tono di splendente ricchezza ai tavoli, agli stipi, ecc., che furono eseguiti a Firenze (v. pietre dure). I mobili con intarsio di pietre dure, che i Medici donarono a tutte le corti d'Europa, piacquero tanto che in Francia furono chiamati alcuni maestri fiorentini, come Ferdinando Migliori, alla manifattura dei mobili della Corona, diretta dal Colbert. Dalla Francia venne invece in Italia l'uso dell'incrostazione di nuovi materiali; rame, argento, scaglie di tartaruga, legni preziosi, usati a Parigi con squisitezza di disegno e di effetti coloristici da A.-C. Boulle. I mobili leggieri del '700, dalle sagome gentilmente incurvate, accolsero questo tipo di decorazione disposta in lamine sottili, non incassata profondamente come nella vera tarsia, ma incrostata alla superficie, che con il suo carattere di delicato colore e di fiorito disegno, era la più adatta a comporre raffinate armonie. Il castello di Fontainebleau, il Louvre, la biblioteca Mazzarino, il museo di Cluny, la collezione Rothschild di Londra, alcuni castelli alsaziani, ecc., offrono mirabili esemplari di secrétaires, di stipi, di tavolinetti, ecc., decorati dal Boulle, dal Riesener a da altri maestri. Tra gl'intarsiatori italiani del sec. XVIII sono da ricordare il Maggiolini e il Piffetti. Durante l'800 la tarsia fu ripresa e studiata sui modelli quattrocenteschi anche nei procedimenti tecnici, dai Falcini, dai Barbetti, ecc. Raramente riuscì a grande valore d'arte. (V. tavv. LXIII e LXIV).

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