Temperamento

Universo del Corpo (2000)

Temperamento

Jerome Kagan

Il termine temperamento significa, in senso ampio, mescolanza di più elementi in giusta proporzione. In particolare, nella medicina antica, il vocabolo designava la mescolanza dei quattro umori fondamentali dell'organismo (sangue, flemma, bile gialla, bile nera): si aveva temperamento normale in caso di mescolanza perfetta, anormale in caso di predominio dell'uno o dell'altro.

Nell'uso moderno, il termine è passato a indicare in psicologia la componente biologica e perciò ereditaria dell'affettività; come tale, il temperamento rappresenta parte della più complessa costituzione individuale, dalla quale dipendono alcuni tratti fondamentali della personalità, come l'emotività, il tono affettivo e la sua stabilità. In genere, gli studiosi contemporanei considerano i caratteri del temperamento come profili comportamentali stabili, associati a uno specifico modello fisiologico, che si ritiene sia in qualche modo geneticamente controllato. Tuttavia, non essendo ancora chiaro quale sia la struttura fisiologica che risulta selettivamente legata al comportamento corrispondente a una specifica categoria di temperamento, è possibile basare l'attuale classificazione dei bambini unicamente su fattori comportamentali. La maggior parte delle caratteristiche infantili che si ritengono dipendenti dal temperamento è relativa alla facilità con cui sono provocati gli stati emotivi, alla forma sotto cui si manifestano e alla capacità di tenerli sotto controllo, mentre raramente si fa riferimento alle abilità cognitive. Questo criterio è conforme alla tradizione antica: infatti, anche le categorie individuate da Ippocrate (5°-4° secolo a.C.) e Galeno (2° secolo d.C.), che della teoria del temperamento sono considerati i precursori, sono connesse sostanzialmente ad aspetti emotivi e comportamentali. Secondo Galeno, la concentrazione nel corpo dei quattro umori crea in ogni individuo una combinazione delle opposte qualità di caldo e freddo, di secco e umido. I quattro tipi fondamentali di temperamento, che Galeno chiama melanconico, sanguigno, collerico e flemmatico, sono il prodotto di un particolare profilo di queste qualità, a sua volta determinato dall'eccesso di uno degli umori corporei. Nel melanconico, per es., prevalgono le qualità di freddo e secco a causa di un eccesso di bile nera, nel sanguigno quelle di caldo e umido per l'eccesso di sangue, nel collerico quelle di caldo e secco per l'eccesso di bile gialla, nel flemmatico infine quelle di freddo e umido per l'eccesso di flemma. Sebbene ciascun tipo somatico sia intrinsecamente connesso con il suo peculiare modello fisiologico, gli umori sono in qualche modo influenzati da eventi esterni, specialmente dal clima e dalla dieta. Perciò molte persone sarebbero più melanconiche in autunno, per l'aumento di bile nera (v. anche carattere). Tale concezione del temperamento, che rimase popolare in Occidente fino alla fine del 19° secolo, fu accantonata nella prima metà del 20°, quando venne messa in discussione l'idea che vi possa essere una fondamentale diversità fra individui per capacità e per caratteristiche emotive. Il rinnovato interesse nei confronti delle categorie temperamentali è in parte dovuto alla sconfessione del behaviorismo, ossia la trasformazione americana delle teorie di S. Freud, e alla scoperta di differenze intraspecifiche di comportamento in diverse specie animali. Nell'ambito delle singole specie, infatti, cani, topi, ratti, gatti e scimmie si differenziano nel modo in cui affrontano o evitano una novità. In base a questi fattori, negli anni Sessanta, A. Thomas e S. Chess (1977) reintrodussero nell'ambiente psichiatrico il termine temperamento. Thomas e Chess definirono carattere temperamentale uno stile distintivo di comportamento, piuttosto che il fine perseguito o la maniera con cui il comportamento si palesa; dopo colloqui con un gran numero di genitori, arrivarono a individuare nove dimensioni temperamentali: livello di attività, regolarità, reazione alla mancanza di familiarità, facilità di adattamento a nuove situazioni, reattività agli stimoli, livello di energia, umore dominante, distraibilità, durata dell'attenzione. La combinazione di due o più di queste dimensioni genera altre tre categorie temperamentali più astratte: la prima e più comune si riferisce al bambino 'facile', che è regolare e si avvicina a persone ed eventi nuovi con atteggiamento positivo; la seconda, meno numerosa, si riferisce al bambino 'lento a scaldarsi', che di fronte alle novità reagisce tirandosi indietro con paura e timidezza; la terza categoria, la più ridotta, è quella del bambino cosiddetto 'difficile', 'freddo', caratterizzato da regolarità minima, notevole irritabilità e rifiuto del nuovo. Quest'ultimo tipo è il meno adattato ed è più suscettibile a manifestare sintomi psichiatrici nella tarda infanzia. Altri teorici del temperamento, quali A.H. Buss e R. Plomin (1984), M.K. Rothbart (1989), J.E. Bates (1989), H.H. Goldsmith e J.J. Campos (1982), hanno messo in evidenza tratti lievemente differenti. Rothbart, che si occupa soprattutto di bambini piccoli, individua due dimensioni temperamentali: facilità di reazione agli stimoli e capacità di modularla. Buss e Plomin, i quali si interessano di adolescenti e di adulti, ne individuano tre: reazione emotiva, attività e attitudine sociale. La maggior parte degli studiosi, comunque, concorda nel riferire la costruzione temperamentale alla variabilità, di origine genetica, dei caratteri emotivi che si palesano durante l'infanzia e restano in linea di massima stabili nel corso del tempo. Le cause di questa variabilità fisiologica associata al comportamento risultano meno chiare, tuttavia alcuni studiosi ritengono di poterle basare su differenze genetiche di carattere neurochimico e neuropsicologico. Il cervello contiene più di centocinquanta differenti sostanze chimiche: ognuna influenza l'eccitabilità di specifici siti cerebrali e la diversa concentrazione di molte di queste sostanze, così come la densità dei recettori a esse associati che si sono localizzati sulla parete cellulare, dipende da fattori ereditari. Con questo presupposto, è più semplice intuire come un bambino possa essere più vulnerabile alla tristezza o all'ansia rispetto a un altro. La spiegazione che collegava all'ambiente familiare le eccessive paure infantili appariva ragionevole, e gli psicologi si sono rifiutati di abbandonarla finché non ne è stata proposta un'altra ugualmente plausibile, quella offerta dai neuroscienziati. Questi hanno fornito le prove di come la variabilità genetica di fattori neurochimici e neuropsicologici possa determinare differenze comportamentali attraverso l'attività del sistema nervoso simpatico e dell'asse ipotalamico-pituitario-adrenalinico, e anche attraverso la distribuzione e la concentrazione di catecolamine, glucocorticoidi e oppioidi endogeni. Per es., i livelli di DBH (Dopamine beta-hydroxylase), un enzima necessario per la fase finale della sintesi di norepinefrina, sono ereditari: bambini con livelli di DBH molto bassi sono più portati ad avere livelli di norepinefrina ugualmente bassi; poiché la norepinefrina centrale tende ad aumentare la soglia della paura e dell'ansia, quando sono bassi i livelli di DBH si riducono anche le soglie di paura e di ansia; la ricerca indica, infatti, che ragazzi con comportamenti disturbati hanno livelli molto bassi di DBH. La definizione di categoria temperamentale come profilo mutevole ma coerente di comportamenti e di stati emotivi legato a un modello fisiologico definito sottintende la probabile esistenza di numerosissime categorie temperamentali. In questo panorama potenzialmente ampio, due tipi sono ovvi e sono stati oggetto di studi approfonditi da parte di studiosi europei e nordamericani. Il primo, che si può definire inibito nei confronti della novità e comprende il 15-20% dei bambini sani, si evidenzia chiaramente nel secondo anno di vita, a causa della consistente tendenza del bambino a chiudersi, a reprimere le proprie emozioni, a divenire introverso e timido a contatto con persone, situazioni o eventi sconosciuti. Il secondo gruppo, detto non inibito e comprendente il 30-35% dei bambini, mostra il profilo complementare, di approccio relativamente rapido a situazioni e persone non familiari, spesso accompagnato da discorsi e sorrisi. Queste due categorie sono moderatamente stabili dal primo all'ottavo anno di vita: infatti il 75% circa dei bambini conserva il proprio tipo (Kagan-Reznick-Snidman 1988; Kagan-Snidman 1991). Inoltre, la ricerca in diversi laboratori ha dimostrato che questi due tipi sono ereditari, con un coefficiente di ereditarietà di circa 0,5 (Matheny 1989; Plomin et al. 1990). Le differenze fisiologiche che sono riscontrabili tra il gruppo inibito e quello non inibito indicano che ai due profili è sistematicamente correlata la reattività del sistema nervoso simpatico: di fronte a situazioni di leggero stress i bambini inibiti mostrano una reattività più alta del normale, mentre quella dei non inibiti è minima. Tale reattività si esplica nell'accelerazione del battito cardiaco e nella dilatazione pupillare, in caso di stress cognitivo, e in variazioni della pressione diastolica alla provocazione ortostatica. Inoltre, i bambini inibiti tendono a mostrare attivazione elettroencefalografica - desincronizzazione del ritmo α - nell'area frontale destra, i non inibiti in quella sinistra (Fox-Davidson 1988), confermando in tal modo i risultati della ricerca che indicano come l'emisfero destro partecipi maggiormente alle emozioni disforiche, mentre il sinistro è più coinvolto nelle emozioni positive. L'insieme dei dati fa ritenere che la variazione dell'eccitabilità dell'amigdala e della sua proiezione sul sistema autonomo e motorio sia basilare nella distinzione dei due tipi, in quanto i bambini inibiti hanno un sistema limbico più eccitabile dei non inibiti. Infatti coloro che si dimostreranno inibiti nel secondo anno possono essere riconosciuti già all'età di 16 settimane in quanto rivelano livelli più alti di attività motoria, e irritabilità in presenza di stimoli visivi sonori od olfattivi non familiari (Kagan-Snidman 1991), a differenza dei futuri bambini non inibiti, i quali hanno invece livelli di attività motoria bassi e minima irritabilità agli stessi stimoli. Queste differenze di reattività, riscontrate a 4 mesi, confermano l'ipotesi che i due gruppi differiscano per eccitabilità dell'amigdala e delle sue proiezioni. Per i bambini inibiti il rischio di sviluppare durante l'adolescenza e la vita adulta gradi estremi di fobia sociale o disturbi d'ansia appare maggiore che nei bambini non inibiti, i quali sono a rischio di disturbi comportamentali soltanto se crescono in un ambiente che tollera l'aggressività e produce rabbia e frustrazione. Sono state oggetto di studio altre categorie temperamentali infantili, come per es. quella rappresentata da un gruppo ristretto di bambini molto piccoli che manifestano livelli di energia insolitamente alti: stimolati, agitano gli arti, spesso emettono suoni e sorridono; nello sviluppo successivo, mostrano un grado elevato di emozione positiva. Un altro gruppo, anche questo riguardante meno del 10% della popolazione, mostra invece bassi livelli di energia e appare indifferente; crescendo, questi soggetti sono tranquilli ed emotivamente repressi. Probabilmente altre categorie, finora non individuate perché non evidenti ai genitori e quindi non segnalate chiaramente nei questionari da loro compilati, verranno scoperte in futuro (Carey-McDevitt 1978). Vi è un'ampia discussione in merito alla questione se le caratteristiche temperamentali debbano essere considerate come un continuum o come categorie qualitative distinte. Thomas e Chess (v. sopra) consideravano il bambino 'facile', quello 'lento a scaldarsi' e quello 'difficile', 'freddo', come appartenenti a categorie diverse. Altri studiosi invece configurano come un continuum le dimensioni temperamentali quali la reazione di approccio o di chiusura e la facile emotività. Il profilo delle caratteristiche dei bambini inibiti e non inibiti fa pensare che ognuno appartenga a un gruppo qualitativamente distinto: i soggetti dei due gruppi infatti differiscono non solo nel modo di entrare in contatto con la novità, ma anche nella struttura fisica, nello scheletro facciale, nel colore degli occhi, nella suscettibilità alle forme allergiche (Kagan et al. 1991). È probabile che i bambini il cui comportamento è al limite estremo per quanto riguarda caratteristiche come la chiusura o la reattività siano qualitativamente diversi da quelli che hanno atteggiamenti meno estremi. Ciò induce a ritenere che le categorie temperamentali siano analoghe alle razze animali, ognuna delle quali è individuata da un particolare profilo di caratteristiche. Per i clinici è comunque importante chiarire se adolescenti e adulti estremamente ansiosi, tesi o introversi, da un lato, oppure socievoli ed espansivi, dall'altro, possano aver acquistato la loro personalità in seguito a esperienze infantili e non facciano necessariamente parte di un gruppo temperamentale. Il rinnovato interesse degli scienziati e della società nei confronti delle costruzioni teoriche sul temperamento provocherà discussioni sul grado di responsabilità connesso con certi comportamenti. La valutazione di un soggetto, specie se il suo comportamento viola lo standard sociale, è certamente influenzata dall'idea che ha l'osservatore in merito al grado di autocontrollo posseduto dal soggetto. Prima del 20° secolo la cultura occidentale si è mostrata relativamente puritana nella sua certezza che la volontà dell'individuo svolge un ruolo preminente nel controllo del comportamento. Questa visione si è andata indebolendo negli ultimi cinquant'anni del Novecento e non solo un numero crescente di persone tende a giustificare alcune azioni asociali nella convinzione che non sempre esse rientrano nella sfera della deliberazione individuale, ma alcuni vogliono applicare un principio similare anche ai comportamenti dovuti al temperamento. Non è però così scontato che questa permissività, che minimizza la volontà del soggetto agente, risulti più salutare e adattativa per la società dell'idea tradizionale che uno dei prodotti significativi dell'evoluzione umana sia la capacità di ciascuno di scegliere e controllare il proprio modo di agire.

bibl.: j.e. bates, Concepts and measures of temperament, in Temperament in childhood, ed. G.A. Kohnstamm, J.E. Bates, M.K. Rothbart, New York, Wiley, 1989, pp. 3-26; a.h. buss, r. plomin, Temperament. Early developing personality traits, Hillside (NJ), Erlbaum, 1984; w.b. carey, s.c. mcdevitt, Revision of the infant temperament questionnaire, "Pediatrics", 1978, 61, pp. 735-39; n.a. fox, r.j. davidson, Patterns of brain electrical activity and facial signs of emotion in ten month old infants, "Developmental Psychology", 1988, 24, pp. 230-36; h.h. goldsmith, j.j. campos, Toward a theory of infant temperament, in The development of attachment and affiliative systems, ed. R.N. Emde, R.J. Harmon, New York, Plenum Press, 1982, pp. 161-93; j. kagan et al., Temperament and allergic symptoms, "Psychosomatic Medicine", 1991, 53, pp. 332-40; j. kagan, j.s. reznick, n. snidman, Biological bases of childhood shyness, "Science", 1988, 240, pp. 167-71; j. kagan, n. snidman, Temperamental factors in human development, "American Psychologist", 1991, 46, pp. 856-62; a.p. matheny, Children's behavioral inhibition over age and across situations, "Journal of Personality", 1989, 57, pp. 215-35; r. plomin et al., Individual differences during the second year of life. The MacArthur longitudinal twin study, in Individual differences in infancy, ed. J. Colombo, J. Fagen, Hillside (NJ), Erlbaum, 1990, pp. 431-55; m.k. rothbart, Temperament in childhood: a framework, in Temperament in childhood, ed. G.A. Kohnstamm, J.E. Bates, M.K. Rothbart, New York, Wiley, 1989, pp. 59-76; a. thomas, s. chess, Temperament and development, New York, Brunner-Mazel, 1977.

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