TEMPERATURA

Enciclopedia Italiana (1937)

TEMPERATURA

Eduardo AMALDI
Virgilio DUCCESCHI
Francesco VERCELLI

. Il concetto di temperatura ha origine dalla particolare sensazione di caldo o di freddo che si prova quando si tocca un corpo. Questa sensazione naturalmente non si presta a una misura quantitativa dello stato termico di un corpo, poiché essa dipende da varie circostanze. Per rendere quantitativa la misura della temperatura, si può ricorrere a un fenomeno qualsiasi il quale dipenda da essa in modo regolare e possibilmente semplice. A tale scopo si utilizza comunemente il cambiamento di volume, che subiscono tutti i corpi quando vengono riscaldati a pressione costante. Infatti il riscaldamento produce nella maggior parte dei corpi un aumento di volume, per modo che noi potremo dire che un corpo diventa più caldo o più freddo non solo a seconda delle nostre sensazioni tattili, ma anche semplicemente dall'osservazione dei suoi cambiamenti di volume, i quali si prestano assai bene a una misura quantitativa.

Se ora prendiamo due corpi, di cui uno sia più caldo dell'altro, e li poniamo a contatto, osserveremo che quello più caldo si raffredda mentre quello più freddo si riscalda; l'esperienza quotidiana dimostra che questo processo non continua indefinitamente, ma che a un certo punto si arresta; allora si dice che i due corpi sono in equilibrio termico. L'esperienza mostra che questo stato di equilibrio finale si stabilisce non solo quando si hanno due corpi, ma anche quando il numero di corpi differentemente riscaldati, posti a contatto, è grande quanto si vuole. Da questo fatto segue che: se un corpo A è in equilibrio termico con due altri corpi B e C, questi ultimi sono anche in equilibrio termico fra di loro. Se infatti si portano i corpi A, B e C a contatto in modo che ognuno di essi tocchi gli altri due, vi sarà equilibrio ai punti di contatto AB e AC e quindi anche al punto di contatto BC.

Questo fatto ci permette di confrontare lo stato termico di due corpi B e C senza bisogno di portarli a contatto l'uno con l'altro. Basta infatti portare ciascuno di essi successivamente a contatto con un terzo corpo A, attendere che si stabilisca l'equilibrio termico e osservare il volume di A in ciascun caso; in tal modo potremo stabilire quale dei due corpi B e C è più caldo. Il corpo A si chiama termometro; in pratica esso potrà essere, per es., del mercurio racchiuso in un'ampollina di vetro che termini in un tubo capillare (v. termometro).

Lo stato termico del corpo A o di qualsiasi altro corpo in equilibrio con A si può quindi assai semplicemente definire mediante il volume di A, o, come si fa di solito, mediante la differenza fra il volume di A e un volume scelto arbitrariamente, quale, per es., il volume di A quando è in equilibrio termico col ghiaccio fondente alla pressione di 760 mm. di mercurio.

Questa differenza di volume viene misurata in unità opportune, per es. stabilendo di chiamare 100 la differenza di volume quando A è in equilibrio col vapore d'acqua a pressione atmosferica. Tale differenza di volume misurata in queste unità si chiama temperatura centigrada rispetto al corpo A (nel nostro caso mercurio) usato come sostanza termometrica. Accanto al numero che esprime la temperatura centigrada si suol porre l'indicazione: °C.

Se ora però si prendono due diverse sostanze come sostanze termometriche, si trova che in generale dànno delle letture differenti, salvo che nei punti 0 e 100 i quali coincidono per definizione. In altre parole il volume delle varie sostanze dipende in modo diverso dal loro stato termico; ciò mostra quanto sia arbitraria la scala delle temperature come l'abbiamo definita.

A tale inconveniente si può in parte rimediare prendendo come sostanze termometriche quei gas che condensano difficilmente, come l'ossigeno, l'azoto, l'idrogeno o meglio ancora l'elio. Essi infatti si comportano nello stesso modo entro un largo intervallo di temperatura, per modo che le letture fatte con termometri costruiti con gas differenti coincidono sufficientemente per molti scopi.

Il coefficiente di espansione di questi vari gas è lo stesso, per modo che volumi eguali dei diversi gas crescono della medesima quantità (circa

del loro volume) quando vengono scaldati da 0° C. a 1° C. Tutto ciò è vero purché i gas in questione siano abbastanza lontani dalla temperatura di liquefazione. Quando invece questa condizione non sia soddisfatta, si notano delle divergenze fra il comportamento dei diversi gas; ci si trova quindi di nuovo di fronte alla stessa difficoltà già incontrata nella definizione della temperatura centigrada per mezzo di sostanze termometriche non gassose. Grazie al 2° principio della termodinamica è possibile tuttavia dare una definizione di temperatura che è completamente indipendente dalle proprietà di una determinata sostanza e applicabile a tutti gli stati termici possibili.

La scala delle temperature che si viene così a introdurre si chiama scala termometrica assoluta; dal punto di vista pratico ha interesse notare fin d'ora che tale scala coincide con la scala del termometro a gas perfetto. Si tenga però ben presente che, mentre il gas perfetto rappresenta un caso limite, a cui i gas reali si approssimano più o meno solo entro un limitato intervallo di temperatura e pressione, la scala definita termodinamicamente, come ora accenneremo, ha un significato assoluto ed esatto.

Consideriamo un corpo qualsiasi e immaginiamo di aver tracciato nel piano volume-pressione le curve a1 e a2 che rappresentano due sue trasformazioni adiabatiche e le curve i1, i2, i3 ... che rappresentano alcune trasformazioni isoterme (v. figura).

Indichiamo con Q1, Q2, ... Qn le quantità di calore che è necessario somministrare al nostro corpo per farlo passare rispettivamente lungo le isoterme i1, i2, ... in dalla prima adiabatica alla seconda.

Il secondo principio della termodinamica (v.) permette di provare che i rapporti

non dipendono in alcun modo dalla natura del corpo considerato né dalle adiabatiche scelte, ma solo dalle temperature t1 e t2 o rispettivamente t1 e t3, ..., t1 e tn corrispondenti alle singole curve isoterme.

Si presenta naturale l'idea di assumere come definizione del rapporto delle temperature assolute di due isoterme come i1 e i2 il rapporto

delle quantità di calore necessarie per far passare isotermicamente dall'una all'altra delle due adiabatiche.

L'unità di misura si fissa prendendo convenzionalmente come eguale a 100 l'intervallo fra la temperatura di fusione del ghiaccio e la temperatura di ebollizione dell'acqua, in entrambi i casi alla pressione di 760 mm. di mercurio. I gradi così ottenuti si chiamano assoluti o Kelvin. Lo zero della scala assoluta risulta uguale a − 273,16 °C.

Per mostrare che, come si è detto, la scala assoluta coincide con la scala che si ottiene a mezzo di un termometro a gas, basta assumere l'equazione del gas perfetto e calcolare materialmente le quantità di calore Q1, Q2, ..., sopra definite; nell'esecuzione del calcolo va inoltre introdotta l'ipotesi che l'energia interna u del gas sia indipendente dal suo volume

come risulta per i gas perfetti dall'esperienza di Joule-Thomson (v. gas, XVI, p. 409).

Il 2° principio della termodinamica permette anzi di stabilire in modo del tutto generale una relazione fra la temperatura t definita a mezzo di una sostanza termometrica arbitraria e la temperatura assoluta T. Si trova infatti

dove si è indicato con p, v, e u rispettivamente la pressione, il volume specifico e l'energia interna specifica della sostanza usata. Dalla (1) si ottiene indicando, nelle due scale, il punto di fusione del ghiaccio rispettivamente con t = t0 e T = T0 = 273,16

Basta quindi rilevare sperimentalmente la dipendenza di p e u dalla temperatura t e dal volume specifico v per la sostanza termometrica usata, per poter dedurre a mezzo della (2) la scala delle temperature assolute.

Nella tabella 1 sono dati in gradi centigradi i cosiddetti punti fissi che servono per la taratura dei termometri. Nella tabella 2 sono date alcune temperature notevoli, espresse in gradi centigradi. Le più basse temperature raggiunte sono di qualche millesimo di grado assoluto; per i metodi usati per raggiungere tali temperature, come anche per i criterî seguiti per la loro misura, vedi zero assoluto.

Temperatura dell'aria.

La temperatura dell'atmosfera varia col sito e col tempo, come ogni altro elemento meteorologico. Quando si parla di temperatura dell'aria s'intende rappresentare lo stato termico dell'atmosfera in libera circolazione, a distanza dal suolo, non quello degli strati aerei aderenti al terreno, o stagnanti in piccole conche e fra le piante.

Negli studî di agrometeorologia interessano invece soprattutto le distribuzioni della temperatura, dell'umidità e del vento negli strati aerei aderenti al terreno, poiché in essi si svolge la vita dei vegetali. L'attrezzatura strumentale e i metodi di osservazione, in tali studî, differiscono perciò dagli strumenti e dai metodi seguiti nelle normali misure di meteorologia e di climatologia.

La meteorologia ordinaria studia l'ambiente atmosferico da un punto di vista generale, quale esso si presenta a partire da una distanza dal suolo non minore di m. 1,5. I dati osservati in tali condizioni formano la base per definire il clima, nel senso comune della parola, o macroclima. Le osservazioni negli strati aderenti al terreno valgono invece per definire la fine struttura dell'ambiente fisico presso il suolo, o microclima.

In ogni caso si deve tenere presente che il termometro, per quanto preciso e sensibile, non dà una corretta misura della temperatura dell'aria, se non vengono usate opportune precauzioni. Il bulbo termometrico assume temperatura corrispondente a uno stato di equilibrio regolato da diversi fattori: conduzione termica rispetto all'aria ambiente; irraggiamento ricevuto dall'esterno; radiazione emessa verso l'ambiente. Solo quando il primo di questi fattori prevale su ogni altro, come avviene nei liquidi, il termometro indica la reale temperatura dell'ambiente. Nei gas la temperatura del bulbo può superare di gran lunga quella dell'ambiente, come avviene per un termometro esposto alla radiazione di corpi caldi; ovvero può essere inferiore di parecchi gradi, come nelle ore della notte.

Negli osservatorî la temperatura dell'aria viene rilevata con uno di questi mezzi:

1. Esponendo i termometri in capanne o gabbie meteorologiche, congegnate in guisa da evitare l'effetto delle radiazioni solari, o terrestri, e da assicurare un'attiva ventilazione nell'interno. Le gabbie sono appoggiate al suolo in spazio libero da ogni parte. In caso che ciò non sia possibile, le gabbie sono appese a qualche distanza da una parete esposta al nord e bene ventilata.

2. Usando termometri a fionda, secondo la proposta di Arago (1830). È questo un metodo consigliabile e comodo, anche durante le escursioni. Il termometro, legato a un filo, viene ruotato nell'aria a guisa di fionda, per qualche tempo, poi letto rapidamente. Con un po' di pratica si ottengono buone indicazioni sulla reale temperatura dell'aria, perché l'equilibrio termico fra aria e bulbo si stabilisce bene e presto durante la rotazione.

3. Usando termometri ventilati artificialmente con mulinello affiancato al bulbo. Il migliore apparecchio di questo tipo è, a tutt'oggi, quello ideato nel 1887 da R. von Assmann. Lo strumento, noto col nome di psicrometro Assmann, porta due termometri, uno dei quali tenuto col bulbo asciutto, l'altro col bulbo bagnato (al momento dell'uso), e serve per contemporanee misure di temperatura e di umidità. Un'elica, mossa da motorino a molla, assicura la ventilazione. La radiazione fra bulbo e ambiente è evitata dall'involucro argentato o nichelato che, in doppio strato, con aria interposta, circonda i termometri. La continuità metallica dello strumento è interrotta da anelli isolanti, per evitare la trasmissione di calore per conduzione. La comune esperienza conferma che l'apparecchio Assmann garantisce la reale temperatura dell'aria con errori non maggiori di un decimo di grado. Essendo facilmente portatile, lo strumento serve assai bene nei viaggi e nelle escursioni scientifiche.

Negli osservatorî le temperature dell'aria sono misurate a ore fisse, con lettura diretta dei termometri. Vengono inoltre impiegati termografi controllati, dai quali si rileva con continuità l'andamento della temperatura. Dalla media delle 24 letture orarie si deduce la media termica diurna; e dalle medie diurne si ricavano le medie mensili e annue, elementi fondamentali per la climatologia. Per completare i dati climatici regionali si sogliono presentare questi dati: 1. i valori normali (medie di lunghissimi periodi di osservazione) giornalieri, mensili, annui; 2. le ampiezze delle escursioni termiche diurne, mensili e annue, cioè le differenze medie fra i valori estremi osservati; 3. le medie dei massimi e dei minimi termici; 4. i valori assoluti estremi osservati; 5. i giorni con ghiaccio (meno di zero gradi nelle 24 ore), 6. i giorni con gelo (meno di zero gradi per qualche ora nella giornata).

Tutti questi valori si prestano a facili rappresentazioni grafiche. Primaria importanza hanno le carte isotermiche, ottenute mediante linee passanti per punti di eguali temperature (istantanee, o medie per una stessa epoca).

Variazioni periodiche e aperiodiche della temperatura. - Le nostre conoscenze sulla temperatura dell'atmosfera sono poggiate principalmente sulle misure che da lungo tempo si compiono, con regolarità, sulle aree continentali e nelle isole. I dati raccolti dalle navi bastano ampiamente per definire il regime termico sui mari del globo. E le osservazioni aerologiche, in uso da qualche decennio, forniscono le basi per definire la struttura termica dell'oceano atmosferico, in aria libera, sino a grandi distanze dal suolo.

I diagrammi termici tracciati direttamente dagli strumenti e quelli costruiti coi dati di osservazione indicano che, in ogni località, la temperatura è un elemento fluttuante di continuo, con variazioni cicliche a cui sono sovrapposte frequenti e fortissime irregolarità.

Il ciclo diurno della temperatura è chiaramente in relazione con l'analogo ritmo della radiazione diurna solare. Se poniamo a raffronto i diagrammi termici con quelli figuranti l'intensità della radiazione sopra una superficie orizzontale, nel corso di un giorno, si scorge che le due curve presentano analogie e contrasti. Il periodo è identico. Ma la forma delle fluttuazioni è diversa nei due casi. La radiazione del sole è il fattore primario del riscaldamento dell'aria; ma tale fattore agisce limitatamente in modo diretto; la sua azione è soprattutto esercitata per tramite del riscaldamento destato al suolo. Le curve termiche rispecchiano perciò lo stato termico del suolo, o del mare, nel sito delle misure. E saranno assai diverse per ampiezza e per forma a seconda delle condizioni stagionali e locali.

In generale il massimo termico si presenta con ritardo di circa due ore rispetto al massimo della radiazione solare. La temperatura decresce in seguito sino oltre il tramonto, rapidamente; decresce ancora nella notte, ma più lentamente e con legge quasi lineare, sino al sorgere del sole; riprende in seguito, bruscamente, la salita e in poche ore raggiunge il valore massimo. Nei singoli osservatorî il medio andamento delle ondulazioni diurne viene analizzato e rappresentato con schemi analitici, ma questi sono troppo diversi da caso a caso per consentire la formulazione di una legge generale. Il carattere continentale, o marittimo, di una regione determina differenze enormi nelle ampiezze e nella forma delle curve diurne, a parità di latitudine; le escursioni fra massimi e minimi sono assai grandi, nel primo caso; si riducono a quantità minime in pieno mare.

Se il cielo è nuvoloso, o comunque perturbato da anormali condizioni, l'andamento termico risulta completamente alterato, per ragioni evidenti.

La linea media attorno alla quale si sviluppa l'oscillazione diurna si sposta da un giorno all'altro. Figurando graficamente le medie diurne, per lunghissimi intervalli, emerge chiaramente il ciclo annuo della temperatura, altro elemento periodico legato ad analogo ciclo della radiazione solare. Ma la curva annua è profondamente complicata da irregolarità di ogni specie: la temperatura non segue cioè un andamento liscio di ascesa e di discesa, nel corso delle stagioni, ma procede con sbalzi e regressi alternati in modo complesso. Anche facendo le medie delle temperature osservate in dati giorni dell'anno, in anni diversi, per intervalli secolari, e tracciando la curva che figura il medio andamento secolare, si trova ancora che numerose irregolarità perturbano il ciclo annuo. Molto si è discusso sul significato delle fluttuazioni osservate nelle curve secolari. Si tratta di riconoscere se esse corrispondano ad anomalie tipiche stagionali e se risulti giustificata una previsione statistica di eccessi termici, o di deficienze di temperatura, per singole epoche dell'anno, sulla base delle irregolarità osservate nelle curve medie. Ma in meteorologia le previsioni basate su elaborazioni statistiche di fenomeni irregolari sono normalmente evitate; si preferisce analizzare i casi individuali e dall'andamento di essi trarre norme per il futuro.

Le vicende meteorologiche ordinarie e quelle eccezionali di singole annate esercitano influenze essenziali sull'andamento delle temperature. I valori estremi, massimi e minimi, che queste possono assumere in ogni località, differiscono perciò fortemente dai limiti fra cui la temperatura oscilla in condizioni normali.

La temperatura è uno tra gli elementi atmosferici che maggiormente influiscono sulle condizioni della vita. La distribuzione della fauna e della flora, in latitudine e in altezza, è strettamente legata al regime termico corrispondente. E poiché i fossili rinserrati fra le viscere del suolo documentano che, in epoche antiche, la fauna e la flora ebbero distribuzioni e sviluppi molto diversi da quelli proprî dei climi attuali, siamo indotti a concludere che in quelle epoche le temperature sulla terra dovettero essere distribuite in modo assai diverso da quello ora esistente, e ciò in dipendenza da particolari condizioni dei fattori astronomici e geografici che regolano la temperatura terrestre.

I regolatori della temperatura dell'aria. - L'energia solare è il fattore primario da cui dipendono, direttamente o indirettamente, le condizioni meteorologiche e climatiche della terra, e quindi anche le distribuzioni orizzontali e verticali della temperatura nell'atmosfera. Ma le azioni solari si esercitano per tramite di processi fisici, nei quali le proprietà dei gas, del suolo e delle acque hanno funzioni di essenziale importanza.

La radiazione del sole, oltre a un riscaldamento diretto, produce svariati effetti: movimenti dell'aria, evaporazione dell'acqua, ecc. Ma essi sono transitorî e, in definitiva, tutto si risolve in azioni termiche. L'atmosfera si comporta come una macchina immensa, che ha il sole per focolare e lo spazio circostante come condensatore.

Occorre analizzare i processi che si svolgono in tale macchina per comprendere le ragioni delle tipiche forme che osserviamo nella struttura termica dell'atmosfera.

I gas costituenti l'atmosfera, le mutevoli quantità di vapore acqueo e le particelle solide e liquide sospese (pulviscolo, nubi) esercitano una estinzione dell'energia lungo il cammino dei raggi solari, e ciò a causa dei fenomeni della diffusione e dell'assorbimento.

La diffusione comprende l'insieme delle azioni (riflessione, rifrazione, diffrazione, ecc.) che trasformano i raggi diretti solari in altre radiazioni rivolte in ogni parte dell'ambiente aereo. Per la legge del Rayleigh, la frazione di energia perduta per diffusione molecolare è inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d'onda. Consegue che tale perdita sarà lievissima per i raggi rossi e infrarossi, massima per quelli azzurri, violetti e ultravioletti. Da questo effetto deriva il colore azzurro del cielo.

Nei bassi strati aerei è presente sempre una rilevante e mutevole quantità di pulviscolo, associato spesso a condensazioni di vapore. La diffusione esercitata da queste particelle non segue la legge di Rayleigh e può essere anche uniforme per tutti i raggi, provocando una colorazione del cielo volgente verso il bianco o il grigio.

Le nubi riffettono e diffondono in alto una percentuale assai forte (78%) dei raggi su di esse incidenti. E poiché si stima che metà del cielo, sulla terra intera, sia coperta normalmente da nubi, segue che il 39% della radiazione solare al livello delle nubi sia diffusa fuori dell'atmosfera.

E infine il suolo, la copertura vegetale, l'acqua riflettono in alto notevoli frazioni (in media 8% per la terra intera) della radiazione che giunge al suolo. In definitiva si ritiene, secondo le stime di Aldrich, che il 43% della radiazione che giunge ai limiti dell'atmosfera sia perduta per diffusione verso lo spazio esterno. Questa frazione rappresenta l'albedo della terra. La visibilità dei pianeti dipende dal fatto che tutti posseggono un certo potere diffusivo rispetto alla luce ricevuta dal sole. Sappiamo che l'albedo dei pianeti è assai diversa da uno ad altro corpo; è minima per Mercurio (6%) e massima per i pianeti più distanti dal sole (per Nettuno si giunge al 73%).

L'assorbimento consiste nel fatto che una parte della radiazione rimane trasformata in altre forme di energia; e precisamente in calore, se viene eccitato un più rapido moto molecolare; in azioni chimiche, come nella fotosintesi dei vegetali. In generale le radiazioni di minore lunghezza d'onda sono particolarmente attive nei processi chimici; quelle lunghe nei fenomeni del riscaldamento.

Il potere assorbente di un corpo varia con la lunghezza d'onda dei raggi; i corpi neri assorbono quasi totalmente tutte le radiazioni.

Nell'atmosfera pura e asciutta l'assorbimento globale della radiazione solare è limitato (10% secondo Langley). I gas atmosferici esercitano minimo assorbimento; il vapore acqueo, l'anidride carbonica e l'ozono sono i fattori più attivi in questi processi. Se l'aria contiene pulviscolo e gocce liquide l'assorbimento cresce fortemente.

Aumentando lo spessore di aria attraversata dai raggi, come avviene ad altezze solari via via decrescenti, aumenta l'assorbimento.

Tutti i fattori di estinzione agiscono in modo selettivo, cioè diverso per radiazioni di diversa lunghezza d'onda. Nell'atmosíera i raggi infrarossi e rossi hanno la massima trasparenza; i raggi che volgono verso l'opposta parte dello spettro sono estinti in misura rapidamente crescente.

La conoscenza delle leggi e dei coefficienti che regolano la propagazione dei raggi nell'atmosfera consente di calcolare le quantità di calore che, a date latitudini, giungono dal sole ai limiti dell'atmosfera e alla superficie terrestre. Le dirette misure attinometriche controllano tali cifre e inoltre precisano le influenze locali dovute alla configurazione geografica e alle distribuzioni relative delle terre e dei mari.

L'energia radiante solare è costituita essenzialmente di radiazioni aventi lunghezza d'onda minore di 3 μ; le onde maggiori sono praticamente trascurabili. La parte di energia assorbita dall'atmosfera e dal suolo, quando non produca altri effetti (fusione di ghiaceio, evaporazione di acqua), produce riscaldamento dell'aria e del suolo.

A loro volta la terra e l'atmosfera si comportano come enormi radiatori a bassa temperatura, e quindi con emissione di onde lunghe rispetto a quelle solari. Lo spettro di emissione si estende oltre 30 μ e presenta il massimo di energia verso 10 μ, se ammettiamo che la media temperatura terrestre sia di circa 140.

Rispetto ai raggi lunghi emessi dalla terra l'atmosfera si comporta come uno schermo quasi completo, in quanto assorbe il 90% dell'energia totale emessa dal suolo (75% assorbito dal vapore acqueo; 5% dall'ozono; 10% dalle nubi). Solo il 10% viene perduto verso lo spazio esterno. Per tale aspetto l'atmosfera esercita, sulla terra, azione protettiva simile a quella dei vetri nelle abitazioni: è attraversata dai raggi brevi solari con minimo assorbimento; è quasi opaca per i raggi lunghi emessi dal suolo.

Anche l'atmosfera è un radiatore, come appare nel modo più chiaro nelle ore notturne e serene. Esponendo una superficie nera verso l'alto, fra essa e il cielo si stabilisce un equilibrio regolato dal bilancio fra radiazione emessa e ricevuta. La radiazione emessa viene calcolata, nota la temperatura del corpo nero; si deduce la radiazione ricevuta dal cielo, ossia dall'aria. Si trova che la radiazione dell'aria, dall'alto al basso, dipende essenzialmente dalla temperatura e dall'umidità dell'aria, ed è fortemente influenzata dallo stato di nebulosità. In definitiva la terra e l'aria si comportano come due corpi neri affacciati, aventi fra loro un forte salto termico (21°) se il cielo è sereno; ma un salto assai lieve (3°) se il cielo è coperto. Nel primo caso la radiazione effettiva (terra-cielo) è rilevante; nel secondo caso tende ad annullarsi. Ma la radiazione effettiva solo in piccola parte rimane perduta per il sistema terra + atmosfera; i nove decimi sono assorbiti lungo il cammino atmosferico. E in ciò sta appunto il potere schermante dell'aria rispetto al calore emesso dalla terra.

Se l'aria fosse trasparente in egual misura tanto per i brevi raggi ricevuti dal sole, quanto per quelli lunghi trasmessi dalla terra, essa assumerebbe una temperatura uniforme in altezza con valore di circa 300 sotto zero.

Il diverso comportamento dell'aria di fronte ai raggi solari e a quelli terrestri determina una stratificazione termica decrescente dal basso all'alto, fra il suolo e una certa altezza; si conclude che il sole è bensì la sorgente primaria, ma esso agisce per tramite del rìscaldamento destato nel suolo.

Si possono valutare con qualche approssimazione gli scambî termici che avvengono attraverso l'atmosfera e formare un bilancio fra l'energia ricevuta e quella perduta. Dalle cifre così valutate risulta che negli strati compresi fra il suolo e una certa altezza si ha una perdita di energia (il flusso rivolto in alto supera quello diretto in basso); più in alto si ha equilibrio e la temperatura si stabilizza su valori costanti, o presenta anche aumenti; più in alto ancora si ha di nuovo raffreddamento.

Le zone ove manca equilibrio fra radiazioni ricevute e trasmesse sono regioni di instabilità; l'equilibrio viene ristabilito per assorbimento diretto dei raggi solari, ovvero, come nella parte inferiore dell'atmosfera, mediante movimenti ascendenti di aria calda, o discendenti di aria fredda, ovvero in forma di calore che si libera, o assorbe, nei fenomeni di condensazione e di evaporazione dell'acqua.

Distribuzione orizzontale. - Le osservazioni confermano che le medie temperature, a dati livelli, oscillano attorno a valori prossimamente stazionarî. Non si ha né progressivo accumulo, né continua perdita di calore. Ciò significa che il calore ricevuto dal sole e quello perduto attraverso l'atmosfera si bilanciano, se non nel corso di un giorno, almeno nel corso di mesi e, in modo praticamente perfetto, in singole annate.

Le temperature medie di ogni località, come pure le fluttuazioni termiche diurne e annue, dipendono dal regime locale della radiazione solare e dalle influenze esercitate dal suolo e dall'acqua, elementi che hanno comportamento assai diverso di fronte ai raggi solari.

Il suolo riflette una piccola percentuale delle radiazioni; trasmette il calore per conduzione con estrema lentezza; ha un alto potere assorbente; è opaco, e quindi l'assorbimento avviene totalmente nel primo strato superficiale; ha calore specifico minore di quello dell'acqua ed evaporazione limitata, se non è fortemente umido. Tutte queste proprietà contribuiscono a determinare un rapido e intenso riscaldamento del suolo sotto i raggi solari.

Come è un buon assorbente, così il suolo è pure un ottimo radiatore; rapidamente si raffredda cessando l'azione solare, per le stesse ragioni sopra indicate.

In conclusione, il suolo è soggetto a forti oscillazioni termiche nel corso del giorno e dell'anno. E poiché la temperatura dell'aria presso il suolo dipende principalmente dall'assorbimento delle radiazioni lunghe del suolo, non da quello dei raggi brevi solari, così essa è massima quando il suolo è più caldo. Il suolo continua a scaldarsi anche quando il sole, raggiunta la massima altezza, comincia a declinare, sino a che il calore ricevuto cessa di superare quello perduto per radiazione e conduzione; il massimo termico del suolo, come quello dell'aria, nel corso del giorno, avviene perciò normalmente da 2 a 4 ore dopo mezzodì; e nel ciclo annuo con un ritardo di oltre un mese rispetto al solstizio estivo.

L'acqua invece riflette una rilevante parte dei raggi, quando questi incidano obliquamente; è trasparente e lascia penetrare le radiazioni sino a grandi profondità; svapora, e quindi perde calore; ha un alto calore specifico; è sempre in moto e rimescola gli strati superficiali con quelli sottostanti più freddi; nel mare, per evaporazione, aumentano la salsedine superficiale e la densità, provocando rimescolamenti con le acque sottostanti. Per queste ragioni la temperatura dell'acqua si eleva di quantità appena apprezzabili nel corso del giorno e subisce raffreddamento analogamente piccolo nelle ore della notte. Le curve termiche diurne e annue dell'aria sopra gli oceani presentano dunque oscillazioni di ampiezza assai limitata, in contrasto con le amplissime fluttuazioni tipiche delle aree continentali. Nelle regioni di transizione fra mare e terra anche le curve termiche presentano forme intermedie fra i tipi estremi marittimo e continentale.

Sempre per la ragione che il suolo è il fattore principale attraverso il quale l'energia solare riscalda l'aria, i mutevoli aspetti del suolo e della copertura vegetale determinano differenti condizioni termiche sullo strato aereo sovrastante, specialmente quando il tempo è calmo e sereno.

Alla voce clima sono riferite le carte rappresentanti le isoterme medie terrestri, ridotte a livello del mare. L'aspetto più notevole di tali carte è dato da questi due caratteri: 1. le temperature medie decrescono dall'equatore verso i poli; 2. la diminuzione avviene però in modo irregolare. Particolarmente notevole è il forte contrasto termico fra le aree continentali e quelle oceaniche.

L'equatore termico è spostato verso l'emisfero nord di circa 6° a causa dell'ineguale distribuzione delle terre e dei mari. Le medie termiche di gennaio e di luglio per i due emisferi e per la terra intera sono così valutate da J. Hann:

L'influenza dell'ineguale distribuzione delle terre e dei mari, nei due emisferi, prevale su quella delle variabili distanze fra sole e terra nel corso dell'anno.

L'inverno si presenta nell'emisfero nord col sole al perielio; nell'emisfero sud col sole all'afelio. La radiazione solare nel primo caso è alquanto maggiore che nel secondo. Tuttavia l'inverno boreale è più freddo di quello australe, dato il carattere continentale dell'emisfero nord di fronte al carattere prevalentemente oceanico di quello sud. Per analoga ragione differiscono le medie termiche estive sui due emisferi. Le distribuzioni delle terre e dei mari non bastano tuttavia a spiegare perché le effettive distribuzioni termiche non corrispondano alle quantità di calore trasmesse dal sole alle singole zone terrestri. Le regioni tropicali si presentano meno calde di quanto comporti la radiazione; le zone con latitudini maggiori di 45° appaiono invece con temperature enormemente superiori rispetto a quelle compatibili con l'equilibrio di radiazione. Esiste dunque un trasferimento di calore fra equatore e poli, e tale scambio è provocato dalla circolazione generale dell'atmosfera e dell'oceano. Livellati in parte gli eccessi e le deficienze di temperatura sulla terra, sono rese idonee alla vita immense zone che sarebbero condannate ad avere climi estremi, caldi o freddi.

Distribuzione verticale della temperatura. - La comune esperienza insegna che la temperatura dell'aria decresce verso l'alto. La cessazione della vegetazione ad alta quota, sui monti, e gli alti regni delle nevi perpetue sono documenti evidenti della stratificazione termica decrescente verso l'alto, pure restando a contatto del suolo.

Le misure aerologiche (v. aerologia) precisano la legge di variazione termica verticale nella libera atmosfera, sino alle massime altezze a cui giungono gli strumenti portati dai nostri mezzi di esplorazione, cioè sino ad altezze di almeno 30 km. Più in alto, in mancanza di misure dirette, il regime atmosferico viene studiato sulla base dei fenomeni che si svolgono in quelle alte regioni e ci sono resi apparenti da manifestazioni luminose e acustiche: crepuscoli, aurore, nubi nottilucenti, stelle cadenti, strati ionizzati, propagazione anormale dei suoni.

Da un trentennio gli osservatorî compiono regolarmente, in ogni parte del mondo, lanci di palloni sonda destinati al rilevamento della stratificazione termica lungo la verticale del sito di osservazione. Abbiamo così un cospicuo materiale per gli studî atmosferici in generale e per definire la struttura termica dell'atmosfera.

Le singole serie di misure indicano che la distribuzione termica lungo la verticale assume forme complesse, dipendenti dalle condizioni atmosferiche del sito al momento dell'osservazione. I medî valori di molte serie di osservazioni corrispondono invece a schemi tipici e abbastanza costanti, a parità di stagione e di sito. La temperatura degrada dal livello del mare verso l'alto di circa 6° per 1000 m. di elevazione, indicando il passaggio verso una regione avente temperatura uniforme in altezza.

Al primo involucro atmosferico, caratterizzato da temperatura decrescente verso l'alto, fu dato il nome di troposfera. La sovrastante zona aerea isoterma si chiama stratosfera. La zona di transizione, più o meno distinta fra i due strati, si dice tropopausa.

Nelle aree subpolari la tropopausa si trova ad altezze variabili fra 8 e 10 km.; la minima temperatura è in media di −50°.

Nelle medie latitudini le colonne isoterme prendono inizio più in alto, fra 10 e 12 km., e sono più fredde, con circa −55°.

A latitudini via via minori il livello base delle colonne isoterme va sempre più elevandosi, sino a raggiungere 18 km. I minimi termici della tropopausa arrivano persino a −85°. Ad altezze fra 20 e 30 km. è assai comune l'inizio di inversioni termiche, specialmente nelle zone tropicali: la temperatura cresce allora verso l'alto.

Le superficie isoterme, molto appiattite nella troposfera, si ripiegano bruscamente nella stratosfera sino ad assumere andamento verticale. Le interposte colonne aeree hanno temperature decrescenti dai poli all'equatore, a rovescio di quanto avviene per le temperature degli strati bassi. Il livello ove si verifica il piegamento delle isoterme è tanto più alto quanto minore è la corrispondente temperatura.

Per chiarire le ragioni delle distribuzioni termiche lungo la verticale è necessario tenere presenti alcune proprietà termodinamiche dell'aria. Se rimescoliamo l'acqua di una vasca, tutto il liquido finirà per assumere una temperatura uniforme; il liquido sarà isotermo.

Se immaginiamo rimescolata, in analoga guisa, l'aria di una colonna verticale che dal suolo si erga sino a 10 km. di altezza, non si otterrà una massa isoterma: l'aria che sale si raffredda, quella che scende si riscalda, e se il rimescolamento è adiabatico, cioè senza scambî di calore con l'esterno, si stabilisce un gradiente adiabatico, pari a 1° circa per ogni dislivello di 100 m. Raggiunta simile condizione, gli strati della colonna aerea possono restare in equilibrio. È un equilibrio indifferente, dal quale si passa rapidamente a equilibrio instabile.

Invero se una porzione di aria viene sollevata, o abbassata, la temperatura varia di 1° ogni 100 m. come in tutto l'ambiente circostante e quindi la massa può stare in equilibrio in qualsiasi livello. Ma se la porzione d'aria considerata è scaldata lievemente, pesando meno dell'aria circostante, viene sospinta in alto; nella salita si raffredda, ma conserva sempre un eccesso di temperatura rispetto all'ambiente e perciò la salita continua sino alla sommità dello strato. Se viene raffreddata discende sino al suolo.

In generale si osserva che il gradiente termico verticale è minore di 1° per 100 m. di elevazione. Una massa d'aria elevata di livello si raffredda allora più dell'ambiente e, abbandonaia a sé, ridiscende al punto di partenza. Una massa depressa a livello minore si scalda più dell'aria circostante e, abbandonata a sé, risale al punto iniziale. Ciò significa che una distribuzione termica con gradienti minori di 1° ogni 100 m. corrisponde a equilibrio stabile; questo è il caso più comune nell'atmosfera. Come caso speciale si può avere temperatura uniforme in altezza, come nella stratosfera; il gradiente termico è allora nullo. L'isotermia corrisponde a grande stabilità.

Se poi si presentano inversioni termiche, con temperatura crescente verso l'alto, il gradiente è negativo e l'equilibrio iperstabile, come è evidente. Uno strato d'inversione rappresenta uno sbarramento contro ogni moto di discesa o di ascesa delle masse adiacenti.

Se i gradienti sono maggiori di 1° ogni 100 m., come già abbiamo accennato, l'equilibrio è instabile.

Queste considerazioni si riferiscono ad aria secca, intendendo con ciò che il vapore presente non deve raggiungere il limite di saturazione.

Quando il vapore acqueo si condensa, sappiamo che si sviluppa calore e perciò il raffreddamento nell'ascesa è rallentato. Il gradiente termico di aria satura di vapore è sempre minore di 1° ogni 100 m. Quanto più alta è la temperatura e minore la pressione, tanto più diminuisce il gradiente termico verticale in aria satura.

Se il vapore passa allo stato di neve o di ghiaccio, al calore latente di evaporazione (circa 600 cal/gr.) si aggiunge quello di fusione (80 cal/gr.), e il raffreddamento dell'aria ascendente è rallentato in misura alquanto maggiore. Viceversa, se una massa nebulare scende di livello e le gocce svaporano, ciò avviene a spese del calore dell'aria e il riscaldamento dovuto al moto di discesa viene rallentato.

Queste influenze del vapore acqueo sono uno dei fattori principali che determinano nell'atmosfera il predominio di gradienti minori di quelli adiabatici di aria secca; abbiamo ricordato che, in media, il gradiente termico verticale è di 0°,6 per 100 m. invece di 1° ogni 100 m.

Nella stratosfera l'equilibrio fra calore ricevuto e perduto si stabilizza e mantiene con temperature assai basse, uniformi in altezza: i gradienti termici sono nulli e l'equilibrio è molto stabile. Cessano perciò i moti convettivi ascendenti e discendenti, tipici della troposfera, ove frequenti sono le distribuzioni termiche favorevoli all'instabilità. Cessando i moti convettivi, devono subentrare brusche discontinuità nei fenomeni di condensazione del vapore e nei livelli delle nubi: invero le nubi ordinarie non trascendono i limiti superiori della troposfera.

In un dato sito la temperatura e l'altezza della tropopausa crescono quando aumentano la temperatura degli strati bassi e l'intensità della radiazione, come avviene nella stagione estiva. Anche l'umidità dell'aria e gli annuvolamenti modificando il potere assorbente dell'atmosfera, influiscono sulla temperatura e sul livello della stratosfera. Ed azione assai cospicua è esercitata dalla mutevole vicenda dei cicloni e degli anticicloni, sia per le tipiche condizioni barometriche, sia per lo stato termo-igrometrico che caratterizza le alternanze delle situazioni isobariche. Sulle aree anticicloniche la tropopausa si eleva ai massimi valori della località e assume temperature minime; nei cicloni si deprime e acquista maggiori temperature. Variando la latitudine, la stratosfera subisce variazioni assai profonde.

Sino a pochi anni addietro si riteneva che l'isotermia della stratosfera dovesse dominare sino ad altissimi livelli e che in seguito prendesse inizio un graduale raffreddamento verso lo zero assoluto. Ora si ammette, invece, che l'isotermia si estenda soltanto sino verso 30 km. di altezza; superiormente si avrebbe non un raffreddamento, ma un aumento graduale di temperatura; fra 50 e 60 km. la temperatura sarebbe superiore alla stessa temperatura dell'aria al suolo; più in alto sarebbero ammissibili temperature anche molto maggiori. Non più alta atmosfera fredda, quindi, ma calda.

A queste strane conclusioni si è portati dall'osservazione di svariati fenomeni e in prima linea da quelli riguardanti la propagazione anormale del suono. Attorno a un punto di esplosione si osserva una vasta cerchia in cui il suono è udito; segue una zona di silenzio; più lontano si rinnova una zona di audizione, nella quale, però, il suono giunge con un tempo notevolmente maggiore di quello che corrisponde alla propagazione diretta. Una sola spiegazione è oggi possibile fisicamente: le traiettorie dei raggi sonori, fra 30 e 50 km. di altezza, piegano con la concavità in basso e ritornano al suolo; tale incurvamento deriva da aumentata velocità nella propagazione; e poiché la velocïtà cresce con la temperatura assoluta dell'aria, si deve concludere che sopra i 30 km. deve esistere un potente strato con temperatura crescente verso l'alto. I calcoli fatti, ammettendo che verso 50 km. la temperatura assoluta sia di circa 350°, portano alle stesse cifre rilevate con l'osservazione.

Anche i precisi studî ora possibili sui fenomeni di accensione delle stelle cadenti, o meteoriti, come pure le analisi delle aurore, delle alte nubi nottilucenti e degli strati ionizzati (di Kenelly-Heaviside) confermano sostanzialmente le induzioni suggerite dalla propagazione anormale dei suoni a grandi distanze.

Bibl.: G. Crestani, Climatologia, Torino 1931; J. Hann, Lehrbuch der Meteorologie, 4a ed., Lipsia 1925; L. De Marchi, Climatologia, Milano 1932; W. Köppen e R. Geiger, Handbuch der Klimatologie, Berlino (in corso di stampa); N. Shaw, Manual of Meteorology, Cambridge 1932; F. Vercelli, L'aria, Torino 1933.

Temperatura dell'acqua.

Le conoscenze sul regime termico dei mari e dei laghi, assai limitate e rudimentali prima dell'invenzione del termometro, progredirono molto lentamente anche quando dall'Italia vennero i primi strumenti misuratori della temperatura. La ragione deve essere ricercata nel fatto che, se facile cosa è la misura negli strati superficiali, in acque profonde l'impiego del termometro offre gravi difficoltà, completamente superate solo in questi ultimi decennî.

Un modo assai semplice è usato nelle determinazioni termiche di acque prossime alla superficie: si preleva un secchio di acqua e vi si immerge un sensibile termometro; appena questo assume regime stazionario, si legge la temperatura. Usando opportune cautele, il metodo dà buoni risultati. È chiaro che così facendo si misura, in realtà, la temperatura media di uno strato prossimo alla superficie. Quando l'acqua fosse perfettamente calma, e si volesse fare una minuta analisi della stratificazione termica nel primo velo acqueo, si dovrebbero usare termometri speciali, disposti in guisa da restare fermi ai livelli di misura. Simile ricerca ha solo interesse scientifico; generalmente le acque superiori sono rimescolate da fattori dinamici, e le variazioni termiche, rispetto alla superficie, si rendono apprezzabili solo a partire da una profondità più o meno rilevante secondo le stagioni. Dopo forti burrasche l'acqua può essere isoterma sino verso 20-30 m.

Il termometro usuale non serve per la misura termica in acque interne, sia perché la pressione dell'acqua comprime il bulbo e fa segnare temperature in eccesso, sia per la difficoltà delle letture: queste non possono essere fatte in sito; estraendo il termometro, esso traversa masse a temperatura sempre diversa e alla fine reca indicazioni senza significato.

L. F. Marsili, nel 1706, pur con i rozzi strumenti dell'epoca, intraprese misure termiche nel mare di Provenza e scoprì che in epoca invernale tutta l'acqua, fra superficie e fondo, assume temperatura uniforme. L'esistenza di questo strato isotermo fu confermata in seguito, limitatamente ai mari mediterranei e ai laghi.

Un mezzo secolo dopo gli esploratori inglesi misurarono alcune temperature di acque profonde, ricorrendo a un procedimento simile a quello già indicato per le acque superficiali; il saggio d'acqua veniva raccolto in bottiglie, che nella salita lasciavano termicamente isolata l'acqua interna. Si precisò, in tal modo, che fra l'acqua raccolta a 1600 m. e quella di superficie il salto termico si eleva a 17°. Questo metodo di misura fu perfezionato nei tempi successivi e rimase in onore sino all'epoca moderna, anche perché l'isolamento termico venne garantito in modo quasi perfetta e si poterono calcolare gli errori dovuti alle differenze di pressione fra il sito in cui l'acqua è prelevata e l'ambiente in cui si legge il termometro.

Un ingegnoso modo di misura fu ideato dal naturalista de Saussure, nel 1780. Il bulbo termometrico viene rivestito da un involucro isolante (cera, pece, ecc.) spesso alcuni centimetri; lo strumento è lasciato lunghe ore nel sito della misura e poi estratto rapidamente, in guisa da evitare ogni trasmissione termica. I risultati ottenuti sono abbastanza corretti. ll metodo fu largamente usato nel seguito e oggi ancora può essere consigliato in qualche caso particolare.

L'introduzione dei termometri a massima e a minima offrì alle ricerche marine un nuovo strumento, detto termometro Six adottato in larga scala in tutto il sec. XVIII.

Nel 1857 la casa Negretti e Zambra, di Londra, costruì termometri a massima e a minima col bulbo rivestito da un involucro di vetro; fra il bulbo e l'involucro sta una massa di mercurio, che assicura una buona trasmissione termica; parte di tale spazio è lasciata vuota, in guisa che la pressione dell'acqua non abbia azione sul bulbo. Con termometri così protetti furono compiute le celebri campagne oceanografiche delle navi Challenger, Gazelle, Valdivia.

I termometri Six servono bene nelle acque stratificate con temperature decrescenti dall'alto in basso, forma normale negli oceani. Ma nei mari polari, dopo un raffreddamento in profondità, prende inizio un graduale aumento di temperatura. Lo stesso fenomeno si presenta nelle conche profonde dei mari chiusi. In particolari settori marini dove i moti di marea e le correnti sono molto cospicui, per esempio nelle adiacenze degli stretti, la struttura termica delle acque assume forme molto complesse, con frequenti inversioni termiche. In tali casi l'impiego del termometro a massima e a minima porta a manifesti errori.

In America, verso il 1860, ebbero molta fortuna i termometri metallici, esenti dalle perturbazioni delle pressioni. Ma i termometri che si affermarono definitivamente come tipici strumenti talassografici, e sono ora quasi esclusivamente adottati nelle ricerche internazionali, sono quelli detti a rovesciamento. Di essi già fece uso l'ammiraglio Aimé, in campagne compiute tra il 1840 e il 1843. Ma la forma che trovò immediato successo è dovuta alla casa Negretti e Zambra (1878): sopra il bulbo, il tubo capillare presenta una strozzatura finissima; rovesciando il termometro di 180° la colonna di mercurio si stacca nella strozzatura e si raccoglie tutta in un bulbo praticato all'altro estremo della colonna stessa. La graduazione è fatta a partire da questo bulbo. Un'espansione praticata oltre la strozzatura serve per raccogliere il mercurio che si eleva quando il termometro, sollevato di livello, attraversa strati via via più caldi.

Il bulbo è protetto da un involucro contenente mercurio, come già si usava per i termometri Six.

L'ammiraglio G. B. Magnaghi ideò un sostegno termometrico, munito di elica che resta folle nella discesa e svita il telaio termometrico, rovesciandolo entro un percorso di pochi metri, nella salita. Questo dispositivo ebbe grande fortuna e giovò alla diffusione dei nuovi termometri. Oggi però si preferisce provocare il rovesciamento mediante caduta di pesi (messaggeri) lungo il cavo di sospensione, metodo già usato in antico, perché in tal modo si assicura il rovesciamento nel sito esatto della misura.

Coi recenti perfezionamenti i termometri a rovesciamento hanno la strozzatura biforcata in modo da assicurare l'interruzione della colonna esattamente sempre nello stesso punto. Usando i termometri a coppie, per garanzia di buon funzionamento, si constata che le indicazioni dei due termometri differiscono tra loro di cifre dell'ordine di pochi centesimi di grado.

Siccome la lettura viene fatta nell'ambiente aereo, in condizioni termiche diverse da quelle a cui il termometro si riferisce, occorre rilevare su un termometro ausiliario, incluso nello stesso involucro protettivo, la temperatura al momento della lettura e valutare, in corrispondenza, la piccola correzione da applicare ai dati strumentali.

In generale i termometri sono associati a bottiglie, che prelevano saggi d'acqua nello stesso punto in cui si misura la temperatura. In tal modo si hanno gli elementi per definire completamente lo stato fisico e chimico dell'acqua in ogni punto.

In particolari ricerche s'impiegano anche termometri di altro tipo, per esempio elettrici, per rilevare in modo continuo e a distanza l'andamento della temperatura. Esistono anche termografi a immersione che, lasciati in sito, ormeggiati sul fondo o sospesi a galleggianti, tracciano le curve termiche subacquee per lunghi intervalli.

Le sorgenti di calore. - Come per l'atmosfera, così per l'acqua le sorgenti dell'energia termica sono da ricercare all'esterno: nel sole, nell'aria e nel suolo sottostante alle acque.

La trasmissione di calore dal suolo è fisicamente giustificata dal fatto che la temperatura del nostro globo, nella crosta esterna, degrada dall'interno verso la superficie. I1i aree piane normalmente tale diminuzione è di circa 1° ogni 30 metri di dislivello. La stratificazione termica della terra corrisponde a quella di un corpo in via di lento raffreddamento per trasmissione di calore verso l'ambiente aereo e acqueo. Si valuta che la perdita di calore, come valore medio sulla terra solida, sia di circa 50 calorie per cmq. all'anno. Per l'oceano non abbiamo elementi di calcolo. È possibile che la perdita di calore sia compensata, nell'interno della terra, da energia sviluppata nei fenomeni radioattivi, e che le condizioni termiche del globo siano stazionarie.

Comunque, il contributo termico dato dal suolo all'aria e all'acqua è di un ordine di grandezza assai piccolo rispetto al calore trasmesso dal sole per radiazione e può essere praticamente trascurato. Nei mari il riscaldamento del suolo dovrebbe apparire evidente nelle conche chiuse, non turbate da correnti. E invero un aumento di temperatura verso il fondo fu osservato nelle fosse marine. Si tratta di piccoli gradienti: nel Mar Rosso, fra 600 m. e il fondo, si è constatato un aumento di 0°,016 ogni 100 m. L'accordo fra osservazione e calcolo fa ritenere che si tratti di riscaldamento per compressione adiabatica, non per calore trasmesso dal fondo marino.

Gli scambî termici fra acqua e aria sono complessi e molto rilevanti. Quando le perdite dell'acqua non sono bilanciate da calore ricevuto dal sole, cioè nella fase del raffreddamento invernale, le acque superficialì si raffreddano sino ad assumere temperatura inferiore a quella degli strati sottostanti; l'equilibrio viene ristabilito con moti convettivi di discesa e di ascesa, che hanno per risultato il rimescolamento della massa e l'uniformizzazione della temperatura. Il fenomeno prosegue per tutta la stagione autunno-invernale; la temperatura diminuisce gradualmente a partire dall'alto; l'acqua fredda si affonda e rimescola; si forma uno strato omotermo, che aumenta via via di spessore. Sotto lo strato si mantiene la stratificazione con temperature decrescenti. E poiché il livello che separa lo strato superiore isotermo da quello inferiore segna un brusco trapasso da gradienti nulli a gradienti rilevanti, così esso viene designato come strato di salto.

Il raffreddamento convettivo cessa quando in superficie si ristabilisce il pareggio fra energia ricevuta e perduta; nei nostri climi ciò avviene alla fine di febbraio, o in marzo. Una potente massa acquea, fra la superficie e una certa profondità che nei mari mediterranei e nei laghi può giungere sino al fondo, si presenta allora in condizioni di equilibrio isotermo. Dopo quest'epoca la temperatura cresce con aumenti rapidi negli strati elevati e più lenti nelle acque inferiori; oltre una certa quota la temperatura rimane stazionaria nel corso dell'anno, o varia solo in modo irregolare per azione di fattori dinamici.

Il riscaldamento delle acque interne è essenzialmente dovuto alla diretta azione del sole.

Nell'atmosfera la radiazione solare agisce principalmente in modo indiretto, scaldando il suolo; le radiazioni lunghe del suolo sono assorbite dall'aria quasi totalmente, mentre quelle solari sono estinte in misura limitata e principalmente nel settore dei raggi brevi, aventi alto potere diffusivo e scarsa energia termica.

Nell'acqua i raggi emessi dall'aria e quelli infrarossi solari sono assorbiti lungo un cammino brevissimo, dell'ordine di centimetri. Di colpo una frazione elevata dell'energia radiante viene convertita in calore nel primo velo superficiale, calore impiegato in massima parte nell'evaporazione (600 calorie per ogni grammo di acqua evaporata), negli scambî con l'aria e in piccola parte nel riscaldamento effettivo. I raggi visibili hanno nell'acqua buona trasparenza: i raggi più penetranti sono quelli del settore azzurro-verde, in una banda attorno a lunghezze d'onda di 500 mμ. A partire da tale zona la trasparenza diminuisce tanto verso il violetto e l'ultravioletto, da un lato, quanto verso il rosso, da altro lato. Le misure promosse in questi ultimi anni dal Comitato talassografico hanno consentito di precisare molto bene questo comportamento dei raggi solari nelle acque del mare e dei laghi, fissando i coefficienti di assorbimento e di diffusione dei singoli gruppi di fasci spettrali. Nelle acque purissime e azzurre di Capri, sino a 600 m. di profondità si ebbero impressioni fotografiche, con pochi minuti di posa. Risulta dalle misure che i raggi verdi-azzurri a 600 m. di quota hanno ancora intensità (relativa alla quota di m.1) pari a quella dei raggi rossi a livelli minori di 60 m. Nelle acque verdastre la penetrazione delle radiazioni è più limitata, essendo maggiore l'assorbimento. In acque torbide l'estinzione dei raggi solari può essere totale in un percorso di pochi metri. Nei laghi, anche se il colore è azzurro come nei grandi laghi prealpini, la propagazione dei raggi è più limitata che nei mari di egual colore. Così il Garda, sotto tale aspetto, si comporta non come l'azzurro Tirreno, ma come le verdastre acque dell'alto Adriatico.

L'energia radiante assorbita lungo il cammino acqueo si converte in calore. Questo può restare immagazzinato in sito; e ciò avviene a livelli abbastanza profondi, in acque tranquille, come possono essere quelle dei laghi. Può invece essere diffuso in ambiente vasto, in presenza di movimenti convettivi (verticali) e advettivi (orizzontali) destati da maree, da correnti, da onde e da turbolenze di ogni specie. Nel mare questi moti hanno particolare sviluppo; risulta perciò attenuato il riscaldamento negli strati più esposti alla radiazione e aumentato quello degli strati profondi, dove la luce non potrebbe più avere effetti termici sensibili.

Soprattutto lo strato acqueo fra la superficie e un certo livello, che giunge oltre 20-30 m., è soggetto a forti turbolenze. Inferiormente la stratificazione termica si approssima a quella dovuta al calore ricevuto in sito dal sole. Nei laghi tranquilli l'approssimazione è quasi perfetta; ma in mare esistono sempre deviazioni più o meno gravi, perché molti fattori contribuiscono sempre a turbare un equilibrio di pura radiazione.

Per chiarire il meccanismo del riscaldamento si dovrebbe fare ancora un cenno sulla trasmissione termica per conduzione. Basti osservare che tale trasmissione ha portata essenziale negli equilibrî termici stabiliti nelle acque nel corso dei secoli; ma non ha importanza nei fenomeni del riscaldamento diurno e annuo, a causa della piccolezza estrema dei coefficienti di conduzione e dei limitati salti termici entro le masse acquee.

Ciò premesso, si può analizzare il fenomeno del riscaldamento in acque non perturbate da moti rilevanti, facendo astrazione da ogni altro effetto e considerando la sola azione diretta del sole.

Partiamo dall'epoca post-invernale, in cui la massa che partecipa a variazioni annue è in condizioni d'isotermia. I.'energia solare assorbita dall'acqua produce un riscaldamento rapidamente decrescente dall'alto in basso e un corrispondente aumento di temperatura. Conoscendo i coefficienti di estinzione per le singole radiazioni, possiamo valutare la composizione e l'intensità della luce a quote crescenti e il numero di calorie assorbite dai singoli strati d'acqua. L'accumulo di calore e l'aumento termico si protraggono dalla fine dell'inverno sino all'epoca in cui, nello strato considerato, prende inizio il raffreddamento per rimescolamento con le acque sovrastanti.

Ora sappiamo che, fuori delle aree tropicali, i massimi termici superficiali hanno luogo con ritardo di oltre due mesi rispetto al solstizio. In strati inferiori il ritardo cresce con la profondità; nelle acque distanti dalla superficie qualche decina di metri il massimo termico avviene in pieno inverno. Ciò significa che anche quando si sviluppa l'epoca del raffreddamento nelle acque superiori, in quelle sottostanti continua il riscaldamento progressivo dovuto alla radiazione.

Estendendo all'ambiente acqueo il concetto di stagione, si può dire che l'estate avviene con ritardo in superficie. Il ritardo è maggiore nelle acque interne: ivi lo strato di salto separa due masse acquee, una superiore isoterma, che ha iniziato la stagione fredda, e una sottostante, a temperatura variabile, dove l'estate non ha ancora raggiunto la massima fase.

In altre parole la stagione del riscaldamento e quella del raffreddamento, nell'acqua, hanno durata ineguale. La prima è più lunga della seconda: e la differenza cresce rapidamente con la profondità. A una quota di poche decine di metri, nei laghi, e alquanto maggiore nei mari, la fase del raffreddamento si riduce a un intervallo di pochi mesi, e anche di poche settimane, secondo che il salto locale fra massimo e minimo è più o meno grande.

Ciò porta a concludere che il contributo termico annuo del sole rimane quasi totalmente utilizzato agli effetti del riscaldamento. L'intervallo del raffreddamento, oltre ad essere breve, cade in epoca in cui l'energia solare trasmessa è minima. È quindi possibile fare stime approssimate sul numero di calorie che una massa acquea, di note proprietà ottiche, assorbe nel ciclo annuo, a dati livelli; si deduce l'elevazione massima di temperatura rispetto al minimo invernale. Calcoli di questo genere, fatti per le acque del mare e di qualche lago, provano che l'escursione termica degli strati profondi oltre 15 m., nei laghi calmi coincide quasi esattamente coi dati di osservazione. Invece per il mare le escursioni calcolate sono in eccesso negli strati superiori, e in difetto in quelli inferiori. Tale risultato prova che la sola radiazione basta a spiegare il regime termico nelle acque tranquille.

Nel mare la radiazione è ancora la sorgente essenziale dell'energia, ma la distribuzione termica ad essa corrispondente è alterata, più o meno, dalle turbolenze dell'acqua.

Oscillazioni termiche superficiali. - La variazione diurna tlella temperatura è assai limitata, tanto nell'acqua quanto nell'aria sovrastante. Sugli oceani l'escursione diurna è dell'ordine di mezzo grado, cifra superata lievemente ove domina la calma, ma non raggiunta quando l'aria e l'acqua siano agitate, o il cielo resti coperto. Nei mari mediterranei e nei laghi l'escursione diurna può raggiungere e superare un grado, ma è inferiore a 2 gradi, in ogni caso, anche in acqua calma.

Le oscillazioni termiche dell'aria, sulle aree marine, raggiungono da 10 a 20, con cielo sereno e assenza di vento; variano fra limiti più ristretti negli altri casi.

È difficile precisare sino a quale profondità si estenda lo strato in cui l'oscillazione diurna risulta sensibile. Le misure note assegnano cifre massime comprese fra 10 e 20 m.

Siccome le acque coprono oltre 2/3 dell'intera faccia terrestre, così si conclude che sulla maggior parte della superficie del globo le variazioni termiche, nel corso di un giorno, sono comprese tra i confini ristretti di circa mezzo grado.

Anche le fluttuazioni annue sono assai lievi nei mari tropicali e polari; crescono alquanto a medie latitudini e raggiungono i massimi valori nelle acque mediterranee. In ogni caso i limiti estremi delle escursioni annue sono compresi fra 1° e 15° circa. Confrontando queste cifre con quelle di parecchie decine di gradi a cui si elevano le escursioni termiche continentali, si vede chiaramente la funzione livellatrice esercitata dall'oceano sull'andamento delle temperature annue.

Fuori delle aree tropicali i massimi annui avvengono in epoche ritardate di almeno due mesi rispetto al solstizio estivo; i minimi con ritardi da uno a due mesi rispetto al solstizio invernale. Fra i tropici, per evidenti ragioni, come si disse, le differenze fra massimi e minimi possono ridursi anche a cifre fra 1° e 2°. Le configurazioni geografiche e le condizioni dinamiche influiscono in modo da provocare regimi diversi da uno ad altro bacino.

Temperature medie sulla superficie. - Essendo piccole le variazioni diurne, mensili e annue, la figurazione delle temperature oceaniche mediante linee isoterme mensili e annue è molto più significativa che non sulle zone continentali. In diversi atlanti e in numerose carte speciali figurano le temperature medie desunte da osservazioni di navi in transito, oppure rilevate con sistematiche ricerche nel corso delle esplorazioni scientifiche (v. clima).

Dall'esame di tali carte risulta che solo nella fascia circumantartica le isoterme seguono andamento conforme a quello dei paralleli. Nelle altre zone oceaniche, e più ancora nei mari mediterranei, balzano evidenti le influenze delle grandi correnti marine, dei venti e dei continenti adiacenti. Poiché le correnti risalgono gli oceani, nell'emisfero nord, costeggiando i continenti nei settori occidentali e dirigendosi verso nord-est, così le aree interessate da tali moti avranno una temperatura in eccesso rispetto alle acque calme di eguale latitudine; tale eccesso può raggiungere parecchi gradi.

All'opposto, le aree influenzate da correnti fredde, come le zone orientali dell'Atlantico meridionale e di tutto il Pacifico, avranno temperature in difetto più o meno grave.

Il contrasto termico fra le correnti marine e le acque circostanti è così notevole che la corrente del Golfo, ad esempio, già alla fine del Settecento, era rilevata nella navigazione velica con l'ausilio del termometro per sfruttare la corrente nel viaggio dall'America all'Europa ed evitarla nel viaggio inverso.

Presentiamo le medie temperature oceaniche in corrispondenza delle latitudini:

A pari latitudine la temperatura dell'emisfero nord è costantemente maggiore che nell'emisfero sud. La configurazione delle coste è il principale fattore di tale contrasto; e l'azione è esercitata nel senso di favorire lo sviluppo di grandi correnti equatoriali, che risalgono nell'emisiero settentrionale e tornano all'equatore assicurando un'attiva circolazione e trasferendo immense quantità di calore dalle aree tropicali ai mari nordici. Nell'emisfero meridionale la circolazione avviene in modo più lento, lungo enormi percorsi, senza contribuire efficacemente al riscaldamento delle acque di maggiori latitudini.

Nei mari interni e nei laghi il regime termico è influenzato da svariati fattori e costituisce un carattere individuale dei singoli bacini.

Distribuzione verticale. - Nella fase del raffreddamento, come abbiamo indicato, prende origine uno strato omotermo che dalla superficie si estende a profondità via via crescenti; alla fine dell'epoca invernale l'omotermia raggiunge il limite inferiore delle acque in cui è sensibile la variazione annua. Sotto questo livello le condizioni termiche sono stazionarie, ove non siano turbate da eventuali fattori dinamici: onde, maree, correnti. La quota che separa la massa acquea a temperatura variabile da quella avente regime stazionario ha massimi valori nel mare, dove può scendere anche oltre 400 metri; è molto più limitata nei bacini semichiusi, o chiusi, specialmente dove la salinità è attenuata e le maree molto ridotte; nei laghi la quota stessa può ridursi anche a poche decine di metri.

La massa profonda, termicamente stazionaria, può essa pure avere temperatura quasi uniforme ovunque, come nel Mediterraneo e nei laghi. L'equilibrio isotermico che si stabilisce ha qualche analogia con quello della stratosfera. Qualche autore, come A. Defant, propone perciò di distinguere le acque del mare, come le masse aeree dell'atmosfera, in due grandi corpi: stratosfera, in profondità; troposfera, superiormente. In questa soltanto le temperature variano nel corso dell'anno; i gradienti termici sono mutevoli e assai rilevanti nell'epoca estiva-autunnale; i moti convettivi molto sviluppati. Nella stratosfera sottostante la temperatura ha valore circa eguale al minimo termico superficiale ed è ovunque quasi uniforme nei mari sbarrati da soglie.

Negli oceani non esiste propriamente una stratosfera isoterma; in realtà la stratificazione è generalmente anoterma (crescente dal basso all'alto), talora anche cataterma (decrescente dal basso all'alto) come nei mari polari. Però i gradienti sono molto piccoli, cioè le variazioni diventano apprezzabili solo fra strati separati da forti dislivelli.

Nel Mediterraneo l'omotermia invernale si estende sino al fondo, si hanno allora le minime temperature, che sono poco meno di 13° nei bacini occidentali, alquanto più di 13° nel Tirreno e da 13°,5 a oltre 14° nel Mare Ionio e nei mari orientali.

Un regime stazionario domina a livelli inferiori ai 500 m.; ivi le superficie isoterme sembrano presentare giacitura orizzontale. Nelle misure compiute nelle crociere della r. nave Marsigli (1922-23) risulta che nel basso Tirreno la temperatura, a 500 m., è di circa 13°,80; scende lievemente in profondità, sino a un minimo di 13°,35 fra 2000 e 2500 m.; risale a 13°,40 a 3000. Andamento non sensibilmente diverso fu osservato nel bacino ionico contiguo allo stretto di Messina.

Fra la superficie e 500 m. si estende la massa che partecipa al ciclo annuo della variazione termica. In superficie le temperature presentano la massima escursione annua, circa 12°; i massimi estivi raggiungono medie di 26°. A quote crescenti sotto la superficie le escursioni sono state stimate di 10°,5 a 10 m.; 9°,5 a 20 m.; 6° a 50 m.; 1°,1 a 100 m.; 0°,5 a 200 m.; 0°,4 a 250 m.

Molto più elevate sono le temperature del Mar Rosso. Le temperature stazionarie delle acque profonde hanno il minimo di 21°,56 fra 500 e 600 m.; inferiormente la temperatura cresce e raggiunge 21°,72 a 1600 metri (riscaldamento adiabatico). Superiormente la temperatura è ancora stazionaria sino al livello di 250 m.; la troposfera appare quindi meno estesa che nel Mediterraneo. Le acque superficiali hanno temperature massime mutevoli col sito; nella parte meridionale si hanno due massimi, uno in giugno, con circa 30°, e uno in settembre con oltre 32°. I minimi invernali sono pure mutevoli con la latitudine: 25° nel bacino meridionale; 21°,4 all'estremo nord presso il Sinai. La temperatura delle acque abissali pare regolata dai minimi invernali che si verificano in questo settore settentrionale.

Nelle zone turbate da correnti e da moti vorticosi il regime termico è profondamente alterato. Tipici esempî si hanno nelle vie di comunicazione fra due mari, come Messina, Gibilterra, Bāb el-Mandeb. In questi casi possono formarsi falde acquee calde e salse, che si affondano in profondità mantenendo la loro individualità sino a distanze di centinaia di miglia; ovvero emersioni di acque fredde, che si espandono in vaste aree, abbassando la temperatura. Se i moti sono alterni, come a Messina, anche le fluttuazioni termiche risultano ritmiche e assumono impressionante ampiezza.

Fra strati acquei sovrapposti, aventi fra loro un netto salto di densità per differenze termiche e saline, possono svilupparsi onde stazionarie simili a quelle che si hanno sulla superficie (v. sesse). Il calcolo dimostra che tali onde possono assumere ampiezze assai rilevanti e periodi diversi, generalmente molto lunghi. Le misure termiche eseguite con termometri, e meglio con termografi, rivelano le fluttuazioni termiche associate a questi moti ondosi e consentono di rilevarne i caratteri.

Facendo astrazione dalle cause perturbatrici, si possono valutare le medie temperature, a livelli assegnati, nei singoli bacini acquei. I dati ottenuti sono fortemente diversi da caso a caso. Ci limitiamo a riassumere i valori caratteristici degli oceani.

A 400 metri di profondità sono ancora ben distinte le differenze regionali e le influenze delle correnti. A profondità via via crescenti si attenuano i contrasti termici e tutti gli oceani tendono ad assumere temperature uniformi. A livelli sotto 1000 m. prevalgono temperature fra 4° e 5° nella maggior parte del Pacifico, dell'Indiano e dell'Atlantico meridionale; alquanto più caldo è l'Atlantico settentrionale. La temperatura decresce ancora lentamente in basso, e sempre nel senso di tendere a valori quasi uniformi ovunque. A 2000 m. prevalgono temperature fra 2° e 3°; a 3000 m. fra 1°,6 e 2°,5. Oltre 4000 si osservano piccole differenze in relazione con la configurazione delle soglie e delle fosse. Le temperature, anche nelle fosse maggiori, si mantengono fra 1° e 2°.

La grande massa delle acque profonde oceaniche è dunque fredda, anche nelle aree tropicali.

Nei mari polari il raffreddamento superficiale si estende in profondità sotto l'azione secolare della conduzione e l'effetto immediato dei moti convettivi provocati dal sale reso libero nel congelamento dell'acqua. La stratificazione termica può presentare forme varie, a seconda della stagione, della latitudine, del sito. Quando in superficie l'acqua ha temperature fra 0° e quasi −2°, generalmente domina in profondità una stratificazione cataterma, decrescente cioè dal basso in alto; i massimi valori si approssimano alle temperature minime degli oceani, cioè a limiti compresi fra 1° e 2°. A grandi profondità suole avvenire un'inversione, con stratificazione di nuovo decrescente verso il fondo.

La circolazione oceanica superficiale è associata a una circolazione lenta di acque profonde: all'azione secolare degli scambî termici provocati da questi moti si deve la livellazione termica dominante negli strati abissali. I mari sbarrati da soglie verso l'oceano sono invece immuni da tali scambî e la temperatura delle acque sottostanti al livello della soglia è regolata dai minimi superficiali assunti in superficie nell'epoca invernale.

Bibl.: O. Krümmel, Handbuch der Ozeanographie, 2a ed., Stoccarda 1907; J. Richard, L'Océanographie, Parigi 1907; F. Vercelli, Campagna della R. Nave Magnaghi in mar Rosso, parti 3a e 4a: Annali idrografici, Genova 1926-27; id., Crociere nello stretto di Messina, parte 2a (Commiss. intern. del Mediterraneo, deleg. ital.), Venezia 1927; J. Johnstone, An introduction to Oceanography, 2a ed., Londra 1928; A. Defant, Physik des Meeres (2a parte del vol. XXV del Handbuch der Experimentalphysik di W. Wien e F. Harms, Lipsia 1931); National Research Council, Physics of the Earth, V: Oceanography, Washington 1932.

Temperatura corporea.

Dal punto di vista della temperatura del loro corpo gli animali possono dividersi in due grandi gruppi, e cioè: a) animali omotermi o a temperatura costante (detti anche meno propriamente a sangue caldo), i quali possiedono una temperatura interna punto o solo di poco variabile, anche se quella ambiente oscilla molto; b) animali pecilotermi o eterotermi (a temperatura variabile, impropriamente detti a sangue freddo), quelli la cui temperatura centrale varia a seconda delle oscillazioni della temperatura ambiente. Come vedremo, gli omotermi ibernanti e i Mammiferi neonati mostrano caratteri molto speciali nei riguardi della loro temperatura.

1. Animali omotermi. - Appartengono a questa categoria i Mammiferi e gli Uccelli.

Il valore medio della temperatura varia abbastanza fra gli animali omotermi, come dimostra la tabella seguente:

Quando si parla della temperatura del corpo è più esatto riferirsi a quella centrale, ossia alla rettale, orale, vaginale (e a quella viscerale per gli animali che sono oggetto di vivisezione). Per l'uomo si riguardano come temperature centrali anche quella ascellare e l'inguinale, quando il braccio sia applicato al tronco e la coscia sia flessa sul bacino durante l'applicazione del termometro; però i valori ottenuti si considerano di circa 0,5° inferiori a quelli proprî dalle cavità naturali del corpo. Così la temperatura media rettale è di 37°,5 e quella ascellare di 37°; la temperatura orale è di 37°,2-37°,3. L'urina, al momento dell'emissione, ha una temperatura prossima alla rettale.

Negli animali omotermi la temperatura cutanea varia a seconda di quella dell'ambiente (aria o acqua) e a seconda che la pelle sia nuda o coperta. Valgano come esempio, per l'uomo, i dati seguenti (T. Davy):

La cute si comporta quindi come farebbe un animale pecilotermo.

La temperatura centrale non è assolutamente costante. Essa presenta in primo luogo delle oscillazioni giornaliere abbastanza regolari, con un minimo verso le ore 4 del mattino (circa 36°,5) e un massimo verso le 17-18 pomeridiane (circa 37°,5). Queste oscillazioni possono invertirsi nelle persone che lavorano durante la notte e dormono nella giornata. Poiché il lavoro muscolare produce un aumento della temperatura centrale che può raggiungere, se esagerato, anche 3° (febbre da strapazzo fisico) s'attribuisce la variazione negativa notturna al riposo assoluto dei muscoli. Negli animali racchiusi in una stanza, se si mantiene l'oscurità di giorno e s'accende la luce di notte, si ha inversione della temperatura. Altre variazioni fisiologiche della temperatura centrale sono quelle dovute all'alimentazione e all'introduzione abbondante di bevande fredde o calde; durante il digiuno assoluto s'osserva un abbassamento della temperatura interna che raggiunge alcuni decimi di grado. Svariate condizioni morbose, infettive e tossiche, modificano ampiamente la temperatura corporea (v. febbre; ipotermia).

Nel bambino neonato la temperatura è di circa 0°,5 inferiore a quella dell'adulto; nell'età senile s'osserva una differenza simile.

La temperatura centrale non è uniforme nei diversi visceri. Per il cuore si nota di solito una differenza di circa 0°,20 a vantaggio del ventricolo destro rispetto al sinistro, per effetto del raffreddamento del sangue nel passaggio attraverso al circolo polmonare. Invece negli arti il sangue venoso ha spesso una temperatura alquanto più bassa dell'arterioso, a cagione dell'irradiazione termica cutanea. Il sangue che esce dal fegato attraverso alle vene sopraepatiche è più caldo di alcuni decimi di grado, in confronto con quello che v'affluisce lungo i rami della vena porta; ciò dimostra che il fegato è un organo produttore di calore. La temperatura del cervello aumenta nel lavoro mentale intenso, mentre la circolazione del sangue si fa più attiva; quest'ultima circostanza, già di per sé sola, è capace d'innalzare la temperatura dei visceri.

L'uomo sottoposto a variazioni esterne di temperatura entro certi limiti abbastanza ampî, non cambia affatto o solo di poco la sua temperatura interna; hanno la loro influenza, in questo comportamento, oltre alla regolazione fisiologica, lo stato di attività muscolare o di riposo, l'alimentazione, la natura dei vestiti, ecc. Questo spiega perché nei climi più diversi e nelle varie stagioni dell'anno la temperatura interna vari appena di 0°,1 a 0°,3. Nelle regioni polari l'uomo può resistere anche a temperature esterne di −40° a −50°; ciò è possibile in grazia dei meccanismi fisiologici di regolazione della temperatura corporea (modificazioni della termogenesi, della circolazione sanguigna periferica, della secrezione del sudore, ecc.) e per l'aiuto di speciali meccanismi di difesa (tessuto adiposo sottocutaneo, riposo o movimento, alimentazione e bevande, vestiti e, negli animali, i peli e le penne).

Il neonato possiede meno dell'adulto la capacità di reagire e difendersi contro le variazioni esterne di temperatura, per la sua particolare labilità termica.

Quando l'organismo umano è esposto a temperature eccessivamente basse o alte, oppure non è protetto a sufficienza verso temperature anche non troppo elevate, e nel caso in cui l'azione di queste si prolunghi eccessivamente, allora si manifesta l'impotenza nello sforzo per l'adattamento; dopo un tempo più o meno lungo, la temperatura interna discende o s'innalza con grave pericolo per l'esistenza. Le temperature interne più basse compatibili con la vita, che si siano osservate, oscillano attorno a −23°, valore che si può considerare come lo zero vitale della temperatura corporea. L'organismo tollera meno bene un eccessivo riscaldamento; un'elevazione di circa 6°, sopra la temperatura interna, è una seria minaccia per la vita. Le massime temperature interne osservate nell'uomo e non seguite da morte sono di 43°,4-43°,8. Un bagno di 45°,5 diviene pericoloso dopo pochi minuti; invece si può tollerare l'aria secca a una temperatura anche più elevata e per un tempo più lungo. Però di solito in queste circostanze sopravviene il colpo di calore. Svariate lesioni del sistema nervoso centrale (per offesa dei centri termoregolatori) possono cagionare oscillazioni considerevoli della temperatura corporea. La innalzano le trasfusioni sanguigne e i veleni convulsivanti, mentre l'abbassano le emorragie copiose, i veleni paralizzanti e il verniciamento della pelle.

Gli animali omotermi cominciano a raffreddarsi subito dopo la morte per raggiungere la temperatura ambiente, ma spesso già nel periodo agonico la temperatura interna s'abbassa al disotto della normale; in alcuni casi si ha invece un innalzamento postmortale di essa che può raggiungere qualche grado.

L'ibernazione è uno stato fisiologico proprio, fra gli animali omotermi, di alcuni Mammiferi, i quali durante la stagione invernale soggiacciono a un'inattività funzionale quasi completa, determinata dalla difficoltà di procurarsi l'alimento; la vita è mantenuta con il consumo delle riserve accumulate nell'organismo durante la stagione favorevole. Quando, all'inizio dell'inverno, la temperatura interna ha raggiunto in questi animali la temperatura di circa 20° (che sarebbe già fatali per i non ibernanti), essi cadono in uno stato di sonnolenza seguito dal sonno profondo del letargo, appena la temperatura interna ha raggiunto da 4°,0 a 1°,6 e in questo stato rimangono durante alcune settimane.

2. Animali pecilotermi. - Comprendono i Rettili, i Batraci, i Pesci e gl'Invertebrati. La temperatura loro oscilla parallelamente a quella del mezzo ambiente, acqueo o aereo. Sono detti impropriamente a sangue freddo; infatti quando la temperatura esterna sale, per es., a 39°, la loro temperatura interna può superare i 38°. La temperatura interna dei pecilotermi è di solito superiore a quella esterna; la differenza è di 0°, 2-0°,3 per i Pesci, di 0°,3-0°,9 per le tartarughe, di 7°,0-8°,0 per le lucertole e ancor più per certi serpenti.

I pecilotermi sopportano facilmente temperature molto alte (fino a 70°, e anche più gl'Infusorî ciliati) e molto basse (fino a −28° le rane e fino a −50° i centopiedi). V. termoregolazione.

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