TEMPERATURA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

TEMPERATURA (XXXIII, p. 453)

Giorgio CARERI
Francesco SCARAMUZZI
Ivo MODENA
Francesco Saverio GAETA

Basse temperature. - Le basse temperature si possono ottenere solo con l'uso di elio liquido, ottenuto la prima volta a Leida nel 1908 da H. Kamerlingh Onnes. Solo con la produzione su base commerciale del liquefattore americano Collins, in pratica dopo il 1950, l'uso delle basse t. si è esteso a molti laboratorî. In Italia esistono attualmente tre di tali liquefattori e le basse t. vengono ormai correntemente usate in diversi laboratorî ed istituti universitarî, grazie anche alla facilità con cui ora si riesce a trasportare e conservare l'elio liquido. L'interesse di t. molto basse è dovuto fra l'altro al fatto che ad esse si accompagna una riduzione del moto disordinato degli atomi o delle molecole sì che è possibile studiare con più facilità fenomeni normalmente nascosti o deformati dall'agitazione termica. Alle basse temperature la materia ha proprietà assai diverse dalle ordinarie.

Di particolare rilievo sono le proprietà dell'elio liquido, che, unico tra i liquidi, rimane tale fino alle t. più basse, e sembra perdere ogni viscosità (superfluidità dell'elio), nonché le proprietà di alcuni conduttori elettrici che perdono improvvisamente ogni resistenza ohmica (superconduttività); pure di grande interesse lo studio dei calori specifici alle basse temperature come pure l'impiego di queste nelle ricerche sul magnetismo atomico e nucleare per la possibilità che esse offrono di ordinare i dipoli magnetici, ecc.

Anche se lo zero assoluto non è raggiungibile con un numero finito di operazioni (v. termodinamica, XXXIII, p. 573) è possibile avvicinarvisi molto con le tecniche attuali di laboratorio. T. di qualche decimillesimo di °K sono state raggiunte recentemente presso i laboratorî delle università di Leida e di Oxford.

Produzione delle basse temperature. - È noto che un gas compresso, nell'espandersi, normalmente si raffredda; in pratica, per raffreddare un gas lo si può quindi comprimere in maniera isoterma e poi lasciarlo espandere adiabaticamente. L'espansione adiabatica può essere effettuata (v. aria, IV, p. 283: aria liquida) in due modi sostanzialmente diversi: con lavoro esterno (metodo di Claude e Heylandt) oppure senza lavoro esterno (metodo di Linde e Hampson). In quest'ultimo caso un gas perfetto non subirebbe nessuna variazione di temperatura; un gas reale si comporta diversamente, a causa delle forze che si esercitano tra le molecole. L'andamento della t. T in funzione della pressione è rappresentato dalla famiglia di curve sperimentali isentalpiche mostrate in fig. 1; per un gas perfetto esse sarebbero delle rette parallele all'asse delle pressioni. Si noti che, al disotto di una certa t. (t. massima d'inversione Ti), queste curve presentano un massimo; questo significa che, se ci si mette inizialmente alla pressione e temperatura corrispondenti al massimo di una delle isentalpiche e si sottopone il gas a un'espansione di Joule-Thomson, la temperatura diminuisce. A questo ci si riferiva in precedenza quando si affermava che normalmente un gas si raffredda nell'espandersi. Riassumendo: un gas si può raffreddare con una espansione adiabatica con lavoro esterno oppure con una espansione adiabatica senza lavoro esterno ma, in questo ultimo caso, purché la sua temperatura sia inizialmente inferiore alla t. massima d'inversione.

La tabella I dà alcuni dati relativi ai liquidi più usati. È interessante notare che i due isotopi dell'elio, 4He e 3He, non hanno punto triplo (v. anche fig. 6); segue che essi rimangono sempre liquidi sotto la loro tensione di vapore e quindi se ne può abbassare la temperatura fino quasi allo zero assoluto. In realtà, nelle migliori condizioni è possibile raggiungere 0,75 °K con l'4He e 0,30 °K con l'3He. A proposito di quest'ultimo va tenuto presente il suo altissimo costo: esso è ottenuto nei reattori nucleari secondo le reazioni successive 63Li + n = 42He + ³1H, ³1H → ³2He + e. Il suo uso come refrigerante è molto complesso e delicato, dovendosi usare sempre circuiti chiusi e sistemi di recupero appropriati.

Il tipo più generale di liquefattore sfrutta una combinazione dei processi Linde e Claude. La fig. 2 mostra uno schema di liquefattore d'elio: S1, S2 S3 sono scambiatori di calore; il gas entra in A ad alta pressione (circa 14 atm) e a temperatura ambiente, dopo essere stato compresso isotermicamente, e viene parzialmiente raffreddato in S1 (fino a circa 60 °K); di esso una frazione si espande nella macchina M1 compiendo un lavoro esterno, raffreddandosi e fornendo una corrente fredda per S2, dove l'altra frazione passa, portandosi a circa 30 °K. Il processo si ripete in M2, S3. In V, valvola di Joule-Thomson, il gas è a circa 8 °K, al disotto della t. massima d'inversione e quindi, con un'espansione attraverso V (senza lavoro esterno), si porta al disotto della temperatura di ebollizione e si liquefa parzialmente in C; la parte non liquefatta e i vapori del liquido raccolto raffreddano lo scambiatore S3. Questa fase di regime, in cui si ha già produzione di liquido, viene raggiunta dopo una fase transitoria della durata di circa un'ora durante la quale le diverse parti del liquefattore raggiungono gradualmente le temperature sopracitate.

Anche per liquefare l'aria (da cui per separazione si ottengono azoto ed ossigeno liquidi) si può utilizzare un liquefattore del tipo descritto sopra, sebbene normalmente si usino sistemi più semplici.

L'idrogeno viene usualmente liquefatto raffreddandolo con azoto liquido al disotto della temperatura massima d'inversione e lasciandolo poi espandere attraverso una valvola di Joule-Thomson; oppure per semplice contatto termico con elio raffreddato al disotto del punto di ebollizione dell'idrogeno.

Anche l'3He viene di solito liquefatto per contatto con 4He liquido portato al disotto di 3,2 °K.

I problemi del raffreddamento possono essere impostati, come è noto, in termini di entropia. Ciò è particolarmente utile quando si abbia a che fare con sistemi che non siano gas. Per un gas, se si tiene costante la pressione o il volume, l'entropia è una funzione crescente della temperatura. Questa proprietà si estende a sistemi più complessi, che dipendano cioè anche da altri parametri. Nel grafico di fig. 3 è rappresentata una famiglia di curve ciascuna delle quali dà l'entropia S in funzione della temperatura T in corrispondenza a un determinato valore di un parametro X. La forma che queste curve assumono in vicinanza dello zero assoluto è giustificata in generale dal terzo principio della termodinamica, secondo il quale allo zero assoluto le differenze di entropia fra tutti gli stati di un sistema si annullano. Il grafico suggerisce il metodo più generale per ottenere basse t.: si effettua prima una trasformazione isoterma AB che porti il sistema dallo stato S0 (T1, X1) allo stato S1 (T1, X2) ; indi una trasformazione adiabatica BC che lo porti da S1 (T1, X2) ad S1 (T2, X1). Il risultato complessivo è di aver abbassato la temperatura del sistema da T1 a T2. Per un gas il parametro X corrisponde alla pressione e il processo di fig. 3 coincide con quello descritto precedentemente (compressione isoterma + espansione adiabatica).

Quanto precede ha suggerito un altro metodo per ottenere t. ancora più basse. È noto che in una sostanza paramagnetica gli atomi, o almeno una parte di essi, sono dotati di un momento magnetico. In taluni sali paramagnetici (per es. alcuni allumi di Fe o Cr) questi magneti elementari, abbastanza distanti l'uno dall'altro per non influenzarsi a vicenda, in assenza di un campo magnetico esterno sono orientati a caso. Imponendo dall'esterno un campo magnetico i magnetini si ordinano e si riduce l'entropia, cioè il disordine interno del sale: con un procedimento del tipo descritto in fig. 3, in cui X questa volta è l'intensità del campo magnetico (X1 e X2) si può ottenere un abbassamento di temperatura. Con sali appropriati e partendo dalla temperatura di 1 °K è stato possibile raggiungere con questa tecnica, nota col nome di demagnetizzazione adiabatica, la t. di 0,0001 °K. La fig. 4 mostra un criostato usato presso l'Istituto di fisica dell'università di Padova per la demagnetizzazione adiabatica.

Per concludere, facendo uso di un bagno di idrogeno liquido è possibile ottenere t. tra 14 °K e 20 °K; con un bagno di 4He si ottengono t. comprese tra o,75 °K e 4,2 °K; con un bagno di 3He si copre l'intervallo 0,30÷3,34 °K; con l'aiuto della demagnetizzazione è possibile, partendo da una t. di i °K, raggiungere 10-4 °K e si ritiene possibile scendere fino a 10-6 °K. Temperature nell'intervallo 4,2÷14 °K si possono ottenere soltanto con vapori di elio riscaldati con particolari accorgimenti.

Tecniche di mantenimento e di misurazione delle basse temperature. - Per la conservazione e il trasporto dell'azoto e dell'ossigeno liquidi si usano i vasi Dewar a doppia parete, con l'intercapedine vuotata fino ad una pressione di almeno 10-5 mmHg. Per l'idrogeno e l'elio questi vasi non sono abbastanza schermati termicamente e si usano recipienti del tipo di quello mostrato nella fig. 5, che sono dei doppî Dewar con un'intercapedine di azoto liquido come ulteriore schermo termico. Nei migliori recipienti in commercio si può ridurre la perdita di elio, per un contenitore da 25 litri a circa 200 cm3 di liquido al giorno.

Molto diversi sono invece i recipienti per esperienze a temperature prossime allo zero assoluto. Quando le t. richieste sono nell'intervallo 0,75÷4,2 °K, l'apparecchio sperimentale è senz'altro immerso in bagno d'elio, ma se la t. richiesta è inferiore e si deve ricorrere alla demagnetizzazione adiabatica, allora il bagno d'elio serve come preraffreddamento e l'apparecchio sperimentale deve esserne isolato (fig. 4).

Un problema assai delicato alle t. più basse (soprattutto sotto 0,1 °K) è il contatto termico fra sostanza refrigerante e sostanza da raffreddare. Nonostante opportuni accorgimenti è possibile infatti il formarsi di gradienti termici che permangono anche per alcuni minuti e che rendono difficili le misurazioni sperimentali.

La misurazione della t. è a sua volta un'operazione che diventa gradualmente più difficile all'approssimarsi dello zero assoluto. Per t. fino a circa 1 °K può essere usato il termometro a gas, ove si scelga opportunamente il gas. Inoltre, poiché questo è sempre un gas reale, solo con opportuni artifici si possono trasformare in assolute le temperature misurate con tale termometro.

In pratica si usano dispositivi più semplici chiamati termometri secondaî, tarati, in genere, per confronto con il termometro a gas. Uno dei più semplici esempî di termometro secondario è quello che misura la tensione del vapore in equilibrio con il proprio liquido. In tale modo per l'elio liquido si possono determinare le temperature tra 0,5 e 4,2 °K con precisione anche di 0,001 °K. Se si utilizza 3He si possono misurare temperature fino a 0,2 °K.

Un altro termometro secondario molto usato è quello che misura la resistenza elettrica di uno strato sottile di carbone amorfo depositato su carta porosa oppure compresso in bastoncini. La dipendenza della resistenza elettrica dalla t. è legata al modo con cui è depositato o compresso il carbone. Con i migliori tipi di questi termometri si possono misurare t. che vanno da 0,1 a 20 °K con una sensibilità di 0,0001 °K.

Alle t. raggiungibili con la demagnetizzazione adiabatica non è più possibile usare tali termometri e si ricorre ad altri tipi di termometri secondarî, la cui taratura si effettua direttamente ricorrendo alla definizione della t. termodinamica assoluta data da Lord Kelvin. Con termometri di questo tipo si sono potute misurare temperature dell'ordine di 0,0001 °K.

Struttura della materia alle basse temperature. - Negli ultimi anni, la possibilità di orientare i nuclei degli atomi, una volta eliminata quasi totalmente l'agitazione termica, ha reso possibili esperimenti fondamentali di fisica nucleare, come quello sulla conservazione della parità.

I principali problemi della fisica delle basse temperature, oltre allo studio dei calori specifici (v. aggregazione, I, p. 864; calore, VIII, p. 448; statistica, meccanica, XXXII, p. 518) riguardano specificamente lo studio della superconduttività e delle proprietà fisiche dell'elio liquido.

1) Resistenza elettrica e superconduttività (v. sopraconduttori, XXXII, p. 148; metalli, XXIII, p. 23; App. II, 11, p. 295). - In generale i conduttori dell'elettricità possono essere raggruppati in tre categorie principali, sulla base della differente dipendenza della loro resistenza elettrica dalla temperatura: a) i metalli, puri od in leghe, la cui resistenza diminuisce al diminuire della temperatura. b) I semiconduttori, la cui resistenza aumenta col diminuire della temperatura. c) I superconduttori, che sono sostanze del gruppo a) che poi a bassissima temperatura presentano il singolare e tuttora non spiegato fenomeno della brusca e totale sparizione della resistenza elettrica.

I metalli della categoria a) presentano in generale una resistenza specifica proporzionale alla temperatura assoluta, fino a qualche diecina di gradi, indi la diminuzione della resistenza con la temperatura diventa sempre più lenta, fino a che la resistenza si stabilizza su un valore costante che è tanto più alto quanto più il materiale è chimicamente impuro e strutturalmente imperfetto.

I semiconduttori, invece, all'abbassarsi della temperatura perdono rapidamente la caratteristica di conduttori, ed alle temperature di pochi gradi assoluti sono addirittura degli ottimi isolanti (v. semiconduttori, in questa Appendice).

Le moderne teorie della conduzione metallica spiegano in maniera soddisfacente questo modo di comportarsi dei corpi appartenenti alla categoria a) e b). Il comportamento dei metalli della categoria c) alle più basse temperature manca invece tuttora di una spiegazione che risulti soddisfacente.

2) Elio liquido. - Gli isotopi di massa 3 e 4 dell'elio sono le uniche sostanze che rimangono liquide fino alle più basse temperature raggiunte; lo studio delle loro proprietà è perciò particolarmente interessante.

Il diagramma di stato dell'isotopo 4He (fig. 6) è unico nel suo genere in quanto presenta due fasi liquide, l'elio I e l'elio II, quest'ultima estendentesi fino allo zero assoluto. L'elio solido si può produrre solo aumentando la pressione fino a circa 25 atmosfere. Il fatto che il tratto finale della curva che separa l'elio II dalla fase solida è orizzontale vuol dire, in base al terzo principio della termodinamica, che non c'è diminuzione dell'ordine microscopico durante il processo di fusione. Quindi l'elio II deve trovarsi in uno stato altamente ordinato.

Il punto di passaggio dalla fase I alla fase II ha luogo a 2,19 °K nel liquido in equilibrio col suo vapore saturo ed è accompagnato da una variazione del calore specifico con la temperatura; per la forma del diagramma il passaggio è ricordato come trasformazione lambda λ.

Appena al di sotto della temperatura di 2,19 °K, l'elio diventa capace di scorrere senza difficoltà attraverso canali e fessure strettissimi, impervî allo stesso elio gassoso e la sua viscosità cade rapidamente a valori piccolissimi. Contemporaneamente la conducibilità termica diventa maggiore di quella dei migliori conduttori metallici. Inoltre insorgono effetti meccano-termici, per cui un gradiente di temperatura provoca un flusso di liquido verso la sorgente di calore compensato da un'equivalente corrente opposta. Varie osservazioni mostrano che il fluido moventesi verso la sorgente di calore e quello moventesi in direzione opposta hanno diversa natura, il primo (superfluido), al quale si attribuiscono le proprietà di viscosità nulla e di alto grado d'ordine, costituito da atomi nello stato più basso di energia, l'altro invece da liquido normale: l'elio II risulterebbe allora un'intima miscela delle due fasi liquide compenetrantisi. Il superfluido comincerebbe a prodursi al punto λ e la sua percentuale aumenterebbe col diminuire della temperatura, finché allo zero assoluto tutto il liquido verrebbe a trovarsi allo stato superfluido.

Creando un gradiente termico, e tagliando il passo al fluido normale mediante sostanze a pori sottilissimi attraverso cui il solo superfluido può passare, si può rendere visibile la corrente di superfluido e ottenere così zampilli di liquido alti fino a una trentina di centimetri (cosiddetto "effetto fontana").

Sulla base del modello dei due fluidi, cui abbiamo testé accennato, fu possibile a Tisza predire l'esistenza nell'elio II di una propagazione di onde termiche non smorzate, che fu in effetti trovata sperimentalmente da Peshkov, e battezzata "secondo suono".

Circa il fenomeno che fa nascere il superfluido nel liquido normale al di sotto di 2,19 °K, London ritiene che la trasformazione che avviene al punto λ sia da identificarsi con il fenomeno di condensazione che la statistica di Bose-Einstein prevede per un sistema di bosoni, quale può essere considerato l'4He; il superfluido sarebbe costituito dagli atomi "condensati" nel livello più basso di energia.

Seguendo un punto di vista diametralmente opposto, e considerando invece un liquido come un solido molto disordinato, Landau ritiene che l'eccitazione termica in un liquido sia dovuta in parte a vibrazioni elastiche longitudinali quantizzate, analoghe a quelle esistenti nei solidi secondo la teoria di Debye dei calori specifici, ed in parte a una specie di movimento vorticoso peculiare dello stato liquido. In conseguenza si avrebbero eccitazioni di due specie (fononi e rotoni). Al diminuire della temperatura, se la sostanza rimane allo stato liquido, come è il caso dell'elio, debbono ad un certo momento cominciare a sparire prima le eccitazioni rotoniche e poi quelle fononiche. Il superfluido sarebbe costituito da atomi di elio nello stato energetico fondamentale mentre il fluido normale sarebbe costituito dall'insieme dei fononi e rotoni.

Negli ultimi anni sono venuti in luce fatti nuovi a sostegno dell'una come dell'altra teoria.

Da un lato infatti, in accordo con la teoria di London, non si è trovata traccia di superfluidità nell'3He che, non essendo costituito da bosoni, dovrebbe appunto non presentare il fenomeno della condensazione sopra ricordata. D'altra parte un esperimento di diffusione di neutroni lenti da parte dell'elio II ha permesso di verificare perfettamente lo spettro delle eccitazioni previsto da Landau.

Altre informazioni decisive possono venir solo da uno studio dell'idrodinamica dell'elio liquido, compiuto su scala atomica o quasi. Accanto agli esperimenti di diffusione di neutroni sopra citati, possono ritenersi molto promettenti le ricerche iniziate a Cambridge sui fenomeni di turbolenza nell'elio II e quelle sviluppate in Italia, consistenti nella produzione di ioni nell'elio liquido e nello studio del loro moto sotto l'effetto di campi elettrici e magnetici.

Bibl.: G. K. White, Experimental techniques in low-temperature physics, Oxford 1959; L. C. Jackson, Low temperature physics, Londra 1955; F. E. Simon ed altri, Low temperature physics, quattro articoli, Londra 1952; K. R. Atkins, Liquid helium, Cambridge 1958.

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