TEMPO

Enciclopedia Italiana (1937)

TEMPO

Goffredo COPPOLA
Guido CALOGERO
Giovanni GIORGI
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Luigi VOLTA

. Anche considerato dal solo aspetto filosofico, il concetto del tempo ha dato origine a tal numero di riflessioni e di teorie, che riesce impossibile dare in breve spazio un'idea della loro evoluzione storica. Basti perciò delineare le fondamentali posizioni problematiche, che attraverso essa sono venute in luce. Esse possono ridursi sostanzialmente a due: quella per cui il tempo è un oggetto di considerazione, e quello per cui esso viene a coincidere con lo stesso soggetto considerante.

Dal primo punto di vista il tempo si configura come un continuo misurabile, il quale si distingue da quello dello spazio in quanto possiede una sola dimensione. Ciò sembra semplice: ma comincia a diventare problematico, appena si noti come, così considerato, il tempo risulti composto di un'estensione passata e di un'estensione futura, il cui punto di confine è per sé privo di estensione. Raffigurato, cioè, in una retta (che per essere unidimensionale è l'elemento spaziale idoneo a rappresentarlo), esso è scisso dal presente in due semirette, il passato e il futuro: e quindi, come il punto divisorio della retta non è spazio, neppure unidimensionale, così il presente non è tempo (né la cosa varia anche quando, per fornire al tempo quel movimento, quel divenire che sembra ad esso essenziale, s'immagina - continuando nel simboleggiamento spaziale - che il punto del presente si sposti costantemente in un certo senso della retta). Questa atemporalità del presente appare d'altronde tanto più paradossale, appena si noti come il presente stesso, che si manifesta inesistente nel tempo considerato, sia d'altronde il tempo del soggetto considerante: dacché è chiaro che il "soggetto considerante", se non dev'essere a sua volta un oggetto considerato, non può essere che l'io autore della considerazione, cioè, a rigore, io medesimo che considero. E da questo punto di vista, allora, non solo il presente è il mio tempo reale, ma è addirittura il solo tempo reale, di cui il passato e il futuro non sono che le proiezioni opposte, o più esattamente gli opposti momenti costitutivi, non essendo il mio stesso presente se non il continuo precipitare del futuro nel passato di fronte all'indice della mia coscienza. Se, insomma, nel tempo considerato non c'è che il passato e il futuro, e il presente è schiacciato tra essi e ridotto a zero, nel tempo considerante non c'è che il presente, di cui il passato e il futuro sono solo gli eterni costituentì dialettici.

Il contrasto non potrebbe essere più radicale (e s'intende perciò come la riflessione sui problemi del tempo sia una delle vie più dirette per giungere ad avvertire le aporie di ogni considerazione ontologica e realistica, e conseguente necessità del soggettivismo). Ma per risolverlo non è neppure necessario appellarsi ai più generali motivi, determinanti la dipendenza, e quindi relativa irrealtà, di ogni "considerato" di fronte al "considerante". Basta notare come il tempo esteso non sia, a rigore, neppure tempo, se per esso s'intende qualcosa che sussista per sé a pari diritto dello spazio e indipendentemente da esso, così come la sussistenza dello spazio non sembra esigere, per la sua concepibilità, quella del tempo. Il tempo esteso non è infatti concepibile senza un accadere, cioè senza uno spazio in movimento: in un universo che restasse assolutamente e totalmente identico a sé medesimo non vi sarebbe infatti alcun tempo. È facile persuadersi di ciò pensando alle ben note situazioni a cui si va incontro quando, neutralizzando col proprio movimento un dato movimento opposto, il cui realizzarsi si assuma come misura dello scorrere del tempo, si viene senza altro a eliminare il tempo in tal modo misurato (così, p. es., per chi si sposta sulla superficie terrestre da est a ovest a velocità pari a quella della stessa rotazione terrestre da ovest ad est, non esiste più il tempo diurno, cioè il tempo dell'orologio, pur continuando a sussistere quello del calendario: ed è ovvio che lo stesso ragionamento può ripetersi per ogni altro moto, che si assuma come misura del tempo). Non s'invecchia perché il tempo passa, ma il tempo passa perché s'invecchia: ossia (se non si ama il linguaggio scherzoso dei paradossi) non il tempo è condizione dell'accadere, ma l'accadere è condizione del tempo. Il che avviene perché appunto, il tempo non è in questo caso altro che una dimensione dello spazio, e cioè il parametro dello spazio in moto accanto ai tre parametri dello spazio fermo.

Viceversa, mentre il tempo oggettivamente considerato, cioè il tempo esteso e misurabile e privo di presente, si risolve così senz'altro nel movimento, cioè nello spazio in alterazione, il tempo soggettivo, che è eterno presente, manifesta una sua realtà assai più radicale e concreta di quella dello stesso spazio. Infatti la più rigorosa definizione dello spazio (v.), a cui può giungere il pensiero moderno, è quella che l'identifica con l'io nel suo aspetto di pura e astratta consapevolezza, cioè in quanto campo illimitato dell'esperibile. Ma la consapevolezza dell'io sussiste in concreto solo nella sua pienezza pratica, cioè come eterna coscienza di qualcosa di attuato e di qualcosa da tradurre in atto: e ciò equivale a dire come eterno presente di un passato e di un futuro. Se quindi sul piano oggettivo il tempo è un aspetto parziale dello spazio, sul piano soggettivo lo spazio è un aspetto parziale del tempo, e il problema di quest'ultimo (secondo le concezioni alle quali, attraverso le più diverse specificazioni e combinazioni delle varie tesi possibili sui piani oggettivistici e soggettivistici, è giunto il pensiero moderno) non è se non il problema dell'io pratico, cioè il problema fondamentale della filosofia.

Fisica.

Il tempo è una particolare relazione ordinale fra gli avvenimenti, relazione che dà luogo a una misura quantitativa. E non più al tempo in sé stesso si riconosce oggi un certo grado di entità obiettiva, ma solamente allo spazio-tempo considerato nel suo insieme, secondo la fisica relativista.

Aristotele ebbe implicitamente l'idea del tempo come nozione a sé, separabile dagli avvenimenti, e suscettibile di misura secondo una scala naturale; e seppe rilevare che la misura del tempo non deve essere confusa con l'entità del movimento. Ma bisogna venire all'età moderna per avere non più una speculazione filosofica ma un primo abbozzo di considerazione scientifica dell'idea di tempo.

Galileo Galilei, mentre da una parte insegnava i primi metodi esatti per le misure temporali, dall'altra fondava una nuova meccanica e una nuova astronomia. Le nozioni relative al moto, inseparabilmente connesse con quella di tempo, apparvero attraverso la sua critica sotto una luce nuova. Si deve a lui il principio della relatività meccanica per i moti uniformi, che è stata poi denotata come relatività galileiana; primo avviamento a quel nuovo corso del pensiero che ha informato la dottrina sullo spazio e sul tempo nel sec. XX.

Riformata definitivamente l'astronomia per opera di Galileo, e la tecnica dell'orologeria per merito di Galileo stesso e di C. Huygens, l'elaborazione dell'idea del tempo entrò in una nuova fase. Nella seconda metà del sec. XVII, Newton poneva la scienza del tempo a fondamento della meccanica razionale, e postulava arditamente l'esistenza di un tempo assoluto, vero e matematico, "il quale fluisce conforme alla sua natura uniformemente e senza rapporto con alcun oggetto esteriore": questa è un'asserzione complessa, che contiene cose vere e non tutte vere, disparate fra loro, mentre quella frase del "fluire uniformemente" è una tautologia. Senza analizzare quanto era implicito nel postulato newtoniano, fu esso alternativamente difeso e combattuto vivacemente dai contemporanei e dai successori immediati, fra cui S. Clarke, Leibniz, Berkeley, Eulero; ma né essi, né altri grandi pensatori del sec. XVIII riuscirono a portare alcun contributo importante alla soluzione delle grandi questioni dello spazio e del tempo in generale.

Una di esse questioni un principio di soluzione ebbe dal D'Alembert, il quale ha cercato qualche criterio naturale per definire gl'intervalli di tempo uguali. E proseguendo in quest'ordine d'idee, si fece strada, attraverso le opere di Lagrange e di Laplace, l'idea del tempo cinetico, cioè di una scala dei tempi data dalla natura, e che deve valere per le leggi della meccanica newtoniana.

Al principio del secolo XX, si deve a F. Enriques l'aver risoluto in termini completi il problema della scala naturale dei tempi, enunciando e analizzando la definizione: "tempi uguali sono quelli in cui cause uguali producono effetti uguali". Le indagini teoretiche sulla questione del moto assoluto e relativo hanno condotto G. Giorgi a una caratterizzazione ancora più incisiva di essa "scala naturale". Per altra via progredivano le ricerche sull'elettrofisica dei moti relativi (H. A. Lorentz, J. Larmor, H. Poincaré, A. Einstein, H. Minkowski) e conducevano alle concezioni della relatività einsteiniana e delle successive estensioni di essa.

Si riconosce ora che quello che noi chiamiamo l'universo si presenta a noi come composto di avvenimenti, anziché di oggetti; lo spazio-tempo è il continuo quadridimensionale entro cui gli avvenimenti sono collocati; secondo S. Alexander anzi, esso è la "matrice", le cui peculiarità o disuniformità locali costituiscono appunto gli avvenimenti. Si è condotti a riconoscere a questo spazio-tempo, e non allo spazio e al tempo separati, un grado di esistenza obiettiva analogo a quello degli oggetti naturali. Ciò che noi chiamiamo intervalli di spazio e di tempo sono relazioni o misure quantitative estratte dal cronòtopo.

La differenza tra la fisica antica e quella relativistica consiste in questo: nella prima l'intervallo di tempo o di spazio fra due singoli avvenimenti P e Q si presentava come avente un valore definito, indipendente dall'osservatore; la fisica nuova constata che questi intervalli hanno diverso valore secondo lo stato di moto di chi osserva; per contro si ha una misurazione definita di tempo, quando si segue una data linea oraria; lungo quella determinata linea, che può essere, p. es., la linea di esistenza di una particella materiale, si ha allora un decorso temporale definito, che è il così detto tempo locale, o tempo proprio, già considerato da H. A. Lorentz nel 1894. Se gli avvenimenti P, Q vengono congiunti da diverse linee orarie (fisicamente, diversi corpi mobili che partono insieme e arrivano insieme seguendo movimenti diversi), gl'intervalli temporali misurati lungo queste linee sono generalmente disuguali (cioè tanti cronometri collocati su quei diversi mobili, e partiti in concordanza, arrivano in discordanza per il solo fatto che sono stati trascinati in moti diversi). E misurati che siano un intervallo di tempo fra P e Q, un altro fra Q e R, e un terzo infine tra P e R, quest'ultimo non è sempre uguale alla somma dei due primi.

Le discordanze a cui accenniamo possono venire in evidenza sperimentale solamente quando si tratti di avvenimenti molto lontani, di moti relativi compiuti con velocità enormi, o di esperimenti fatti con acutezza eccezionale. Così non proviamo difficoltà a persuaderci che si perde il criterio della simultaneità quando si comparano avvenimenti terrestri con quelli di una stella che sia distante migliaia di anni di luce; mentre quando si tratta di avvenimenti vicini occorrono le esperienze estremamente raffinate del tipo Michelson-Morley (v. relatività, teoria della) per percepire che la simultaneità non ha un valore assoluto. Così le leggi della meccanica ordinaria si trovano perturbate, quando si osservano corpi (emissioni catodiche) dotatì di velocità vicine a quella della luce. Invece nei limiti dell'esperienza comune e negli ambienti terrestri, queste conseguenze relativistiche non sono percepibili; perché chi segue l'andamento di un ambiente ristretto, è come se si collocasse su una linea oraria determinata, lungo la quale s'individua un tempo proprio ben definito. Ed è per questo che nella vita comune e nella fisica ordinaria il tempo si presenta come se fosse dotato di un valore assoluto e separabile dallo spazio.

Seguendo questa traccia, si può delineare una dottrina sul tempo, dal punto di vista della fisica, di cui la prima parte rimane elementare ed esente dalle complicazioni relativistiche. Ne esponiamo le linee essenziali.

Prendiamo come elementi di partenza le nostre sensazioni (nel senso più lato possibile della parola). Per mezzo di queste sensazioni ci formiamo la nozione di ciò che noi chiamiamo "avvenimenti". Le sensazioni si presentano alla nostra mente ordinate in un continuo unidimensionale e dotato di verso (fatto primitivo); cioè, fra due sensazioni, un senso interno ci fa conoscere una particolare relazione, per cui una di esse viene chiamata "anteriore" all'altra. Questa stessa relazione ordinale viene da noi trasferita agli avvenimenti circostanti; e finché si tratta dî un ambiente ristretto, e di esperienze e misure di carattere non eccezionale, l'ordinamento dato da diversi osservatori agli avvenimenti di quell'ambiente riesce il medesimo; e lo stesso ordinamento può essere anche rilevato per mezzo di apparecchi registratori (p. es., cinematografici da presa). Resta così determinato quello che noi chiamiamo "ordinamento temporale" degli avvenimenti, con una validità che è obiettiva, cioè indipendente dall'osservatore (nei limiti di cui si è ora detto). Si passa alla misura quantitativa applicando il criterio di Enriques (v. sopra) o più precisamente ricorrendo per via meccanica alla costruzione della scala assoluta dei tempi (Giorgi). Si ha allora per quell'ambiente il tempo assoluto o cinetico, talché, scelta un'unità di misura (p. es., una pulsazione atomica di specie determinata) e un avvenimento come "origine dei tempi", tutti gli altri avvenimenti hanno una coordinata temporale t, numericamente determinata. Entro questi limiti di applicazione, le misure temporali rimangono indipendenti da quelle spaziali: il tempo si presenta come una grandezza fisica, cioè come il risultato di una misura che distanzia gli avvenimenti; e a differenza delle misure spaziali, riesce dotato di verso.

Esorbitando da essi limiti, il tempo così determinato rimane col valore di tempo locale, cioè di una misura fatta lungo una linea oraria assegnata. Se si vogliono fare allora asserzioni "assolute", cioè indipendenti da quella linea oraria, e quindì dall'osservatore o dall'ambiente, resta solamente la possibilità di misurare intervalli di carattere spazio-temporale fra un avvenimento e un altro. Questi soli vengono ad avere carattere "assoluto", nel significato ora detto; e fra di essi si arriva a distinguere quelli che hanno carattere prevalentemente temporale e quelli che hanno carattere prevalentemente spaziale: i primi di essi hanno un verso definito, come lo hanno tutte le linee orarie del cronòtopo. Il cronòtopo o spazio-tempo è un continuo quattro volte infinito che nasce dalla sintesi di questi elementi: in esso, spazio e tempo si presentano "fusi ma non confusi", perché il loro insieme non è analogo a uno spazio geometrico ordinario a quattro dimensioni; in linguaggio matematico la differenza si esprime dicendo che questo continuo quadridimensionale possiede gli elementi isotropi reali.

Una descrizione più completa appartiene alla teoria della relatività (v. relatività, teoria della).

Bibl.: J. J. Baumann, Die Lehren von Raum, Zeit und mathematik in der neueren Philosophie, voll. 2, Berlino 1868-69; H. Bergson, Durée et simultanéité, Parigi 1922; W. Gent, Die Philosophie des Raumes und der Zeit, voll. 2, Bonn 1926-30; J. Volkalt, Phänomenologie und Metaphysik der Zeit, Monaco 1925; S. Alexander, Space, Time and Deity, voll. 2, Londra 1927; H. Reichenbach, Philosophie der Raum-Zeit-Lehre, Berlino 1928; J. A. Gunn, The problem of Time, Londra 1928; M. Heidegger, Sein u. Zeit, Halle 1927, 4a ed. 1935; J. Dunne, An experiment with time, Londra 1934; id., The serial universe, ivi 1934. Inoltre, vanno citate le opere di G. Giorgi e di S. Zawirski sull'evoluzione della nozione di tempo, premiate nel concorso internazionale Rignano, aggiudicato dalla rivista Scientia nel gennaio 1934; mentre la seconda è già apparsa (L'évolution de la notion de temps, Cracovia 1936) la prima è in corso di pubblicazione.

Diritto.

Quando cessi la necessità di regolare uno stato di fatto, la norma che lo disciplina viene abrogata o va in desuetudine; quando sorgano, invece, nuove necessità o nuove concezioni di vita sociale, sorge insieme la necessità delle norme giuridiche che debbono governarle e si costituiscono spontanei regolamenti. Anche i singoli fatti giuridici sentono l'influenza del tempo. La nascita, la modificazione, la perdita dei diritti è talvolta determinata dal tempo medesimo. Anche i diritti della persona vi sono soggetti. Così si acquista col decorso del tempo la piena capacità di agire diventando maggiorenni, la capacità di contrarre matrimonio, di testare, di prestar lavoro, ecc.

La precedenza nel tempo può dare titoli di prelazione (prior in tempore potior in iure), come - ad es. - nei privilegi e nelle ipoteche. La durata del diritto è talvolta prestabilita dal momento in cui sorge (termine finale: dies ad quem) oppure è talvolta prestabilita da un determinato momento la sua nascita (termine iniziale: dies a quo).

Vi sono due sistemi di computazione del tempo, quello naturale, nel quale il calcolo si fa da momento a momento, e quello civile, nel quale il calcolo si fa con intere unità di tempo: a giorni, mesi, anni interi (es., il termine di dieci giorni iniziato in qualunque ora del primo gennaio scade alla mezzanotte dell'undici dello stesso mese). Tanto nel primo quanto nel secondo caso, il giorno iniziale non è computato ed è invece computato il giorno finale (dies a quo non computatur; dies ad quem computatur in termine).

L'inerzia e la trascuranza nell'esercizio del diritto per un certo tempo può produrne la perdita da parte del titolare (v. prescrizione: Prescrizione estintiva); e, per contro, l'esercizio del diritto continuato per un dato tempo, da parte di persona diversa dal titolare, può produrne l'acquisto a favore di quest'ultima (v. prescrizione: Prescrizione acquisitiva).

Un altro istituto giuridico, il quale si fonda sul decorso del tempo, è la decadenza (v.), molto affine alla prescrizione.

Misura del tempo.

1. Il tempo non si può misurare direttamente, come si misura, per es., una lunghezza. La durata di un fenomeno o l'intervallo di tempo fra due fenomeni non si può misurare che per confronto con le variazioni di una grandezza, le quali si sappiano proporzionali al tempo, p. es. con gli angoli successivamente percorsi da un movimento circolare uniforme, come il moto diurno della sfera stellata o quello delle sfere di un orologio che si supponga vada bene. Ma, mentre l'orologio è costruzione umana e perciò, per quanto perfezionato, non mai perfetto e soggetto a irregolarità di marcia, così da non poter mai garantire, salvo per intervalli più o meno brevi, l'ora esatta, la rotazione della Terra intorno al proprio asse, la quale, come è noto, si manifesta a noi con la rotazione diurna del cielo stellato da E. a O., si compie con mirabile regolarità, così per piccoli come per notevoli intervalli di tempo. Si deve per vero dire che recentemente sono state messe in evidenza una lentissima diminuzione della durata della rotazione terrestre dell'ordine di poco più di un millesimo di secondo per secolo, e oscillazioni lievissime a lungo periodo, nel corso delle quali la variazione di tale durata può raggiungere qualche millesimo di secondo in un anno; ma ciò può interessare solo la misura di periodi straordinariamente lunghi.

Su quella rotazione potremo e dovremo adunque regolare i nostri orologi; cioè la nostra Terra stessa è l'orologio naturale, fondamentale e infallibile e le stelle le sue sfere indicatrici; già Aristotele infatti aveva detto nella sua Fisica: "Il tempo sembra essere identico col moto della sfera celeste" e si può aggiungere che il problema generale della determinazione del tempo è perciò un problema astronomico.

La durata di una rotazione intera della Terra coincide con l'intervallo di tempo fra due successivi passaggi per uno stesso semimeridiano di una stella, in particolare fra le due culminazioni superiori di una stessa stella per uno stesso luogo, durata o intervallo che si chiama giorno sidereo o siderale; il tempo definito da tale unità si chiama tempo sidereo o siderale.

2. Se il giorno siderale è l'unità fondamentale di tempo, essa non è, né può essere, l'unità praticamente adottata nella vita civile, perché l'attività giornaliera umana si svolge e si regola necessariamente secondo la vicenda dell'illuminazione solare, cioè secondo il giorno solare, misurato analogamente dall'intervallo fra due successive culminazioni del Sole per un dato luogo; e non sarebbe possibile regolare quell'attività sul periodo del giorno siderale. Infatti, per effetto del moto apparente annuo del Sole sulla sfera celeste, cioè rispetto alle stelle, il moto del Sole ritarda ogni giorno di circa 4 minuti su quello delle stelle, talché se, adottando il tempo siderale si fissasse il mezzodì alla culminazione superiore di una stella, siccome reciprocamente questo passaggio anticipa di circa 4 minuti ogni giorno rispetto al Sole, il mezzodì così fissato verrebbe via via lungo un anno a cadere in momenti diversi della giornata, distribuiti lungo tutto il ciclo diurno. Si presenterebbe naturale quindi di adottare come unità pratica per la misura del tempo il giorno solare, ma il moto annuo apparente del Sole sulla sfera celeste non risponde al requisito indispensabile già detto dell'uniformità; in altre parole il Sole non passa per il meridiano a intervalli eguali di tempo; in altre parole ancora i giorni solari variano leggermente, ma continuamente e periodicamente lungo l'anno.

Per stabilire un'unità pratica di tempo adatta agli usi civili s'immaginò allora un Sole fittizio, che percorre con velocità angolare uniforme il circolo massimo dell'equatore celeste nell'identico intervallo annuo di tempo impiegato dal Sole vero a percorrere il circolo massimo dell'eclittica e s'impose di più, naturalmente, la condizione che le posizioni di questo sole fittizio, detto Sole medio equatoriale, si scostino il meno possibile dalle posizioni del Sole vero sull'eclittica. L'intervallo fra due culminazioni omonime (superiori o inferiori) successive del Sole medio equatoriale, cioè fra due mezzodì o due mezzenotti medie successive, che è allora costante, si chiama giorno solare medio e costituisce l'unità pratica di tempo cercata; il tempo misurato con quest'unità si chiama tempo medio.

L'intervallo, variabile da giomo a giorno fra la culminazione del Sole vero e quella del Sole medio, cioè il divario fra il tempo solare medio e il tempo solare vero è detto equazione del tempo. Essa si annulla 4 volte all'anno intorno al 16 aprile, al 15 giugno, al 2 settembre, al 26 dicembre; ha un massimo negativo principale verso il 12 febbraio (− 14m 23s circa), un massimo positivo principale verso il 4 novembre (+ 16m 22s circa) e due massimi secondarî verso il 15 maggio (+ 3m 46s), e verso il 27 luglio (− 6m 22s). Noti i valori dell'equazione del tempo durante tutto l'anno, è immediato il passaggio dal tempo solare medio al tempo solare vero e viceversa; in particolare potremo quindi dedurre il tempo medio, cioè il tempo adottato dagli usi civili, dall'osservazione del Sole.

3. Prima di spiegare come analogamente si compia il passaggio dal tempo siderale al tempo medio e viceversa, occorre dire dell'origine o dell'inizio da cui le unità di tempo nominate si contano, e conviene anche accennare ai sottomultipli di esse, atti alla rappresentazione d'intervalli minori di tempo.

L'origine del giorno siderale è fissata quando culmina al meridiano di un luogo quel punto dell'equatore celeste per cui passa il Sole all'equinozio di primavera (intersezione corrispondente dell'equatore con l'eclittica) e che si chiama punto vernale e si indica col simbolo γ (degenerazione del simbolo ??? della costellazione dell'Ariete, nella quale in antico cadeva un tal punto); a un istante qualunque e per un dato luogo il tempo siderale (tempo siderale locale) sarà misurato dall'angolo orario del punto γ (angolo fra il semimeridiano celeste del punto γ e il semimeridiano celeste del luogo). Il punto γ costituisce adunque, per così dire, la sfera indicatrice fondamentale di questo orologio siderale celeste.

L'origine invece del giorno solare medio, o del giorno solare vero, se vogliamo ricordare anche gli usi antichi, potendosi scegliere in quattro momenti caratteristici diversi del moto solare - culminazione superiore (mezzodì), culminazione inferiore (mezzanotte), nascere o tramontare - variò conseguentemente con i tempi e fra i varî popoli, come annota S. Tomaso nella sua Summa: "Quidam a meridie, quidam ab occasu, quidam a media nocte, quidam ab ortu Solis diem incipiunt. Ecclesia tamen Romana diem a media nocte incipit". Al levar del Sole si attennero, ad es., Babilonesi e Persiani (tempo babilonico), al cader del Sole si attennero lungamente gl'Italiani (tempo italiano); gli astronomi, sino al 1925, mutavano la data delle loro osservazioni al mezzodì medio, affinché tutte le osservazioni di una notte portassero la stessa data. Ora anche gli astronomi, come tutto il mondo civile, pongono l'origine del giomo solare medio alla mezzanotte di tempo medio.

Il tempo medio per un dato luogo (tempo medio locale) a un dato istante è l'angolo orario espresso in tempo del Sole medio in quell'istante e per quel luogo, angolo orario aumentato però di 12 ore, perché a mezzodì medio, quando il Sole medio è in meridiano e il suo angolo orario è zero, si contano 12 ore. Il tempo solare medio così definito si chiama anche più brevemente tempo civile.

Quanto ai sottomultipli, sia del giorno siderale, sia del giorno solare medio, occorre appena ricordare che l'uno e l'altro si suddividono in 24 ore di 60 minuti e i minuti in 60 secondi; oltre il secondo non si usa più spingere la suddivisione sessagesimale, ma si usano le frazioni decimali del secondo. Ne risulta che l'ora comprende 60 × 60 - 3600 secondi, il giorno 24 × 60 = 1440 minuti e 24 × 60 × 60 = 86.400 secondi; la precisione perciò di un cronometro che possa garantire il secondo in una giornata è paragonabile a quella della misura di una lunghezza di 86,4 metri, garantita entro il millimetro.

E poiché s'è visto che un tempo può assimilarsi a un angolo (angolo orario), così può giovare qualche volta di esprimere appunto degl'intervalli di tempo in misura angolare, cioè in gradi, primi d'arco e secondi d'arco, essendo 24 ore pari a 360 gradi: la corrispondenza fra i sottomulpli nei due sistemi sarà adunque: 1 ora = 15 gradi; 1 minuto = 15 primi d'arco; 1 secondo = 15 secondi d'arco e reciprocamente: 1 grado = 1/15 di ora = 4 minuti; 1 primo d'arco = 1/15 di minuto = 4 secondi; i secondo d'arco = 1/15 di secondo = 0″,0666...

Con le unità di tempo maggiori del giorno solare (di multipli del giorno siderale non è questione) si tocca l'argomento del calendario (v.) e vi accenneremo appena più avanti, per quel che strettamente si riferisce alla misura del tempo.

4. Vediamo ora come si faccia la trasformazione del tempo siderale in tempo medio e viceversa. Occorrerà anzitutto conoscere il rapporto fisso di proporzionalità fra i due numeri che esprimono uno stesso intervallo di tempo nell'una e nell'altra unità, eppoi la corrispondenza dei due tempi a un istante qualunque; per comodità gli annuarî astronomici forniscono questo dato ogni giorno e precisamente all'origine del giorno medio, dànno cioè l'ora siderale corrispondente alla mezzanotte media e ciò per il semimeridiano fondamentale di Greenwich, donde si può dedurre subito l'analoga ora siderale per qualunque altro semimeridiano.

Il rapporto di proporzionalità ora detto si deduce pure subito, osservando che in un anno tropico di 365,2422 giorni medî il Sole ha compiuto apparentemente una rotazione intera sulla sfera celeste (o, più esattamente, rispetto al punto γ), il che è quanto dire che, ritardando di circa 4 minuti ogni giorno rispetto alle stelle, ha perduto un intero giro rispetto a esse, le quali ne avranno compiuto perciò 366,2422, corríspondenti ad altrettante rotazioni della Terra intorno al proprio asse, cioè ad altrettanti giorni siderali. Si ha cioè l'eguaglianza: 3

Se allora uno stesso intervallo (espresso in ore, minuti, secondi e decimali o in una qualunque di tali unità e decimali di essa) è rappresentato in tempo medio da tm, in tempo siderale da ts, si avrà:

oppure:

da cui si possono dedurre, in particolare, le corrispondenze seguenti:

e anche, reciprocamente, queste altre:

Sicché, dato un tempo siderale, per dedurre il tempo medio corrispondente, basterà ridurre in tempo medio l'intervallo di tempo siderale trascorso dalla mezzanotte media precedente (corrispondentemente alla quale gli annuarî dànno il tempo siderale); dato invece il tempo medio, per calcolare il tempo siderale corrispondente, basterà ridurre quel tempo medio in siderale e aggiungerlo all'ora siderale che si aveva alla mezzanotte media precedente.

5. Da quanto precede risulta che il tempo, espresso sia in unità siderale, sia in unità solare media, è un elemento locale, come è un fatto locale, cioè variabile da luogo a luogo, la culminazione di una stella o del Sole. Si è infatti esplicitamente parlato di tempo siderale locale e di tempo medio locale; l'uno e l'altro sono misurati, come s'è visto, da un angolo orario, cioè dall'angolo fra due semimeridiani celesti, quello del punto che definisce l'origine dei tempi (punto γ per il tempo siderale, Sole medio equatoriale per il tempo medio) e il semimeridiano celeste del luogo che si considera, semimeridiano che giace nello stesso semipiano del semimeridiano geografico del luogo stesso.

Ne deriva che, a un dato istante fisico, il tempo (siderale o medio) è identico lungo uno stesso semimeridiano terrestre, da polo a polo (differirà di 12 ore lungo l'altro semimeridiano); e, per un altro semimeridiano terrestre, il tempo differirà dal primo tempo esattamente dell'angolo - espresso in tempo secondo la corrispondenza fra angoli e tempi data poco fa - fra i due semimeridiani; differirà cioè del valore della differenza di longitudine fra i due semimeridiani, cioè ancora dell'angolo fra di essi, espresso in tempo, differenza da aggiungersi al primo tempo se il secondo semimeridiano è a est del primo o da togliersi se il secondo è a ovest. Così, quando a Roma sul Campidoglio è mezzodì preciso di tempo medio locale, a Greenwich saranno le 11h 10m 4s di tempo locale, perché la differenza di longitudine fra Greenwich e Roma è di 49m 56s (11h 10m 4s + 49m 56s = 12h 0m 0s) e Greenwich è a O. di Roma.

6. Mentre nella pratica astronomica si usa il tempo (tanto siderale quanto medio) locale, perché è quello che ha importanza per le osservazioni, ognuno vede che non sarebbe invece praticamente possibile, per gli usi civili, adottare in ciascun luogo il tempo medio locale, soprattutto oggi che i contatti da luogo a luogo sono continui, rapidi e intensi: basta pensare alla ferrovia, alla navigazione, al telegrafo, alla radio.

Dapprima, in alcuni grandi stati, si adottò il tempo medio riferito al semimeridiano della propria capitale: si ebbero così, ad es., i tempi di Roma, di Parigi, di Greenwich (Londra): ma questa era ancora una soluzione inadeguata e complicata, in quanto la differenza fra questi tempi era rappresentata da un numero complesso di ore, minuti, secondi e frazioni e non poteva applicarsi senza inconvenienti o adattamenti alle regioni molto estese in longitudine, come gli Stati Uniti, il Canada, la Siberia. La soluzione razionale venne con l'adozione dei fusi orarî, che (v. ora) sono i 24 spicchi uguali in cui la superficie terrestre risulta suddivisa da altrettanti semimeridiani formanti tra loro un angolo di 15°, cioè di un'ora. Il tempo locale del semimeridiano centrale di ciascun fuso differisce di un'ora esatta, in più e in meno rispettivamente, dal tempo locale dei semimeridiani centrali dei due fusi contigui. I varî stati o le varie regioni di uno stato adottarono allora il tempo locale del semimeridiano centrale di quel fuso che prevalentemente comprende quei singoli stati o quelle singole regioni di quello stato; in altre parole le delimitazioni, sulla superficie terrestre, che segnano il trapasso dall'ora di un fuso all'ora di uno dei fusi contigui, si avvicinano, nel miglior modo compatibile con le divisioni politiche o regionali, ai semimeridiani limitanti il fuso stesso. Occorreva fissare un semimeridiano fondamentale di riferimento quale semimeridiano centrale del primo fuso, perché tutti gli altri risultassero definiti. Fu scelto il semimeridiano dell'osservatorio di Greenwich (Londra), e si chiama tempo medio civile di Greenwich o tempo universale (Francesi) o tempo mondiale (Tedeschi) il tempo medio locale di quel semimeridiano; il fuso immediatamente a levante del primo fuso è detto il fuso dell'Europa Centrale: i paesi in prevalenza compresi in esso, e tra questi l'Italia, usano adunque un tempo medio che è in anticipo di un'ora esatta sull'ora locale di Greenwich e che si chiama "tempo medio civile dell'Europa Centrale".

Il semimeridiano centrale di questo fuso passa molto vicino all'Etna; soltanto la parte del Piemonte a ponente di Lanzo Torinese, tra cui Aosta, invaderebbe propriamente il fuso di Greenwich. Gli Stati Uniti occupano quattro fusi orarî, corrispondenti a 5, 6, 7, 8 ore in ritardo sull'ora di Greenwich, la Russia occupa tre fusi, la Siberia otto, il Canada cinque; pochi stati minori non hanno adottato il sistema dei fusi; l'India in particolare, che occuperebbe due fusi, ha adottato un'ora intermedia, in anticipo di 5 ore e mezza su quella di Greenwich. Lungo il semimeridiano a 180° da quello di Greenwich, si avrà un tempo differente di 12 ore da quella di Greenwich, di anticipo se si concepisce quel semimeridiano 180° a levante, di ritardo se lo si concepisce 180° a ponente da Greenwich; vi sarebbe adunque l'ambiguità di 24 ore, cioè di un giorno intero, vale a dire l'ambiguità della data stessa, senza l'opportuna convenzione che chi attraversi quel semimeridiano da O. a E., al momento di attraversarlo, si riporti indietro di un giorno con la data, e chi l'attraversi da E. a O. si riporti un giorno avanti con la data. Senza di ciò, chi facesse il giro del mondo con qualunque percorso e qualunque velocità nel primo senso si troverebbe ad aver guadagnato un giorno tornando al punto di partenza, ad averne perduto uno facendo il giro del mondo nel secondo senso. Praticamente la linea di cambiamento di data non segue proprio questo meridiano, ma se ne discosta per modo da non attraversare terre né dividere gruppi di isole e giace tutta nell'oeeano, (Stretto di Bering, Pacifico a E. della Nuova Zelanda], cosicché il turbamento causato dal suo carattere di discontinuità rispetto alla data è, per tale linea, il minimo possibile.

7. Per ciò che riguarda le unità maggiori del giorno solare medio, atte a rappresentare maggiori intervalli di tempo, esse dovrebbero soddisfare ai seguenti requisiti: che ciascun multiplo contenga un numero intero di unità inferiori e in particolare di giorni; che tali rapporti interi di proporzionalità siano costanti, vale a dire che siano costanti le durate dei periodi corrispondenti a tali maggiori unità; che infine tali periodi siano scelti con criterî di opportunità, in relazione a fenomeni caratteristici nei riguardi della vita terrestre e civile.

Ora, se passiamo in rassegna le successive unità di tempo maggiori del giorno adottate e cioè la settimana, il mese, l'anno, si vede subito che a quei requisiti non si è potuto soddisfare.

L'anno è definito dal più notevole fenomeno che regola la vita della Terra eon la vicenda delle stagioni, cioè dall'apparente moto periodico del Sole intorno alla Terra, ma, come si sa, il suo periodo non è multiplo secondo un numero intero del giorno, perché misura 365 giorni e un quarto circa, per modo che si è dovuto adottare un anno di durata variabile, 365 giorni negli anni comuni, 366 nei bisestili, anno alla sua volta comprendente, in ambo i casi, un numero non intero di settimane (7 × 52 = 364).

Il mese si avvicina, ma non coincide con la lunazione, la quale costituisce bensì un periodo di notevole evidenza, se non d'importanza pratica grande, ma ha durata non assolutamente costante e a ogni modo prossima a un numero non intero di giorni (29 giorni e mezzo circa). Il mese ne contiene un numero intero, ma tale numero è variabile fra 28-29 e 31, per poter agguagliare, nell'assieme dei 12 mesi, il totale dei giorni dell'anno; cioè il mese è solo approssimativamente un sottomultiplo dell'anno: la distribuzione irregolare poi delle durate dei mesi è dovuta a pregiudizî dei tempi in cui fu concretato il calendario giuliano.

La settimana infine, se si avvicina alla durata di una fase lunare (29,5 : 4), non è certo che abbia origine da tale periodo; molti ritengono che essa abbia invece origine dal bisogno di riposo dell'uomo che lavora. Se non è contenuta un numero intero di volte né nei varî mesi (salvo nel febbraio dell'anno comune) né nell'anno, la settimana ha però durata costante e multipla secondo un numero intero del giorno.

8. Resta a dire della misura vera e propria, e della conservazione del tempo. Innanzitutto non è assoluta né netta la distinzione fra queste operazioni e quindi fra gli appareechi e i metodi corrispondenti. In generale si può dire che la determinazione del tempo consiste nell'osservare (cioè, nel fissarne il momento) un fenomeno astronomico istantaneo, di cui conosciamo o possiamo dedurre il tempo e nel confrontare questo tempo con l'indicazione di un orologio di precisione (pendolo o cronometro), così da dedurre l'errore o stato e quindi la correzione di esso orologio. In generale gli orologi astronomici non si correggono del loro errore, ma solo raramente e per comodità di lettura si correggono di un numero intero di minuti e di secondi per ridurre l'errore stesso. Se ripetiamo quindi l'osservazione astronomica e la deduzione dell'errore dell'orologio a non grande distanza di tempo, tenendo conto dell'eventuale ritocco ora detto potremo, valendoci di una conveniente legge, molto spesso della più semplice fra di esse, cioè della proporzionalità diretta fra variazione dell'errore e tempo, dedurre la correzione delle indicazioni dell'orologio per qualunque istante dell'intervallo compreso fra le due determinazioni, il che può essere d'importanza scientifica se a quelle indicazioni abbiamo riferito altre osservazioni, astronomiche o fisiche. La variazione dell'errore di un orologio riferita all'unità di tempo (giorno od ora, per lo più) si chiama l'andamento dell'orologio, che è dunque quel tanto di cui ritarda o avanza in un giorno o in un'ora l'orologio stesso.

Così, e solo così, l'orologio si può considerare uno strumento di misura del tempo, misura pur sempre più o meno approssimata, perché un orologio è una macchina e come tale non obbedirà mai con precisione assoluta alla legge di variazione del proprio errore da noi ammessa. Se poi noi, dopo l'ultima determinazione e prima di compierne un'altra, ammettiamo che l'andamento dell'orologio si mantenga quale ci è risultato dalle due ultime determinazioni, o, seguendo una semplice, probabile legge, continui a variare nel senso e nella misura rivelata da più di due delle ultime determinazioni, ammettiamo con ciò di poter conoscere la correzione dell'orologio per un certo tempo, senza il controllo delle osservazioni astronomiche, cioè per estrapolazione; in altre parole accordiamo al nostro orologio la fiducia di poterci servire di strumento di misura del tempo lungo un più o meno breve intervallo per sola virtù dei suoi congegni; gli accordiamo, cioè la fiducia di saper conservare, almeno per quell'intervallo, il tempo.

Questo è quanto fanno, o meglio facevano, i navigatori, affidandosi alle indicazioni dei loro cronometri (parecchi, per maggior sicurezza) per la conservazione, come appunto si dice, del tempo del semimeridiano di riferimento, al fine di poter dedurre la longitudine della nave confrontando il tempo locale di questa, astronomicamente determinato, con quello segnato dai cronometri; si è detto "facevano", perché oggidì il servizio radio del tempo permette di controllare anche più volte al giorno i cronometri delle navi, ai quali adunque non si chiede più di conservare per lunghi intervalli il tempo; diminuisce cioè l'importanza loro.

Secondo i concetti ora esposti, una meridiana solare, che ci indichi con precisione l'istante del Sole in meridiano si può considerare uno strumento di determinazione (solo approssimata dal punto di vista astronomico) del tempo per quell'istante; un orologio solare, con le sue linee orarie, si potrà invece considerare come uno strumento tipico per la misura del tempo (almeno quando splende il Sole), perché non fondato su alcun congegno meccanico, ma sulla registrazione, per così dire, di un moto celeste, quello del Sole, dalla quale con l'equazione del tempo si può passare senz'altro al tempo medio, purché il tracciamento dell'orologio solare sia ben fatto.

9. Passiamo rapidamente in rassegna gli strumenti immaginati e costruiti per la misura e la conservazione del tempo, i quali presuppongono, come s'è detto, l'operazione di determinazione del tempo che li controlli; e diremo poi in sintesi degli strumenti e dei metodi principali per tale determinazione del tempo, compito specifico dell'astronomia.

Elencheremo anzitutto, come un gruppo a sé, appunto i dispositivi segnalatori del tempo (tempo solare vero) mediante l'ombra solare:

a) gli obelischi antichi degli Egiziani che, oltre a essere monumenti sacri, servivano come gnomoni, vale a dire come indicatori dell'ora con la direzione o con la lunghezza della loro ombra;

b) le meridiane, già accennate, atte, oltre che ad altre determinazioni astronomiche, a determinare, come s'è visto, l'istante del mezzogiorno vero: celebri tra esse, per importanza storica o per singolare precisione, quelle di Piazza S. Pietro e di S. Maria degli Angeli in Roma, di S. Petronio in Bologna, del Duomo di Milano;

c) gli orologi solari veri e proprî, pure già nominati, di cui si hanno molte specie, a seconda della giacitura del piano su cui si osserva l'ombra dello stilo; si hanno cioè (per accennare solo ai tipi principali) orologi solari equatoriali, se detto piano è parallelo all'equatore (fig.1), orizzontali se il piano è orizzontale, verticali se si tratta di un piano verticale. L'orologio solare tipico e più conveniente è quello in cui il piano verticale, su cui le linee orarie sono tracciate, è esattamente orientato da E. a O. (primo verticale). Si può trasformare un orologio solare a tempo vero in altro orologio a tempo medio, tracciando delle linee orarie in cui sia tenuto conto dell'equazione del tempo; in particolare per un orologio solare giacente nel primo verticale la linea oraria del mezzodì riproduce la cosiddetta curva otto (fig. 2). Gli orologi solari sono ancora usati, e non solo a scopo ornamentale, per quanto la loro utilità sia andata scemando col perfezionarsi degli orologi meccanici e dei servizî di diffusione dell'ora.

Elenchiamo nello stesso modo gli orologi meccanici antichi, escludendo la clessidra (v.) ad acqua o a polvere:

a) primi orologi a discesa di peso, nei quali, con rudimentali sistemi di rotismi e di volani, si procurava di rendere lenta e il più uniforme possibile la discesa del peso; i primi tipi pare risalgano al secolo IX a. C.; orologi i quali si andarono via via perfezionando con l'aggiunta del bilanciere orizzontale e della suoneria (sec. XII) e complicando, in qualche esemplare, con l'aggiunta di molte indicazioni, come quelle del giorno, della settimana e del mese e di dati astronomici varî;

b) orologi a molle e perciò trasportabili e tascabili, comparsi dopo il 1500.

Ma mancava sin qui un regolatore del movimento dell'orologio, quello che fu chiamato "l'anima dell'orologio", un organo cioè che, con la sincronicità dei suoi moti elementari, potesse imprimere movimento regolare all'orologio. Un primo regolatore fu trovato nel pendolo, un secondo nella molla elicoidale cilindrica del Huygens (1629-95). Le oscillazioni del primo infatti sono isocrone (rigorosamente solo se di piccola ampiezza) come aveva scoperto Galileo; e pare, secondo qualcuno, non fosse ignoto al celebre astronomo arabo Ibn Yūnus del Cairo (morto nel 1088); le oscillazioni del bilanciere impresse dalle pulsazioni della seconda sono pure prossimamente isocrone; il primo adunque adatto per gli orologi stabilmente collocati, la seconda per quelli da trasportarsi. Galileo stesso e suo figlio Vincenzo si occuparono dell'applicazione del pendolo agli orologi a peso (fig. 3); i primi risultati pratici però apparvero verso il 1600, per opera dello svizzero Jost Bürgi (1552-1632) e nel 1612 per opera dell'istriano S. Santorio (1561-1636), professore di medicina a Padova. Però tanto le oscillazioni del pendolo quanto le pulsazioni della molla e perciò le oscillazioni del bilanciere si spegnerebbero senza una forza motrice, cioè senza la carica, la quale, ravvivandole, per così dire, con adeguati e ben applicati impulsi, le faccia durare, senza alterarne il periodo. La forza motrice può esser fornita sia da un peso, sia dall'elasticità di una molla d'acciaio avvolta su sé stessa in più spire.

Gl'impulsi sopraddetti in ambo i casi arrivano rispettivamente al pendolo e alla spirale cilindrica, e perciò al bilanciere, per mezzo del dispositivo di scappamento, il quale può essere di tipi e fogge svariate (v. orologio, XXV, p. 590 segg.). Il meccanismo atto a trasmettere con la forza motrice del peso gl'impulsi al pendolo, necessarî e sufficienti a renderne persistenti le oscillazioni fu immaginato e disegnato dal Huygens nel 1658.

Con l'applicazione del pendolo o della spirale del Huygens come regolatori, con l'impiego della forza motrice del peso o della molla nasce l'orologeria moderna come scienza e arte meccanica. Da quanto precede risulta già chiaro che i due tipi fondamentali delle macchine in uso per la misura del tempo sono: l'orologio a pendolo e l'orologio a bilanciere. Di ambo i tipi si ha varietà grandissima: basti qui citare gli orologi di alta precisione dei due tipi e cioè i pendoli astronomici e i cronometri, e, fra questi, quelli di marina, custoditi in cassette alle quali sono collegati con sospensione cardanica.

Senza entrare in particolari, si deve almeno ricordare che, fra i molti e grandi perfezionamenti raggiunti nella tecnica dell'orologeria, notevolissimo è quello della compensazione, per rendere il meno possibile sensibile alle variazioni di temperatura l'andamento sia dei pendoli sia dei bilancieri. Circa la compensazione e i varî accorgimenti per ottenerla, v. orologio, XXV, pp. 590-91. Il sistema di compensazione può essere sostituito nei pendoli dall'applicazione dell'asta di metallo invar che, avendo un coefficiente di dilatazione quasi nullo, assicura la quasi invariabilità della lunghezza del pendolo stesso e quindi la costanza quasi assoluta della sua durata di oscillazione.

I pendoli astronomici in particolare, con la semplicità dei loro rotismi, custoditi, i principali fra di essi, in campana a pressione d'aria costante, caricati infine con dispositivo elettrico pure automatico, rappresentano le più precise macchine misuratrici del tempo (fig. 4). Per maggiori particolari circa i sistemi studiati per rendere il più possibile uniforme il moto di questi orologi e per i risultati ottenuti, v. orologio: Orologi astronomici, XXV, pp. 593-94.

Non solo nei pendoli astronomici si procura di raggiungere la maggior semplicità dei rotismi, ma si tende, come nei pendoli Shortt - considerati i più perfetti - a realizzare le condizioni di oscillazione del pendolo libero.

I pendoli astronomici sono per lo più regolati sul tempo siderale, secondo le ovvie esigenze delle osservazioni astronomiche. Per la registrazione delle battute di essi e degli orologi di grande precisione in generale e per il confronto quindi tra loro, si ricorre a molti dispositivi, ai quali appena si può qui accennare: il principale è costituito da un apparecchio di registrazione elettrica, chiamato cronografo; sulla zona di carta, che con uniformità si svolge da esso, le battute del pendolo o dell'orologio - o di più orologi posti a confronto azionando opportuni contatti elettrici - rimangono segnate. Si hanno cronografi di molte fogge, anche stampanti in cifre i tempi sino al centesimo di secondo.

Si hanno poi altri procedimenti per lo studio dell'andamento dei pendoli astronomici e per il loro mutuo confronto, fondati su metodi ottici o fotografici o sul metodo delle coincidenze (che potrebbe dirsi il principio del nonio trasportato dalle misure di lunghezza alle misure di tempo) delle battute di due pendoli.

Per misure di piccoli intervalli di tempo possono anche servire fenomeni oscillatorî di periodo ben noto e il più possibile prossimo alla costanza: dal semplice vibrare di un corista via via sino alle rapidissime vibrazioni degli oscillatori a cristallo, fondati sulle proprietà piezoelettriche di alcuni cristalli. Si costruiscono tipi di oscillatori capaci di 100.000 vibrazioni al secondo e della precisione di un decimilionesimo, cioè dell'ordine di un centesimo di secondo in un giorno intero: utilizzando il principio stesso già si costruiscono orologi di alta precisione, nei quali il cristallo oscillante è il quarzo.

10. Rimane ora da dare un cenno riassuntivo degli strumenti e dei metodi con cui si perviene a fissare con l'osservazione astronomica l'istante di un dato fenomeno corrispondente a un tempo noto e quindi anche, per confronto con l'indicazione dell'orologio in quell'istante, a dedurre la sua correzione. Poiché l'unità fondamentale di tempo è il giorno siderale, e sul tempo siderale sono regolati pendoli e orologi principali di un osservatorio, il metodo classico di determinazione del tempo è l'osservazione dei passaggi in meridiano (con lo strumento dei passaggi o col circolo meridiano; figg. 5, 6) di stelle di posizione esattamente nota sulla sfera celeste. L'una delle due coordinate fissanti tale posizione è l'ascensione retta, la quale non è altro che l'ora siderale locale alla quale la stella passa in meridiano, in culminazione superiore; la correzione dell'orologio sarà adunque la differenza fra l'ascensione retta della stella e il tempo segnato dall'orologio siderale nell'istante esatto in cui essa passa in meridiano. Tale lo schema della determinazione del tempo in un osservatorio, fatta astrazione dai particolari di osservazione e dalle riduzioni e dai calcoli sui dati di questa: basti il dire che in pratica si osservano, non una, ma parecchie stelle, e non il passaggio per un solo filo che segni il meridiano nel campo del cannocchiale, ma i passaggi per parecchi fili di un reticolo o per un filo mobile; che tali passaggi sono elettricamente registrati da una punta sul cronografo insieme con le battute del pendolo registrate da altra punta; che occorre poi, nella deduzione della correzione del pendolo, tener conto dell'effetto perturbatore di certi inevitabili errori di costruzione e di giacitura dello strumento di osservazione (collimazione, azimut, inclinazione, ecc.). I passaggi, in determinazioni più correnti e di campagna, si possono osservare a un altazimut o a un teodolite, e possono anche essere quelli del Sole e l'osservazione esser fatta a stima sulle battute dell'orologio o, come si dice, a occhio e orecchio.

Un altro procedimento di determinazione del tempo consiste nel registrare i tempi dell'orologio nei quali la stessa stella, prima e dopo il passaggio in meridiano, raggiunge la stessa altezza sull'orizzonte; la media di quelle coppie di tempi corrisponderà alla culminazione superiore della stella, come nel metodo classico. Il problema si complica se si osservano coppie di altezze del Sole o della Luna, perché la declinazione di questi astri non è costante. In stazioni terrestri gli strumenti usati a tal fine sono ancora l'altazimut o il teodolite: in mare si usa il sestante.

Ma l'osservazione di qualsiasi fenomeno o aspetto celeste istantaneo, di cui sia noto o si possa calcolare con precisione il tempo in cui si verifica, collegata, tale osservazione, con la lettura o con l'automatica registrazione dell'indicazione dell'orologio, può servire a dedurre la correzione di questo, cioè può servire alla determinazione del tempo.

Così, con gli stessi strumenti or ora citati si può osservare da un luogo terrestre o da una nave, in luogo di coppie di altezze corrispondenti di una stella, anche altezze isolate (da correggersi sempre per la rifrazione) di una o più stelle, o del Sole o della Luna, possibilmente presso il primo verticale, per mettersi nelle migliori condizioni ed evitando di osservare astri troppo bassi all'orizzonte. Fenomeni istantanei, la cui osservazione può servire alla determinazione del tempo, sono pure le occultazioni di stelle dietro la Luna, le eclissi, le occultazioni e i passaggi sul disco planetario dei satelliti di Giove, ecc.

Se una determinazione di tempo ci fornisce la correzione dell'orologio di osservazione (e quindi di quegli altri tutti che si possano con quello paragonare), due o più successive ce ne potranno dare, come già si rilevò, l'andamento, in base alla variazione della correzione stessa nell'intervallo o negl'intervalli.

Il servizio del tempo, una volta disimpegnato dagli orologi solari solo a cielo sereno (horas non numero nisi serenas), è passato a poco a poco nell'evo moderno agli orologi, in generale poco controllati e poco confrontati fra loro, per quanto il tempo fosse scrupolosamente determinato e conservato negli osservatorî. Più tardi e cioè in epoca relativamente recente, a opera appunto degli osservatorî, s'iniziò un servizio pubblico del tempo, dando in alcune delle maggiori città, e specialmente nelle marittime, il segnale del mezzogiorno o altro segnale orario. Anche gli orologi pubblici elettricamente collegati e comandati, diffusi nelle città, contribuiscono, con modesta approssimazione, allo scopo. Le società telefoniche e soprattutto la radio intensificarono e perfezionarono il serizio pubblico del tempo, sempre sotto il controllo degli osservatorî. La radio poi, accanto a segnalazioni dell'ora ripetute lungo il giorno per il pubblico, emette da molte stazioni mondiali serie di segnali cosiddetti scientifici del tempo, di alta precisione, utilizzati anche da alcuni osservatorî, ma soprattutto preziosi per la conservazione del tempo del semimeridiano fondamentale e quindi per la determinazione del punto in mare (v. sopra).

Bibl.: G. Santini, Elementi di astronomia, 2a ed., voll. 2, Padova 1830; A. Müller, Elementi di astron., voll. 2, Roma 1904; F. Porro, Trattato di astron., I, Bologna 1920; M. Rajna, L'ora esatta dappertutto, Milano 1897.