TEODORO di Mopsuestia

Enciclopedia Italiana (1937)

TEODORO di Mopsuestia

Giuseppe RICCIOTTI

Chiamato talvolta anche T. di Antiochia, dal suo luogo di nascita, nacque verso il 350, morì nel 428.

Appartenne a famiglia facoltosa ed ebbe per fratello Policronio di Apamea, e per condiscepolo Giovanni Crisostomo con cui studiò prima sotto Libanio, poi nell'"asceterio" di Diodoro presso Antiochia. Quivi, datosi particolarmente allo studio della Bibbia, a un tratto cambiò intenzione, abbandonando la vita ascetica, e tornò in città con l'intenzione di sposare una certa Ermione e darsi all'avvocatura. Due scritti del Crisostomo Ad Theodorum lapsum (in Patrol. Graeca, XLVII, 277 segg., 309 segg.) ed esortazioni di comuni amici richiamarono T. al chiostro e agli antichi ideali (l'autenticità della risposta di T., ibid., XLVIII, 1063 segg., è contestata). Dedicatosi tutto allo studio della Scrittura, cominciò a scrivere su questioni teologiche all'età di circa 20 anni. Poco dopo il 383 fu ordinato sacerdote (forse insieme col Crisostomo) dal vescovo Flaviano; dopo il 386 raggiunse a Tarso l'amico Diodoro, che ne era divenuto vescovo, e nel 392 fu egli stesso nominato vescovo di Mopsuestia in Cilicia, nel quale ufficio rimase 36 anni, fino alla morte. Nel 394 prese parte al concilio di Costantinopoli, e durante le persecuzioni subite dal Crisostomo gli rimase sempre fedele. Verso il 421 ospitò Giuliano di Eclano e altri ecclesiastici di sentimenti pelagiani, benché più tardi approvasse la condanna del pelagianismo emessa in un concilio di Cilicia.

Per la sua acutezza e grande dottrina T. è uno dei più tipici rappresentanti della "scuola antiochena", quella che nell'esegesi della Scrittura mirava soprattutto al senso storico-letterale (in contrapposto alla "scuola alessandrina" che faceva largo campo all'interpretazione allegorica), e alla quale appartengono oltre al Crisostomo, a Diodoro di Tarso e a T., anche i discepoli di quest'ultimo, Giovanni d', Antiochia, Teodoreto di Ciro, Barsauma di Nisibi e Nestorio. La sua autorità in esegesi biblica fu tanta, che i Siri nestoriani lo chiamano ancora oggi l'"esegeta" per eccellenza.

La dottrina teologica di T., se non è formalmente e apertamente nestoriana nella questione cristologica, e pelagiana nella questione della grazia, è strettamente imparentata con queste eresie. Preoccupato d'impugnare l'arianesimo e l'apollinarismo, T. insiste così energicamente nel rilevare la compiutezza delle due nature, divina e umana, in Cristo, da sembrare di disgiungerle; come più tardi fece Nestorio, T. in un discorso tenuto da vescovo ad Antiochia negò che fosse lecito chiamare Θεοτόκος Maria madre di Gesù Cristo (del quale discorso dovette poi giustificarsi a motivo dello scandalo suscitato nel popolo); l'unione delle due nature in Cristo avvenne, secondo T., non κατ' οὐδίαν, bensì κατὰ εὐδοκίαν, ossia per una συνάϕεια che portò all'unità di persona (v. nestorio e netoriani, XXIV, 681). Nella questione della grazia T. ritiene bensì che la morte fu nell'umanità effetto del peccato di Adamo, ma mentre in Adamo stesso lo stato decaduto di mutabilità fu una conseguenza del peccato, nei discendenti di lui quello stato decaduto è una causa di peccato per la quale tutti in qualche maniera peccano personalmente; perciò la redenzione consiste nel riportare l'umanità nello stato di immutabilità e di immortalità, mediante la reintegrazione delle buone qualità naturali umane.

L'autorità di T. come teologo fu grandissima durante la sua vita, ma dopo la sua morte precipitò a un tratto, quando nestoriani da una parte e pelagiani dall'altra cominciarono ad addurre gli scritti di lui a sostegno delle proprie dottrine. Mario Mercatore lo designò come vero creatore del pelagianismo, mentre Esichio di Gerusalemme lo accusava di nestorianesimo e Rabbula di Edessa lo anatematizzava; nnalmente T. fu dichiarato eretico dall'imperatore Giustiniano nella sua condanna dei Tre Capitoli, e la condanna fu ripetuta nel V concilio ecumenico di Costantinopoli (v. costantinopoli: I concih di Costantinopoli, XI, 627; tre capitoli, controversia dei).

Scritti: I moltissimi scritti di T., elencati da Fozio (Bibl., codd., 81, 177), da Ebed-Jesu (v., Catalogo, 19) e da altri, sono andati quasi tutti perduti per effetto della condanna subita. Essi si riducevano a tre gruppi piincipali: Commenti biblici (a Genesi, Salmi, Profeti maggiori e minori, I-II Re, Giobbe, Ecclesiaste, Matteo, Luca, Giovanni, Atti, Lettere di S. Paolo), Scritti varî teologici (sui sacramenti, sul sacerdozio, sullo Spirito Santo, sull'Incarnazione, ece.); Lettere varie.

Frammenti più o meno ampî di questi scritti si sono conservati in greco, siriaco o latino, e i principali sono puhblicati in Patrol. Graecai LXVI, 124 segg.; E. Sachau, Theod. Mops. fragmenta syriaca, Lipsia 1869; H.B. Swete, Theod. ep. Mops. in epist. B. Pauli Comm., voll. 2, Cambridge 1880-82; G. Mercati, Un palimpsesto ambrosiano dei Salmi esapli, Torino 1896, J. Chabot, Comment. Theod. Mops. in evang., Parigi 1897; H. Lietzmann, Der Psalmenkommentar Theod. v. M., in Sitzungsberichte der kgl. preussischen Akad. Wiss., 1902, p. 334 segg.; F. Nau, Th. Mops. Controverses auMc le Macedoniens, in Patrol. Orient., IX, 1913, p. 635 segg.

Bibl.: L. Pirot, L'øuvre exégétique de Th. de M., Roma 1913; A. Baumstark, Geschichte der syrischen Literatur, Bonn 1922, p. 102 segg.; ulteriori indicazioni in O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchl. Lit., III, 2a ed., Friburgo in B. 1923, p. 312 segg.