teologia In senso largo, ogni dottrina relativa a Dio, o agli dei, o più genericamente alla religione. In senso stretto, con riferimento alla religione cristiana, la riflessione intorno al dato rivelato.
1.1 Antichità greco-latinaIl termine ϑεολογία appare con certezza per la prima volta in Platone (Repubblica II, 379 a). Essa però non fu impiegata allora per designare la dottrina di Dio propria del filosofo. I τύποι περὶ ϑεολογίας di cui parla Platone sono i criteri secondo i quali devono essere ammesse, per l’educazione e per l’integrazione nello Stato, le «disquisizioni sugli dei», cioè i differenti miti, all’interno dei quali Platone si propone di operare una cernita. È in funzione dello stesso uso che Aristotele chiama ϑεολόγοι o ϑεολογήσαντες i poeti, autori di racconti mitici, quali Esiodo e Omero, in contrapposizione ai ‘fisici’ della Ionia i quali spiegano le cose attraverso la loro natura fisica. Peraltro, nella stessa Metafisica, Aristotele assimila la t. a ciò che egli chiama la ‘filosofia prima’, che studia l’essere in tutta la sua generalità. Questa ‘filosofia teologica’ è posta al vertice della filosofia ‘teorica’, al di sopra della fisica e della matematica.
1.2 Il cristianesimo anticoLa parola t. non figura affatto nel Nuovo Testamento, nonostante l’esistenza di numerosi altri vocaboli formati con il radicale ϑεο-. Se i primi autori cristiani non fecero ricorso a questo termine, ciò fu dovuto all’uso troppo caratterizzato in ambito pagano. Tuttavia, già con
I Padri greci tendono a dotare la parola di un contenuto sempre più determinato rispetto all’oggetto della fede cristiana, definita anch’essa con sempre maggior precisione. In Atanasio si ha un impiego costante di t. nel senso di ‘dottrina della Trinità’, mentre Gregorio di Nazianzo dà il nome di ‘teologi’ ai grandi difensori dell’ortodossia trinitaria. Così pure è in questo momento che si opera la distinzione, rimasta classica nella Chiesa d’Oriente, tra la t. che verte sulla realtà intima di Dio e l’‘economia’ che si riferisce all’opera di rivelazione e di salvezza realizzata dal Logos incarnato. All’inizio del 6° sec., un nuovo sviluppo al concetto di t. viene dallo Pseudo-Dionigi, che continua a designare con la parola ϑεολογία la Sacra Scrittura e con la parola ϑεολόγος gli autori ispirati, ma introduce anche delle distinzioni, rimaste classiche, per caratterizzare differenti modi d’affrontare il problema di Dio e di parlarne: si ha così una t. «segreta e mistica», o anche «simbolica», che unisce a Dio, e un’altra «aperta e più manifesta», «filosofica e dimostrativa». Di rilievo inoltre è l’idea di ‘t. negativa’, che insiste sul carattere inesprimibile del mistero divino, nozione questa che sarà ripresa costantemente nel corso dei secoli.
Nel mondo latino fino a Mario Vittorino e ad Agostino la parola t. resta o del tutto ignorata o recepita solo nel significato che essa aveva nel paganesimo.
1.3 Il MedioevoIl concetto di t. quale si è imposto pressoché universalmente nel corso dei secoli, cioè di teoria sistematica di Dio e della realtà della fede, risale al Medioevo latino, all’inizio della scolastica, in particolare ad Abelardo e a
2. Le origini della t. cristiana
2.1 Il Nuovo TestamentoSe per t. si intende la riflessione sulla parola di Dio, tale riflessione è già negli scritti del Nuovo Testamento. Il primo scrittore cristiano, Paolo, intenta un processo alla «saggezza dei saggi» e all’«intelligenza degli intelligenti», opponendo a questa pseudosaggezza la «saggezza di Dio», che si esprime nella «follia» del messaggio della Croce (I Corinzi 1, 1 - 2, 9): la verità cristiana non si risolve affatto nelle speculazioni o nei calcoli della ragione. Lo stesso Paolo spiega però che «dalla creazione del mondo» le opere di Dio rendono visibili all’intelligenza i suoi attributi divini («potenza eterna e divinità») sicché gli uomini «sono senza scusa poiché, conoscendo Dio, essi non l’hanno né glorificato, né ringraziato come Dio» perdendosi «nei loro vani ragionamenti» (Romani 1, 20-21). Parimenti, Paolo esorta i cristiani al vero culto «a Dio gradito» e cioè a un «culto secondo il lògos» (Romani 12, 1).
A fianco di Paolo è Giovanni che, tradizionalmente, si ritiene debba meritare in modo eminente la qualifica di teologo, per la dottrina del Logos che «era presso Dio» ed «era Dio», attraverso il quale «tutto ha avuto l’esistenza» (Giovanni 1, 1-3), si è «fatto carne» e «ha posto la sua tenda in mezzo agli uomini», al punto che alcuni hanno potuto «contemplare la sua gloria» (Giovanni 1, 14). La sua manifestazione, che risale a un’iniziativa proveniente «da un altro luogo», dal «Padre» (Giovanni 8, 42; 7, 28-29; 17, 8), ha qualcosa di paradossale, perfino di «urtante» (6, 61). Essa non dispensa affatto dalla fede, anzi la richiama (6, 61), anche se, a sua volta, la fede non si concepisce senza «conoscenza».
2.2 La patristica e l’incontro con la filosofiaFin dal 2° sec. gli apologeti, in particolare Giustino, cercano di gettare un ponte tra il cristianesimo ricevuto dalla predicazione apostolica e il pensiero pagano. Uno sforzo più profondo di penetrazione e di utilizzazione della cultura dell’ambiente è compiuto dalla scuola di
Una simile prospettiva viene portata avanti e approfondita da
Nel mondo latino, chi segna in età patristica il punto di partenza di una elaborazione ‘teologica’ delle realtà della fede è Agostino, anch’egli apportatore di un’influenza indelebile sulla t. posteriore, e in primo luogo su quella del grande periodo medievale. Agostino insiste sulla necessità di porre a reciproco servizio e controllo l’intelligenza e la fede. Questo principio e questo modo di regolare l’esercizio della t. si trovano condensati nelle parole di un suo sermone: «intellige ut credas, crede ut intelligas» (Sermone 43, c. 7, nr. 9).
3.1 Tradizione e rinnovamentoL’aspetto che viene più nettamente, e quasi esclusivamente, in luce tra il 6° e il 12° sec. è la preoccupazione della fedeltà ai dati ricevuti dalla tradizione. L’eredità ricevuta dal passato è anzitutto la Sacra Scrittura, e
Una notevole ripresa della riflessione teologica si ritrova già nel 9° sec., sotto l’impulso di Alcuino, nelle scuole della rinascita carolingia. Tali scuole non sono soltanto scuole di t., ma in esse le arti liberali sono insegnate in quanto corpo autonomo, nel duplice raggruppamento del trivium (grammatica, dialettica, retorica) e del quadrivium (aritmetica, geometria, musica, astronomia). Un autore di questo periodo merita più d’ogni altro d’essere ricordato per aver dato testimonianza di un pensiero veramente originale: Scoto Eriugena. La sua opera costituisce un vigoroso monumento di riflessione teologica che assume e introduce nell’Occidente latino le strutture del pensiero dello Pseudo-Dionigi e profondamente incide nella formazione soprattutto della teologia negativa.
Nell’11° sec. cominciano a delinearsi i grandi conflitti, allorché la ‘dialettica’ entra, in maniera decisa, nelle trattazioni concernenti la fede. Il primo celebre conflitto fu quello fra Berengario di Tours e Lanfranco di Pavia riguardo la dottrina eucaristica. Altro conflitto di ancor più vasta portata oppone, sempre intorno al ruolo della dialettica nel trattare la realtà di fede, due grandi figure dell’inizio del 12° sec.: Abelardo e Bernardo di
Anselmo di
3.2 Le grandi summae teologicheIl 13° sec., che detiene quasi il monopolio delle grandi summae teologiche, costituisce in una certa linea di ricerca e per una certa concezione della t., un punto d’arrivo. In questa fase della ‘cristianità’ la fede permea tutta la vita sociale ma nel contempo viene a introdursi nel mondo culturale il sistema ‘razionale’ di Aristotele. Non sono più soltanto le sue opere logiche, raggruppate sotto la denominazione di Organon, a nutrire il pensiero dei dottori, ma anche la sua metafisica, la sua fisica, la sua psicologia e la sua etica. Queste opere, tradotte a più riprese tra il 12° e il 13° sec., già influenzano Guglielmo d’Auxerre e Filippo il Cancelliere, e hanno un peso determinante soprattutto sull’opera di Alberto Magno e su quella di Tommaso d’Aquino.
In Tommaso, la ragione che opera in t. è una ragione che conosce la natura delle cose e che va lasciata libera di adempiere pienamente al suo ufficio. I primi scritti di Tommaso sono d’ordine propriamente filosofico (De ente, De principii naturae). Anche se egli intende, come tutti i suoi contemporanei, il ruolo della filosofia come ‘ancella’ della t., questa ‘ancella’ assicurerà tanto meglio il suo servizio se prima sarà stata affrancata. L’opera a cui, anzitutto, si dedica Tommaso è comunque un’opera teologica e che teologica intende essere. Essa mira alla conoscenza del Dio della Rivelazione, per la realizzazione del destino soprannaturale dell’uomo. I principi di questa nuova t. possono ridursi a due proposizioni fondamentali: la grazia non sopprime la natura, ma la perfeziona; esiste un rapporto di ‘analogia’ tra quello che possiamo sapere e dire di Dio e quello che egli è realmente.
In opposizione al deciso aristotelismo tomista, tutto un assieme di teologi soprattutto francescani resta sulla linea di un’ispirazione puramente agostiniana. Il più importante di questi è Bonaventura, la cui opera mantiene per questo aspetto un fondamentale interesse. Il principio agostiniano dell’‘illuminazione’ dello spirito da parte della grazia di Dio viene da Bonaventura sviluppato in maniera sistematica: la conoscenza delle realtà create non si può fare se non partendo dalla sorgente divina da cui esse procedono; esse sono allora afferrate nel loro valore simbolico, in cui consiste la loro verità. Con il suo orientamento più antropologico che cosmologico, la t. bonaventuriana reca in sé, almeno per certi aspetti, maggiori affinità che non la t. tomista con una moderna visione teologica.
3.3 La crisi del tomismoFin dall’inizio del 14° sec. il solido edificio sistematico di Tommaso comincia a subire incrinature, che intaccano sia il contenuto sia l’idea stessa di teologia. Esse sono poste in evidenza già nell’opera di Duns Scoto, che sottopone a una critica acuta tutto intero il sistema aristotelico-tomista. Attraverso un esame critico del funzionamento della ragione, egli contesta a quest’ultima una parte importante dei poteri riconosciutigli dal tomismo, in particolare riguardo le realtà di fede. Pur senza rompere ogni legame tra filosofia e t., egli tende a stabilire tra esse una ben più netta indipendenza.
Le rotture annunciate da Duns Scoto sono consumate nel corso del 14° e 15° sec. dal nominalismo, corrente filosofico-teologica che nega, in modo particolare, che una qualsiasi realtà corrisponda a idee generali (non è reale se non ciò che è singolare; il concetto si riduce al segno, alla parola, al ‘nome’ che lo indica in modo puramente convenzionale). I più notevoli rappresentanti di questa tendenza sono Guglielmo d’Occam, Pietro d’Ailly e
Scotisti e nominalisti non sono i soli a impegnarsi in distinzioni e in ipotesi. I seguaci della scuola tomista, quali Capreolo o Caietano, preoccupati di commentare e difendere le posizioni del maestro più che di approfondire l’indagine diretta dei contenuti di fede, pongono mano ad argomentazioni più abili che feconde. La t. diventa, ogni giorno di più, un affare di ‘scuole’, che per lo più si riallacciano agli ordini religiosi. Essa merita allora l’appellativo di ‘scolastica’, che contraddistingue una situazione che è causa e conseguenza di un modo di teologare estraneo alla vita della Chiesa e al mondo devoto.
Di contro alla estraniazione della t. ufficiale dal mondo spirituale della Chiesa, viene tuttavia emergendo una ricerca d’autentica interiorità, congiunta al culto della Sacra Scrittura gustata senza intermediario. Una delle testimonianze più famose di questa ricerca e di questa ‘devotio moderna’ è l’Imitazione di
Mentre la cristianità medievale manifesta tutti i segni della sua disgregazione, un mondo nuovo comincia ad annunciarsi, nel quale la t. è destinata a ricevere un nuovo statuto o, piuttosto, deve scoprire una sua collocazione, leggere nuove possibilità.
Una nuova concezione dell’operare teologico, si pensa, può a un tempo rispondere alle esigenze di una cultura rinnovata, preoccupata della verità oggettiva e che comincia a svegliarsi al senso della storicità, e a quella di coloro che si preoccupano di soddisfare l’aspirazione interiore per un nutrimento religioso autentico. L’opera di Erasmo è particolarmente rappresentativa di questo duplice orientamento di una t. impegnata a cercare nuove strade: a fianco degli studi filosofici e storici sulle fonti cristiane, Erasmo consacra il meglio dei suoi sforzi a lavori di educazione morale e spirituale, coinvolgendo l’uno nell’altra umanesimo e t. cristiana.
Un nuovo modo di ‘teologare’ è realizzato da
Il secondo grande riformatore,
5. Dall’Illuminismo all’Ottocento
Dopo la rivoluzione della Riforma e le sistematizzazioni del 17° sec., il nuovo contesto in cui si deve inserire la t. è anzitutto quello dell’Illuminismo. Seguendo un processo già iniziato nel Seicento, la t. subisce sempre più la concorrenza, nel campo della cultura, della scienza e della filosofia. La scienza in particolare contesta sempre più alla t. l’universalità delle sue competenze. Il caso di Galileo costituisce l’esempio più illuminante di tale conflitto. Dopo la serrata critica alla cosmologia aristotelico-scolastica a cui era più o meno legata la t., è la volta della storia, e in particolare della storia sacra la cui critica coinvolge gli stessi documenti di base. La t. sembra respinta sempre più in uno spazio irreale e in essa non si tarda a vedere un modo di pensare da cui è importante affrancarsi, se si vuole cogliere la realtà nei suoi molteplici aspetti e in un modo utile e fecondo. Lo scienziato non solo non ha bisogno dell’‘ipotesi Dio’ per stabilire le leggi del reale, ma deve anzi respingerla, se vuole operare con rigore e progredire nella conoscenza effettiva del mondo.
Più tardi, e in un diverso contesto culturale, la filosofia, nel tentativo di penetrare all’interno della t. allo scopo di rianimarne il contenuto, finisce con l’assorbirla nel suo procedimento: non più quindi una disciplina edificata sulla fede, ma sulla ragione. Ciò posto, continuare a parlare di t. non ha più senso e in qualche modo più conseguenti sono coloro che seguono il pensiero di G.W.F. Hegel nel senso dell’ateismo e della riduzione della t. a pura antropologia. Tale è, in particolare, il caso di L. Feuerbach, per il quale «compito dei tempi che sono ora arrivati» è «la trasformazione e la dissoluzione della t. in antropologia». Nel contempo un altro filosofo, S. Kierkegaard, denuncia la mistificazione del sistema hegeliano, in quanto ignora quel che c’è di più reale: la soggettività. Kierkegaard non intende operare direttamente come teologo ma come filosofo, e come tale apre nuove strade alla t., determinate dalla coscienza dell’«assoluta differenza qualitativa» tra Dio e l’uomo.
La t. costituitasi nel 19° sec., nel protestantesimo, è essenzialmente ‘liberale’, dominata dall’alta statura di F. Schleiermacher, il quale concepisce il suo compito di teologo come quello di un ‘virtuoso’ ermeneuta della religione, che interpreta con arte, per svelarne lo spirito e la virtù, il dato cristiano. Un simile trattamento presuppone la plasticità di tale dato, da considerarsi più che nella rigidità delle sue forme nella vivente recezione in seno all’anima del credente. Pertanto la t. parla in modo fondamentale dell’uomo: dell’uomo religioso, dell’uomo religioso cristiano, che vive nella comunità cristiana, ma sempre dell’uomo. Essa è una ‘scienza dello spirito’ tra le altre e in tal senso rappresenta un settore, una dimensione, per altro imprescrittibile, dell’antropologia. In quanto antropologia cristiana, la t. non potrebbe venir elaborata senza parlare del Cristo, e con lui di tutta la realtà storica che da lui deriva e a lui si riallaccia. Ma sia Cristo sia questa realtà tendono a essere considerate unicamente come simbolizzazione di ciò che, a proprio modo e secondo la propria intensità, è vissuto da ogni coscienza religiosa. In tal senso la t. entra piuttosto nel quadro della storia e della psicologia religiosa.
Questa t. ‘liberale’ troverà echi oppure varianti nel modernismo cattolico. Altri teologi cattolici nel 19° sec., tuttavia, tentano di far fronte in altro modo alle rivendicazioni della ragione e del soggettivismo.
6. Il rinnovamento del 20° secolo
Il rinnovamento della t. nel 20° sec. è avvenuto, anzitutto, attraverso un ritorno alle fonti: all’ispirazione dei riformatori in seno al protestantesimo, alla Scrittura e alla tradizione patristica in seno al cattolicesimo. Dopo la
Mentre la t. protestante opera questo deciso ritorno alle fonti del profetismo, quella cattolica ritorna alle fonti della fede, specialmente quelle scritturistiche e patristiche, ma anche con lo sforzo di ritrovare la vera ispirazione dei grandi teologi medievali. I nomi di
La solidità del rinnovamento è rimessa in causa subito dopo la
Come la fede, di cui essa rende conto, la t. deve far fronte al fenomeno della secolarizzazione, secondo cui le realtà del mondo e della società tendono a stabilirsi in un’autonomia sempre più grande, rifiutando o ignorando ogni riferimento religioso. Sotto lo stimolo di tale situazione, la t. interroga una volta di più sé stessa; e invece di considerare la secolarizzazione come una minaccia, ne fa, con uomini come F. Gogarten o H. Cox, uno dei temi privilegiati della sua riflessione. Se il senso della dottrina della creazione è quello di ‘disilludere’ la natura; se tutta la rivelazione biblica, affermando la sola santità di Dio, tende a liberare l’uomo dagli idoli che lo sottomettono; se essa culmina nell’opera del Cristo che ha fatto dell’uomo un ‘affrancato’, erede del Regno, allora, lungi dall’opporsi alla fede di cui la t. rende conto, la secolarizzazione può apparire piuttosto come la conseguenza della fede, di cui la t. deve scoprire le radici giudaico-cristiane per garantire le condizioni necessarie per la sua continuazione correggendo le eventuali perversioni cui con il tempo è andata incontro. Per questo la ‘t. della secolarizzazione’ deve sempre preoccuparsi di saper parlare di Dio.
Ancora da questa preoccupazione è mossa quando, come t. della ‘morte di Dio’ (
Particolarmente avvertito, nella riflessione della seconda metà del 20° sec., è soprattutto il problema della funzione pratica della t., che si volge nella direzione di un chiarimento del rapporto tra fede e azione. Sotto nomi diversi, t. della speranza, t. politica, t. della liberazione, la t., sottolineando il momento progettuale connesso alla riflessione sulla fede, si rivolge all’uomo concreto, per una salvezza che si realizzi nella storia. Suo motivo ispiratore è la speranza, la quale, mantenuta dalla fede, spinge l’uomo a non rassegnarsi alla situazione esistente ma piuttosto a operare attivamente in vista della costruzione di un mondo nuovo e migliore.
7.1 T. cattolicaLa direzione della t. cattolica nell’ultimo trentennio del 20° sec. e agli inizi del 21° è quella indicata dall’accoglimento del concilio Vaticano II e dallo sviluppo dei suoi orientamenti metodologici e contenutistici, soprattutto in antropologia, ecclesiologia, cristologia, mariologia, morale. Argomenti come la natura e la missione della Chiesa, l’autorità del magistero, il ministero del vescovo di
7.2 T. protestanteI percorsi della t. protestante della fine del Novecento non si discostano molto da quelli della t. cattolica. Dopo le grandi figure di K. Barth, R. Bultmann,
Anche nella t. protestante contemporanea, come in quella cattolica, è molto viva la preoccupazione dell’inculturazione del messaggio cristiano. Non è poi irrilevante, sia nella t. cattolica sia in quella protestante, la cosiddetta ‘t. femminista’, una corrente di non facile decifrazione; essa infatti comprende studiose che s’inseriscono all’interno della tradizione biblica e cristiana (come R. Radford Ruether,
7.3 T. ortodossaLa t. ortodossa ha due difficoltà per farsi conoscere e apprezzare: la prima dipende dalla barriera linguistica, costituita dal greco e dalle diverse lingue slave; la seconda deriva da un certo periodo di ‘sottosviluppo’ teologico, determinato dalla turcocrazia prima e quindi dai regimi comunisti durante buona parte del Novecento. Questi eventi traumatici hanno impedito l’evolversi sistematico della riflessione teologica, che dopo lo splendore del periodo bizantino ha conosciuto un periodo di decadenza; questo, almeno per quanto riguarda i territori di lingua greca, è durato più di quattro secoli. Se la t. protestante ha come punto di riferimento essenziale la Bibbia, la t. ortodossa ha come principale riferimento la grande tradizione patristica dei primi secoli cristiani. Non mancano, tuttavia, aperture dialettiche nei confronti della cultura contemporanea, come si può osservare, per es., nella t. pneumatologica di N. Nissiòtis, nel personalismo cristiano di J. Ziziùlas, nel rinnovamento biblico di S. Agurìdis, in quello liturgico promosso da J. Fundùlis, nella riconsiderazione critica degli studi patristici realizzata da P. Chrìstu, nel rinnovamento degli studi morali patrocinato da G.I. Mantzarìdis e nell’apertura al dialogo ecumenico sostenuta da N. Matsùkas.