MODELLI, Teoria dei

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

MODELLI, Teoria dei (App. III, 11, p. 139)

Giulio Supino
Alberto Pasquinelli
Aldo Marruccelli

In questi ultimi 15 anni (1960-75) la t. dei m. si è sviluppata secondo due ordini di idee del tutto opposti. Da una parte (per m. destinati a dare un'idea generale del fenomeno in esame, come sono spesso i m. tecnici) si è abbandonata qualche condizione restrittiva specialmente quando si devono fornire informazioni soltanto globali su alcuni aspetti del fenomeno. La similitudine allora non deve più essere considerata localmente ma globalmente, e può essere facilitata e semplificata dalle conoscenze specifiche raggiunte nella classe dei fenomeni che si vogliono riprodurre su modello.

Per fare un esempio: la resistenza complessiva al moto di una corrente, in un tronco di configurazione e di lunghezza assegnate, dipende dal numero di Reynolds e da parametri di scabrezza e di forma; rispettati i coefficienti di forma, si può ottenere nel m. la similitudine meccanica "globale" operando con una coppia di valori N (numero di Reynolds) ed rs (parametro di scabrezza) diversi da quelli del prototipo, ma tali da dar luogo alla stessa funzione di resistenza, il comportamento della quale, almeno entro certi limiti, dev'essere precedentemente noto. In sostanza, il procedimento consiste nel simulare nel m. un effetto globale rilevabile nell'originale ricorrendo a una causa localmente diversa.

Un altro esempio, pure tratto dall'idraulica, riguarda la riproduzione in piccola scala di moti ondosi in profondità finita; questa riproduzione non consente l'innesco nel m. di uno strato limite turbolento se si rispetta la similitudine geometrica del fondo, mentre tale condizione può realizzarsi nel prototipo. Un'alterazione drastica della scabrezza del fondo consente anche in questo caso di ottenere il rispetto della similitudine per quanto riguarda l'energia dissipata dalle onde e, in gran parte, anche la configurazione della superficie libera, pur restando dissimili i moti in prossimità del fondo.

Con l'accrescersi delle conoscenze sui fenomeni da riprodurre (ossia delle leggi secondo le quali certi numeri adimensionali esercitano la loro influenza) diviene a un certo stadio possibile assegnare un insieme compatibile di scale di riduzione o perché qualcuna delle presunte dipendenze appare trascurabile o perché le conoscenze predette consentono di compensare con la variazione di un numero puro l'effetto degli scostamenti causati dall'esigenza tecnica di non rispettarne un altro.

Accenniamo ora all'altra linea di sviluppo della t. dei modelli. Quando si esigono risultati molto precisi (sia globalmente che localmente), allora occorre accrescere le dimensioni del m. (rispetto al prototipo). Si è così giunti, in alcune prove relative ad aerei, a eseguire il m. in grandezza naturale. A proposito di quest'ultima eventualità ci si potrebbe domandare se si tratta ancora di un "modello", ma la risposta è senz'altro affermativa per due ragioni: perché, volendosi valutare, per es., la resistenza al moto, le dimensioni esterne del "modello" sono le stesse di quelle del prototipo, ma non è necessario che il motore funzioni, che le ali siano portanti, ecc. La seconda ragione è che la tecnica sperimentale è quella stessa dei m.; l'aereo viene posto in un gigantesco tunnel aerodinamico ed è mantenuto fermo, investito da una forte corrente d'aria (mentre nella realtà la corrente è ferma ed è l'aereo che è in moto).

Nei problemi dinamici senza dissipazione di energia (o con dissipazione compensata da altri apporti) è stata suggerita recentemente l'introduzione di un "m. inverso" cioè di un m. che percorra il tempo partendo dalla situazione attuale e risalendo alla situazione iniziale. Ne tratteremo fra poco, a proposito dei m. geologici.

Premesse queste precisazioni, soffermiamoci sui vari tipi di m. per i quali si può suggerire qualche "novità" rispetto a quanto si è scritto quindici anni fa.

Modelli aerodinamici. - Diviene sempre più necessario sperimentare su m. in grandezza naturale, se si vuole avere una similitudine completa. Essi sono sempre "modelli" perché su di essa si sperimenta con la tecnica dei m. e perché la loro struttura è diversa (e più semplice) di quella dei prototipi. Nulla vieta di sperimentare anche direttamente su un prototipo per ricavarne indicazioni particolari; in questo senso il prototipo di oggi è m. per il prototipo di domani.

Modelli geologici. - L'idea fondamentale che ha suggerito l'utilizzazione dei m. geologici è quella esposta da M. King Hubbart nel 1937 sulla base di considerazioni intuitive e dimostrata nel 1964 (G. Supino). Se si considerano le equazioni dei liquidi viscosi e quelle dei solidi plastici e si semplificano trascurando le forze d'inerzia (che data la lentezza dei moti geologici non hanno influenza apprezzabile), si trova che in tutte e due le teorie vale la stessa relazione dimensionale. Per ottenere la similitudine dev'essere F/N = cost. (cioè F/N deve avere lo stesso valore nel m. e nel prototipo); qui è F = V2/(gl) (numero di Froude) e N = ρVl/η (numero di Reynolds); si osserverà che è F/N = ηV/l2), con V velocità locale, η coefficiente di viscosità, γ peso specifico, l lunghezza. Se si scelgono le equazioni dei solidi plastici, allora al posto di η occorre scrivere G/μ [essendo in campo plastico: ∂μ/∂x = μSx/2G) con Sx = σxS e S = 1/3 (σx + σy + σz)]. Si noti che le dimensioni di G/μ corrispondono a una viscosità sicché al posto di F/N occorrerebbe scrivere GV/(μγl2).

È indifferente usare la trasformazione relativa ai solidi plastici o quella relativa ai liquidi viscosi. Ma per portare qualche esempio concreto ci riferiremo a quest'ultimo caso perché i valori della viscosità sono meno incogniti che quelli del rapporto G/μ.

Consideriamo dunque una pila di strati calcarei del tipo di quella indicata in fig.1: la lunghezza delle pieghe sia di 10 km e la pila di strati sia alta 100 m. Si può adottare la scala delle lunghezze λ =10-5 (con che il m. ha una lunghezza di 10 cm e lo spessore della piega è di i mm). Si domanda se è possibile che il fenomeno si sia svolto in 10 milioni di anni. Se si pensa che nel m. il fenomeno debba svolgersi in un'ora e che F/N = ηV/l2) conservi lo stesso valore che nel prototipo sicché il tempo è ridotto come (1/876)10-8 e la lunghezza come 10-5] troveremo (η21) = (γ21) • 1,14 • 10-16 ed essendo η1 = 1021 e γ21 = 0,5 (circa) risulterebbe η2 = 0,57 • 105. Questo risultato mostrerebbe che il fenomeno non si sarebbe potuto svolgere in un'ora alla temperatura ordinaria e alla pressione ordinaria. Ma se si potesse supporre che il fenomeno si sia svolto alla pressione di 10.000 atmosfere, allora la viscosità della roccia sarebbe stata pressappoco η1 =1015 e il fenomeno avrebbe potuto svolgersi in meno di un'ora perché η2 risulta inferiore alla viscosità dell'olio di oliva.

Molti altri fenomeni geologici si prestano a un'indagine modellistica. Le esperienze dovrebbero metterci in condizione di verificare sotto quali azioni si sono svolte le dislocazioni delle rocce delle quali conosciamo la situazione finale (cioè quella odierna) e presumiamo una data situazione iniziale. Di fronte a questa posizione può essere utile costruire un m. inverso: cioè un m. nel quale si assume come iniziale la situazione finale (che è nota), si applicano a esso, in ogni punto, risultanti eguali e opposte a quelle che si ritiene abbiano agito nel tempo e si controlla se la situazione finale corrisponde a quella che si ritiene esistesse all'inizio del dislocamento.

L'utilità del m. inverso (G. Supino, 1964) risulta da due elementi fondamentali:

1) che è conosciuto lo stato finale (come si è detto) mentre quello iniziale è soltanto supposto. Si potranno dunque applicare allo stato finale sistemi differenti di forze e controllare quale sia il sistema che porta allo stato iniziale previsto (e se tale sistema può avere agito effettivamente).

2) che non è detto che il moto, quale si è svolto nei secoli, sia un moto stabile: cioè, non sappiamo se due configurazioni iniziali tra loro vicine diano luogo a distribuzioni finali pure vicine. Potrebbe essere che piccole differenze iniziali dessero luogo a differenze sensibili nello stato finale. In tale condizione le differenze sarebbero invece attenuate con l'uso del m. inverso.

S'intende che se il m. diretto fosse soggetto a forze dissipative, nel m. inverso sarebbe necessario un rifornimento di energia (per es., in alcuni casi un riscaldamento).

Esperienze su m. inverso sono state già eseguite (1971).

Modelli idraulici. - Si è osservato precedentemente che la t. dei m. si è sviluppata recentemente abbandonando alcune condizioni restrittive. Infatti per m. destinati a dare un'idea generale del fenomeno in esame, si è rinunciato alla costanza di qualche numero puro (specialmente quando è sufficiente ottenere indicazioni di carattere globale su alcuni aspetti del fenomeno).

In questi casi, la similitudine dev'essere considerata "globalmente" e può essere facilitata dalle conoscenze specifiche raggiunte nella classe dei fenomeni da riprodurre in modello.

Si è pure accennato a due fenomeni idraulici che possono essere trattati nel modo or ora indicato: la resistenza complessiva al moto di una corrente e la riproduzione in piccola scala di moti ondosi in profondità finita innescando nel m. uno strato limite turbolento.

Ma un'applicazione, particolarmente notevole, di questi criteri si ha nello studio contemporaneo del trasporto solido e della modellazione del fondo mobile in un alveo fluviale.

I fatti da esaminare e da elencare comprendono l'entità e l'andamento delle portate sia liquide che solide e le variazioni del fondo corrispondenti, perché un alveo mobile può essere diversamente sagomato nei vari stati d'acqua. La similitudine (o più generalmente l'affinità) del moto della corrente e del materiale trasportato richiederebbe, in generale, la conservazione dei quattro numeri F = U2/(gY), N = 4UY/ν, F* = u*² /(gd), N* = u*d/ν. I primi due si riferiscono alla corrente, gli ultimi due al movimento di fondo. Infatti F (numero di Froude) è funzione della velocità media della corrente (U), della profondità (Y) e della gravità, mentre N (numero di Reynolds) è funzione, oltre che di U e Y, anche di ν (viscosità cinematica = viscosità/densità). Si dovrebbero poi conservare F* = u*² /(gd) con

(R raggio medio), d diametro medio del materiale di fondo, e N* = u*d/ν.

La conservazione dei quattro numeri è impossibile, ma noi sappiamo già che è possibile operare su scale distorte [e ciò modifica Y, U, i (pendenza) oltre che d], che F può essere modificato oltre che per distorsione anche trascurando la potenza cinetica, e infine che ricerche recenti hanno mostrato come in questo campo sussista una relazione X = ϕ[N*,(γai)F*], dove X è un monomio adimensionale funzione di ρ, η, γi, d, u*. La ϕ è conosciuta in molti casi (sia in base a ricerche sperimentali sia in base a deduzioni teoriche) e di questa conoscenza ci si serve per impostare e risolvere il problema pratico.

Consideriamo, per es., un tratto piano (ma inclinato all'orizzontale) di alveo mobile. Al crescere della portata oltre un certo valore le singole particelle vengono messe in moto per rotolamento e scorrimento in maniera più o meno sporadica e intermittente. Successivamente il fondo viene interessato da corrugamenti e increspature aventi distribuzione abbastanza regolare e altezza piccola in confronto alla loro lunghezza. Le dune di fondo appaiono solo per portate più elevate. Con le dune il fondo è intersecato irregolarmente da ampi dossi che presentano una dolce pendenza verso monte, lungo la quale il materiale viene eroso, e un ripido pendio rivolto a valle, contro il quale si ha nuovo deposito. L'ulteriore aumento della portata conduce all'obliterazione delle dune e alla ricostituzione di un fondo pressoché piano, seppure striato longitudinalmente. Si tratta di una forma d'alveo molto stabile, che viene detta "di transizione" solo perché prelude all'apparire di nuove ondulazioni di fondo: le antidune a profilo longitudinale simmetrico. In quest'ultimo stadio il sedimento, che è pur sempre trascinato a valle, viene eroso dal dorso di valle del corrugamento e parzialmente deposto sul fianco di monte, cosicché le antidune, contrariamente alle dune, si muovono contro corrente.

A regime definitivamente raggiunto la configurazione assunta dal fondo appare legata ai valori dei soli numeri puri N* e F* nel modo illustrato nella fig. 2, che riassume le conclusioni cui sono pervenuti A. Shields, H. Liu, L. Albertson, D. Simons e A. Richardson poggiandosi su dati sperimentali propri e altrui. La curva inferiore della figura fissa le situazioni in corrispondenza delle quali ha inizio il movimento con alveo incoerente, originariamente piano e costituisce la trasposizione sul riferimento Fr* (= u*/w = N*/Nf) e Nf (= wd/ν) del grafico di Shields. Qui ω rappresenta la velocità di caduta libera del grano medio (in acqua ferma) ed è

dove f(Nf) dipende solo da Nf.

La seconda curva è stata ottenuta da Liu in base a esperimenti condotti appositamente, e fornisce le condizioni per il primo apparire su un fondo piano di quelle piccole increspature indicate come ripples nella letteratura anglosassone.

Albertson, Simons e Richardson infine, elaborando materiale già esistente, hanno fornito i criteri per il primo formarsi di dune sul fondo, per il passaggio dal fondo a dune al fondo piano striato, e per la trasformazione di questo in un sistema antidune. I loro grafici, tracciati in origine sul piano N* = u*d/γ, Fr* e qui trasposti nel riferimento Nf, Fr*, appaiono sufficientemente fondati su basi sperimentali, eccezion fatta per quello superiore relativo al primo apparire delle antidune, che richiederebbe invece ulteriori ricerche. Si è già ricordato che i criteri riassunti nella fig. 2 si riferiscono a materiale di fondo incoerente. Come tali essi sono direttamente utilizzabili nei m. (perché in essi l'alveo è realizzato di norma con elementi slegati) ma richiedono qualche cautela nelle applicazioni ai corsi d'acqua naturali, nei quali il fondo è sempre più o meno cementato. Si dovranno perciò effettuare i computi necessari assumendo diametri del sedimento maggiori dei reali e controllando eventualmente qualche risultato con rilievi diretti sull'originale.

Un ulteriore esempio di similitudini parziali che conseguono tuttavia un buon grado di affidabilità nella riproduzione, è relativo ad alcune classi di fenomeni termofluidodinamici realizzati nella modellistica di problemi di distacco di vena e di cavitazione in condotte, fenomeni indotti da transitori idraulici. È infatti impossibile assegnare un insieme compatibile di scale di riduzione affinché sia riprodotto il fenomeno della crescita dei nuclei di cavitazione a cavità vaporose macroscopiche unitamente al fenomeno di moto vario elastico nelle zone integre del liquido operante, non potendosi conservare nel modello i numeri di Reynolds N e di Mach

dove C è la velocità del suono nel mezzo considerato] per la corrente liquida in condotto elastico e i numeri di Reynolds Nb, di Weber Wb e di Prandtl Prb per le bolle. Ci si svincola dalle condizioni imposte riducendo drasticamente nel modello, a mezzo di una degassazione e microfiltrazione del liquido, il numero di nuclei per unità di volume suscettibili di cavitazione in modo da conservare, anche in scala ridotta, le configurazioni assunte dalla zona cavitante nel prototipo. In tali condizioni, la cui buona realizzazione dipende tuttavia da una certa consuetudine sperimentale col fenomeno, il transitorio può essere modellato fisicamente operando sulla risposta elastica della parete dei condotti per ottenere la costanza simultanea di N e M per la corrente liquida. Il suggerimento di quest'ultimo comma è dovuto a E. Marchi.

Bibl.: Modelli geologici: M. King Hubbert, Theory of scale models as applied in the study of geologic structures, in Bull. of Geological soc. of America, vol. 48 (1937); G. Supino, Sopra la possibilità di modelli geologici, in Rendiconti della Accad. naz. dei Lincei, Nota I, dic. 1964, e Nota II, genn. 1965; A.E. Scheidegger, Theoretical geomorphology, Berlino 19702; L. Montefusco, G. Scarpi, G. Supino, Un esempio di modello geologico, in Rendiconti della Accad. naz. dei Lincei, sett.-ott. 1971; G. Pezzoli, Sistema bifase liquido-liquido e modelli geologici, in Atti del XIII Convegno di idraulica e costruzioni idrauliche, Milano 1972; F.P. Agtenberg, Geomathematics, New York 1974.

Modelli idraulici: L.M. Albertson, D.B. Simons, A.V. Richardson, Discussione su Mechanics of sediment - Ripple formation in Proceedings ASCE (American Society of Civil Engineers), febbr. 1958; J.L. Bogardi, Channel stability and sediment movement, VI Convegno di idraulica, Padova 1959; S. Yalin, Ueber die dynamische Aenlichkeit der Geschiebewegung, in Die Wasserwirtschaft, Hefte 8 e 9, 1960; A. Rubatta, Modelli fluviali indipendenti dal numero di Froude, in Atti dell'8° Convegno di idraulica, Pisa, apr. 1963, e in Giornale del Genio Civile, dic. 1963; G. Supino, Le reti idrauliche, Bologna 19652, cap. VI: Esperienze su modello, p. 516-41; J. Bogardi, Sediment transport in alluvial streams, in Akademiai Kiado, Budapest 1974.

La teoria dei modelli in logica matematica.

Lineamenti storici della teoria dei modelli. - Nella recente letteratura scientifica e tecnologica, il concetto di m. è stato arricchito di significative estensioni, tanto da acquisire pregnanza assai più vasta di quella tradizionalmente posseduta entro i settori della fisica, della chimica, dell'ingegneria, ecc. Tale sviluppo ha avuto luogo soprattutto all'interno delle scienze formali (logica, matematica), nonché delle scienze umane o sociali, in genere. Ne risultano così nuovi esiti della t. dei m., fra cui spicca, per organicità e portata, la dottrina inerente ai sistemi logico-matematici, oggetto esclusivo delle considerazioni che seguono.

Secondo un attendibile riferimento odierno, "la t. dei m." tratta specificamente, nell'ambito della logica matematica, del rapporto fra insiemi di enunciati, in prevalenza espressi mediante qualche peculiare linguaggio formale, da una parte, e insiemi di strutture che "li soddisfano" (cioè, nelle quali essi "valgono" o "sono veri"), dall'altra. Mentre agl'insiemi enunciativi può attribuirsi la qualifica di "teorie formalizzate" (sintattiche), i corrispondenti insiemi strutturali vengono detti "modelli" (semantici); questi costituiscono particolari interpretazioni delle teorie o sistemi formali dati.

Con simile significato, la denominazione stessa di "t. dei m." appare introdotta da A. Tarski poco dopo l'inizio degli anni Cinquanta, ma le basi della disciplina cominciarono a esser poste già precedentemente. Infatti, un primo contributo fondamentale al riguardo si rivela identificabile col teorema di Löwenheim-Skolem, stabilito e quindi generalizzato durante gli anni 1915-20: una formula del calcolo dei predicati ristretto priva di variabili individuali libere, se è soddisfacibile in un dominio, lo è in un dominio finito o numerabile. Ulteriori principi essenziali della t. dei m. hanno avuto formulazione a partire dal 1930, quando K. Gödel dimostrò il proprio teorema di completezza, implicante la deducibilità, entro il medesimo calcolo predicativo ristretto, di tutte le sue formule soddisfacibili. Successivamente, sono stati garantiti altri apporti classici a opera di studiosi come Tarski, A.I. Malcev, A. Robinson, ecc. La definizione tarskiana del concetto di verità, nel 1933, ha reso perspicue le modalità interpretative degli enunciati formali sulla base di precise strutture o modelli; Malcev, col mostrare che un insieme di formule del calcolo predicativo ristretto ha un modello, se ogni suo sottoinsieme finito ne ha uno, è riuscito, fra il 1936 e il 1941, a esibire validamente la cardinale significanza del teorema di compattezza, nonché a prospettarne feconde applicazioni in campo algebrico; infine, dal 1950 circa, Robinson ha saputo attingere una serie di risultati basilari per quanto concerne i temi della coerenza, della completezza, dell'analisi non standard, e simili, elaborando, inter alia, il cosiddetto "metodo dei diagrammi", più tardi sottoposto a proficua generalizzazione da parte di H. J. Keisler.

Con questi presupposti, la t. dei m. nell'ultimo venticinquennio si è sviluppata rigogliosamente grazie alle indagini di autori quali L. Henkin, R. L. Vaught, R. Lyndon, A. Mostowski, S. C. Kleene, W. Craig, R. Feys, E. W. Beth, R. Smullyan, G. Kreisel, R. Montague, S. A. Kripke, J. Hintikka, D. Scott, S. Feferman, C. C. Chang, J. Ax, S. Kochen, T. E. Frayne, A. C. Morel, J. Łoś, M. O. Rabin, J. N. Crossley, E. G. Fuhrken, W. P. Hanf, M. D. Morley, C. Karp. Essa ha conseguito esplicazioni determinanti sul piano della semantica dei linguaggi formali, in particolare per l'interpretazione del calcolo predicativo ristretto, dell'algebra, dell'aritmetica, dell'analisi, non senza addurre suggestivi punti di vista a complemento della problematica sintattica della teoria della dimostrazione, oltre che ai fini di un riesame critico delle teorie degl'insiemi, della ricorsività, della probabilità. Ulteriori prospettive sono state appropriatamente delineate circa la natura dei modelli nel contesto di dottrine logiche "non classiche" (intuizionismo, intensionalismo, modalismo), circa il carattere astratto delle strutture rilevanti per l'intrinseca riducibilità dei sistemi teorici, ecc.

Lo stesso assunto primario della t. dei m. - costituito, come si è visto, dallo studio delle relazioni fra insiemi di enunciati formali, o strutture assiomatico-linguistiche, o teorie formalizzate, e insiemi strutturali che li soddisfano, o modelli - coinvolge efficacemente in una medesima ricerca interdisciplinare principi e metodi di varie discipline: logica matematica, assiomatica, semantica, teoria degl'insiemi, algebra, assicurando con ciò un complesso molto potente di mezzi concettuali, procedure, orientamenti, fra cui palesano rilievo senza dubbio qualificante postulazioni infinitistiche, unite a moduli o schemi non costruttivi.

Bibl.: Sullo sviluppo storico della t. dei m., è fondamentale il saggio di A. Robinson, Model theory, in Contemporary philosophy: a survey. I, Logic and foundations of mathematics, a cura di R. Klibansky, Firenze 1968, pp. 61-73. Un'analisi parimenti storica, nella nostra lingua, risulta svolta all'interno dello studio di C. Mangione, La logica nel ventesimo secolo, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. VI, Milano 1972, pp. 645-56.

Fra le trattazioni sistematiche figurano sia lavori generali, come A. Robinson, Introduction to model theory and to the metamathematics of algebra, Amsterdam 1965; G. Kreisel, J.L. Krivine, Eléments de logique mathématique: théorie des modèles, Parigi 1967; R. Kopperman, Model theory and its applications, Boston 1972; sia testi più specifici, quali C.C. Chang & H.J. Keisler, Continous model theory, Princeton, N.J., 1966; R.B. Jensen, Modelle der Mengenlehre, Berlino, Heidelberg, New York 1967; J.L. Bell, A.B. Slomson, Models and ultraproducts. An introduction, Amsterdam 1969; M.C. Fitting, Intuitionistic logic, model theory and forcing, ivi 1969; H.J. Keisler, Model theory for infinitary logic, ivi 1971; G.E. Sacks, Saturated model theory, Reading 1972; sia raccolte d'importanti articoli di autori vari, come The theory of models (a cura di J.W. Addison, L. Henkin, A. Tarski), Amsterdam 1965; Sets, models and recursion theory (a cura di J.N. Crossley), ivi 1967; Applications of model theory to algebra, analysis and probability (a cura di W.A.J. Luxembourg), New York 1969. In italiano, costituisce opera d'insieme sull'argomento il volume di M.L. Dalla Chiara Scabia, Modelli sintattici e semantici delle teorie elementari, Milano 1968. Altre indicazioni bibliografiche possono reperirsi nella letteratura concernente temi affini, quali logica matematica (v. in questa App.), metamatematica (v. in questa App.), e simili.

Intorno all'odierna moltiplicità di significati o usi scientifici del termine "modello" vertono diverse pubblicazioni: per es.: The concept and the role of the model in mathematics and natural and social sciences (a cura di B.H. Kazemier, D. Vuysje, H. Freudenthal), Dordrecht 1961; H.M. Cundy, A.P. Rollet, I modelli matematici (trad. it., a cura di P. Canetta), Milano 1974; A. Bruschi, La teoria dei modelli nelle scienze sociali, Bologna 1971.

I fondamenti della teoria dei modelli.

Semantica delle teorie elementari. - La t. dei m., come detto sopra, è quella parte della logica matematica che studia le relazioni tra insiemi di espressioni di un linguaggio formale (teorie formalizzate) e insiemi di strutture in cui quelle espressioni sono valide. Nella presente esposizione ci si limita a considerare il caso delle teorie formalizzate elementari (cioè del prim'ordine), essendo queste le più semplici e importanti per le applicazioni.

Le espressioni di una teoria elementare T acquistano un significato quando ai simboli del suo linguaggio L si dà un'interpretazione in una struttura costituita da un dominio di individui e, per ciascun simbolo non logico di L, da opportuni enti relativi a quel dominio. Per es., se T è una delle consuete teorie formalizzate dell'aritmetica elementare, essa potrà acquistare un significato se viene interpretata nella struttura costituita dal dominio dei numeri naturali (per le variabili individuali di T), dalla costante "zero" (per il simbolo non logico 0), dalla funzione "successore" (per il simbolo non logico s), dalle operazioni di addizione e moltiplicazione ordinarie (rispettivamente per i simboli non logici + e •); il simbolo = sarà considerato come simbolo logico da interpretare sempre sul predicato diadico "è uguale a". Definiamo i concetti d'interpretazione e di struttura per il linguaggio L di una teoria elementare T (cfr. pure logica matematica: Principi di logica matematica, in questa Appendice). Una interpretazione I per il linguaggio L di una teoria elementare T consiste in una struttura (o universo) U(α) e in una determinata applicazione in essa dei predicati e delle funzioni di L. La struttura U(α) è formata: 1) da un insieme non vuoto α detto dominio degl'individui o anche universo; 2) per ogni simbolo di predicato n-adico P L, da una relazione n-aria Pα su α (cioè, un sottoinsieme della potenza cartesiana αn); per il simbolo del predicato diadico "=" la struttura conterrà la relazione binaria "è uguale a"; 3) per ogni simbolo di funzione a n argomenti f L, da una operazione (o funzione) fα : αn → α; in particolare, per ogni costante individuale (funzione a zero argomenti) c L, cα risulta essere un individuo del dominio α. L'applicazione individuata dalla I associa P a Pα e f a fα (in particolare c a cα), per ogni P, f, c L. Per qualsiasi interpretazione i connettivi enunciativi e i quantificatori sono applicati sulle corrispondenti funzioni di verità e di quantificazione, mentre le variabili individuali libere potranno essere applicate in tutti i modi possibili sugl'individui del dominio della struttura e quelle vincolate nei modi consentiti dall'interpretazione dei quantificatori. Fissata un'interpretazione I per il linguaggio L, ogni formula di L senza variabili individuali libere acquista il significato vero o falso; invece una formula contenente variabili libere (cioè non quantificate) che rappresenta una relazione sul dominio degl'individui, può risultare vera per alcuni valori del dominio e falsa per altri. Cioè, per una data interpretazione I, ogni formula chiusa risulta o vera o falsa, ogni formula aperta può non risultare né vera né falsa. Per es., la formula chiusa ∀xy(2x = y), se il dominio dell'interpretazione è l'insieme dei numeri naturali, risulta vera; la formula aperta 2x = y per la stessa interpretazione non risulta né vera né falsa. Una formula di L dicesi logicamente valida (o valida) se e solo se è vera per qualunque interpretazione; dicesi soddisfacibile se e solo se esiste almeno un'interpretazione che la rende vera almeno per un'applicazione delle variabili individuali sul dominio degl'individui; questo è il caso del precedente esempio di formula aperta che risulta vera, ponendo, per es., x = 1 e y = 2. Una formula di L dicesi contraddittoria se e solo se è falsa per ogni interpretazione. Si dice che una formula K è conseguenza logica (o conseguenza) di una formula H (o in generale di un insieme M di formule) se e solo se le interpretazioni che rendono vera H (tutte le formule di M), rendono vera anche K. Due formule H e K si dicono logicamente equivalenti se e solo se ciascuna è conseguenza dell'altra. Un'interpretazione per un linguaggio L dicesi un m. per un insieme M di formule di L (in particolare per una teoria T o per una formula H) se e solo se tutte le formule di M (di T o la formula H) sono vere per quella interpretazione. Talvolta si usa chiamare m. di una teoria T il dominio α dell'interpretazione se questa è m. per T; analogamente si parla di validità (soddisfacibilità) in α di una teoria T se ogni (qualche) interpretazione del suo linguaggio relativa al dominio α è m. di T. Una formula si dice valida in una teoria T se è conseguenza degli assiomi non logici di T o, equivalentemente, se è vera in ogni m. di T. Due strutture U(α) e U(β) diconsi elementarmente equivalenti per un certo linguaggio L se e solo se ogni formula esprimibile in L è vera in U(α) esattamente quando è vera in U(β); il che implica che le due strutture sono m. delle stesse teorie. Consideriamo, per es., la teoria G, i cui assiomi non logici sono:

Il linguaggio L di G ha i simboli non logici + e 0. Interpretiamo L sulla struttura costituita dall'insieme Z dei numeri interi relativi, dall'operazione di addizione ordinaria (per la funzione binaria +) e dalla costante zero (per il simbolo 0). I tre assiomi risultano veri per questa interpretazione del linguaggio; si dice perciò che Z è m. di G o che questa interpretazione è m. di G. La teoria G è quindi soddisfacibile (in Z). Analogamente risultano m. di G gli insiemi Q, R e C dei numeri razionali, reali e complessi muniti dell'ordinaria addizione. I m. di G sono i gruppi.

Caratterizzazione e completezza. - Un linguaggio del prim'ordine L′ si dice un'estensione del linguaggio L se tutti i simboli non logici di L appartengono anche a L′. Una teoria T′ si dice un'estensione o soprateoria della teoria T (e T sottoteoria di T′) se il linguaggio di T′ è un'estensione di quello di T e tutti i teoremi di T sono teoremi di T′; ovviamente, perché sussista la seconda condizione basta che tutti gli assiomi non logici di T siano teoremi di T′. Un'estensione T′ di T dicesi semplice se T e T′ hanno lo stesso linguaggio. Due teorie sono equivalenti se ciascuna è un'estensione dell'altra, cioè se le due teorie hanno lo stesso linguaggio e gli stessi teoremi. Sia L′ un'estensione di L e sia U′(α) una struttura per L′; tralasciando alcune relazioni e funzioni di U′(α) si ottiene una struttura U′(α) per L. Si dice allora che U′(α) è l'espansione di U(α) a L′ e che U(α) è la restrizione di U′(α) a L. Evidentemente U(α) e U′(α) hanno lo stesso dominio di individui. Il problema della caratterizzazione per una teoria elementare T consiste nel ricercare le condizioni necessarie e sufficienti aflìnché una formula di T sia un teorema di T′. Una prima soluzione di questo problema è espressa dal teorema di completezza semantica di Gödel: "una formula di una teoria elementare T è un teorema se e solo se è valida in T", o, equivalentemente, "una teoria T è consistente se e solo se ha un modello". Questo teorema stabilisce l'equivalenza tra la nozione sintattica di derivabilità e quella semantica di validità. Da esso si ottiene un altro notevole teorema: "due teorie formulate nello stesso linguaggio sono equivalenti se e solo se hanno gli stessi modelli". Anche il concetto di completezza sintattica può trovare una comoda sistemazione nell'ambito della teoria dei modelli. Una teoria T si dice sintatticamente completa se e solo se, per ogni enunciato H formulabile nel suo linguaggio, o H o ¬ H è derivabile in T. Sussiste il teorema: "una teoria T è sintatticamente completa se e solo se tutte le coppie di m. di T sono elementarmente equivalenti per il linguaggio di T". Applicando questo teorema si può facilmente dimostrare che la teoria G, prima presentata, non è sintatticamente completa. Infatti, siano U(α) e U(β) due gruppi, il primo abeliano e il secondo no. Essi sono entrambi m. di G ma non elementarmente equivalenti perché la formula x + y = y + x è vera nella prima struttura e non nella seconda. La teoria G, quindi, non è sintatticamente completa.

Compattezza e teoria dei modelli. - Una teoria si dice finitamente assiomatizzabile se può avere un numero finito di assiomi non logici. Vale il teorema di compattezza: "una formula è valida in una teoria T se e solo se è valida in qualche sottoteoria finitamente assiomatizzabile di T" o, equivalentemente, "una formula è una conseguenza di un insieme M di enunciati se e solo se è conseguenza di un sottoinsieme finito di M". Corollario: "una teoria T ha un m. se e solo se tutte le sottoteorie finitamente assiomatizzabili di T hanno un modello". Facciamo delle applicazioni alla teoria C i cui m. sono esattamente i campi. I primi due assiomi non logici di C, [C1] e [C2] sono [G1] e [G2] della teoria G prima considerata, mentre l'assioma [G3] può, qui, essere così formulato:

Gli altri assiomi non logici di C sono:

Se, poi, agli assiomi di C aggiungiamo, per es., gli altri assiomi non logici

la nuova teoria C(5), soprateoria di C, è la teoria dei campi di caratteristica 5. Generalizzando, C(n) rappresenta la teoria dei campi di caratteristica n. La teoria, C(0), dei campi di caratteristica zero si ottiene quindi aggiungendo a quelli di C un'infinità numerabile di assiomi non logici [¬ An] (con n che assume tutti i valori dei numeri naturali > 1). Ciò premesso, il teorema di compattezza applicato a C(0) conduce ad affermare che una formula valida in C(0) è valida anche in tutti i C(n) con n non minore di un certo no. Segue da ciò che la teoria C(0) non può essere fondata su un numero finito di assiomi, altrimenti l'enunciato di tutti gli assiomi di C(0) sarebbe valido anche in un certo C(n0), il che è assurdo. In modo analogo si vede anche che non è possibile individuare una soprateoria di C che formalizzi la teoria elementare dei campi finiti.

Definibilità e teoria dei modelli. - Sia S un insieme di simboli non logici del linguaggio di una teoria T. Un simbolo predicativo P S si dice definibile in termini di S in T se esiste una formula H, i cui simboli non logici appartengono a S, tale che in T sia derivabile l'equivalenza

Analogamente, un simbolo funzionale f S è definibile in termini di S in T se esiste una formula H i cui simboli non logici appartengano a S tale che sia derivabile in T l'equivalenza

Siano U(α) e U(β) le strutture relative a due interpretazioni per il linguaggio L di una teoria T, sia s un simbolo non logico di L non appartenente a S e ϕ una biiezione tra α e β. Si dice che ϕ è un s-isomorfismo di U(α) e U(β) se ϕ è un isomorfismo delle restrizioni di U(α) e U(β) al linguaggio Ls il cui unico simbolo non logico è s. Sussiste il teorema di definibilità di Beth: "sia S un insieme di simbolì non logici del linguaggio L di una teoria T e sia t un simbolo non logico di L (predicativo o funzionale) non appartenente a S. Allora t è definibile in termini di S in T se e solo se per tutte le coppie di m. di T, U(α) e U(β), e per ogni biiezione ϕ di α in β che sia s-isomorfismo per tutti gli s S, ϕ è anche t-isomorfismo". Anche questo è, dunque, un esempio di proprietà sintattica che può essere espresso in termini di teoria dei modelli. In un lavoro del 1953 E. W. Beth aveva dimostrato questo teorema con il metodo, da lui detto delle tavole semantiche, intermedio tra quello della teoria della dimostrazione e quello della teoria dei modelli. Nel 1956 A. Robinson ne ha data una dimostrazione in termini di sola teoria dei modelli.

Categoricitd e teoria dei modelli. - Sia אm un generico numero cardinale infinito. Un linguaggio L di una teoria elementare T dicesi אm-linguaggio se l'insieme dei simboli non logici di L ha cardinalità ≤ אm; in tal caso T dicesi אm-teoria. Se m = 0 si usa pure l'espressione linguaggio e, rispettivamente, teoria numerabile. Sussiste il teorema della cardinalità di Tarski: "una אm-teoria, che ha un m. infinito, ne ha uno di cardinalità אm". Una teoria si dice categorica se tutte le coppie di suoi modelli sono isomorfe. Esempi di teorie elementari categoriche hanno solo m. finiti; infatti se una teoria ha un m. infinito, per il teorema della cardinalità, essa ha m. di diversa cardinalità e perciò non isomorfi. Ciò suggerisce una definizione più accurata di categoricità. Una teoria T dicesi אm-categorica se tutte le coppie di m. di essa di cardinalità אm sono isomorfe. Per una teoria numerabile T sono allora possibili quattro casi: 1) T è אm-categorica per tutti gli m. Così avviene, per es., per la teoria che non ha simboli, né assiomi non logici. 2) T è אm-categorica per m t. Si dimostra che è tale la teoria elementare dei campi algebricamente chiusi. Tale teoria si ottiene da C aggiungendo un'infinità numerabile di assiomi che asseriscono, per ogni n ≥ 1, che tutti i polinomi di grado n hanno uno zero nel campo:

3) T non è אm-categorica per nessun m. Si dimostra che è tale la teoria elementare dei campi realmente chiusi (cioè, tali che ogni elemento positivo del campo ha una radice quadrata in esso e tutti i polinomi di grado dispari a coeíficienti nel campo hanno in esso uno zero). Questa teoria si ottiene aggiungendo a C gli assiomi

e tutti i [Cn] con n dispari; inoltre, per ottenere la teoria elementare dei campi ordinati:

4) T è אm-categorica solo per m = 0. Si dimostra che è tale la teoria D i cui assiomi non logici sono [O1], [O2], [O3] e, inoltre:

Oltre i quattro casi elencati, in base a un teorema dimostrato da M. D. Morley nel 1963, non sono possibili altri casi, per una teoria numeribile T. La descritta definizione di categoricità trova frequenti applicazioni nella t. dei m. grazie al teorema di Los-Vaught: "se T è una אm-teoria consistente con m. infiniti e אm-categorica, allora essa è completa".

Problema del prefisso. - Le espressioni di una teoria elementare in forma normale premessa (v. anche logica matematica, in questa App.) possono essere classificate in base al tipo di prefisso. Sarà esistenziale un'espressione elementare in forma normale premessa il cui prefisso contiene solo quantificatori esistenziali; sarà universale quella in cui il prefisso contiene solo quantificatori universali; sarà una ∀∃-formula quella nel cui prefisso nessun quantificatore universale è preceduto da un quantificatore esistenziale; ecc. Si pone il problema di sapere se queste diverse classi di formule possono essere caratterizzate mediante proprietà specifiche degli insiemi di universi che soddisfano quelle formule. S'intuisce facilmente che, se un enunciato esistenziale H è vero in un universo U(α), esso è vero anche in ogni estensione di U(α). Ciò vale, come è ovvio, anche per ogni enunciato K logicamente equivalente ad H. Nel 1954 A. Tarski ha dimostrato che questa affermazione è invertibile, cioè: "se un enunciato K, vero in un universo U(α), è vero in qualunque estensione di U(α), allora K è logicamente equivalente a un enunciato esistenziale". Risultati analoghi sono stati ottenuti nel 1957 da J. Łoś e R. Suszko riguardo alle ∀∃-formule.

Bibl.: Si veda la bibliografia dell'articolo precedente.

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