TERMOPILI

Enciclopedia Italiana (1937)

TERMOPILI (o Termopile Θερμοπύλαι "porte calde", da ϑερμός "caldo" e πύλν "porta" per le vicine sorgenti termali)

Gaetano De Sanctis.

Il passo attraversato dalla grande via militare che conduceva dalla Tessaglia nella Grecia centrale si restringeva tra le pendici del monte Eta e il Golfo Maliaco, a tal segno, che, secondo Erodoto, in due punti (porta occidentale e porta orientale) lasciava appena il posto per il transito d'un carro, mentre in un punto intermedio (porta centrale) non lontano da alcune sorgenti calde la larghezza del passo era circa un plettro (15 m.) e qui ove esso prendeva propriamente il nome di Termopili era difeso da un muro eretto dai Focesi per proteggersi contro le incursioni dei Tessali. Fra la porta settentrionale e la centrale era la piccola città di Antela dove si radunavano gli anfizioni, a est della porta orientale il villaggio di Alpeni. L'aspetto del luogo è stato profondamente mutato e reso quasi irriconoscibile dagl'interrimenti del fiume Sperchio che hanno colmato un buon tratto del Golfo Maliaco allargando notevolmente il passo, mentre anche il livello è stato alterato dai depositi alluvionali dei torrenti che scendono dall'Eta. Tuttavia è possibile rendersi conto esattamente dell'antica topografia del luogo in base alle descrizioni di Erodoto e di Livio e riconoscere con l'aiuto dei resti del muro focese e mercé la presenza delle sorgenti termali il sito approssimativo delle vere Termopili, cioè della stretta centrale del passo difesa da Leonida.

Qui i Greci sotto la guida di quel re spartano fecero sulla fine del luglio 480 a. C. il primo tentativo per fermare l'esercito persiano condotto da Serse. Erodoto dice che essi si proponevano di difendere il passo fino all'arrivo di rinforzi e non c'è nessun dubbio che la tradizione è nel vero. Il piano del comando greco prevedeva la difesa parallela del passo delle Termopili per terra e dello stretto tra l'Eubea e la penisola per mare mercé la flotta appostata all'Artemisio, la quale doveva assicurare le truppe di terra da uno sbarco alle spalle. Ciò esclude che l'occupazione delle Termopili potesse avere carattere puramente dimostrativo. E tuttavia la relativa scarsezza delle forze peloponnesiache ivi inviate (4000 opliti, compresi, s'intende, i 300 Spartani di Leonida secondo l'iscrizione posta poi sul luogo) mostra che si trattava soltanto di un'avanguardia destinata a tenere il passo fino al sopraggiungere del grosso dell'esercito. Leonida rinforzò le sue truppe con contingenti locresi, focesi e beotici. Quali fossero i loro effettivi, è impossibile determinare: Erodoto parla soltanto di 1100 tra Tebani e Tespiesi. Non si sbaglierà ritenendo che la somma totale di questi contingenti non superava il numero dei Peloponnesiaci. Infatti i Beoti avevano poca voglia di battersi per la causa ellenica e Leonida, che non contava molto sulla loro fedeltà, non avrà insistito per averne con sé in troppo gran numero. Egli pensava certo di poter tenere il passo fino all'arrivo dei rinforzi, sebbene Serse disponesse di truppe numericamente da 5 a 10 volte superiori. E, di fatto, gli attacchi frontali che Serse tentò nei primi giorni del combattimento furono respinti con perdite, ma i Focesi che Leonida aveva incaricato della difesa dei sentieri montani dell'Eta non fecero buona guardia, sicché il tentativo di aggiramento che Serse fece nella notte successiva per mezzo di un corpo comandato da Idarne riuscì, senza difficoltà, e quando i Greci al mattino seguente si accorsero d'essere minacciati alle spalle, convinti di non poter resistere, abbandonarono il passo sbandandosi in disordine; rimasero soltanto i 300 di Leonida che perirono eroicamente sul posto. L'eroismo di Leonida e dei suoi è stato celebrato ripetutamente in prosa e in versi da antichi e da moderni, e tenuto presente come fulgido esempio da quanti hanno combattuto per la libertà della patria. La critica recente peraltro lo ha assai discusso. Non pochi hanno preteso che si è trattato di un sacrifizio vano e che Leonida, riconosciuta insostenibile la posizione, avrebbe dovuto salvare sé e i suoi per difendere utilmente la patria nelle battaglie decisive. Altri hanno ritenuto che egli si sacrificasse per coprire la ritirata dei Greci, altri che, sorpreso dall'aggiramento, non avesse il tempo di fuggire. Le due ultime ipotesi non reggono. Leonida avrebbe potuto salvarsi come gli altri Greci; lo sbandamento rapidissimo avvenne non appena si segnalarono sui monti le avanguardie d'Idarne, sicché non aveva bisogno di copertura. È anche insostenibile che Leonida si sacrificasse, secondo un'ipotesi recentissima, per dar tempo all'armata navale greca di ripiegare attraverso l'Euripo. Prima che i Persiani giungessero all'Euripo in forze tali da poter minacciare l'armata, essa, se ben diretta, aveva, come ebbe, tutto il tempo per fuggire. Sicché Leonida rimase volontariamente e senza nessuna speranza di conseguire vantaggi militari che compensassero la distruzione dei suoi 300. Ma egli pensò all'effetto deprimente che lo sbandarsi dei difensori poteva avere sull'animo dei Greci confederati e credette di rimediarvi salvando con suo eroico sacrifizio l'onore militare degli Spartani e dando un esempio del disprezzo per la vita che doveva mostrarsi, se si voleva salvare la Grecia dal barbaro. E poiché l'effetto morale del sacrifizio fu appieno raggiunto, come mostrano le vicende ulteriori della guerra, il nostro giudizio su di lui non può non essere conforme alla tradizione. Con una sola e grave riserva peraltro che tocca non la purezza e l'alto valore del suo eroismo, ma le sue capacità militari, perché è chiaro che con le forze di cui disponeva egli poteva non solo difendere da attacchi frontali il passo delle Termopili, ma presidiare a suffcienza e con truppe fedeli i passi secondarî, in modo da poter evitare o almeno controbattere efficacemente le sorprese.

Per la seconda volta, nel 279, i Greci cercarono di tagliare ai barbari la via delle Termopili. Assalitori erano allora i Galli guidati da Brenno. Difendevano il passo i popoli della Grecia centrale; inoltre un contingente inviato dagli Achei di Patre e due piccoli reparti di 500 soldati ciascuno, spediti dai re Antioco e Antigono: in tutto un 20.000 uomini: incerto, ma senza dubbio superiore, il numero dei barbari. Questi però non possedevano navi e quindi un certo numero di triremi ateniesi poteva appoggiare direttamente i difensori delle Termopili stanziando presso la sponda del Golfo Maliaco. Le posizioni precise degli avversarî non sono note, non possedendo noi che le narrazioni militarmente insufficienti di Pausania. Sappiamo solo che dopo il primo combattimento in cui i Galli ebbero la peggio, Brenno distaccò un reparto considerevolissimo dei suoi per far una diversione in Etolia; onde gli Etoli, seguiti da quelli di Patre, abbandonarono il campo per provvedere alla sicurezza dei proprî territorî. Ma non bastando questo per fiaccare la difesa dei Greci, Brenno predispose un aggiramento, attraverso i passi montani dell'Eta che gli permettesse di cogliere i difensori alle spalle. Questo aggiramento riuscì, ma i Greci ebbero il tempo di porsi tutti in salvo salendo sulle triremi ateniesi.

Per la terza volta il passo delle Termopili fu adoperato per difendere la Grecia contro invasori stranieri, nel 191 a. C. Qui circa l'aprile di quell'anno il re Antioco di Siria, che nell'autunno dell'anno precedente era giunto in Grecia con 10.000 fanti e 500 cavalli proclamando di voler insieme con gli Etoli liberare la Grecia dal predominio romano, cercò di tagliare la strada al console M. Acilio Glabrione, il quale con due forti legioni, aveva invaso e in gran parte riconquistato la Tessaglia. Antioco si proponeva di trattenere l'avversario al passo delle Termopili, in attesa di rinforzi che non potevano tardare a giungergli dall'Asia. Egli si accampò dietro la terza e più orientale delle tre porte. Di fronte a lui il console si accampò presso la porta media dove aveva stanziato Leonida. Il passo era stato molto allargato dalle alluvioni e aveva ora presso la terza porta una larghezza di circa 90 m. Per la battaglia, Antioco collocò alla sua sinistra, dove l'Eta digrada verso la pianura, truppe leggiere che, appoggiate da macchine da guerra, dovevano impedire da questa parte un aggiramento. Sul centro collocò sopra una specie di argine artificiale, alquanto sopraelevato sulla pianura, i suoi falangiti preceduti da truppe leggiere; sulla destra, dove la pianura si faceva paludosa in direzione del mare, collocò gli elefanti e i cavalli per impedire anche da questa parte un aggiramento. I valichi dell'Eta erano difesi da 4000 Etoli, 2000 ad Eraclea e 2000 nei castelli di Tichiunte, Rodunte e Callidromo. Anche qui la difesa del passo era possibile solo se si faceva buona guardia sulle alture. Gli Etoli che n'erano incaricati non erano certo troppo numerosi; ma distaccare altre forze Antioco non poteva senza pericolo perché il passo era ora assai più largo che tre secoli prima. E appunto perché prevedeva la possibilità d'una ritirata, egli aveva posto il suo campo non entro le strette come Leonida, ma al di fuori, più ad oriente. Il console inviò due piccoli reparti sotto i due tribuni militari L. Valerio Flacco e M. Porcio Catone per superare col favore della notte il valico già seguito da Serse, e poi, il giorno appresso, attaccò frontalmente l'esercito di Antioco. La preparazione tattica della battaglia per parte dei Siriaci era stata assai felice, sicché essi si difesero efficacemente contro l'attacco romano; e gli Etoli di Eraclea, mentre i Romani erano così impegnati, tentarono contro il campo romano una sorpresa. Ma frattanto se i due castelli, Tichiunte e Rodunte, avevano resistito a Valerio Flacco, Catone era riuscito a forzare il passaggio impadronendosi del castello di Callidromo. La situazione non era disperata perché il distaccamento di Catone era poco numeroso. Ma i Siriaci, vedendo apparire i Romani sulle pendici dell'Eta, furono presi dal panico e si sbandarono in una fuga precipitosa, inseguiti dal console che ormai, superato il passo, penetrò con le sue truppe insieme coi Siriaci fuggiaschi nel campo regio e se ne impadronì e inseguì poi gli avversarî fino a Scarfea. Il re che scampò ad Elatea non raccolse che 500 dei suoi. Tutti gli altri rimasero morti, prigionieri o dispersi. Questa battaglia costrinse Antioco a fuggire immediatamente in Asia e rese i Romani virtualmente padroni della penisola greca. Essa non costò loro che una perdita di 200 uomini.

Fonti: Fonte primaria unica per la battaglia del 480 è Erodoto, VII, 176 segg., 198-233. Elabora Erodoto alterandolo: Efforo presso Diodoro, XI, 4-11; per il 279 unico racconto della battaglia è quello di Pausania, X, 20-22; per il 191 fonte principalissima è Livio, XXXVI, 16, che traduce Polibio. Inoltre Appiano, Syr., 18 e Plutarco, Cato, 13 con particolari importanti sull'aggiramento, desunti dallo stesso Catone.

Bibl.: v. persiane, guerre. Inoltre: J. B. Bury, The campaign of Artemision and Thermopyle, in Annual of the Britisch School of Athens, 1895-96, pp. 83-104; A. Janke, Die Thermopylen, in Jahresber. d. Vereins f. Erdkunde von Metz, 1901, pp. 55-68; J. A. R. Munro, in Journal of Hellenic Studies, XXII (1902), p. 313 segg.; W. K. Prentice, Thermopylae and Artemision, in Transactions of the Americ. Philolog. Association, LI (1920), pp. 5-18; A. Lindemann, Über die Schlacht bei den Therm., in Jahrbuch d. philos. Fakultät Götting, 1922, p. 65 segg.; F. Miltner, Pro Leonida, in Klio, XXVIII (1935), p. 228 segg. Per la battaglia del 191, J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, II, Berlino 1907, pp. 134 segg.; 196 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, i, Torino 1923, pp. 159 segg., 388 segg.

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