TERREMOTO

Enciclopedia Italiana (1937)

TERREMOTO

Giovanni Battista Alfano

. I terremoti sono vibrazioni rapide, elastiche, di porzione più o meno limitata, degli strati terrestri per effetto di un urto improvviso avvenuto nello spessore della crosta della terra. A queste vibrazioni si dà più propriamente il nome di scossa, mentre i geologi riserbano il nome di terremoto a tutta la serie di fenomeni che accompagnano un intero periodo sismico. Così quando ricordiamo il terremoto di Reggio di Calabria e di Messina del 28 dicembre 1908, intendiamo accennare non solo alla scossa disastrosa, ma anche a tutte le repliche che la seguirono per oltre un anno e a tutti i fenomeni geologici concomitanti, non escluso il maremoto che completò la rovina.

I terremoti nei loro dati. - Per lo studio di un terremoto occorre conoscere i dati delle singole scosse: l'ora, la durata, la direzione, l'intensità, l'epicentro, la profondità ipocentrale.

L'ora può essere data approssimativamente dagli orologi che per effetto della scossa si arrestano nel loro movimento. Ma allo studioso occorre conoscere l'ora esatta; il che oggi è un problema ben risoluto mediante calcoli eseguiti sui sismogrammi negli osservatorî sismici. Talvolta basta il dato di un solo osservatorio quando questo si trova nella regione scossa, come avveme per il terremoto già ricordato di Reggio e Messina, poiché l'ora esatta fu conosciuta mediante la zona sismografica dell'osservatorio di Messina. Il dato dell'ora è importantissimo per conoscere la velocità del moto sismico.

Circa la durata della scossa si hanno in occasione di terremoto dati molti disparati per il fatto che, tranne il rilievo fatto dagli strumenti sismici, le notizie della durata apprezzabile dall'uomo variano per ragioni subiettive. Ecco alcuni dati: nel terremoto disastroso di Mino Owari nel Giappone del 28 ottobre 1891 la durata sarebbe stata di 28 secondi; e per quello irpino del 23 luglio 1930 si ritiene una durata di circa 30 secondi; invece per il terremoto di Tōkyō, anch'esso disastroso, del 1° settembre 1923, la durata fu di 4,3 secondi; nel terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915 la durata sarebbe stata di 5-6 secondi. Se ne conclude che non vi è rapporto tra un disastro sismico e la durata della scossa.

La direzione della scossa si può molto approssimativamente desumere dalle osservazioni e dalle relazioni di persone colte che si trovano sopra luogo, o dalle direzioni secondo cui caddero gli oggetti, i camini degli opifici, i muri dei giardini, le facciate degli edifici. È da notare che la direzione delle scosse, in generale, è costante in una medesima regione; il che fa ritenere che il fenomeno sismico si esplichi secondo la natura geologica del luogo.

L'intensità è l'energia con cui si compiono le vibrazioni del suolo; esse possono essere insensibili all'uomo e catastrofiche. Generalmente l'intensità viene misurata dagli effetti della scossa, e, fra certi limiti, dall'impressione personale che si riceve. Varie scale d'intensità furono proposte; in pratica viene usata quella del De RossiForel, poi rettificata dal Mercalli sotto il cui nome è più conosciuta. Essa è la seguente:

1. Scossa strumentale, cioè segnalata dai soli strumenti sismici.

2. Leggerissima, avvertita solamente da qualche persona in condizioni di perfetta quiete, specialmente nei piani superiori delle case.

3. Leggiera, avvertita da parecchie persone, senza nessuna apprensione.

4. Mediocre, avvertita da molte persone nell'interno delle case, con tremito d'infissi, di cristalli e con leggiera oscillazione di oggetti sospesi.

5. Forte, avvertita generalmente nelle case, con risveglio di persone addormentate, con suono di campanelli, oscillazione piuttosto ampia di oggetti sospesi, arresto di orologi.

6. Molto forte, avvertita da tutti nelle case con spavento e fuga all'aperto, caduta di oggetti nelle case, caduta di calcinacci, con qualche lesione leggiera negli edifici.

7. Fortissima, sensibile anche nelle strade, suono di campane da torre, caduta di fumaioli, lesioni numerose negli edifici.

8. Rovinosa, avvertita con grande spavento, rovina parziale di alcune case e lesioni generali, con qualche vittima personale isolata.

9. Disastrosa, con rovina totale o quasi di alcune case, lesioni gravi in molte altre; vittime umane non molto numerose, ma sparse in diversi punti dell'abitato.

10. Disastrosissima, con rovina di molti edifici e molte vittime umane, crepacci nel suolo, scoscendimenti nelle montagne, ecc.

11. Catastrofica, con distruzione completa dei fabbricati, moltissime vittime, crepacci e frane notevoli, maremoto.

Come si vede, questa scala è empirica e soggettiva; il sismologo richiede misure assolute; perciò, Omori, seguendo le idee del Cancani propose una scala poggiata sul valore dell'accelerazione massima che l'urto sismico impartisce allo strato terrestre. I valori vanno riferiti alla scala Mercalli nel seguente modo:

In occasione del terremoto di Tōkyō del 1° settembre 1923, in cui si ebbero 100.000 morti, si raggiunse un'accelerazione di 4900 mm./sec.; similmente valori elevati intorno ai 2500 mm./sec. si ebbero nei terremoti di Messina, Valparaiso e S. Francisco; e per il terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915 l'accelerazione massima raggiunse i 4500 mm./sec. Il valore dell'accelerazione massima nella pratica è di difficile ricerca e si può rilevare o dagli apparecchi sismici o dalla caduta di colonne libere, da proiezioni di oggetti, da frattura o di colonne incastrate o di fumaioli, mediante apposite formule di meccanica. L'accelerazione dipende dall'ampiezza della vibrazione sismica e dalla sua durata o periodo. Nei terremoti leggieri l'ampiezza del moto sismico è frazione di millimetri; ma nei terremoti disastrosi può raggiungere il valore di 5-12 cm.; come risultò per il terremoto di Valparaíso (16 agosto 1906), di S. Francisco (18 aprile 1906) e di Reggio di Calabria e di Messina (28 dicembre 1908). Se l'ampiezza oltrepassa i 15 cm. si hanno le catastrofi. Furono riscontrati valori maggiori, ma in terreni anelastici. Ma il valore dell'ampiezza d'onda non è il solo coefficiente di disastri; lo è molto più il valore del suo periodo ossia della rapidità con cui si compie la vibrazione del suolo rispetto all'inerzia degli edifici. Nei terremoti disastrosi si è rilevato un valore tra sec. 0,4 ÷ 1,8. Nel terremoto di Mino Owari il periodo fu di sec. 1,3; nel terremoto di Avezzano fu di sec. 0,6. La rovina degli edifici è maggiore quanto più breve è il periodo del moto del suolo e più notevole è l'ampiezza.

È evidente che l'intensità della scossa va diminuendo dal centro di scuotimento alla periferia. Se si congiungono con altrettante curve tutti quei punti in cui l'intensità è stata dello stesso valore si hanno le così dette linee isosismiche. Le linee isosismiche sono relativamente regolari, quando si tracciano su pochi dati e su di una superficie molto estesa ma quando si vogliono particolareggiate per la regione più colpita dal terremoto riescono molto complicate, perché seguono le variazioni della costituzione geologica della regione, le linee di frattura degli strati e le linee della diversa conducibilità dei terreni. La conducibilità delle vibrazioni sismiche decresce dai terreni più antichi agli attuali, dai terreni più compatti a quelli incoerenti, dalle rocce cristalline a quelle alluvionali; è maggiore nella direzione degli strati che trasversalmente ad essi; donde l'irregolarità del viaggio delle vibrazioni sismiche e quindi l'irregolarità delle linee isosismiche.

La linea isosismica d'intensità maggiore chiude la zona megasismica, ossia quella in cui si ebbe il massimo degli effetti della scossa. La zona megasismica del terremoto cinese di Kan-Su del 16 dicembre 1920 fu di forma ellittica con l'asse maggiore di 250 km. e l'asse minore di 100 km., interessando una superficie di kmq. 22.700; nel terremoto di Mino Owari la zona megasismica fu di 4.700.000 kmq.; mentre per il terremoto disastroso d' Ischia del 28 luglio 1883 la zona megasismica fu appena di 370 kmq. Quindi si dànno terremoti disastrosi tanto su vasta superficie quanto su superficie limitata.

L'epicentro è il centro della zona megasismica. Ma non si vuole intendere un centro puntiforme, bensì una superficie per quanto ristretta, che si presenti come l'origine superficiale del movimento sismico. È evidente che all'epicentro la scossa perviene prima che nelle altre località circostanti, con la maggiore intensità, e che in esso convergono le diverse direzioni della scossa, centripete o centrifughe che siano. Dalla configurazione dell'epicentro si hanno terremoti centrali, assiali e regionali, secondo che l'epicentro è approssimativamente un piccolo cerchio, o un'ellisse molto allungata o una zona molto estesa in superficie.

È anche evidente che gl'istanti di arrivo degli urti sismici nei diversi punti della regione scossa ritardano tanto più sull'ora all'epicentro quanto più tali punti distano dall'epicentro stesso. Onde si possono tracciare altre curve dette omosismiche (o meglio isocroniche), congiungendo tutti quei punti in cui l'urto sismico avvenne contemporaneamente. Le omosismiche sono di più difficile costruzione per la difficoltà di conoscere con esattezza i relativi dati orarî; sono anch'esse concentriche fra loro e all'epicentro; e sono irregolari per le stesse ragioni notate per le isosismiche. È da notare che nei terremoti assiali, oltre alla direzione delle scosse, anche la direzione dell'asse della zona epicentrale segue le accidentalità e la configurazione geologica della regione. Così in Italia l'asse delle zone epicentrali coincide con la direzione dell'Appennino. Per il terremoto di Reggio e Messina del 1908 l'asse coincise con la direzione dello stretto (v. cartina).

L'ipocentro è il punto interno della crosta terrestre, sottoposto all'epicentro, lungo la verticale di questo, donde è partito l'urto sismico, e dove si ritiene sia situata la causa della scossa. È detto anche, e meglio, centro profondo o focus.

Le linee secondo cui s'irradiano gli urti dall'ipocentro sono dette raggi sismici; si dimostra che in realtà essi sono curve, con la convessità rivolta verso il centro della Terra (v. sismologia). La profondità dell'ipocentro varia da un terremoto all'altro e diversi sono i metodi per calcolarla: è evidente che meno profondo è l'ipocentro e più serrate sono le linee isosismiche e omosismiche e minore è la zona colpita; più profondo è l'ipocentro e più le curve sismiche sono distanziate fra loro e più vasta è la zona colpita. Si comprende come si possono avere disastri sia con ipocentro poco profondo sia con ipocentro molto profondo; dipende dall'intensità che da esso irradia.

Oggi si ritiene che si abbiano appunto terremoti con ipocentro poco profondo (tra i 500 m. e i 50 km.) e sono detti episismi; e terremoti con ipocentro molto profondo (100-500 km.). Due ordinarie denominazioni delle scosse sono quelle di scossa sussultoria e ondulatoria. È opportuno mantenerle perché oramai di uso comune e molto rispondenti alla verità. Le scosse sussultorie si hanno nel senso della verticale; mentre quelle ondulatorie sono parallele all'orizzonte; e perciò sarebbe meglio chiamarle orizzontali. Tanto più che vi sono veri moti ondulatori, ossia analoghi al moto delle onde marine, e provocati dalla deformazione elastica nella regione epicentrale dagli urti provenienti dall'ipocentro; ma sono di periodo lento, di poca ampiezza, di modo che, in generale, sono poco avvertiti dall'uomo. Furono però bene avvertiti e visibili nel terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915. All'epicentro predominano scosse sussultorie; fuori della zona epicentrale il raggio sismico emerge obliquo, e decomposto in una componente verticale e una orizzontale; ne segue che fuori della zona epicentrale l'urto sussultorio si va attenuando; mentre il moto orizzontale diventa tanto più spiccato quanto più cresce la distanza dall'epicentro. Si citano casi di scosse vorticose; probabilmente si tratta di effetti dovuti a cambiamenti di direzione degli urti orizzontali.

Il moto sismico è dovuto a tre categorie di onde elastiche: longitudinali (onde condensate e rarefatte) che partono dall'ipocentro con la velocità media di 9 km. al sec.; trasversali (o di distorsione) anche provenienti dall'ipocentro, con la velocità di 5,5 km. e superficiali che partono dall'epicentro con una velocità di circa 3,5 km. al sec. Per maggiori particolari sulla natura del moto sismico, v. sismologia. Alla compressione delle onde condensate sono da attribuirsi le deformazioni dei binarî ferroviarî. nonché varie pieghe ondulate del suolo, come quelle verificatesi a Messina per il terremoto del 28 dicembre 1908 e a S. Francisco di California per il terremoto del 18 aprile 1906.

Alla scossa principale di un terremoto (che può essere qualche volta preceduta da scossette preliminari) seguono le repliche, ossia frequenti altre scosse, decrescenti per numero e per intensità. Il decremento numerico delle repliche può essere indicato da una curva geometrica, per cui conoscendo il numero delle repliche del primo giorno si può anticipatamente calcolare il numero delle repliche degli altri giorni del periodo sismico. Questi fenomeni sono spiegabili non solo per assestamento successivo degli strati terrestri interessati dal terremoto, ma anche per i fenomeni di elasticità susseguente sperimentati nei corpi sottomessi a pressione e poi resi liberi. Dopo la prima scossa del terremoto di Reggio e Messina del 28 dicembre 1908, si ebbero altre 923 repliche nel 1909; 298 nel 1910; 122 nel 1911; 66 nel 1912 e 62 nel 1913. Per il terremoto irpino del 1930 si ebbero repliche per tutto il resto dell'anno e anche nell'anno successivo. Sicché tutto un periodo sismico risulta di scosse preliminari, scossa principale e scosse susseguenti; ma non tutti i terremoti presentano scosse preliminari; onde è da ritenere che esistano vari tipi di periodi sismici (Cancani).

I terremoti nei loro effetti. - Gli effetti dei terremoti sono molteplici; ne ricorderemo i principali: le rovine degli edifici, i crepacci, le voragini, le dislocazioni tettoniche, le frane, i cambiamenti idrografici, il lampo sismico, i rombi, il maremoto.

La rovina delle abitazioni umane è l'effetto più letale dei terremoti. Quando la scossa di terremoto raggiunge l'VIII grado già si formano spaccature più o meno notevoli nei muri delle case; spaccature che nelle scosse di IX, X e XI grado, producendosi in numero e sviluppo straordinario, provocano la caduta degli edifici e disastri immani. Nel terremoto di Val di Noto (Siracusa) nel 1693 perirono 60.000 persone; altre 60.000 perirono per il terremoto di Lisbona nel 1755; in quello di Calabria nel 1783 trovarono la morte 30.000 abitanti e in quello di Reggio e Messina del 1908 furono seppellite circa 80.000 persone; nel terremoto di Tōkyō del 1° settembre 1923 si ebbero 100.000 morti. Nelle scosse ondulatorie gli edifici agiscono come pendoli rovesciati, funzionando da massa oscillante la loro porzione terminale; questa, sempre che il suo periodo di oscillazione si trovi in ritardo o in anticipo su quello del suolo, si staccherà dall'edificio, per inerzia, originando lesioni o caduta di comignoli, di tetti, di muri, di pavimenti, con effetti proporzionali all'intensità della scossa. Alla genesi dei disastri concorre notevolmente la natura geologica del terreno su cui sono costruiti gli edifici; poiché si è rilevato che le rovine sono maggiori dove i terreni sottoposti presentano brusche variazioni di elasticità, dove vi sono discordanze stratigrafiche, dove rocce cristalline confinano con terreni alluvionali. Per il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 nella parte alta della città i disastri furono minori perché le fondamenta degli edifici poggiavano su quaternario molto compatto; invece nella parte bassa dove le case poggiavano su sabbie incoerenti, i disastri furono maggiori. Ma più di tutto alla rovina delle case concorre il materiale di costruzione; e ciò è oggi sufficientemente dimostrato; case costruite con mattoni o con pietre bene squadrate e con buona malta rimasero incolumi, o quasi, in varî terremoti italiani, in mezzo a una generale rovina delle case costruite con ciottoli e con pessima malta. In vista di questo terribile effetto dei terremoti che è la causa principale di tante vittime umane, è nato uno studio speciale in sismologia sulle norme con cui si debbono costruire le case affinché meglio resistano agli urti dei terremoti. Così è sorta l'edilizia antisismica; la quale è la parte pratica degli studî sismologici a cui è necessario si rivolga tutta l'attenzione degli studiosi allo scopo di attenuare futuri disastri.

Il cammino delle onde sismiche provoca nel suolo spaccature più o meno allungate e profonde, quasi sempre perpendicolari alla direzione del raggio sismico. Esse sono dette crepacci. Questi si formano dove il suolo presenta linee di minore resistenza, sempre che l'accelerazione sismica superi la forza di coesione dei terreni; difatti i crepacci si riscontrano a preferenza nei terreni incoerenti, molto più dove questi confinano con terreni compatti. I crepacci possono raggiungere la lunghezza di varî chilometri e la larghezza da pochi centimetri a varî metri. Nel terremoto di Calabria del 1783 se ne ebbero alcuni lunghi 13 km.; e nel 1855 nella Nuova Zelanda si formò un crepaccio lungo 145 km. Nel terremoto del 21 ottobre 1898 in S. Francisco di California si formarono nelle strade crepacci larghi 15 m. e in quello del 18 aprile 1906 nella stessa regione si aprì un crepaccio lungo 300 km. Per il terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915 si originò un crepaccio lungo 70 km. e largo dai 30 ai 70 cm. Un crepaccio circolare di 500 m. di diametro si formò per il terremoto irpino del 1930 tra Ariano di Puglia e Villanova; e un altro presso Vallata, lungo circa 600 m. In generale i crepacci sono paralleli tra loro; ma non mancarono casi di crepacci radiali, ossia irradianti da un centro, come nei famosi terremoti calabri del 1783.

Crepacci di gigantesche dimensioni formano le voragini. Una voragine a forma di pozzo così profondo che non se ne vedeva il fondo si formò a Melfi per il terremoto irpino del 1930. Quando queste voragini si riempiono di acqua, o proveniente da fiumi o fuoruscita dal sottosuolo, si formano laghi che possono assumere anche notevole dimensione.

Le dislocazioni tettoniche sono spostamenti più o meno notevoli che avvengono negli strati della superficie terrestre lungo un crepaccio. Possono verificarsi o verticalmente e allora pigliano il nome di salti o faglie, oppure si verificano orizzontalmente e sono detti slittamenti. Notevole faglia si formò nel terremoto giapponese del 28 ottobre 1891; e in quello del 1° settembre 1923, anche nel Giappone, si ebbe una faglia di m. 1,50; nel fondo marino, in alcuni punti, vi fu sollevamento di 100 m. e altrove uno sprofondamento di 200 m. Per il terremoto di Avezzano del 1915 il crepaccio lungo 70 km. presentò una faglia dai 30 ai 90 cm. La rottura di cavi telegrafici nel fondo del mare in occasione di terremoto viene spiegata con dislocazioni tettoniche sottomarine; per il terremoto di Messina del 1908 si ruppe il cavo di Milazzo e per il terremoto della Colombia dell'11 novembre 1922 furono rotti molti cavi del Pacifico. Alcuni sismologi moderni sono dell'opinione che le dislocazioni tettoniche più che essere effetto, siano la causa dei terremoti, in quanto che le vibrazioni sismiche sarebbero conseguenza della formazione di rottura della crosta terrestre nella località scossa.

Ma occorrerebbe dimostrare che la dislocazione si estende fino all'ipocentro; né bisogna dimenticare che crepacci si formano anche nei terremoti vulcanici, per i quali è risaputo che la causa è la tensione dei vapori. Quando si dice che le dislocazioni sono effetto di un terremoto, non si vuole intendere che siano l'effetto delle vibrazioni sismiche, ma che siano state provocate dal disquilibrio elastico avvenuto nella regione ipocentrale e quindi dalla causa principale del fenomeno.

Le frane sono masse rocciose che si staccano dalle montagne in seguito ai crepacci che vi si formano. Essi spesso arrecano notevoli danni seppellendo interi villaggi sottoposti, o deviando il corso dei fiumi, oppure provocando maremoti o interrompendo vie di comunicazione.

I cambiamenti idrografici si realizzano o col mutamento del regime delle sorgenti o col variare della loro temperatura; e ciò sia nel luogo dove avvenne la scossa sia nelle regioni adiacenti; tanto nelle acque superficiali quanto in quelle sotterranee, come avvenne nella Marsica per il terremoto di Avezzano del 1915.

Il lampo sismico, quantunque messo in discussione da alcuni studiosi, è fenomeno accertato da molti testimonî. Fu rilevato, ad es., in occasione dei terremoti calabri dell'8 settembre 1905 e del 28 dicembre 1908; come pure nel terremoto irpino del 23 luglio 1930. I lampi sismici sono descritti come folgori, o fiamme che escono dal suolo, o come bagliori diffusi per l'aria. Quando si pensi all'enorme energia meccanica messa in giuoco da un terremoto non può destare meraviglia una trasformazione in energia luminosa; si può quindi ritenere il lampo sismico come effetto della scossa.

I rombi sono rumori gravi, cupi, prolungati, di diverso ritmo, di varia intensità, che spesso precedono, accompagnano o seguono le scosse. Se ne avvertirono nei terremoti calabri nel 1905 e 1908, in quello di Calitri del 7 giugno 1910, e in quello irpino del 1930. I rombi pare siano dovuti alle vibrazioni degli strati terrestri analoghe a quelle delle lamine del Chladni; l'altezza delle vibrazioni probabilmente varia con lo spessore e con la superficie della lamina di strato terrestre vibrante.

Il maremoto è costituito da onde che si palesano presso le spiagge con straordinaria altezza e violenza e, penetrando nell'interno delle coste, tutto abbattono al loro passaggio, producendo spesso più danni delle stesse scosse. È da ritenere che il maremoto sia provocato da scossa avvenuta nel fondo del mare con probabile dislocazione tettonica. L'altezza dell'onda del maremoto dipende non solo dall'intensità della scossa e dalla vicinanza dell'epicentro, ma anche dalla configurazione e orientamento delle coste e del fondo marino.

Così nel terremoto del 28 dicembre 1908 la massima altezza non si ebbe né a Reggio né a Messina, città molto vicine all'epicentro, bensì a S. Alessio (Reggio di Calabria) dove fu di m. 11,70, perché ivi la costa presentava una concavità rivolta verso l'area dell'epicentro.

Il periodo delle onde di maremoto è vario secondo le dimensioni del bacino; ma probabilmente è costante per lo stesso bacino. In seguito al terremoto calabro del 1905, le acque del mare su tutta la costa tirrenica della Calabria si alzarono e si abbassarono, con un periodo di circa 7 minuti e 51 secondi, come constatò il mareografo di Messina. In seguito al terremoto del Faro del 1908, le onde di maremoto presso Reggio si seguirono col periodo di 4-5 minuti. Maremoti importanti furono quello di Callao (Perù) nel 1746, di Lisbona nel 1755, di Iquique (Cile) nel 1877.

Nel 15 giugno 1896 a Kamaishi nell'Isola Hondo del Giappone, furono investiti da un'onda di maremoto 150 km. di costa, con la morte di 30.000 persone. L'onda del maremoto ha una notevole velocità. L'onda del maremoto di Shimoda nel Giappone del 23 dicembre 1854 arrivò in 12 ore e 38 minuti a S. Francisco di California; e le onde di maremoto dell'11 novembre 1922 dalla costa del Cile raggiunsero le Isole Marchesi in circa 12 ore; quindi è da concludere che la velocità delle onde di maremoto è di circa 200 m. al secondo.

I terremoti nel tempo. - Dai cataloghi sismici compiuti dai sismologi (Mallet, Perrey, Fuchs, O'Reilly, Rudolph, de Montessus de Ballore, Mercalli, Baratta, ecc.) e dai bollettini italiani e stranieri, che riportano le registrazioni di tutti gli osservatorî sismici della Terra, si raggiunge una media di 80 scosse al giorno, ossia 30.000 terremoti all'anno sulla superficie della Terra e di questi una ventina con effetti letali per l'uomo. L'Italia, terra eminentemente sismica, enumera dall'inizio dell'era volgare ad oggi circa 340 terremoti da rovinosi a catastrofici. Dinnanzi a tale frequenza appare evidente quanto poco siano da prendersi in considerazione le notizie di persone che possono prevedere una scossa sismica o con intuizione o con appositi apparecchi. Si è sospettato se mai nelle manifestazioni sismiche esistessero fenomeni periodici. Per quanto riguarda il periodo diurno si ritiene che i terremoti avvengano più di notte che di giorno; o magari in rapporto alle variazioni giornaliere della pressione atmosferica; ma ciò non è affatto dimostrato. Per un periodo mensile secondo alcuni studiosi (Perrey) i terremoti sarebbero più frequenti nelle sizigie che nelle quadrature; più frequenti nel perigeo che nell'apogeo; e più frequenti con la Luna al meridiano, quasi in coincidenza con maree terrestri; ma tutto ciò non è assodato. Un periodo annuo pare abbia un massimo in inverno e un minimo in estate; ma anche tale risultato non ha fondamento solido. Anche per il periodo undecennale delle macchie solari, nel senso che a minimi di attività solare corrispondono massimi sismici, non vi sono dati sicuri di un rapporto definito. È parimenti infondato il ritenere che i terremoti possano essere provocati da alta temperatura dell'aria, da notevoli depressioni atmosferiche, quantunque possa essere presa in considerazione come causa concomitante un notevole gradiente barometrico sui margini di una frattura terrestre.

Insomma, dato il notevole numero di scosse che avvengono ogni giorno, è sempre facile trovare una relazione tra le scosse e i fenomeni con cui si vogliono mettere in rapporto. Quello che è certo è che i terremoti scuotono la Terra fino dalle prime ere geologiche; è noto che i movimenti orogenetici furono massimi nell'era primaria della Terra, poi subirono una fase di quiete nel Secondario, per riprendere l'attività nel Terziario e Quaternario. Gli strati terrestri mostrano fratture, salti, slittamenti, dislocazioni, capovolgimenti di ammassi giganteschi; tutto ciò attesta moti lenti e rapidi degli strati terrestri che obbediscono ai fenomeni e alle leggi dell'isostasia.

I terremoti nello spazio e nelle loro cause. - Considerati i terremoti nello spazio, ossia nella loro distribuzione sulla superficie della Terra, appare ben fondato che essi sono legati a determinate regioni epicentrali di cui ciascuna ha un'attività e che agiscono più o meno contemporaneamente. I singoli centri di scuotimento presentano una sismicità propria; ossia in essi i fenomeni hanno un abito sismico caratteristico nella modalità delle scosse, nella forma e direzione dell'asse dell'area megasismica, negli effetti più o meno identici. Sorse così il concetto dei terremoti corocentrici, ossia caratteristici dei singoli centri regionali, che nel verificarsi sono come una ripetizione l'uno dell'altro, almeno nella persistenza della località scossa (Baratta). Terremoti di passaggio per una data regione e provenienti da altri centri si possono dire esocentrici, quali i terremoti avvertiti, per es., a Roma e provenienti dai centri laziali, o umbri, o viterbesi. Lo studio dei sismologi mira appunto a individuare i centri e le zone sismiche di tutta la Terra.

Da queste ricerche si rileva che alcuni terremoti avvengono nelle regioni vulcaniche. Essi, anche se di notevole intensità, hanno un'area megasismica molto ristretta e linee isosismiche distribuite su di un'area molto limitata, il che indica anche un ipocentro poco profondo. Questi terremoti di carattere così centrale si hanno o quando in una regione si forma un nuovo vulcano (terremoti di Pozzuoli dal 1534 al 1538 per il formarsi del Monte Nuovo il 28 settembre 1538); oppure quando un vulcano si ridesta da una lunga fase di riposo (terremoto campano del 5 febbraio del 63 d. C. quasi tentativo fallito dell'eruzione vesuviana che poi si realizzò nel 79, con la distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia; nonché quelli del Napoletano dell'anno 1631 per il ridestarsi del Vesuvio il 16 dicembre di detto anno, dopo un riposo, forse, di circa due secoli); oppure quando un vulcano è nel suo massimo parossismo eruttivo (così i terremoti nei paesi vesuviani durante l'eruzione del 1906 e i terremoti dell'8 maggio 1914 e 17 giugno 1923 che produssero rovine nei paesi etnei per eruzione dell'Etna). E finalmente quando un vulcano è spento e si sfascia nella compagine del suo profondo edificio (tali i terremoti di Casamicciola del 1828, 1881 e 1883; quello del Vulture nel 1851; e i numerosi terremoti dei Colli Laziali, ad es., quelli del 19 luglio 1899, del 10 aprile 1911, del 26 dicembre 1927). Poiché questi terremoti mostrano tanta relazione con le fasi vulcaniche e presentano caratteri così ben distinti, possono benissimo chiamarsi terremoti vulcanici.

Altri terremoti avvengono nelle cosiddette regioni carsiche; ossia in località che presentano vaste fratture superficiali e numerose caverne sotterranee. Tali terremoti, anch'essi di zona megasismica molto ristretta, con isosismiche molto vicine e ipocentro poco profondo, si possono chiamare terremoti di sprofondamento. Tra i più recenti ricordiamo quello delle Alpi Carniche del 10 luglio 1908, durante il quale nella zona epicentrale si udivano rumori come grandi sassi che precipitassero dalle montagne; così anche quelli del 12 maggio 1924 ad Ampezzo (Udine); del 12 dicembre 1924 nella Carnia; del 1° gennaio 1926 nella Carniola; del 27 marzo 1928 e 25 dicembre 1931 nel Friuli; e del 29 agosto 1931 nell'Istria.

Altri terremoti anche avvengono in regioni molto limitate, ma lontane sia dai centri vulcanici sia da località carsiche, e si presentano come in relazione a montagne isolate, quasi che si trattasse di blocchi più o meno giganteschi della crosta terrestre che da una fase di equilibrio instabile, forse per sottrazione alla loro base profonda di materiali rocciosi da parte delle acque sotterranee, passano a una fase di equilibrio stabile. Il rassetto di tale blocco più o meno enorme, magari su di una verticale di pochi millimetri, provoca un urto negli strati terrestri capace di originare vibrazioni sismiche. Questi terremoti si possono dire terremoti di assestamento. Tali si potrebbero ritenere i terremoti di Montecassino, dove si verificano lunghi periodi sismici e nettamente localizzati al monte; quelli della Sabina (Rivodutri) e di molti epicentri del Gargano.

Finalmente si rilevano terremoti assiali e regionali, ossia su vasta superficie, di notevole intensità, i quali interessano estese zone terrestri che si manifestano attivissime in confronto di altre zone sismicamente inerti. Si è rilevato infatti che sulla Terra si possono distinguere zone asismiche e zone sismiche. Sono zone asismiche la Gran Bretagna, l'Irlanda, il nord della Germania, la Finlandia, le vaste pianure della Russia e della Siberia, la Mongolia, la Manciuria, l'Africa centrale e meridionale, i massicci orientali dell'America Settentrionale e Meridionale e l'Australia. Esse appartengono a terreni azoici o paleozoici. Sono invece zone sismiche con attività più o meno elevata: il Camciatca, le Isole Curili, le isole del Giappone, Formosa, le Filippine, le Molucche, il sud dell'Australia con la Tasmania, la Nuova Zelanda, le coste occidentali dell'America Meridionale, l'America Centrale, le coste occidentali dell'America Settentrionale, le Isole Aleutine. È tutto un cerchio che chiude il Pacifico e perciò viene detto circolo circumpacifico o andino-giapponese. Da esso proviene il 38% dei terremoti. Un altro circolo abbraccia i tre mediterranei: quello europeo, quello asiatico (Mare della Sonda) e quello americano (Mar Caribico); perciò tocca le Sierras della Spagna e le catene dell'Atlante; le Alpi, l'Appennino, le Alpi Dinariche, i Carpazî, i Balcani, il Caucaso, i monti dell'Asia Minore, dell'Armenia, la Persia, il Himālaya, le catene del T'ien Shan, le Isole della Sonda, le Isole Marianne, l'America Centrale, le Antille, le Azzorre, le Isole del Capo Verde, le Canarie. Questo circolo è detto appunto circolo dei mediterranei o alpino-himalayano. Da esso proviene il 54% dei terremoti. L'altro 8% proviene da altri punti della Terra. I terremoti che avvengono su tali zone presentano un'area megasismica molto estesa, linee isosismiche notevolmente distanziate, quindi un ipocentro molto profondo rispetto alle altre categorie di terremoti. A questi caratteri si aggiungono in grado accentuato tutti gli effetti dei terremoti: vaste rovine, crepacci lunghi e profondi, frane imponenti, maremoti. E poiché interessano l'architettura della crosta terrestre, furono detti dal Hoernes terremoti tettonici. Si ritiene che tali terremoti siano una manifestazione delle profonde dislocazioni telluriche lungo i due circoli surriferiti; sugli stessi circoli manifestano anche la loro attività oltre trecento vulcani, e continui bradisismi mostrano l'instabilità di queste due geosinclinali circumpacifica e mediterranea. Pare che la geosinclinale mediterranea sia in fase di sollevamento, come dimostra l'imprigionamento del Lago Aral, del Caspio, del Mar Nero, del Mediterraneo che nelle ere primaria e secondaria formavano un gran mare che univa l'Atlantico all'Oceano Indiano. Invece pare che il circolo circumpacifico sia originato dallo sprofondamento del Pacifico, dove infatti troviamo le fosse oceaniche più profonde. Anzi proprio presso le fosse più profonde si trovano le zone più sismiche.

Quando si tiene presente che spesso a tali profondità oceaniche corrispondono montagne di notevoie altezza, si può comprendere quali dislocazioni siano avvenute e avvengono tuttora in queste regioni terrestri, e quindi quanta instabilità vi sia nella compagine di questi strati geologicamente più recenti, capaci di originare terremoti che mettono in vibrazione la Terra intera.

Alcuni tra i sismologi moderni propongono un'altra categoria di terremoti, quelli plutonici; sarebbero batisismi, ossia terremoti a ipocentro molto profondo, probabilmente indipendenti dalla litosfera e in rapporto con la pirosfera, la quale viene situata dai geologi al disotto della litosfera, ossia ad oltre 100 chilometri di profondità dalla superficie della Terra.

Tra le regioni sismiche si è nominato l'Appennino e quindi l'Italia; per quanto riguarda particolarmente la sismicità della Penisola, v. italia, XIX, p. 719, dove una carta fa rilevare la diversa attività sismica delle singole regioni. Dagli esempî addotti si rileva che l'Italia subisce terremoti vulcanici, di sprofondamento, di assestamento, e, molto più, tettonici, e questi nella loro manifestazione mostrano ancora una volta la loro relazione con le dislocazioni degli strati. Difatti è dimostrato che il Tirreno e l'Adriatico sono in fase di sprofondamento, e che il Tirreno sprofonda più che l'Adriatico, mentre l'Appennino è in gran parte in fase di sollevamento.

Ora è noto che anche i vulcani dell'Italia preponderano molto più nel versante Tirrenico e che i centri sismici più attivi sono più vicini ai centri vulcanici più attivi. Tutto ciò conferma come sismicità e vulcanismo siano l'effetto di una stessa causa: il diastrofismo della crosta terrestre con le conseguenti dislocazioni e fratture.

Bibl.: M. Baratta, I terremoti d'Italia, Torino 1901; De Montessus de Ballore, La géographie séismologique, Parigi 1905; id., La science séismologique, ivi 1906; W. Hobbs, Earthquakes, Appleton Co. 1907; I. Milne, Earthquakes and other Earth movements, Londra 1913; Ch. Davison, A Manual of seismology, Cambridge 1921; A. Sieberg, Erdbebenkunde, Jena 1923; De Montessus de Ballore, La géologie séismologique, Parigi 1924; E. Rothè, Le Tremblement de terre, ivi 1925; H. Bouasse, Séismes et sismographes, ivi 1927; I. R. Freeman, Earthquake Damage and Earthquake Insurance, New York 1932; I. Macelwane, L. Adams e altri, Physics of the Earth, Washington 1933; G. B. Rizzo, Lezioni di fisica terrestre. I terremoti, Napoli 1934; A. Cavasino, I terremoti d'Italia nel trentacinquennio 1899-1933, in Mem. R. Uff. cent. met. e geod., Roma 1935 (continuazione del lavoro del Baratta succitato).

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