TERRITORIO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

TERRITORIO

Corrado Beguinot

(App. IV, III, p. 625)

Il termine t. denota una porzione definita della Terra, di dimensioni più o meno vaste, con caratteristiche di tipo morfologico, ambientale, politico, geografico, amministrativo, ecc. In senso più lato il t. è il luogo nel quale gli uomini vivono, svolgendo le proprie attività, e dal quale ricavano prodotti e motivazioni per la propria sussistenza e per le proprie aspirazioni. Un t. è detto antropizzato quando il suo stato naturale appare modificato dall'intervento dell'uomo che ha agito su di esso al fine di adeguarlo ai propri bisogni; quando invece l'intervento dell'uomo ha riguardato specificamente la realizzazione di opere edilizie e di infrastrutture, il t. è detto urbanizzato. A tutt'oggi, da stime attendibili effettuate dal WWF si apprende che circa un cinquantesimo della superficie terrestre è urbanizzato; questo significa che tre milioni di km2 del nostro pianeta sono ricoperti da città, strade, reti tecnologiche. Risulta, invece, antropizzato l'intero territorio mondiale, in quanto anche le modeste regioni territoriali che non hanno subito in maniera diretta l'intervento dell'uomo risentono in qualche modo delle trasformazioni realizzate in altre zone del mondo.

Il t., quindi, costituisce un sistema (secondo la definizione formulata da L. von Bertalanffy negli anni Venti) complesso e dinamico: complesso, perché è costituito da un numero di elementi e di relazioni pressoché infinito; dinamico, in quanto le relazioni variano nel tempo. Oggi il t. costituisce un unico sistema interdipendente che si dirige verso l'unificazione a scala planetaria di regole, di comportamenti e di effetti. In un tale contesto il t. urbano recita un ruolo fondamentale, sia nei processi di trasformazione che in quelli di strutturazione di nuovi equilibri. Dall'urbanizzazione su scala mondiale e dalla sempre più accentuata mondializzazione dei fenomeni dipendono le nuove tendenze di distribuzione delle popolazioni, i flussi di migrazione internazionali, l'organizzazione degli scambi, i modelli di consumo diffusi. A sua volta, la riconfigurazione verso cui tende la struttura complessiva del sistema mondiale incentiva ulteriormente il modello di urbanizzazione a scala mondiale.

Il significato che si assegna al termine t., com'è facile comprendere, è in continua evoluzione, così com'è in evoluzione la politica di pianificazione e gestione territoriale; quest'ultima si realizza nel tempo e nello spazio e dipende dai modelli dell'organizzazione sociale complessiva. Ogni azione dell'uomo è generata da processi duali (razionali e irrazionali, consci o inconsci) che ricercano il soddisfacimento di un bisogno, sia esso primario sia esso sovrastrutturale. La vita dell'uomo è sempre stata impregnata in questa dualità che finora gli ha concesso la capacità di creare spazi di vita, anche contraddittori, anche negativi ma sempre capaci di sopravvivere a se stessi e di dar luogo a quella continuità storica che è essa stessa ragione di vita. Qualunque sia l'approccio critico con il quale si affronta l'osservazione del t., non si può non dare il dovuto peso a due degli aspetti fondamentali che ne hanno determinato le trasformazioni: la razionalità, quale contributo alla scelta lucida e finalizzata; l'irrazionalità, quale componente della scelta emotiva e ancestrale. In ogni periodo lo spazio territoriale, i suoi elementi dominanti e quelli secondari, ma che nel loro insieme compongono l'habitat e l'ambiente, rappresentano la concretizzazione formale del rapporto t.-società.

Civiltà industriale e territorio. - La velocità impressa, a partire dal Settecento, dalla rivoluzione industriale al mutamento dell'organizzazione territoriale è destinata a subire un'accelerazione continua nei tempi successivi: tutto quanto avvenne tra l'Ottocento e la prima guerra mondiale mise definitivamente in crisi i fondamenti sui quali il sapere dell'uomo si era retto fino a quel momento, alterando nettamente i tempi in cui i cambiamenti avvengono. Il legame e le interazioni tra scienza, tecnologia e modi della produzione hanno generato la cosiddetta ''seconda rivoluzione industriale'': le scoperte scientifiche e le nuove scienze, le innovazioni socio-economiche, le radicali innovazioni nel settore dei trasporti, nel campo delle comunicazioni visive, sonore e audiovisive, nel settore delle costruzioni e negli ambiti di applicazione più vari, hanno aperto l'accesso a un mondo in cui vi è pluralità di tempi e di spazi. I viaggi oramai si misurano in ore o giorni e non più in settimane o in mesi e, inoltre, la comodità raggiunta dai nuovi mezzi incentiva spostamenti che prima erano frenati dall'associazione all'inevitabile disagio fisico. Le notizie circolano a velocità che sarebbero state inimmaginabili solo fino a qualche decennio prima: il tempo di trasporto delle informazioni da un capo all'altro di un continente si è ridotto da mesi a minuti; anche il senso del passato che ora si avvale di altri strumenti di conservazione della memoria, oltre a quella scritta e orale, si trasforma totalmente.

La mutata Weltanschauung ha trasformato profondamente i rapporti con il t. e i modelli strutturali della vita urbana: il tempo e lo spazio, che di volta in volta erano stati della natura, della chiesa, del mercato, si sono diretti verso un'accezione di globalità. Il disagio avvertito nell'organizzazione del t. è causato principalmente dalla crescita caotica e diffusa della città che, investendo territori sempre più ampi, contribuisce non poco all'urbanizzazione delle campagne. L'urbanizzazione generalizzata dei territori è anche conseguenza del nuovo mezzo di trasporto individuale che, in pochi decenni, si è imposto in tutto il mondo divenendo un fenomeno di massa. Le strade solcano i t., ampliando le carreggiate e imponendosi quali direttrici di sviluppo: attività produttive, ma anche quartieri residenziali s'insediano nelle aree privilegiate dai collegamenti su gomma e prossime a nuclei urbani in espansione. L'automobile entra in conflitto con spazi urbani che erano riusciti a mantenere nei secoli un rapporto logico tra strade, edifici, immagine e funzioni. La struttura urbana ''respinge'' di fatto il nuovo mezzo, ma ogni tentativo di regolarne l'utilizzazione o di valutarne l'impatto si scontra con l'incapacità di rinunziare al trasporto individuale e con la mancanza di una risposta pubblica in grado di equilibrare le esigenze di una città vivibile, la presenza di una città storica e le accresciute esigenze di mobilità.

Nel secondo dopoguerra, al contrario del periodo precedente, non si sono prodotte nuove teorie di pianificazione della città e del t.; l'elemento innovativo è piuttosto la diffusione delle idee e delle esperienze maturate nei diversi paesi, le cui applicazioni a volte prescindono dalle diversità dei fattori locali e delle abitudini residenziali e produttive. Un'ulteriore accelerazione è stata impressa al trasporto. Sulla lunga distanza gli aerei svolgono un servizio regolare tra le maggiori città (il primo volo di linea internazionale era stato effettuato nel 1919 tra Londra e Parigi) e hanno sostituito quasi totalmente i collegamenti navali riservati al trasporto passeggeri; questi ultimi, però, continuano a essere attivi per i viaggi del tempo libero. Sulle medie e brevi distanze i collegamenti ferroviari, anch'essi sempre più veloci, continuano ad avere un proprio ruolo, così come lo mantengono le vie d'acqua che assorbono ancora una quota del trasporto merci. Due sono i modi di trasporto presenti sul t. pressoché da sempre (su acqua e su strada) e due sono invece storicamente recenti (su ferro e aereo); per ognuno di essi si è assistito a una notevole evoluzione dei mezzi e, con l'eccezione delle vie d'acqua, per ognuno si è avuto un notevole incremento delle reti e del loro utilizzo.

La città negli ultimi decenni è cresciuta in maniera caotica e casuale arrivando a quote di complessità non più accettabili, perché quando la complessità avanza più velocemente della capacità di governarla e organizzarla, si tramuta in congestione. La vita che si svolge nelle città, negativamente rivoluzionate nel 20° secolo, conduce ancora una volta alla convinzione che l'abbattimento della qualità sia in massima parte dovuto alla disparità tra velocità del processo e velocità della capacità di adeguamento, e che a questo processo prenda parte attiva l'uso distorto dei prodotti, degli strumenti e dei sistemi dell'avanzamento tecnologico, nonché delle politiche di gestione spesso guidate da interessi particolari che producono ''veleni collettivi''.

L'interazione tra i settori che maggiormente si sono evoluti (l'elettronica, l'informatica, la sistemistica e le telecomunicazioni) ha prodotto la telematica, con un forte impatto sul sociale. I prodotti e i processi della telematica modificano i rapporti, le relazioni spazio-temporali, nonché le velocità possibili, e avviano ulteriori trasformazioni di vita sociale e di comportamenti individuali che si trovano di fronte un uomo, una città e un ambiente che non sono in grado di accoglierli in maniera adeguata. Il t. e le città sono oramai nella condizione di dover ridiscutere i propri fondamenti strutturandoli sugli innovati rapporti spazio-temporali della mutata società. Le distanze e le velocità per percorrerle, sia materialmente che virtualmente, hanno necessità di nuove entità di misura, di nuovi modelli di aggregazione e di nuove ipotesi di organizzazione: hanno, in definitiva, necessità di metodologie innovate in grado di elaborare nuovi prodotti alla scala urbana e a quella territoriale.

Rappresentazione del territorio. - La rappresentazione di un oggetto o di un fenomeno viene eseguita per numerose ragioni: per descriverlo compiutamente, per osservarne aspetti particolari, per non intaccarne le caratteristiche originali, per riproporlo a distanza, per esprimerlo con finalità artistiche, per verificare eventuali ipotesi, ecc. Ogni rappresentazione è un'interpretazione della realtà che, per essere attuata (qualunque sia il mezzo utilizzato), necessita di una fase di analisi e di una di sintesi. La rappresentazione del t. viene praticata fin dai tempi remoti: le finalità, gli strumenti e le modalità della rappresentazione si sono modificate nel tempo, coerentemente alle trasformazioni sociali e all'evoluzione di tecniche e mezzi. La riduzione di scala è una delle prime questioni che si pongono per la raffigurazione del t.; la dimensione reale dev'essere riportata in un modello le cui proporzioni garantiscano chiarezza, leggibilità e maneggevolezza a seconda della finalità, delle tecniche di rappresentazione utilizzate e della grandezza del t. da rappresentare.

Cartografia. La rappresentazione più tradizionale del t. è quella cartografica (v. cartografia, in questa Appendice). La cartografia è uno strumento tecnico preposto alla conoscenza e alla gestione del t.; è però anche uno strumento di comunicazione, in quanto il suo prodotto trasferisce una serie di informazioni inerenti all'oggetto rappresentato. Prima di passare a una sintetica descrizione dei prodotti cartografici è però utile dichiarare in premessa quali sono i limiti di questo tipo di rappresentazione: qualsiasi carta, di qualsiasi tipo, raffigura sul piano una realtà tridimensionale e rappresenta in modo statico una realtà fortemente dinamica.

Le carte possono essere classificate in base alla scala, al tipo di proiezione, al contenuto. Le carte in scala inferiore a 1:1.000.000 si dicono geografiche, quelle comprese tra 1:1.000.000 e 1:100.000 corografiche, e quelle in scala maggiore topografiche. Per ciò che concerne i tipi di proiezione, senza entrare nel merito tecnico-scientifico che compete al campo specialistico, si citano i principali sistemi usati: carta di Mercatore, proiezione stereografica polare, proiezione conforme di Gauss; quest'ultima è quella in uso attualmente in Italia per la produzione di cartografia topografica.

Il contenuto di una carta dipende dal fine e, quindi, dall'utilizzazione a cui essa è destinata; una classificazione di massima può essere la seguente: carte generali: riportano la maggior parte di informazioni di carattere, appunto, generale, che possono essere utilizzate da utenze variegate; carte urbanistiche: riportano, a seconda della scala, informazioni dettagliate relative ai sistemi insediativi, alle infrastrutture, agli impianti tecnologici, ecc., e possono essere di analisi dello stato di fatto o di progetto; carte tematiche: entrano nel dettaglio di contenuti specifici relativamente a elementi fisici del t., a fenomeni di carattere quantitativo, qualitativo, ecc.

In cartografia sia la fase del rilievo che quella della restituzione si avvalgono del portato dell'avanzamento scientifico e tecnologico. Nel campo del rilievo, al metodo diretto topografico convenzionale si è affiancato, negli anni Venti, il metodo aerofotogrammetrico e, negli anni Settanta, il telerilevamento. L'aerofotogrammetria utilizza coppie di fotografie aeree stereoscopiche e restitutori analitici che, dagli anni Sessanta, hanno sostituito i precedenti di tipo analogico. Il telerilevamento, nell'accezione più diffusa, è riferito alla registrazione di immagini da satellite con relativa acquisizione ed elaborazione di dati (nella fattispecie territoriali) di natura spettrale. Un'applicazione che discende dal telerilevamento e dall'informatica (computergrafica, image-processing, data-base) è il GIS (Geographic Information System). I GIS permettono il monitoraggio di un'ampia serie di processi territoriali, e generalmente sono la risultante di un sistema di disegno grafico assistito da calcolatore (CAD) e di un sistema di gestione di dati alfanumerici di tipo relazionale (DBR) che consente di associare attributi a poligoni identificati. L'uso di tali strumenti, consentendo la rappresentazione in tempo reale e in modo continuo di fenomeni di trasformazione del t., determina una condizione indispensabile e di concreto supporto alle politiche d'intervento sul t. stesso.

Altre forme di rappresentazione. Già nei tempi remoti altre forme di rappresentazione, rivolte maggiormente al t. urbano, si affiancavano alla produzione cartografica (intesa quale restituzione grafica della misurazione e dell'interpretazione del t.). La pittura, i trattati filosofici, la narrativa, le guide di viaggio, la fotografia, il documentario, ecc. hanno spesso avuto il t. quale soggetto. Sottolineare che fin dai tempi antichi il t. viene descritto con strumenti, forme e tecniche di vario tipo significa mettere in evidenza la necessità e la difficoltà di rappresentare un fenomeno articolato e complesso, definito e variabile nello spazio e nel tempo. Ciò non di meno, la rappresentazione cartografica costituisce tuttora un valido supporto tecnico per descrivere e comprendere particolari caratteristiche del t. e per proporre, verificare e controllare determinate ipotesi d'intervento.

I plastici, che altro non sono che modelli tridimensionali, svolgono una funzione analoga ai modelli bidimensionali cartografici; essi, pur riuscendo a rappresentare la terza dimensione, mostrano comunque il limite del non poter descrivere la componente dinamica. Inoltre, pur essendo utili per alcune osservazioni del fenomeno territoriale, vengono scarsamente utilizzati dagli operatori, in quanto la loro realizzazione è complessa e costosa, e il prodotto finale è poco maneggevole. In effetti, la realizzazione di plastici per lo studio, l'analisi e il controllo del progetto viene praticata molto più per la scala architettonica che per quella territoriale; oltre tutto, al momento attuale essa tende a essere sostituita dalle rappresentazioni tridimensionali computerizzate.

Varie teorie e tecniche applicate allo studio e alla rappresentazione del sistema territoriale sono state mutuate dai risultati di studi operati in diversi ambiti disciplinari, non direttamente collegati alle problematiche territoriali. Dalla teoria generale dei modelli, sviluppata per riprodurre in modo semplificato e generalizzato la struttura di un fenomeno complesso, si è giunti alla messa a punto di modelli territoriali; i modelli matematici o simbolici sono quelli più sperimentati in materia territoriale per descrivere, prevedere e pianificare determinati aspetti del territorio. Questi modelli costituiscono una rappresentazione particolare del t. che viene considerato nelle sue diverse parti e nei rapporti che le legano, raffigurati e descritti attraverso relazioni logiche o matematiche. Evidentemente forme di astrazione e d'interpretazione della realtà così sofisticate sono arnesi di lavoro specifici, riservati agli specialisti dei settori coinvolti. Rimane quindi aperto il problema di trovare nuove modalità di rappresentazione del t. che siano, da un lato, strumento tecnico affidabile e, dall'altro, mezzo efficace di divulgazione; quest'ultimo aspetto riveste oggi particolare importanza, in quanto il ''grande pubblico'' è chiamato sempre più a partecipare attivamente a decisioni che coinvolgono il presente e ipotecano il futuro. In tal senso l'interattività concessa dagli strumenti a tecnologia avanzata apre nuovi orizzonti alle potenzialità della rappresentazione e all'efficacia del trasferimento dei contenuti che sono oggetto di attiva sperimentazione da parte degli operatori del t., geografi e urbanisti in primo luogo.

Videotapes, ipertesti e altri strumenti a crescente multimedialità, come per es. i CD-Rom, tutti con l'ausilio della grafica computerizzata e della digitalizzazione, rendono possibile la descrizione del t. reale e anche la rappresentazione virtuale di una realtà, sia essa rivolta al passato o all'ipotesi del futuro. La rappresentazione del t. da segno astratto, statico ed essenzialmente di tipo quantitativo viene trasferita in un contesto dinamico attraverso il quale diventano percepibili la morfologia, la qualità e il carattere degli oggetti e dei luoghi. Tali modalità di rappresentazione, generalmente strutturate secondo lo schema classico di una sceneggiatura di tipo cinematografico, danno anche la possibilità di descrivere modelli di funzionamento degli scenari futuri dell'assetto territoriale, in relazione alle specifiche politiche d'intervento.

Per i videotapes è immediatamente intuibile il vantaggio che essi offrono per la lettura e la comprensione del territorio. Tra le altre opportunità, la possibilità di rappresentare anche le attività che quotidianamente vengono esplicate diventa un'occasione di conoscenza altrimenti non perseguibile; un'immagine in movimento, inoltre, consente d'intuire aspetti essenziali che altrimenti sarebbero difficili da cogliere.

La prerogativa di un ipertesto è costituita sostanzialmente dalla possibilità d'interagire con esso, cioè di ''navigare'' al suo interno, associando dati a immagini, confrontando ipotesi, evidenziando particolari, ecc. L'ipertesto, nelle applicazioni inerenti al t., va molto oltre il concetto di un libro informatizzato da sfogliare in modo diverso da uno tradizionale, e dev'essere inteso quale ''ambiente virtuale'' complesso, detto anche ''iperimmagine'', in cui i materiali testuali, visivi e sonori interagiscono in forma multimediale.

L'espansione sensoriale, consentita dalle nuove tecnologie di rappresentazione e comunicazione, permette al fruitore d'immergersi nella plasticità di uno spazio che non esiste in quel tempo e in quel luogo, ma che può esistere in quel tempo e in un altro luogo, o che potrà esistere in un altro tempo. La possibilità di costruire realtà virtuali apre nuovi orizzonti nelle fasi di studio, di analisi e di progetto di un t. e in quelle, fondamentali, della comunicazione a terzi dei risultati a cui si è giunti. È immediato intuire le potenzialità che strumenti del genere offrono per la comprensione e per il controllo dello spazio in tutte le sue componenti dimensionali e in tutta la sua complessità; attualmente alla scala urbanistica sono in atto molte sperimentazioni di questi nuovi mezzi che conducono non solo alla messa a punto di nuovi prodotti ma che, soprattutto, inducono alla definizione di metodologie innovate per giungere a una puntuale rappresentazione del territorio.

Tutela del territorio. - L'iperconcentrazione di abitanti nelle grandi metropoli e, quindi, l'accumulo di attività e consumi sono responsabili della produzione di elementi nocivi e d'inquinamento, i cui effetti si propagano lungo un raggio territoriale molto più ampio del già ampio raggio metropolitano; le grandi città sono infatti punti di emissione d'inquinamento che, distribuiti nel mondo e in numero elevato, determinano l'inquinamento diffuso. Oramai il degrado dell'acqua e dell'aria raggiunge le acque sotterranee e l'ozonosfera: contaminare e diminuire le due risorse essenziali all'uomo, a un ritmo più veloce di quello richiesto dalle stesse per rinnovarsi e rigenerarsi, significa incidere direttamente sulle condizioni fisiche e chimiche della Terra e sulle possibilità di sopravvivenza dell'umanità. Le megalopoli (che costituiscono la punta estrema dell'urbanizzazione) e l'organizzazione tutta del t. urbano rappresentano le cause principali e l'effetto delle trasformazioni sociali e di quelle dell'ecosistema. È nelle città che si manifestano in modo evidente le contraddizioni e le crisi delle società del passato e s'intuiscono i possibili scenari futuri.

Il Sud e il Nord del mondo sono accomunati, pur nella diversità, dal problema ambientale. Nei paesi avanzati lo squilibrio ecologico è la risultante dello sviluppo economico e urbano; nei paesi poveri l'inquinamento e la destabilizzazione ambientale derivano dall'arretratezza dello sviluppo che lega l'economia a sistemi di produzione antiquati e allo sfruttamento intensivo e distorto delle risorse naturali. Il serbatoio delle risorse si assottiglia sempre più a causa del depauperamento operato dalla vita urbana, e le conseguenze si ripercuotono negativamente sulla vita urbana stessa che a sua volta, innescando una reciprocità perversa, emette e riversa il suo prodotto inquinante nell'ambiente naturale. Natura e città alimentano oramai un unico processo: la salvaguardia dell'ambiente naturale dipende dalla capacità di recupero dei valori della storia e della cultura urbana, e la salvaguardia dell'ambiente urbano dipende dalla capacità di recupero delle risorse naturali e dei valori ambientali.

Territorio di superficie. Il t. è, nello stesso tempo, la premessa e il risultato dell'evoluzione sociale, collettiva e individuale; ne costituisce la premessa, perché da esso si ricavano gli elementi che consentono la vita e l'evoluzione della civiltà, e ne rappresenta il risultato, perché esso viene continuamente trasformato e condizionato dal susseguirsi degli stati evolutivi. Le risorse naturali che il t. fornisce all'umanità devono essere preservate attraverso un loro uso oculato che ne deve garantire la disponibilità nel tempo. Ogni generazione è, infatti, responsabile degli effetti che le proprie azioni producono, non solo nel breve ma anche nel lungo termine, e pertanto essa deve operare per il proprio presente senza che questo possa configurarsi quale origine di un danno per le generazioni future.

Inquinamento dell'atmosfera, degrado dei suoli, deterioramento delle città, riduzione e danneggiamento del patrimonio forestale, aumento della desertificazione, sbilancio tra perdite e recuperi di terreni per uso agricolo, aumento della temperatura, innalzamento del livello del mare, scomparsa di specie animali e vegetali, ecc.; sono solo alcuni dei grandi problemi che accomunano i paesi del mondo. Come si è già visto, in questo contesto e per ognuna di queste problematiche, la dimensione e l'organizzazione dell'urbanizzazione svolgono un ruolo primario e, di conseguenza, la tutela del t. e la tutela dell'ambiente vanno a coincidere in uno stesso atto. Per poter esplicarsi, la tutela deve assumere alla base di ogni ipotesi d'intervento la volontà e la capacità di controllo e di gestione di tutte le possibili fonti di rischio e, tra queste, al primo posto vanno sicuramente ascritti gli agglomerati urbani.

Ogni forma di progresso, scientifico e tecnico, produce vantaggi e rischi o, se si preferisce, benefici e costi e, spesso, pone in essere molti più problemi di quanti non ne risolva. Risulta evidente che nella valutazione della qualità del progresso va costantemente pesato il rischio che l'avanzamento può arrecare alla salute dell'uomo e al suo ambiente; una volta che il rischio è stato ponderato, va anche stimato di quali capacità si dispone per ridurre al minimo la probabilità che l'evento dannoso si verifichi e per contenere la dimensione del danno in limiti considerati accettabili. Nel passato, anche recente, il rapporto diretto esistente tra azioni dell'uomo ed equilibrio ambientale non veniva colto nella sua valenza effettiva, e molti degli eventi pericolosi venivano ascritti alla categoria dei rischi naturali. Non si era ancora compreso che siccità, carestie, alluvioni, dissesti idrogeologici, ecc. sono la risultante di un insieme di fattori in cui convergono politiche economiche, gestionali e urbanistiche; oggi di tale rapporto si è pienamente consapevoli, così come lo si è dell'interdipendenza tra scala locale e scala globale. Però a tale presa di coscienza non è seguita una ricerca di soluzioni efficaci e coordinate, benché molti accreditati studiosi dell'ambiente siano giunti a concludere che, per evitare un'estinzione di massa, bisognerà al più presto abbandonare radicalmente gli attuali metodi di sfruttamento delle risorse, in particolare quelle scarse; tra queste ultime è compreso il t. la cui grandezza ha un valore finito.

Impostato in questa maniera il problema ambientale, l'oggetto città si pone ancora una volta al centro della questione, soprattutto per le dimensioni che essa ha assunto in termini di spazio fisico occupato, di numero di abitanti e d'inefficace gestione del sistema strutturale. L'enorme espansione urbana significa consumo di t., che spesso viene compromesso in modo irreversibile; la concentrazione di popolazione significa domanda ingente di risorse primarie da far convergere in un'area ristretta e dipendente smistamento dei prodotti di risulta; la cattiva gestione significa spreco delle risorse e forte impatto sul t. non urbano. Quando il problema consiste nel pericoloso assottigliamento del patrimonio disponibile, l'azione di recupero diventa indispensabile, pur prescindendo da qualsivoglia istanza culturale o ideologica. La riorganizzazione dell'uso delle risorse primarie (idriche, energetiche, ecc.) e la rifunzionalizzazione delle risorse insediative (edifici, infrastrutture, ecc.) vanno quindi affrontate in un'unica soluzione e in termini di reciprocità.

A causa dell'assenza di politiche globali e della frammentarietà con cui le risorse vengono attualmente utilizzate, è difficile comporre un quadro complessivo di proposte di recupero tra loro armonizzate. Bisogna essere coscienti che più si ritarderà l'avvio di un'azione sinergica, più si avvicinerà il rischio di collasso definitivo del sistema territoriale, in quanto gli sperperi e le diseconomie continueranno a sommarsi intersettorialmente. Tale questione è oggetto di continuo dibattito da parte di istituzioni e studiosi che si confrontano circa le modalità di tutela del nostro pianeta e dell'uomo. Numerosi incontri internazionali si sono realizzati e hanno prodotto documenti a cui è stata data ampia diffusione. Un limite, anche in questo campo, è rilevabile nella settorialità con cui si affrontano le problematiche relative alla gestione del t. e, quindi, al suo futuro. Le numerose conferenze internazionali sull'ambiente, i convegni inerenti alla conservazione del patrimonio storico-architettonico e i simposi sui problemi urbanistici quasi mai hanno realizzato concreti momenti di confronto e di collaborazione interdisciplinare, anche se nelle ''Dichiarazioni'' e nelle ''Carte'' prodotte sono impliciti il bisogno e il desiderio di far convergere i diversi aspetti concorrenti. La richiesta di sinergia quale processo indispensabile appare sempre più forte mano a mano che si evolvono le metodologie degli specifici settori, da un lato, e si accresce la complessità della mondializzazione dall'altro.

Per es., nel campo del restauro si passa dai concetti di ''conservazione'', di ''monumento'' e di ''centro storico'' (Carta di Atene, 1933) al concetto di ''tutela'' del ''patrimonio storico'' quale ''bene comune'' della civiltà mondiale (Washington, 1987). Un'evoluzione simile si ritrova anche tra gli esperti di ambiente che, attraverso successive fasi, passano dal concetto di ''conservazione'' delle risorse naturali a quello di ''tutela'' e dallo sviluppo ''compatibile'' a quello ''sostenibile''. Fino agli anni Cinquanta gli incontri internazionali avevano quale scopo principale quello di confrontare esperienze inerenti a contesti ambientali simili e con problemi simili. L'avanzamento del dibattito porta alla formalizzazione della scienza ecologica e alla comprensione del rapporto tra attività dell'uomo e conseguenze sull'ambiente (Dichiarazione ONU, Stoccolma, 1972) e all'istituzione della Valutazione di Impatto Ambientale (Carta della VIA, Lussemburgo, 1985). Si arriva, infine, alla diffusione nella coscienza collettiva che la portata della questione ambientale impedisce la ricerca di soluzioni alla scala locale e settoriale perché, per quanto piccola e lontana sia la sorgente inquinante, i suoi effetti si possono irraggiare su un territorio molto più ampio, sino a coinvolgere l'intero pianeta. Inoltre, la quantità della diffusione urbana e la dimensione della concentrazione metropolitana hanno, di fatto, eliminato la distinzione tra ambiente naturale e ambiente artificiale. La città, come aveva già dimostrato J.B. Mc Loughlin, è l'ecosistema elettivo dell'uomo e, in quanto tale, essa partecipa nel bene e nel male alla ricerca dell'omeostasi dell'intero ecosistema per garantire uno sviluppo sostenibile (Conferenza ONU, Rio de Janeiro, 1992).

Con percorsi diversi, anche gli urbanisti giungono a un medesimo punto di arrivo concettuale. I passaggi salienti si ritrovano nella Carta di Atene (Grecia, 1933), in quella di Machu Picchu (Perù, 1977) e nella Carta di Megaride 94 (Italia, 1994). La prima, pur se immersa nella cultura razionalista, intuisce e anticipa la necessità di affrontare la pianificazione del t. con un approccio sistemico. La Carta di Machu Picchu, in continuità culturale con il documento capostipite, affronta il problema della crescita delle metropoli e mette in evidenza il rapporto diretto e reciproco che lega città e ambiente naturale. La Carta di Megaride 94, infine, riconosce nella città la questione centrale di ogni ipotesi di sviluppo della nostra civiltà. Articolata in dieci principi, in essa vengono sviluppate le relazioni tra città e natura, città e popoli, città e cittadini, città e mobilità, città e complessità, città e tecnologia, città e recupero, città e sicurezza, città e bellezza, città e tempo.

Da quanto detto finora, appare evidente che, acquisito il concetto di finitezza del pianeta Terra e dello stato limite verso cui esso è avviato, le politiche di tutela devono essere tempestive e sinergiche sia in termini di specificità disciplinare, sia in termini di istituzioni internazionali e di amministrazioni locali. Tutelare il nostro pianeta significa tutelare la salute e la sicurezza degli uomini, del t. e delle città. Il capitale delle risorse naturali (assottigliato nel tempo) e artificiali (accumulato nel tempo) deve sì garantire il sostentamento quantitativo e qualitativo della nostra generazione, ma la nostra convenienza non può divenire la causa della sofferenza delle generazioni future che hanno diritto a vivere in un mondo a esse favorevole. In questi ultimi due secoli la natura è stata costretta dall'uomo a comprimere i propri tempi di reazione che, invece, sono tempi lunghissimi di ordine geologico e biologico; anche le città, che storicamente richiedevano millenni e secoli per rispondere a sollecitazioni di trasformazione, sono ora represse in tempi strettissimi. La natura, che agiva in spazi vastissimi, è ora indotta a svolgere i suoi cicli in ambiti sempre più angusti, e le città, che occupavano t. limitati, si espandono su t. sempre più vasti. Lo spazio, quale grandezza finita del nostro pianeta, e il tempo, quale proiezione infinita della vita di esso, costituiscono le due categorie di eccellenza sulle quali ipotizzare e verificare le azioni di tutela del presente per definire e realizzare il progetto del futuro.

Territorio del sottosuolo. Tutelare il t. significa preservare l'intero nostro pianeta il quale, essendo un geoide, comprende oltre alla ''superficie'' anche un ''mondo sotterraneo'' che è direttamente coinvolto da molte delle attività che si svolgono in superficie oppure è esso stesso sede di attività. Un'efficace politica globale di protezione ambientale deve pertanto comprendere il sottosuolo e gli interventi che in esso si realizzano; questi ultimi, contribuendo ad alterare i necessari equilibri dell'ecosistema, richiedono un'adeguata valutazione dell'impatto ambientale che determinano. Ancora una volta la città assume un ruolo principale nelle problematiche che investono l'uso e la salvaguardia, perché è dalla città che deriva la maggior parte delle utilizzazioni del sottosuolo.

Da epoca remota il sottosuolo è stato utilizzato per il prelievo di materiali, per dare dimora ai defunti, per l'approvvigionamento idrico o per lo smaltimento dei rifiuti; più tardi in esso sono state allocate le reti tecnologiche di distribuzione, ed è da esso che vengono prelevate le principali fonti energetiche che utilizziamo; anche in questo caso non è trascurabile il problema delle risorse finite, o rinnovabili in tempi geologici, e di un uso razionale del t. del sottosuolo. A una semplice analisi del sistema dei servizi relativi al sottosuolo non può sfuggire l'inefficiente logica distributiva che lo caratterizza; l'assenza di una pianificazione determina infatti uno spreco di risorse che va a sacrificare le potenzialità di spazi sotterranei che sarebbero altrimenti utilizzabili. Inoltre, le attività che vi vengono insediate sono prescelte non in base alla natura o alle vocazioni dell'ambiente sottostante, ma in base alle esigenze della superficie; evidentemente, un uso del sottosuolo in tal senso s'intensifica al di sotto di una grande città.

Anche se tendiamo a non accorgercene, noi siamo abituati a frequentazioni sotterranee pressoché quotidiane: si pensi ai sottopassaggi, alle metropolitane, alle gallerie automobilistiche, alle sale di spettacolo parzialmente o totalmente interrate, ecc. Il senso di angoscia e di alterità che a volte ci assale nel recarci in particolari ambienti ipogei è in buona parte dovuto alla mancanza di connessione spaziale e funzionale tra il ''sopra'' e il ''sotto''; tale discontinuità contribuisce a rendere gli spazi sotterranei quali estranei al vissuto quotidiano e, risvegliando paure ancestrali, fa sì che in essi si tenda a permanere il minimo indispensabile. È forse giunto il momento per la pianificazione territoriale di cominciare a pensare in termini di urbanistica ''a spessore'', anche per trovare ipotesi di soluzione al prospettato affollamento del nostro pianeta. È pleonastico ricordare che l'insediamento nel sottosuolo dovrà essere praticato evitando di realizzare nuovi nuclei di emissione d'inquinamento, magari ancora più pericolosi di quelli ''solari''; l'insediamento, al contrario, dovrà essere praticato allocandovi quelle attività che non hanno necessità di essere svolte in superficie e che, allo stesso tempo, siano compatibili con l'ambiente sotterraneo. Fino a oggi, invece, il t. ipogeo il più delle volte è stato assimilato a un contenitore atto a ricevere strutture incongruenti con le caratteristiche funzionali delle aree sovrastanti, ed è stato utilizzato per lo più per risolvere problemi contingenti della superficie; il tutto è generalmente avvenuto al di fuori di pianificazioni di carattere generale e con l'aggravante di trascurare aspetti semantici e formali delle cavità utilizzate (naturali o appositamente create), in quanto una valutazione di tale impatto era considerata estranea a opere tecnico-ingegneristiche.

In Italia, nonostante l'alta densità territoriale (187,6 ab./km2) e il conseguente tasso di urbanizzazione, il sottosuolo è utilizzato poco e nei modi su descritti; di più consolidata tradizione è invece l'impiego della risorsa sotterranea in altri paesi industrializzati, in particolar modo in quelli caratterizzati da particolari condizioni climatiche, con esigenze di risparmio energetico e attenti agli equilibri ambientali di superficie. In Scandinavia o in Canada, per es., gli inverni lunghi e le temperature rigide predispongono la popolazione all'illuminazione artificiale e inducono a ridurre al minimo le ore trascorse all'aria aperta; inoltre la struttura geologica dei terreni consente scavi di ampie cavità nelle quali vengono allocati musei, archivi, chiese, ecc.

Nonostante questi e altri esempi rimane ancora lungo il cammino culturale da percorrere affinché si giunga a considerare il t. del sottosuolo alla stregua del t. di superficie e a sistematizzare una pianificazione ''a spessore'' attenta ai bisogni dell'uomo e agli equilibri dell'ambiente naturale.

Progettazione del territorio. - Progettare il t. sottintende l'operare all'interno di un sistema complesso del quale è necessario conoscere il comportamento attuale per prevedere e orientare il comportamento futuro. Durante gli anni Sessanta le teorie sulle dinamiche caotiche misero in discussione le concezioni riduzionistiche secondo le quali la conoscenza delle singole proprietà delle unità elementari di un sistema implicava la conoscenza delle proprietà del sistema; bisogna però ricordare che già nel 1889 J.-H. Poincaré aveva dimostrato che nello spazio non è perfettamente prevedibile il moto di tre parti di corpi mutuamente interagenti perché vi è mescolanza di ordine e disordine. La non predicibilità non è tuttavia sinonimo d'indeterminazione in quanto è pur sempre possibile procedere con schematizzazioni in grado di descrivere il fenomeno territoriale e la sua evoluzione, anche se appartenente alla categoria dei sistemi caotici; a tal fine, una possibile strada da percorrere è l'alternare a una descrizione causale una descrizione morfologica per ricercare le caratteristiche salienti e gli elementi basilari dei mutamenti dello stato fisico e strutturale dei sistemi territoriali.

Crescita della popolazione. A metà anni Novanta la popolazione mondiale ha superato i cinque miliardi e mezzo di persone; considerando che le terre emerse del globo assommano a circa 150 milioni di km2, risulta evidente che ogni abitante del pianeta ha a disposizione meno di tre ettari (per l'esattezza 2,7 ha), il che significa anche che su ogni km2 vivono mediamente 37 persone. I 27.000 m2 pro capite sono suddivisi nella seguente maniera: 8700 m2 sono costituiti da ghiacciai, deserti o montagne inabitabili, 8200 sono coperti da selve e foreste, 6700 sono destinati a pascolo, 3000 sono coltivati e 500 rappresentano aree urbane in espansione.

Affinché questi numeri acquistino senso è importante capire quanto e come essi potrebbero variare nel prossimo futuro. Il limite temporale superiore preso in considerazione dai principali istituti di statistiche demografiche (ONU, Banca Mondiale) è l'anno 2150; a questa data la popolazione mondiale prevista varia da un minimo di 5÷10 miliardi (rispettivamente, previsioni dell'ONU e della BM) a un massimo di 23÷28 miliardi (BM-ONU). Per ambedue gli istituti la stima media si attesta intorno ai 12,5 miliardi, media calcolata prevedendo una crescita progressiva ma contenuta. Un così ampio intervallo di variazione deriva dal fatto di non potere, in assenza di politiche di azione coordinata a livello mondiale, ipotizzare nel lungo periodo gli andamenti dei principali fattori di crescita della popolazione (tassi di fertilità, di mortalità, distribuzione delle risorse, usi e costumi locali, istruzione, ecc.). Se nel lungo periodo le previsioni demografiche si mostrano aleatorie, nel breve periodo esse si mostrano più attendibili in quanto è ipotizzabile, con maggiore credibilità, che gli attuali comportamenti di riproduzione della popolazione non subiscano alterazioni significative. Per il 2025, infatti, le proiezioni dei diversi istituti concordano nella previsione di una popolazione mondiale di 8÷8,5 miliardi di persone; ciò significa che gli attuali 27.000 m2 di superficie disponibili per ogni abitante del pianeta si ridurranno ad appena 18.000 m2. Inoltre, se l'aumento della superficie di terre inospitali e la contemporanea distruzione di risorse non rinnovabili, o rigenerabili soltanto in tempi lunghi, proseguirà con i ritmi attuali, l'equilibrio del rapporto tra l'uomo e il suo t. assumerà aspetti realmente drammatici. Ogni anno, infatti, per cattiva gestione della terra, si formano 60.000 km2 di deserto, le foreste tropicali si riducono al ritmo di 110.000 km2 all'anno e, nei paesi avanzati, 310.000 km2 di aree forestali sono danneggiati da inquinamento e piogge acide; si aggiunga infine che le acque dei fiumi e dei laghi, nonché quelle sotterranee, sono in gran parte contaminate o biologicamente morte.

Quando si ragiona su medie mondiali, il rischio di fornire un'informazione distorta è implicito, in quanto con dati complessivi non è possibile effettuare considerazioni che tengano nel dovuto conto le diversità che caratterizzano le singole aree; è evidente infatti che gli abitanti non sono uniformemente distribuiti sul globo terrestre, allo stesso modo in cui non lo sono foreste, laghi, terre fertili, città, aree metropolitane, ecc.

In base ai dati di tab. 1, si vede che nel nostro pianeta le densità territoriali sono molto varie, oscillando all'interno di un intervallo che va dai 2 ab./km2 dell'Australia ai 140 ab./km2 dell'Asia; oltre alle notevoli differenze tra le diverse aree geopolitiche, bisogna notare che anche all'interno di ogni singolo insieme territoriale si rilevano picchi di minima e di massima lontanissimi dai valori delle densità medie. Prendendo per es. due isole del Pacifico appartenenti all'Oceania, ognuna delle quali costituisce uno stato autonomo, si rileva una differenza che va dalla densità di 476 ab./km2 del territorio di Nauru ai 4 ab./km2 registrati in quello di Palau. Anche nel continente europeo le differenze sono considerevoli; infatti, pur scartando i casi estremi (Groenlandia 0,03 ab./km2 e Principato di Monaco 16.667 ab./km2) o t. con caratteristiche particolari (Islanda 0,2; Malta 1139; ecc.), le densità comunque variano tra i 77,5 ab./km2 della Norvegia e i 372,1 dei Paesi Bassi. Anche da questi pochi esempi risulta evidente che la densità territoriale della popolazione dipende da numerosi fattori di diversa natura, i quali vanno dalle caratteristiche geofisiche, ai sistemi economici, politici e culturali, ai caratteri dell'organizzazione urbana e dell'armatura territoriale.

La questione urbana. Per la comprensione delle dinamiche della popolazione, uno tra i primi parametri che vengono presi in considerazione è la distinzione tra popolazione rurale e popolazione urbana. Urbanesimo è il termine che denota il fenomeno di spostamento delle popolazioni dalle campagne verso le città. Esso iniziò a manifestarsi in modo significativo quale effetto delle trasformazioni urbane innescate, a partire dalla fine del 18° secolo, dalla rivoluzione industriale e prosegue nel tempo con incrementi pressoché regolari.

Limitandoci a esplorare gli ultimi decenni, si può osservare che nel 1950 la popolazione urbana mondiale rappresentava il 29,2% di quella totale, oggi essa si avvia a varcare la soglia del 50%: per la prima volta nella storia dell'umanità ''cittadini'' e ''campagnoli'' del mondo si equivarranno. Anche in questo caso, per meglio comprendere, è necessario suddividere il dato complessivo in almeno due grandi gruppi, quello comprendente i paesi sviluppati e quello comprendente i paesi in sviluppo; nel primo gruppo più del 70% degli abitanti vive in città e il rimanente 30% risiede in campagna, nei paesi in sviluppo le percentuali sono esattamente invertite. Le previsioni per il futuro indicano un tasso d'incremento che, nel 2025, porterà la popolazione urbana a raggiungere le quote dell'80% nei paesi industrializzati e del 60% negli altri. Per capire più chiaramente la reale consistenza del fenomeno, ai dati percentuali di popolazione urbana e rurale si devono affiancare sia quelli assoluti, sia quelli relativi alla crescita di entrambe le popolazioni nei t. dei due gruppi. Infatti, nonostante le differenze percentuali, dei circa 2,6 miliardi di persone che attualmente abitano in città, più di 1,5 miliardi risiede nei paesi arretrati, soprattutto nelle megalopoli, e poco meno di 1 miliardo in quelli avanzati; questa situazione si verifica perché la popolazione totale (4,373 miliardi) di Asia, Africa e America latina è circa il quadruplo di quella che vive in Europa, Nord-America e Oceania (1,106 miliardi).

Negli anni Cinquanta i 447 milioni di popolazione urbana dei paesi industrializzati non solo costituivano già la metà di quella totale (830 milioni), ma in valore assoluto superavano di gran lunga quella dei paesi a economia prevalentemente agricola che non raggiungeva neanche il 20% (287 popolazione urbana, 1688 popolazione rurale). In questi ultimi quarant'anni, mentre nei paesi terzi si assisteva a una crescita della popolazione del 150%, nei paesi avanzati essa aumentava solo di un terzo; ancora più significativo è l'andamento della popolazione urbana che aumenta di circa sei volte (1,7 miliardi) nel primo gruppo e si raddoppia (900 milioni) nel secondo gruppo.

Un andamento di questo tipo ha significato che dal secondo dopoguerra le città, le quali complessivamente in quel tempo ospitavano 734 milioni di individui, hanno dovuto organizzarsi per dare residenza a 1,966 miliardi di nuovi abitanti. L'organizzazione dei nuclei urbani si è risolta quasi esclusivamente nella crescita fisica degli abitati; non si è proceduto con politiche di ridefinizione dei sistemi urbani e territoriali, ma con addizioni continue di nuove parti e quindi con ulteriore e irrazionale consumo di una risorsa preziosa e limitata qual è il territorio. Le città sono cresciute troppo e troppo in fretta e, principalmente per questi motivi, l'espansione è avvenuta per lo più in modo empirico producendo architetture e spazi urbani privi d'identità. Le città sono divenute anonime, finendo per l'assomigliarsi l'una all'altra in un deleterio processo di omologazione che incide non poco sulla qualità della vita dei propri abitanti. Gli oltre due miliardi e mezzo attuali di ''cittadini'' vivono in nuclei urbani la cui consistenza varia da centri di poche migliaia di abitanti a megalopoli di oltre dieci milioni; gli agglomerati urbani che nel mondo superano questa soglia sono attualmente dodici, nel 1960 erano quattro e si calcola che nel 2000 saranno più di venti. Va anche detto che in molti casi il numero ufficiale degli abitanti di una metropoli è stimato in difetto; soprattutto nei paesi poveri si calcola che nelle grandi città sia presente una popolazione che sfugge a qualsiasi censimento e che in alcuni casi, per es. Calcutta, sembrerebbe raggiungere una quota pari al 40% della popolazione ufficiale. Come risulta dalla tab. 2, la maggior parte dei grandi agglomerati urbani caratterizza soprattutto i paesi poco avanzati: ben otto delle dodici megalopoli mondiali si distribuiscono in sei di questi paesi. Invece la formazione di una megalopoli in un determinato paese non sembra derivare direttamente dalla presenza di popolazione eccessiva e neanche dalle dimensioni, più o meno limitate, del t. complessivo; scorrendo infatti la lista dei cinque paesi che da trent'anni detengono il primato dei più popolati del mondo (tab. 3), si può notare che in due di questi non si ritrovano agglomerati urbani che varcano la soglia dei dieci milioni di abitanti, mentre in altri, anche con popolazione decisamente inferiore, esiste almeno una megalopoli. Ovviamente, concentrazioni così alte di popolazione urbana, unitamente al numero di grandi città che continua ad aumentare, destano non poche preoccupazioni soprattutto se si guarda al comportamento delle dinamiche di crescita storiche.

Nel 1500 una città era considerata grande quando la sua popolazione si avvicinava ai 100.000 abitanti. Nell'Ottocento, solo Londra, capitale del paese che per primo aveva dato inizio al processo d'industrializzazione, si accingeva a varcare la soglia del milione di abitanti. All'inizio del Novecento Londra, superando i quattro milioni di abitanti, continuava a essere tra le città più popolate, ma in America nel 1929 New York contava già cinque milioni e mezzo di persone. Nei primi decenni del Novecento, l'Europa risultava ancora il continente con le città più affollate, che erano: Parigi, con quasi due milioni e mezzo di abitanti, Berlino e Vienna, che si avvicinavano ai due milioni; Pietroburgo ne contava un milione e mezzo, Mosca oltre un milione.

All'affollamento metropolitano corrisponde un simmetrico abbandono delle zone rurali che si verifica perché il lavoro dei campi non riesce a sostenere i mutati bisogni, primari e non, di una popolazione che aumenta di numero e si trasforma nelle abitudini. La meccanizzazione rende superfluo il lavoro di molti, l'isolamento rende difficoltosa la socializzazione diretta e l'accesso ai consumi, a cui fanno da contraltare i mass media- la televisione in particolare − che offrono le immagini del ''resto del mondo'' che attira e alletta. La città offre lavoro, promette benessere, prospetta consumi, e le grandi città esibiscono il tutto in misura ancora maggiore. Tutto ciò fa sì che l'aumento della popolazione urbana sia dovuto più al saldo sociale (differenza tra emigrati e immigrati) che al saldo naturale (differenza tra nati e morti); le cause che spingono le persone a trasferirsi nelle città, in generale, e nelle metropoli, in particolare, come si è visto sono molteplici, ma sono comunque sintetizzabili tutte nella ricerca di uno stile di vita diverso e migliore.

Quest'aspettativa rimane per lo più insoddisfatta. Tutte le megalopoli, quelle dei paesi avanzati e quelle dei paesi in sviluppo, non riescono a coprire la ''domanda'' di nuove residenze, di servizi, di reti tecnologiche, ecc.; s'innesca quindi il fenomeno delle ''baraccopoli'' che, non a caso, assumono un termine specifico che le denota nelle differenti lingue (favelas, bidonvilles, slums, ecc.). Esse costituiscono una pseudo-città che, all'interno della città ufficiale, sopravvive insieme ai propri abitanti al di sotto di qualsivoglia minimo livello di vita urbana; ripari realizzati con materiali di risulta, assenza di infrastrutture primarie (acqua corrente, fognature, elettricità, strade, ecc.) e di qualsiasi servizio collettivo indispensabile alla vita urbana rappresentano le invarianti dei ''ghetti metropolitani''. Non è un caso che le baraccopoli caratterizzino essenzialmente le megalopoli; in un agglomerato urbano che ha smarrito la propria identità, a tal punto che non è più individuabile un sito in cui la città fisica inizia e uno in cui finisce, per gli abitanti ''abusivi'' risulta più facile riuscire a passare inosservati e confondersi nella complessità e nella congestione urbana. La concentrazione di milioni di persone in una mega-area urbana produce non solo quartieri ghetto, ma anche caos, disfunzione e invivibilità che si riversano in tutte le sue parti e coinvolgono tutti i suoi abitanti. Le grandi distanze da percorrere per la partecipazione alle diverse attività urbane, la frammentazione del tessuto spaziale e sociale, il volume di traffico con il relativo inquinamento acustico e atmosferico, la difficoltà dell'approvvigionamento idrico e lo smaltimento dei liquami e dei rifiuti solidi, il progressivo consumo della risorsa t. (si stima che in Africa, al raddoppio degli abitanti, una città triplichi la propria superficie) sono solo alcuni dei problemi endogeni di tutte le megalopoli moderne.

Tali problemi si manifestano con maggiore gravità nelle metropoli dei paesi in via di sviluppo che si sono omologati ai peggiori modelli occidentali, prescindendo dai fattori locali e in assenza di una cultura urbana storicamente radicata. Della popolazione urbana di questi paesi solo il 40% dispone di fogne (di queste ben il 90% scarica direttamente nei fiumi, nei laghi o nei mari), più del 10% non fruisce di acqua potabile e oltre il 60% respira aria fortemente inquinata. Tale situazione, già di per sé drammatica, diventerà insostenibile se la concentrazione e lo sviluppo urbano proseguiranno, come sembra, con la tendenza di questi ultimi decenni. Si può osservare che in Africa, nel 1970, solo il 6,6% della popolazione urbana viveva in metropoli con più di quattro milioni di abitanti (si prevede che questo valore, già oggi discretamente superato, sarà triplicato entro il 2000); al Cairo è concentrata più della metà della popolazione urbana che corrisponde a un quarto della popolazione totale dell'Egitto; a Buenos Aires è insediato il 44% della popolazione urbana e il 38% della popolazione complessiva; a Città di Messico vive il 30% della popolazione urbana, che rappresenta il 21% di quella totale. Città di Messico e São Paulo sono tra le megalopoli del mondo quelle in cui maggiormente si assiste a un'espansione progressiva che pare non voglia rallentare: ambedue assorbono gran parte dell'urbanesimo dei rispettivi paesi e continuano a crescere sia per dimensione fisica che per numero di abitanti. La Cina invece è l'unico tra i paesi scarsamente industrializzati a non mostrare una rapida crescita delle grandi città e, più in generale, della popolazione urbana complessiva. Nell'insieme la popolazione urbana dei paesi in via di sviluppo è aumentata del 110% dal 1960 (287 milioni) al 1980 (966 milioni), e si prevede che nel 2020 s'incrementerà di un ulteriore 255% arrivando a circa tre miliardi e mezzo di persone. In Cina, invece, la popolazione urbana è cresciuta del 62%, dal 1960 (125 milioni) al 1980 (203 milioni), e la stima per il 2020 prevede un incremento del 180% con un totale di 570 milioni. Inoltre, mentre negli altri paesi la tendenza è verso la concentrazione della popolazione nelle grandi città (cioè quelle superiori ai quattro milioni di abitanti), si ritiene che in Cina l'urbanesimo coinvolgerà maggiormente i piccoli e medi centri urbani. In definitiva, si può ipotizzare con un buon grado di certezza che nei primi decenni del 2000, nonostante l'eccezione cinese, la maggior parte dei nuovi cittadini sarà raggruppata nelle megalopoli di tutto il mondo.

La mobilità. L'attuale crisi della mobilità della popolazione è attribuibile in larga misura alla crescente complessità dell'organizzazione sociale che, malamente governata, spesso degenera in congestione, causando malessere e disagio nella collettività. La mobilità, intesa come l'insieme della domanda di spostamento di persone, di beni e di informazioni fra i diversi punti di ubicazione delle attività nello spazio, rappresenta il settore di maggior peso nel rischio di collasso che attraversano i sistemi metropolitani; la mobilità costituisce uno dei sotto-sistemi strutturali, in quanto essa assolve all'esplicarsi dell'insieme delle relazioni e delle interrelazioni che assicurano la vita stessa del sistema territoriale. Da tutto questo deriva un'esigenza di razionalizzazione, di semplificazione e d'invenzione relativamente al sistema di mezzi e reti che governa e supporta gli spostamenti e, prima ancora, ai fattori che generano la domanda di mobilità; agire sulla consistenza, qualità e distribuzione della domanda significa ripensare totalmente il modello dell'intero sistema dell'offerta.

Paradossalmente, a fronte della consapevolezza dell'importanza vitale del ruolo svolto dalla mobilità e dell'inefficacia che caratterizza il settore, si assiste a tentativi di risoluzione del problema ispirati a criteri di occasionalità, episodici e fuori da ogni logica di approccio sistemico. Questi tentativi hanno finora sortito come unico effetto la non soluzione dei problemi della mobilità e, quindi, l'aggravarsi delle conseguenze. È possibile stigmatizzare il problema affermando che si è tentato di risolvere le deficienze della mobilità con tanti progetti e poca azione articolata in grado di considerare globalmente il problema e di proporre efficaci interventi sui diversi fattori di crisi.

Il complesso problema va affrontato mediante un ''progetto complesso'' che, lungi dal configurarsi come un'ipotesi rigida di stati futuri desiderati, deve contenere elementi di autocontrollo i quali, sulla base delle risposte del sistema agli interventi realizzati, pongano in essere ''variazioni di rotta'' non solo sugli obiettivi e nei contenuti ma anche nei modi e nei tempi dell'azione progettuale che dev'essere di tipo processuale. In altre parole, il progetto-processo si configura come una serie di azioni continue, da mettere in essere sul sistema della mobilità, le quali ciclicamente devono essere ricalibrate per oggetto e intensità operativa, stimando il differenziale tra effetti previsti ed effetti ottenuti. La caratteristica della continuità progettuale consente di superare la limitazione spaziale e temporale degli interventi che, generalmente, inibisce la possibilità di fornire una risposta globale alla disfunzione del sistema territoriale. Il progetto-processo multidisciplinare è probabilmente l'unica metodologia che possa restituire efficienza al sistema della mobilità e tracciare nuove ipotesi di soluzione alla crisi del sistema territoriale che è configurato dalla struttura di relazioni tra i singoli sistemi urbani e metropolitani.

È possibile, specificando i concetti espressi, definire una serie di punti che possono configurarsi quali idee-guida per l'intervento sui sistemi di spostamento di persone, beni e informazioni. In primo luogo va riconosciuto che ai problemi della mobilità non è più possibile fornire soluzioni proseguendo in una logica additiva che induce a rispondere in maniera acritica e passiva alla domanda crescente di spostamento proveniente dalla collettività e che spinge a prevedere nuovi sistemi di trasporto e infrastrutture di rete, le quali si aggiungono al già vasto, e in gran parte sottoutilizzato, patrimonio esistente. Come esempio dei perversi risultati a cui conduce una mentalità di questo tipo basti pensare al trasporto su gomma e a quello aereo. Agli inizi di questo secolo il tram a cavalli viaggiava nelle città a una velocità di circa 20 km/h, mentre attualmente, alle soglie del Duemila, la velocità media dell'automobile nelle grandi città non supera i 10 km/h; ciò nonostante l'industria automobilistica continua a produrre veicoli da 300 km/h. Nel trasporto aereo il processo è simile: i jet hanno abbattuto i tempi di percorrenza tra due città, ma il tempo necessario per coprire il tragitto dall'aeroporto al centro riduce di gran lunga il beneficio iniziale, soprattutto sulle medie distanze; ciò nonostante l'industria aeronautica continua a produrre aerei sempre più veloci. Anche l'incentivare il trasporto privato rispetto a quello collettivo contribuisce ad alimentare la domanda e a incrementare quote di congestione. Una stima dell'ANFIA (Associazione Nazionale Fra Industrie Automobilistiche) ha calcolato che nel mondo, nel 1991, circolavano 597.564.000 automobili. Anche in questo senso va sottolineato il deleterio legame tra l'accettazione passiva della domanda e il procedere secondo una logica di tipo additivo: la prima condizione ha portato ad assumere la seconda quale naturale e immediata conseguenza.

La crescente e ''ingovernabile'' domanda di spostamento di persone, beni e informazioni è attribuibile principalmente a due fenomeni: la casuale allocazione delle attività e delle funzioni, nelle città e sul t., e l'empirismo con cui tali funzioni vengono gestite. Risulta evidente che è su questi aspetti che bisogna agire in prima istanza; solo dopo averli risolti si potrà affrontare l'intervento diretto sul sistema dei mezzi e delle reti di trasporto, incentrando le azioni su di una politica di riutilizzo del patrimonio infrastrutturale esistente e di un'innovata progettualità gestionale. In sintesi, le fasi attraverso cui regolare il settore della mobilità possono essere articolate in tre segmenti progettuali integrati:

a) segmento relativo alla riprogettazione delle funzioni urbane, con particolare riguardo a quelle che hanno maggiore incidenza sugli spostamenti fisici;

b) segmento relativo al progetto di gestione, grazie al quale il sistema della mobilità, rifunzionalizzato, viene organizzato e governato all'interno dei sistemi territoriali;

c) segmento relativo al progetto dei sistemi di trasporto e delle infrastrutture di supporto alla mobilità.

In una tale ipotesi di ridefinizione, sistemica e multisettoriale, va ulteriormente evidenziato il ruolo che le tecnologie avanzate svolgono nell'ambito delle possibili trasformazioni delle modalità di spostamento; probabilmente si assisterà a un incremento della ''mobilità immateriale'', che però non consente di prevedere con certezza una simmetrica diminuzione dei flussi fisici per i quali, tuttavia, si potrà osservare una modificazione delle modalità, dei tempi e dei modi dello spostamento. Un effetto dell'innovazione tecnologica sulla mobilità è riscontrabile nelle cosiddette città virtuali strutturatesi, soprattutto negli Stati Uniti, in questi ultimi anni; in tali strutture funzionali, non identificabili come agglomerati urbani, il sistema degli spostamenti è pressoché integralmente di tipo informatico, non sussistendo tra gli elementi del tessuto logistico alcuna prossimità spaziale e non esistendo alcun tipo di canale fisico di connessione diretta. Punti, linee e tessuti dell'intero sistema territoriale da cui si origina la domanda di mobilità vanno quindi ridefiniti coerentemente alle possibilità tecniche e tecnologiche, in maniera conforme alle necessità dell'ambiente naturale e urbano e in modo congruente agli auspicabili scenari di sviluppo del prossimo futuro.

Il luogo della complessità. La prima condizione che definisce una città è l'elevata concentrazione fisica delle attività: alla concentrazione si accompagna necessariamente una specializzazione delle funzioni che comporta una forte integrazione tra attività e gruppi di attività. Le inevitabili sinergie che concentrazione, specializzazione e integrazione pongono in essere fanno della città, e in particolare di alcune aree urbane, il ''luogo della complessità''. I problemi delle città sono quindi problemi complessi perché complesso è il sistema di relazioni e di attività che ne costituisce il presupposto e la tipicità. In ogni sistema insediativo complesso, la gestione e la circolazione dell'informazione, alla scala sia urbana che territoriale, costituiscono fattori di fondamentale importanza strategica per il corretto funzionamento delle strutture. Le aree urbane tendono a caratterizzarsi sempre più come un complesso sistema di reti, di relazioni e di flussi; proprio dal livello di efficienza dei collegamenti si possono valutare il grado di evoluzione, lo stato di salute, le prospettive di sviluppo del sistema urbano e del più ampio sistema territoriale. D'altro canto, quanto più avanzati sono i metodi di comunicazione attivi all'interno di un sistema complesso, tanto più il sistema tende a complicarsi, inducendo nella propria struttura nuove variabili d'interazione e interdipendenza tra le sue parti.

Affrontare i problemi derivanti dalla complessità mediante l'adozione di provvedimenti integrativi, che tendono a rispondere alle esigenze contingenti in termini additivi (cioè integrando le strutture e gli strumenti esistenti con iniziative analoghe, per quanto innovative), apporta al sistema ulteriori elementi di complicazione che, lungi dall'agevolare la risoluzione dei problemi, concorrono a far emergere nel sistema stesso nuove forme di entropizzazione. Oggi sono disponibili avanzate tecniche di simulazione, basate sui metodi propri dell'ingegneria dei sistemi, che permettono di sostituire all'empirismo delle scelte insediative e delle procedure gestionali modelli funzionali rigorosamente indagati, i quali, attraverso l'analisi delle componenti elementari che costituiscono un sistema, consentono di pervenire alla semplificazione dei problemi e d'individuare gli interventi più idonei a garantirne un'ottimale risoluzione. Una corretta utilizzazione di tali strumenti nel campo della pianificazione degli interventi fisico-gestionali nel t., supportata da adeguati sistemi di monitoraggio delle situazioni, di elaborazione dei dati rilevati e di costante verifica degli effetti prodotti con l'introduzione di modificazioni nel sistema, costituisce ormai un indispensabile apporto all'assunzione di decisioni ponderate e razionali nella gestione della complessità. Con tali supporti è possibile configurare un assetto territoriale idoneo ad accogliere i prodotti del mutamento innescato da un uso corretto e diffuso dell'innovazione tecnologica.

Per poter evitare inutile dispendio di risorse è infatti necessario recuperare e ottimizzare le capacità umane, tendendo al massimo rendimento complessivo (in primo luogo delle tecnologie), ai minimi costi di produzione e di gestione dei servizi e, quindi, alla resa migliore del prodotto finale. Tutto ciò implica, per ogni tipo di progettazione, la necessità d'investire problemi di tipo urbanistico, non soltanto relativi agli aspetti d'inserimento formale nel tessuto circostante, ma riguardanti anche implicazioni funzionali e ''complicità'' con servizi analoghi e di altro tipo. L'innovazione tecnologica consentirà sempre più all'uomo di gestire contemporaneamente attività diverse dislocate in punti specifici del t. con conseguenze sulle interrelazioni spaziali.

La nuova strutturazione territoriale tenderà a impostarsi su principi di elevata ''permeabilità urbanistica'' senza per questo rinunciare a individuare nuove polarità. Se l'inserimento nel t. di una rete di fibre ottiche libera infatti le attività e i rapporti umani dai vincoli della prossimità spaziale e costituisce un potenziale fattore di decentramento di quelle funzioni che qualificano il ''vivere al centro'', non altrettanto può affermarsi per quanto attiene a tutte quelle attività che richiedono un approccio interpersonale di tipo anche informale e che, anzi, proprio dalla pratica di questo tipo di comunicazione ricavano maggiori livelli di produttività. Le attività produttive di tipo tradizionale tendono a trasferirsi in ambiti sempre più periferici del t., mentre nelle città tendono a concentrarsi in prevalenza le attività tipiche dell'economia dell'informazione, cioè quelle direzionali o culturali a più alto contenuto d'intelligenza creativa o di esperienza organizzativa.

L'introduzione delle nuove tecnologie in tutti i campi della vita collettiva sta di fatto, a ritmi sempre più accelerati, modificando i comportamenti e moltiplicando le attività. I cambiamenti delle relazioni tra i diversi soggetti sociali tendono a evolversi verso forme sempre più complesse che ricadono in maniera più o meno diretta sull'organizzazione dello spazio antropico. Ciò apre una serie di problematiche, di riorganizzazione e di ridisegno del t. e delle sue componenti, da affrontare e valutare preventivamente, per evitare di dover intervenire solo ''a valle'', quando effetti oggi latenti assumeranno proporzioni non più governabili. Il progresso tecnologico avanza infatti a un ritmo incalzante che concede pochi spazi a interventi di correzione a posteriori, una volta che il processo d'innovazione è stato innescato; i problemi che possono manifestarsi con l'introduzione nel t. di nuove tecnologie devono, quindi, essere individuati e affrontati quale premessa del discorso progettuale, ossia nell'impostazione metodologica alla base di tale processo.

Le varie funzioni urbane e territoriali, alle quali deve fare riferimento ogni progetto urbanistico d'innovazione infrastrutturale, risultano oggi in genere malamente allocate e gestite, dunque obsolete. Se si pensa a quanto il mercato tecnologico sia già in grado di offrire per venire incontro alla risoluzione di molti dei problemi del vivere quotidiano e quanto altro possa essere specificamente prodotto per soddisfare la domanda d'innovazione latente, risulta semplice rendersi conto dell'inadattabilità dei portati innovativi a sistemi funzionali strutturati ancora secondo schemi che sono ormai inadeguati alle esigenze attuali. È proprio per questo motivo che le correnti metodologiche progettuali della pianificazione territoriale e urbana non assolvono più al compito di qualificare il prodotto, in senso sia funzionale che spaziale. È necessario quindi pervenire alla definizione di una metodologia progettuale innovativa che parta da un processo di globale ripensamento della distribuzione delle attività sul t., basato sulla giusta considerazione degli apporti offerti, già oggi, dalla disponibilità dei prodotti innovativi alla risoluzione di alcuni tra i più rilevanti fattori di degrado delle città.

L'accrescimento delle possibilità di collegamento consentite dalle nuove tecnologie per le comunicazioni tende invece a sostituire lo spazio dei flussi allo spazio dei luoghi. L'accessibilità all'informazione assume sempre maggiore importanza rispetto al grado di accessibilità fisica dei luoghi; comunicare e accedere in tempo reale a centri d'informazione remoti costituisce esigenze ineludibili per lo sviluppo di qualsiasi attività. Adeguare le infrastrutture di comunicazione alle più recenti acquisizioni tecnologiche appare una condizione senza la quale non è possibile procedere a un recupero di efficienza.

Il luogo dell'informazione. Pensare al t. e alla città del 21° secolo significa anche ripensare in chiave sinergica ai cinque elementi su cui si organizzerà la vita urbana del prossimo secolo: gli abitanti, le funzioni urbane, le risorse, le vocazioni, le nuove tecnologie. In particolare sarà necessario individuare le vocazioni − soprattutto funzionali − del luogo, identificare le risorse disponibili, conoscere le aspirazioni e definire le potenzialità degli abitanti, riorganizzare le funzioni di servizio, prevedere e valutare le trasformazioni territoriali indotte dal cambiamento tecnologico.

Gli elementi o ''idee guida'' su cui s'incardina il progetto della città del futuro sono i seguenti: la ''materia prima'' della società del 21° secolo sarà l'informazione; la maggior parte della ''forza lavoro'' del prossimo secolo sarà presumibilmente impegnata nella ''lavorazione'' dell'informazione; il luogo privilegiato per la localizzazione di questa ''industria virtuale'' dell'informazione sarà la città che diventerà essa stessa ''industria''; l'uomo (inteso come singola persona e non come astratto ''genere umano'') diventerà, con le sue aspirazioni e i suoi desideri, la condizione ma anche l'obiettivo della città e dell'organizzazione tutta del territorio.

All'interno del sistema territoriale, alla città è riservato ancora una volta un ruolo primario: essa dovrà perseguire in primo luogo la sinergia tra vocazioni (del sottosistema-luogo-abitanti-economia), risorse (disponibili e/o sostenibili) e utenti (abitanti), configurandosi come cinghia di trasmissione tra questi tre elementi e definendo altresì una virtuale catena di lavorazione che organizzi l'esistente e progetti il futuro. È possibile immaginare la riduzione e la delocalizzazione (fenomeno per altro già avviatosi intorno agli anni Ottanta) degli impianti di produzione dei beni materiali in aree sempre più esterne alla città, la quale diverrà il luogo privilegiato della produzione di servizi e soprattutto d'informazione. Del resto, già L. Mumford riconosceva nella produzione e diffusione di cultura la vera ragion d'essere della città, osservando che le città solo se riusciranno a conservare il ruolo di generatori ed emissori di cultura, potranno sopravvivere a se stesse ed eviteranno il rischio di degenerare in enormi necropoli della civiltà.

Per la produzione del servizio si utilizzerà l'informazione quale materia prima; i servizi e le funzioni urbane diventeranno tanto più rapidi, accessibili, efficienti, quanto maggiore sarà la quantità d'informazione contenuta al loro interno. Si verrà a definire così una sorta di ''circuito produttivo'' virtuoso; d'altro canto la maggiore disponibilità, accessibilità e trasferibilità dei servizi genererà il conseguente aumento della produzione d'informazione, chiudendo così il circuito. Al sorgere di nuovi elementi semantici del t. del 21° secolo (come, di volta in volta, lo sono stati le mura, i campanili, i canali, le ciminiere, i grattacieli, le autostrade, ecc.) corrisponderà un diradamento del tessuto fisico e un recupero di spazi liberi da poter utilizzare in modo più adeguato e coerente ai bisogni attuali e a quelli delle prossime generazioni.

Territorio urbano e nuove tecnologie. Nel corso degli anni Ottanta e agli inizi degli anni Novanta sono state formulate, da studiosi diversi, numerose ipotesi sui possibili impatti che le nuove tecnologie avrebbero avuto sull'assetto urbano e territoriale: ipotesi diverse e per molti versi contrastanti, che tuttora sono in attesa di convincenti e durature conferme sul campo. Da un lato si considerano le nuove tecnologie, in particolare quelle della comunicazione e dell'elaborazione dei dati, come elementi di scarsa importanza, dall'altro si afferma che città e t. saranno strutturati e disegnati in assoluta dipendenza dei nuovi sistemi di produzione e di comunicazione, i quali costituiranno i nuovi paradigmi di riferimento per la trasformazione e lo sviluppo del territorio. Con maggiore cautela si può affermare che i punti e la rete d'invenzione, produzione e diffusione delle nuove tecnologie saranno uno dei principali elementi per la trasformazione del t., nel senso di una ridefinizione delle attuali relazioni funzionali e di ridisegno dello spazio fisico, sia alla scala territoriale che alla scala urbana.

Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha ulteriormente mutato i limiti e i riferimenti dei rapporti territoriali; l'introduzione dei prodotti, dei processi e dei servizi che oggi sono in grado di offrire le nuove tecnologie contribuiscono ad accelerare questo mutamento.

Il carattere pervasivo delle nuove tecnologie e la consistenza sostanzialmente immateriale dei servizi da esse resi ne consente un'utilizzazione non vincolata alle condizioni ambientali e locali in cui vengono implementate e utilizzate. La caratteristica soft dei processi d'innovazione innescati con l'introduzione di nuove tecnologie richiede, di regola, grandi modificazioni non tanto degli ambienti di lavoro in cui vengono inserite reti o apparecchiature, quanto della distribuzione territoriale e delle tradizionali sedi di erogazione di servizi. Il venir meno, attraverso la corretta introduzione di tali tecnologie, dei vincoli di prossimità spaziale tra strutture compartecipi dell'erogazione di un medesimo servizio consente, inoltre, di utilizzare per scopi specifici anche manufatti ubicati in posizioni decentrate contribuendo così a decomprimere i flussi congestionanti che interessano le aree di maggiore addensamento funzionale del territorio. L'introduzione di nuove tecnologie di comunicazione si coniuga egregiamente anche con i processi di rifunzionalizzazione e di recupero del patrimonio edilizio esistente e in particolare dei centri storici, restituendo loro quelle modalità d'uso e la dignità con cui furono creati.

Il rispetto della cultura del t. deve costituire la base su cui elaborare un programma innovativo. L'introduzione dell'innovazione, soprattutto in aree che denunciano uno stato di particolare ritardo nei confronti dell'innovazione stessa, deve infatti avvenire, senza strappi violenti, acquisendo il consenso dei destinatari e innestandosi nel solco delle tradizioni locali. È opportuno cioè riuscire a pervenire a una valutazione preventiva dei cambiamenti che l'introduzione dell'innovazione apporterà nelle realtà socioeconomiche e territoriali, in modo da consentire un'appropriazione del ''nuovo'' da parte dei destinatari e un inserimento di esso nella cultura dei luoghi. Ne deriva la necessità di dosare con cautela l'introduzione dell'innovazione, evitando d'imporre modelli prestabiliti che non raccolgano il necessario consenso in ambito locale o, peggio ancora, che il cambiamento si trasformi in occasione per dirottare gli investimenti verso opere d'infrastrutturazione urbanistica e d'installazione di apparecchiature e di reti di connessione (prodotti) senza riuscire a incidere sulle strutture organizzative delle funzioni (processi) cui i prodotti sono destinati. Va tuttavia messo in evidenza che innovare non può che significare innestare il cambiamento nella tradizione, nel rispetto dei valori della storia che, in campo insediativo, significa passare dalla cultura dell'espansione a quella della trasformazione, cioè operare in prevalenza con progetti tesi al recupero e riuso delle preesistenze e contrastare invece quelle logiche di sviluppo additivo che tanto danno hanno arrecato ai più recenti paesaggi delle nostre città, dilatandole in periferia prive di forza espressiva e inducendo contemporaneamente il progressivo degrado dei centri storici, da un lato, e del t., dall'altro. In questa prospettiva l'appiattimento ambientale che è stato prodotto dal progresso tecnologico, come da quello culturale, va contrastato in favore di un incisivo recupero della cultura della città.

Operare sugli elementi che esistono per modificarne e riorganizzarne i rapporti funzionali costituisce una valida alternativa per il recupero dell'esistente, che consente di utilizzare impianti, strutture e potenziale economico-produttivo in un quadro nuovo e sintatticamente correlato all'evolvere delle situazioni territoriali. È dimostrato inoltre che l'accentuazione delle capacità di comunicazione offerte dalle nuove tecnologie, se da un canto costituisce un potenziale fattore di decentramento, non evita la formazione di nuove polarità urbane. Essa dà luogo piuttosto alla formazione di un tessuto connettivo composto da reti di comunicazione che s'intersecano in punti di concentrazione funzionale costituenti nuove centralità urbane.

La struttura a rete della città così prefigurata sarà quindi costituita da un certo numero di poli ordinatori per il governo delle funzioni urbane, ai quali faranno riferimento le strutture delegate alla gestione di ogni singola funzione; queste saranno a loro volta collegate con i centri di erogazione dei servizi urbani e metropolitani diffusi nel t., generando in questo modo un'organizzazione territoriale dei servizi per reti gerarchizzate. L'elefantiasi (in termini tanto di volumi adoperati quanto di energie e capitali investiti) che governa le principali funzioni urbane, formatasi attraverso un processo che ragionava per parti tentando di adeguarsi attraverso rimedi settoriali, è causa di spreco e di difficoltà di governo; opponendole l'ottica del recupero, del riuso e dell'ottimizzazione si può giungere a sistemi urbani e territoriali efficienti ed efficaci per la vita pubblica e privata.

La trasformazione della comunicazione. Si è già ricordato che il t. e la città, divenuta quasi sinonimo del primo termine in quanto ne è elemento sostanziale, costituiscono allo stesso tempo il presupposto e il risultato delle trasformazioni sociali le quali, a loro volta, altro non sono che la storia dei popoli. Indagando nel passato recente e remoto si è potuto osservare come l'evoluzione dei mezzi di trasporto, prima, e l'avanzamento delle tecnologie di comunicazione, poi, non solo hanno mutato le modalità della vita di relazione, ma hanno anche accelerato la velocità degli intervalli temporali in cui queste trasformazioni sono avvenute nel passato e avvengono tuttora. Quanto minore è la condizione d'isolamento di un gruppo sociale, cioè maggiore l'accessibilità a esperienze esterne, tanto superiore è la propensione al mutamento; è quindi intuibile che, anche se le trasformazioni del t. e della città sono prodotte da una serie di elementi fortemente interrelati, un ruolo prevalente nel mutamento è rivestito dalle possibilità offerte dai mezzi di comunicazione e di telecomunicazione. Come si è già osservato, la telematica, cioè il connubio tra informatica e telecomunicazioni, consentendo il trasporto a distanza e in tempo reale di voce, dati e immagini, ha indotto un profondo cambiamento nell'ampiezza delle informazioni disponibili e nella maniera di comunicare, che a sua volta ha mutato il significato, la percezione e la maniera di esperire spazio e tempo; tali trasformazioni hanno quindi coinvolto alcune delle componenti fondamentali dell'essere dell'uomo nelle quali sono ovviamente compresi i modi di uso del t., tra cui la maniera di vivere in città. Da questa riflessione nasce la convinzione che il futuro territoriale e urbano deve porre alla base di qualsiasi previsione o ipotesi la trasformazione del modo di comunicare.

Riprendendo concetti che nei paragrafi precedenti sono stati trattati all'interno di specifiche tematiche si può tentare un discorso complessivo sull'ipotesi del nostro futuro. Se per innovazione s'intende a un tempo un atto creativo e il suo risultato, e per tecnologia s'intende un discorso sistematico sul ''fare'', la locuzione ''innovazione tecnologica'' si carica di forti significati. Il termine ''innovazione'' è per sua natura dinamico e implica il binomio ''causa-effetto'', duplice significato di un unico significante. D'altronde la tecnologia, etimologicamente, è riflessione e studio intorno alla tecnica, che a sua volta è un insieme di norme che regolano un'attività umana, e l'arte è un'attività creativa che si concretizza grazie a una tecnica. Sulla base di tali considerazioni, per innovazione tecnologica si può intendere l'insieme degli obiettivi e degli strumenti, dei prodotti e dei processi, resi possibili dall'evoluzione e dal progresso umano. Nell'età contemporanea l'avanzamento tecnologico si esplica soprattutto nelle nuove tecnologie di comunicazione e nella gestione delle informazioni, che costituiscono la principale merce di scambio della nostra società, o almeno di quelle dei paesi più avanzati, e che hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere e, quindi, la maniera in cui fruiamo degli spazi e i modi in cui esperiamo il tempo. Il mutamento, soprattutto quello dei sistemi urbani, è storicamente legato da un rapporto dialettico con l'innovazione tecnologica; la nostra epoca è caratterizzata da una progressiva contrazione della durata del mutamento e da un incremento generalizzato di velocità, ovvero da un'alterazione del rapporto tra lo spazio della città e il tempo dell'uomo, le cui motivazioni e ragioni vanno cercate in larga misura proprio nelle nuove tecnologie e nella trasformazione del modo di comunicare. La velocità del mutamento rende il mutamento stesso elemento fondamentale e caratterizzante; la conoscenza approfondita dei cambiamenti in atto diventa quindi uno strumento essenziale per agire sui sistemi territoriali e urbani e per risolvere quei problemi generati dalla congestione e dalla tendenza al degrado. La previsione, la valutazione e l'interpretazione del cambiamento diventano azioni obbligate per la comprensione dell'evoluzione repentina delle trasformazioni. La previsione implica la prefigurazione dei possibili scenari futuri con ipotesi formulate in base a dati esatti e attraverso metodologie e procedimenti scientifici, mentre la valutazione è un giudizio operato grazie a un'analisi rigorosa e a una comparazione obiettiva di realtà urbane e possibilità operative; infine l'interpretazione consiste nel conferire un significato specifico e caratteristico alle ipotesi formulate e alle varie fasi di studio e di analisi, permettendo la scelta delle priorità e delle modalità d'intervento nell'auspicabile processo di rifondazione dell'organizzazione urbana e territoriale del prossimo millennio.

Che ogni passo avanti compiuto dall'uomo nel campo scientifico, tecnico o tecnologico debba essere teso a migliorare la qualità della vita dell'uomo oggi appare meno vero, perché la cultura consumistica della nostra società ha sostituito valori effimeri e di breve durata a valori riconosciuti e di lunga durata. Le scoperte scientifiche e le invenzioni tecniche contengono una serie di caratteristiche, le cui potenzialità vengono svilite dall'applicazione che se ne fa, da un'errata valutazione degli effetti collaterali che esse scatenano e dal non tener nel dovuto conto la capacità che ha la società di recepirle in maniera completa: affinché il progresso realizzi le proprie promesse è necessario che tali distorsioni non si producano. La società attuale, come si è detto, è caratterizzata dalla trasformazione, ancora in fieri, del modo di comunicare, e cioè di trasferire e scambiarsi informazioni. Tale trasformazione è stata indotta principalmente dalla diffusione di massa dei prodotti a tecnologia avanzata, i quali hanno anche permesso l'insorgere di un fenomeno che è possibile definire ''permeabilità della comunicazione''. Se si considera il fatto che le informazioni rappresentano il più importante bene prodotto dalla nostra civiltà, non si può prescindere dalla necessità di perseguire per esse il massimo grado possibile d'immediatezza, semplicità e trasparenza. La permeabilità della comunicazione permette di superare la flessibilità intesa come predisposizione a molteplici organizzazioni e destinazioni d'uso; difatti, passando dal piano degli spostamenti fisici al piano del trasferimento delle informazioni, è possibile allentare il vincolo costituito dalla necessità di prossimità spaziale, che produce mobilità coatta e sofferta, e conquistare una piena e consapevole libertà di scelta nell'organizzazione del t. e nella costruzione dei nuovi sistemi urbani.

La trasformazione del territorio. Come già illustrato nei paragrafi precedenti, la città o t. urbano ha sempre assunto un ruolo fondamentale nella storia delle trasformazioni del territorio. Anche quando essa era ancora ben lontana dalla dimensione fisica e dalla complessità funzionale attuale, la sua presenza in un determinato t. andava molto oltre l'area semplicemente occupata dai suoi edifici e dalle sue strade; la funzione principale che essa svolgeva (religiosa, mercantile, portuale, ecc.) e gli scambi che intesseva con altre città, più o meno lontane, definivano l'assetto e l'armatura su cui si strutturava e organizzava una regione territoriale molto più ampia. La relazione città-campagna ha per millenni costituito la matrice dell'ordinamento territoriale, ma il senso di questo rapporto, già profondamente alterato dal processo d'industrializzazione ottocentesco, appare alle soglie del 21° secolo totalmente rivoluzionato. La città storica era in stretto legame con il t. circostante, la cui dimensione era commisurata in funzione delle necessità alimentari, delle capacità di produrle e della sicurezza della comunità. La città industriale modifica questo secolare rapporto e proporziona il proprio raggio d'influenza al bacino di manodopera e alle potenzialità del mercato; per quanto ampio potesse essere questo raggio, esso era comunque contenuto in dimensioni tali da garantire il mantenimento di relazioni tra la città e il t. da essa dipendente. La megalopoli moderna abbandona qualsiasi livello di rapporto diretto e sovverte definitivamente la natura della relazione tra centro urbano e t.: il t. di riferimento diviene quello mondiale, e la gerarchia delle grandi città si stabilisce in funzione dei risultati della competizione internazionale. I caratteri della metropoli moderna sono dettati, principalmente, dalla grande concentrazione di popolazione e di attività e dalle dinamiche instaurate dalla mondializzazione. Come per il passato, anche quest'ulteriore trasformazione metropolitana e territoriale è il frutto dell'evoluzione scientifica e tecnologica che da un lato ha fornito i mezzi e gli strumenti per realizzare i cambiamenti, e dall'altro lato ne ha originato e introdotto di nuovi.

Ogni sistema urbano, dal più piccolo al più grande, dal più antico al più attuale, può essere osservato e descritto attraverso i comportamenti di tre sue parti o sottosistemi: la componente materica, che si colloca sul piano della forma, quella funzionale, che si colloca sul piano della struttura, e quella percettiva, che si colloca sul piano del ''senso'' che l'uomo dà alle cose del mondo.

È l'esistenza di una ''città delle relazioni'' che dà origine alla prima delle ''città di pietra'': lo spazio della natura viene modificato per essere adattato alle esigenze e ai bisogni generati dalla comunità sociale. La presenza di uno spazio costruito e strutturato soddisfa la ''domanda'' che lo aveva richiesto e crea le condizioni affinché si sviluppino nuove relazioni, in termini di quantità, qualità e intensità; dall'avvenuta trasformazione della spazialità sociale dipende la richiesta di una nuova trasformazione della spazialità fisica che, a sua volta, dà vita alla modifica della struttura relazionale, e così via, in un processo continuo d'interferenza. L'uomo è il creatore e il fruitore di queste due città; egli ne è la ragion d'essere, percorre e osserva l'alternarsi di pieni e di vuoti e in essi esperisce il proprio tempo e le proprie emozioni. Come accade in ogni rapporto tra osservatore e fenomeno osservato, essi s'influenzano e si modificano reciprocamente; da questo rapporto, dall'esperienza consumata in questo atto e dalla cultura diversa che distingue un individuo dall'altro, deriva il senso che ognuna dà al luogo urbano e prende vita e forma la terza delle città: quella della percezione.

Se la città della materia, quella delle relazioni e la città della percezione collaborano all'equilibrio di un medesimo sistema complesso e dinamico (le cui trasformazioni e la cui omeostasi dipendono dal comportamento di ognuna delle parti), l'evoluzione e la crisi urbana possono essere osservate in virtù della capacità di adattamento della ''città della pietra'' alle sollecitazioni indotte dalla ''città delle relazioni'', e in virtù della capacità di ambedue di produrre benessere e fornire stimoli vitali alla ''città del senso''. Uno dei problemi che si pongono all'osservazione del ricercatore è la quantità di tempo necessaria a ognuna delle tre componenti affinché la metamorfosi possa verificarsi; questi tempi nella storia più lontana erano molto vicini alla sincronia, oggi sono invece molto sfalsati e mettono a repentaglio l'equilibrio che il sistema urbano e quello territoriale richiedono per continuare a rigenerarsi.

Le differenti velocità di evoluzione delle tre città sono, molto probabilmente, la causa primaria dell'attuale crisi urbana e del malessere degli abitanti. Avviandosi verso il terzo millennio dell'era cristiana appare sempre più evidente che la città della pietra non solo non favorisce la vitalità della città relazionale ma, spesso, funge da ostacolo affinché questa si sviluppi nella direzione giusta. Le dimensioni e il grado di disfunzione a cui sono giunte le megalopoli causano disorientamento e generano sofferenza nei propri abitanti; se le amebe urbane non arresteranno l'essudato di materia e di caos che riversano nell'ambiente, sarà sempre più difficile credere alla possibilità di un futuro per la civiltà urbana e per l'intero territorio.

La città e il t. del 21° secolo dovranno trovare risposte adeguate ai molti problemi del presente; è necessario cercare nuove forme organizzative e processi di governo in grado di affrontare e risolvere la specifica questione urbana unitamente all'organizzazione complessiva del sistema mondiale. In questo senso si propone l'ultimo dei documenti internazionali: la Carta di Megaride 94, una nuova carta dell'urbanistica, frutto dell'incontro di una variegata comunità scientifica (circa seicento estensori tra urbanisti, geografi, sociologi, economisti, storici, ecc., in rappresentanza di ventisette paesi) che ha formulato i "principi fondativi della città della pace e della scienza, della città cablata del xxi secolo". Con tale documento gli esperti hanno cercato di dare una risposta e d'indicare una direzione per superare la crisi in cui versa il t., in generale, e le città, in particolare, nella consapevolezza che la definizione di obiettivi comuni e di azioni sinergiche è oggi divenuta indispensabile in ogni ipotesi progettuale.

Il documento è articolato in soli dieci semplici principi con i quali vengono definiti gli obiettivi a cui deve tendere l'organizzazione territoriale del prossimo futuro per garantire non solo il superamento della crisi attuale ma, soprattutto, una migliore qualità della vita a tutti gli abitanti. Nella Carta di Megaride 94 l'equilibrio tra ambiente naturale e ambiente urbano è posto alla base dello sviluppo sostenibile, così come è sottolineata la necessità del rispetto delle differenze e delle identità culturali, in un mondo urbano che sarà sempre più luogo di convivenza interrazziale. Una città in grado di soddisfare i bisogni differenziati di tutti i suoi cittadini, adulti e bambini, sani e malati, attivi e inattivi, è una condizione irrinunciabile, così come è indispensabile invertire l'attuale modello di trasporto individuale in favore del trasporto collettivo e in favore di sistemi e mezzi compatibili con l'ambiente, con la città e con le esigenze delle diverse utenze. Il governo della complessità, che si avvale del portato dell'avanzamento scientifico, culturale e tecnologico, diventa l'azione centrale del progetto urbano e territoriale, unitamente all'ipotesi del recupero e della tutela delle risorse naturali e del patrimonio artificiale. La sicurezza e la bellezza devono essere assicurate in ogni città, in quanto insieme esse concorrono a garantire la tranquillità fisica e l'equilibrio interiore degli abitanti che sono anche dettati dalla continuità culturale dei luoghi, dalla possibilità di riconoscerli e d'identificarsi in essi.

L'uomo del prossimo millennio e il suo t. dovranno essere compartecipi di una qualità della vita urbana adeguata alle potenzialità che il progresso è in grado di fornire. Il progresso e l'innovazione tecnologica devono essere assunti nell'agire, quali ''strumenti'' guidati da una linea di pensiero che abbia verificato ed elaborato il modo di essere dell'uomo all'interno dello spazio e che abbia riconosciuto e introiettato i valori della cultura urbana che l'esperienza del passato avrebbe dovuto trasmettere.

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