Terrorismo

Enciclopedia del Novecento (1984)

Terrorismo

Robert H. Kupperman

di Robert H. Kupperman

Terrorismo

sommario: 1. Introduzione: a) il terrorismo come spettacolo; b) chi sono i terroristi?; c) il fenomeno in evoluzione; d) le basi della difesa. □ 2. La natura del terrorismo: a) l'insegnamento della storia; b) il terrorismo contemporaneo; c) struttura e strategia; d) cooperazione internazionale; e) cooperazione e appoggio dei governi; f) sviluppo potenziale del terrorismo; g) pubblicità. 3. L'arsenale del terrorismo: a) il terrorismo come fattore di disgregazione nazionale; b) la plausibilità di un terrorismo di distruzione di massa; c) armi convenzionali; d) armi non convenzionali; e) i nodi critici della società. 4. Sicurezza e contromisure tecnologiche: a) misure di portata generale; b) misure specializzate; c) prevenzione; d) controllo; e) contenimento; f) normalizzazione. 5. Scelte politiche e tattiche antiterroristiche: a) trattative con i terroristi; b) la tattica; c) credibilità della minaccia; d) organizzazione del governo; e) pianificazione degli interventi; f) limitazione dei danni. 6. Considerazioni di ordine internazionale: a) aree potenziali di cooperazione internazionale; b) squadre specializzate di soccorso; c) incremento della cooperazione internazionale. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Il terrorismo ha moltiplicato i suoi attacchi nel Vicino Oriente, nell'America Latina, nel Canada e nell'Europa occidentale. I suoi successi - e fallimenti - sono attualmente numerosissimi, tanto da preoccupare seriamente i governi dei principali paesi, forzandoli a ricorrere a tattiche repressive. Messe alle strette, le nazioni dell'Europa occidentale, attraverso il Consiglio d'Europa, si sono organizzate per tutelarsi contro il terrorismo. Ciononostante, i rapimenti, gli attentati, gli assassinî e il sabotaggio industriale sono divenuti un fatto comune. Il loro ripetersi ha attenuato lo shock sull'opinione pubblica, tanto da produrre una sorta di assuefazione.

L'opinione pubblica ha acquistato piena consapevolezza del terrorismo non solo a causa del ripetersi degli eventi, ma anche attraverso film, racconti e programmi televisivi. Nel 1977 un'inchiesta Harris ha rilevato che il terrorismo è visto come un problema mondiale molto serio dal 90%, e come un grave problema interno dal 60% degli Americani. L'indagine mostra anche che il pubblico americano auspica misure estreme nell'affrontare i terroristi: il 90% vorrebbe la formazione di commandos, del genere di quelli usati da Israele a Entebbe e dalla Germania Occidentale a Mogadiscio. L'80% vorrebbe la soppressione dei servizi aerei da e per i paesi che ospitano terroristi; più della metà del pubblico, infine, chiede la creazione di una speciale forza di polizia mondiale, che operi in ogni paese del mondo e che indaghi sui vari gruppi terroristici, arrestandone ed eliminandone i capi e i membri stessi.

Come eccessiva reazione momentanea, o magari come germe di un'isteria collettiva, è inevitabile che si producano elementi di nuove forme di vigilanza. La reazione dell'America al terrorismo sia interno sia internazionale è particolarmente interessante, se si considera che gli Stati Uniti sono andati relativamente immuni da aggressioni terroristiche.

a) Il terrorismo come spettacolo

Poiché è difficile - e forse inutile - dare una definizione esaustiva del terrorismo, le statistiche relative non sono precise. Ciononostante, a parte la guerra civile nell'Irlanda del Nord e i ripetuti attacchi terroristici in Israele, ci sono alcune statistiche interessanti da prendere in considerazione. Durante il periodo 1977-1978 l'Italia ha subito oltre duemila atti terroristici, e la Germania circa venti. Nell'ultimo decennio vi sono stati oltre trecento rapimenti di uomini d'affari e di leaders politici, nell'America Latina e in Europa, per i quali presumibilmente sono state pagate diverse centinaia di milioni di dollari di riscatto. Con l'eccezione dell'‛assedio' hanafi nel 1977 e dell'attentato all'aeroporto La Guardia, l'America ha avuto un'esperienza limitata di grosse azioni terroristiche. Non sono tuttavia mancati ripetuti attentati ad opera del Weather Underground, del New World Liberation Front e delle Forze Armate di Liberazione Nazionale (FALN) di Porto Rico.

Se confrontato con il tasso di omicidi di una grande nazione industriale, il numero dei morti per atti terroristici è, in realtà, modesto. Nel decennio passato il terrorismo ha causato la morte di circa un migliaio di persone. Eppure è divenuto un argomento di interesse internazionale. Per quale ragione? Perché il terrorismo è spettacolo. Un esempio estremo di tale natura del terrorismo è la lunga detenzione (quattordici mesi) degli ostaggi americani a Teheran.

L'ansia è aumentata, ma si è alzata anche la soglia di impatto spettacolare. L'America e l'Europa occidentale hanno un appetito insaziabile per il nuovo e il bizzarro. Se teniamo conto di ciò, e accettiamo l'ipotesi che la meta del terrorismo sia l'eversione e che esso debba sempre mantenersi ‛alla ribalta', possiamo facilmente fare previsioni per il futuro prossimo: le organizzazioni terroristiche - e i loro bersagli - si trasformeranno in modo da restare in vantaggio rispetto alle misure controterroristiche dei governi e da mantenere la loro immagine di forza.

b) Chi sono i terroristi?

I terroristi non sono dei predoni. In totale, ci sono meno di diecimila terroristi, raggruppati in circa cinquanta organizzazioni di vario tipo. Potrebbe esservi un numero uguale di sostenitori. Quattro o cinque gruppi, comprendenti circa duecento terroristi - tedeschi, italiani, palestinesi e giapponesi - costituiscono la principale minaccia sul piano transnazionale, ma essi rappresentano soltanto la punta dell'iceberg, le squadre d'azione.

I ‛duecento' sono stati addestrati a Cuba, nel Libano, in Libia e nella Corea del Nord. Le armi vengono fornite dai paesi del blocco comunista, specialmente dalla Cecoslovacchia. C'è stata anche probabilmente una perdita d'identità politica, col risultato di un crescente nichilismo. È sufficiente grattare appena la superficie del loro dichiarato marxismo per trovare il loro vero scopo: la distruzione dell'establishment, qualunque sia il governo al potere. Sebbene possa essere esagerato attribuire ai Sovietici il controllo centrale del terrorismo, è evidente che essi hanno contribuito in modo sostanziale a sostenerlo. Le armi vengono ottenute liberamente dai paesi comunisti; l'IRA, il Weather Underground e le Pantere Nere, come pure i duecento terroristi prima nominati, sono - o sono stati - addestrati nei paesi del blocco comunista, col permesso dei Sovietici e con promesse di un qualche tipo di contraccambio.

Quali sono le loro armi? Non sono solo pistole, fucili mitragliatori e bombe; si sono avuti anche tentativi di usare missili terra-aria a ricerca di calore (SA-7s) e armi anticarro di fabbricazione sovietica (RPG-7s). I terroristi tedeschi hanno minacciato di diffondere gas tossici e sostanze che agiscono sul sistema nervoso, e nel 1975 sono stati arrestati a Vienna uomini d'affari tedeschi, sotto l'accusa di vendere gas nervino nel Vicino Oriente. C'è stato almeno un incidente nel quale un radioisotopo di iodio è stato spruzzato in un treno. Inoltre, in Germania sono stati attaccati i mezzi di trasporto, in Spagna e Argentina gli studi radiotelevisivi, in Francia, Argentina e Spagna le centrali nucleari.

c) Il fenomeno in evoluzione

Come ha ben detto B. M. Jenkins, ‟l'uso di tattiche terroristiche continuerà anche per l'avvenire. L'attuale quantità di violenza, o di minaccia di violenza, può aumentare, poiché il terrorismo reca in sé una spinta congenita all'escalation per quanto riguarda, se non lo spargimento di sangue, almeno l'audacia, la spettacolarità o l'ampiezza della minaccia. È anche possibile che il terrorismo diminuisca: storicamente, esso tende infatti alla ciclicità (si pensi alle ondate di terrorismo che sono andate decrescendo alla fine dell'Otto e al principio del Novecento). I futuri potenziali terroristi potrebbero decidere che le tattiche terroristiche sono spettacoli improduttivi, forse persino controproducenti. Il repertorio dei terroristi può cambiare con l'invenzione di nuove tattiche e con l'abbandono delle vecchie: esiste infatti una costante richiesta di novità in questo campo. Quando il terrorismo diviene comune, può perdere la sua efficacia. Le basi della violenza terroristica possono spostarsi nel mondo man mano che alcuni gruppi scompaiono o abbandonano certe tattiche terroristiche come mezzi per raggiungere i loro obiettivi, mentre nuovi gruppi le adottano. Tuttavia, considerando il problema nell'insieme, è improbabile che il ricorso alle tattiche terroristiche cessi. Infatti, l'idea basilare del terrorismo - che un gruppo piccolo ma determinato, in mancanza di altri mezzi di coercizione o per richiamare l'attenzione, possa ottenere effetti sproporzionati mediante spettacolari atti di violenza - ha dimostrato ripetutamente di funzionare, almeno a breve termine. E ciò probabilmente è sufficiente per escludere un abbandono totale delle tattiche terroristiche" (v. Jenkins, 1977).

Anche se l'efficacia ‛spettacolare' dei loro atti diminuisce, può darsi tuttavia che i terroristi non ritengano necessario innalzare il livello della violenza. Alternative strategiche sufficientemente efficaci possono essere costituite da forme di eversione economica e istituzionale. Bersagli ovvi sono le centrali elettriche, le riserve di acqua potabile, le linee aeree commerciali, gli oleodotti e i sistemi di comunicazione. Azioni di estrema violenza, quali esplosioni nucleari o altre forme di distruzione di massa, sarebbero controproducenti. Nell'improbabile caso di un loro verificarsi, le nazioni si unirebbero per estirpare il terrorismo, pur prevedendo, come accade in guerra, altre perdite future. Inoltre, c'è un ampio margine di manovra tra la violenza attuale e lo spettro di eventuali attacchi terroristici con mezzi nucleari, chimici o biologici. È sufficiente molto meno del terrorismo nucleare per destabilizzare i governi. In mancanza di un piano nazionale, gli obiettivi del terrorismo sono anche troppo facilmente raggiungibili.

Il terrorismo è divenuto uno sport spettacolare, un evento ‛teatrale' di proporzioni impressionanti. Ma il pubblico si annoia con facilità. Il prossimo dirottamento aereo o il prossimo caso di presa di ostaggi non sarà più una notizia interessante. L'organizzazione del terrore si può allora adattare, cambiando i propri obiettivi e aspettando che la stampa faccia da cassa di risonanza. Uno dei più importanti compiti di un governo, quindi, è quello di ‛spiazzare' i terroristi, valutando possibilità non sfruttate e studiando adeguate contromisure.

d) Le basi della difesa

Il terrorismo non è un fenomeno nuovo: sotto forme diverse è presente da sempre nella storia. Tuttavia, ogni volta che si ripresenta, esso appare come una nuova minaccia. I governi - specialmente quelli più liberali - trovano difficile affrontare il fenomeno terrorista.

La più forte banda di terroristi è molto più debole del più piccolo esercito. I terroristi derivano la loro potenza dalla vulnerabilità fisica e istituzionale delle società che attaccano, e le loro imprese ottengono vasta risonanza attraverso i mass media. A livello tattico, il terrorismo ha dimostrato di avere generalmente successo. Sul fronte strategico, tuttavia, non è altrettanto chiaro l'esito della lotta fra Stati e terroristi.

W. Laqueur ha collocato lo sfuggente fenomeno in una prospettiva storica. Egli fornisce un panorama dei movimenti terroristici e dei loro tempi - Zeloti, Thugs dell'India e anarchici dell'Ottocento - confrontandoli con i loro fratelli moderni, i Weathermen degli anni sessanta, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e le sue frazioni, nonché la banda nichilista Baader-Meinhof. Laqueur fa distinzione fra il terrorismo contemporaneo e i suoi predecessori con più robusta base ideologica. Gli anarchici del XIX secolo sognavano una società giusta e vedevano la violenza come un mezzo per raggiungere i loro scopi politici. Il terrorismo contemporaneo, invece, è indiscriminato, i suoi adepti non sembrano avere una particolare visione di un ‛mondo migliore', e di mete realizzabili ne hanno poche (o nessuna). Il terrorismo attuale cerca di indebolire i governi attaccando i legami - spesso tenui - tra governo e governati (v. Laqueur, 1977).

Gli anarchici dell'Ottocento operavano in un vuoto stonco, nel senso che non si era ancora verificata una rivoluzione sociale del tipo da essi auspicato. Se erano ossessionati dalle possibilità perse nel fallimento della Prima Repubblica francese, essi avevano però una certa ‛innocenza', un implacabile ottimismo che li portava a credere che una società libera sarebbe nata dalle ceneri dell'ordinamento sociale esistente. Dato il carattere palesemente autoritario delle varie ‛repubbliche popolari' formatesi in questo secolo, con le relative purghe e gulag, bisognerebbe essere ciechi per conservare anche oggi un tale ottimismo. In effetti, la maggior parte dei terroristi contemporanei mostra il cinismo di individui disturbati, che giocano la loro ultima carta.

I gravi compiti dei governi sotto l'attacco terrorista sono il mantenimento delle libertà fondamentali e il rifiuto di cedere alle richieste dei terroristi. Il terrorismo può avere successo solo se la volontà di affrontarlo in modo realistico viene sostituita dalla paura dello Stato e dall'allarme del pubblico. Una reazione eccessiva, quale l'imposizione di un black out sulle notizie o la violazione della privacy dei cittadini, è un inequivocabile invito alla catastrofe. La risposta giusta è la fermezza. I governi non devono farsi piccoli di fronte a pochi assassini. Essi devono risolutamente misurarsi con i loro antagonisti, tenendo presente la gamma dei bersagli (anche economici) che sono alla portata dei terroristi più forniti di immaginazione.

Alla base c'è la necessità di eliminare le cause del terrorismo, ma un simile risultato può essere ottenuto soltanto attraverso un processo incerto e doloroso; per esempio, il conflitto arabo-israeliano non sarà certo risolto facilmente. Considerando comunque il terrorismo una forma intollerabile di dissenso, i governi sono obbligati a combatterlo con i mezzi della ‛dissuasione' e della ‛limitazione dei danni'. In qualunque modo vengano misurati, i successi del terrorismo devono essere fatti diminuire. Perciò, per esempio, gli atti terroristici devono essere trattati come delitti comuni, e non come reati politici. La dissuasione e la limitazione dei danni sono collegate, poiché quando il successo dei terroristi diminuisce in seguito alla costante azione delle forze governative, declinano anche il loro morale e le loro risorse. Dobbiamo tuttavia tener presente che le tattiche governative devono essere caratterizzate da moderazione: il rischio di un'insidiosa repressione di Stato, in nome del controterrorismo, è sempre anche troppo attuale.

Esistono tre mezzi pratici di difesa. Il primo è l'‛informazione'. La valutazione di una minaccia terroristica si basa su tecniche di informazione: l'osservazione di terroristi noti o sospetti e, se possibile, l'infiltrazione nelle loro organizzazioni. Sfortunatamente, il compito di tenere a bada i terroristi in questo modo è molto difficile, poiché è praticamente impossibile prevedere quando un gruppo, precedentemente oscuro o inattivo, verrà improvvisamente alla ribalta. (Questo aspetto è bene illustrato dai fatti del marzo 1977, quando un gruppo di musulmani hanafi terrorizzarono Washington con tre sequestri diversi).

Il secondo mezzo di difesa consiste nel rendere più inaccessibili i bersagli, predisponendo ‛filtri selettivi', che blocchino l'accesso ai terroristi dilettanti e aumentino i costi per i più abili. Limitare l'accesso con mezzi fisici e controllare l'accessibilità a impianti e materiali pericolosi sono due fattori fondamentali. Basandosi sulla valutazione della minaccia, dovrebbero essere possibili analisi ‛costi-benefici' della vulnerabilità dei punti critici della nostra società. Per esempio, se dovesse restare danneggiata a lungo una rete dell'alta tensione, ciò non sarebbe solo un problema per le industrie, ma una catastrofe nazionale.

Se le fonti di informazione risultano inadeguate per prevenire un atto terroristico e le barriere fisiche si rivelano troppo deboli, sorge per i governi il problema di elaborare una risposta all'aggressione. Si giunge così al terzo tipo di difesa. I governi devono sviluppare un efficiente ‛sistema di gestione delle crisi', tale cioè da affrontare un'ampia gamma di crisi di portata nazionale: scioperi delle ferrovie, disastri naturali, scarsità di carburante, terrorismo e simili.

Se il terrorismo continua ai livelli attuali, le difese necessarie sono ormai in via di approntamento, come per esempio misure più severe, comprendenti sanzioni commerciali e l'interruzione dei servizi aerei con i paesi che ospitano terroristi. Sono state anche create squadre di pronto intervento. Ma cosa accadrebbe se i terroristi piombassero nel buio una grande area metropolitana, come quella di New York? E che avverrebbe se i piloti entrassero in sciopero perché un razzo terra-aria è stato usato per abbattere un jumbo in volo da Dallas a New York? Ovviamente, in questi casi ci si troverebbe di fronte a problemi di maggiore portata. Gli effetti socioeconomici di un attacco terroristico del genere potrebbero facilmente superare il danno materiale immediato. Non ci si potrebbe più limitare semplicemente all'applicazione della legge, o a rappresaglie contro eventuali responsabili esteri.

Perciò deve essere creato un apparato di gestione della crisi ampio e ben preparato. Soprattutto, i governi non devono confidare su soluzioni ad hoc. Bisogna effettuare con decisione una pianificazione delle varie eventualità e compiere seri sforzi nel ‛simulare' eventi pur improbabili; tutto ciò dovrà però essere riassorbito nella più vasta macchina costituita dalla giustizia penale, dalla sicurezza nazionale e dalla protezione civile, macchina che dovrà affrontare le crisi sia interne sia internazionali che certamente incombono su di noi.

2. La natura del terrorismo

Il terrorismo è stato correttamente descritto come la strategia del debole. I rapporti di forza tra un'organizzazione terroristica e uno Stato sovrano presentano aspetti paradossali. Come un gigante dalle membra legate, una grande nazione con grandi risorse militari può essere ridotta all'impotenza. Sfruttando tradizioni giuridiche e culturali che mettono l'accento sulla moderazione, sull'equità e sulla inviolabilità della vita, i terroristi cercano di influenzare la risposta dell'avversario. Essi giocano sulla tensione, sempre presente in tutte le società democratiche, fra libertà e ordine.

La strategia del terrorismo può essere confrontata con quella usata in numerose arti marziali: lo scopo è quello di volgere la forza dell'avversario a suo danno. I terroristi cercano di ottenere lo stravolgimento del sistema giuridico che regola la vita di un popolo civilizzato chiedendo la liberazione di persone imprigionate in seguito a regolari processi, tentando di imporre una politica senza riguardi per il gioco democratico, e aspirando a una riorganizzazione della società, o alla determinazione del suo orientamento, senza tener conto del consenso della maggioranza, o addirittura sfidandolo apertamente. Malgrado una retorica satura di democrazia ed egualitarismo, molti terroristi non nutrono per la libertà dell'uomo un interesse maggiore di quello nutrito dalle varie ‛repubbliche popolari', che essi invocano come modelli di organizzazione sociale.

I terroristi hanno sempre cercato di provocare deliberatamente una tirannia di Stato, nella speranza di creare per tale via le condizioni preliminari per la rivoluzione. Invece, come è accaduto con i Tupamaros in Uruguay, è probabile che la tirannia da essi suscitata soffochi, anziché promuovere, le possibilità di cambiamento. La risposta della Germania Occidentale al terrorismo, pur non essendo tirannica, ha provocato una limitazione delle libertà civili. È ovvio che, quando il terrorista inizia questo inquietante dialogo con lo Stato, egli sta attirando l'avversario su un terreno insidioso.

La caratteristica forse più imbarazzante del terrorismo è l'evidente dissociazione fra l'azione terroristica e gli scopi proclamati dal terrorista. Quale collegamento ci può essere fra la causa dei Palestinesi e il massacro di un gruppo di cattolici portoricani in un aereoporto di Israele, o quello dei passeggeri - diretti a New York - in un aereoporto di Atene? Perché mai un pilota della Germania Occidentale deve morire in ginocchio in Somalia? Le vittime immediate non hanno che un'importanza indiretta rispetto agli scopi dei terroristi. D. Fromkin ha descritto molto bene questo legame indiretto: ‟Il terrorismo è violenza usata per suscitare il terrore; e mira a suscitare il terrore affinché il terrore, a sua volta, induca qualcun altro - non il terrorista - a prendere iniziative che permetteranno al terrorista medesimo di ottenere ciò che egli desidera. A differenza del soldato, del guerrigliero o del rivoluzionario, il terrorista è quindi sempre nella paradossale posizione di intraprendere azioni, le cui immediate conseguenze fisiche non sono da lui particolarmente desiderate. Un comune assassino uccide una persona perché la vuole morta, ma il terrorista sparerà a qualcuno anche se gli è perfettamente indifferente che tale individuo viva o muoia. Egli lo farà, per esempio, al fine di provocare una brutale repressione poliziesca, il che - egli crede - potrà creare le condizioni politiche propizie per una sommossa rivoluzionaria capace di rovesciare il governo. L'atto omicida è lo stesso in entrambi i casi, ma lo scopo è diverso, e ciascuna azione gioca un ruolo diverso nella strategia della violenza" (v. Fromkin, 1975, p. 693).

Il terrorismo contemporaneo, mentre ha un ovvio rapporto con il terrore di Stato nel suo uso della violenza come arma politica, ne differisce per il suo legame indiretto tra azione e obiettivi e per la sua indifferenza verso le vittime. Tutti i tiranni, da Caligola a Robespierre a Idi Amin, hanno usato il terrore come mezzo diretto per stabilire la propria autorità e assicurarsi l'obbedienza. Questo sistema si è dimostrato particolarmente utile in periodi nei quali un nuovo Stato cerca di consolidare e legittimare la propria autorità. L'Unione Sovietica agli esordi e la Cambogia di qualche anno fa rappresentano esempi di ciò che ci si può aspettare se i terroristi conquistano il potere, ma non ci dicono molto sul problema del terrorismo contemporaneo. I suoi veri antecedenti sono i vari movimenti anarchici dell'Ottocento, nei quali è centrale la figura di Bakunin.

a) L'insegnamento della storia

Bakunin non era un difensore del terrorismo individuale, tipico degli anarchici ottocenteschi fuori della Russia. Egli era convinto che un esercito di contadini e di ladri avrebbe fatto la rivoluzione, la quale avrebbe preso la forma di distruzione spietata e violenta dello status quo. Il suo interesse per un'alleanza rivoluzionaria con il mondo della malavita è particolarmente degno di nota per la sua anticipazione dei metodi del terrorismo contemporaneo. Dopo la morte di Bakunin, i suoi seguaci rinunciarono a una siffatta coalizione, optando invece per la ‛propaganda dell'azione'. Questo concetto pone in rilievo l'importanza degli atti individuali di violenza come dichiarazioni rivoluzionarie dei membri di un'avanguardia intellettuale, e il nome di Bakunin venne associato con questo tipo di anarchismo, più europeo e più ‛propagandistico'.

Nella loro apologia della violenza in quanto tale, nel loro tentativo di terrorizzare e disgregare la società tutta, come pure nell'assenza di un qualunque piano sistematico di organizzazione sociale da far seguire alla rivoluzione, gli anarchici dell'Ottocento precorrono i terroristi contemporanei. Naturalmente, esistono notevoli differenze, alcune allarmanti. Ricordiamo l'attuale sofisticata organizzazione dei terroristi in tutto il mondo, che un commentatore ha definito ‟la nuova internazionale"; il fenomeno, a essa collegato, dei terroristi che oggi rivendicano un campo di battaglia globale, facendosi beffe della struttura giuridica internazionale basata sulla sovranità nazionale; infine, l'ampiezza dei danni di cui i terroristi contemporanei sono capaci (la possibilità di azioni eversive della stabilità nazionale, comprese le distruzioni di massa), e il conseguente alto livello di terrore che essi possono imporre. Nonostante le affinità storiche, queste caratteristiche fanno quindi del terrorismo attuale una sfida senza precedenti.

Il terrorismo ‛paga'? Al principio del secolo alcuni gruppi nazionali impiegarono con successo metodi terroristici nella loro lotta contro il colonialismo, ma questi esempi differiscono in modo significativo dal terrorismo contemporaneo, in quanto la violenza, nel loro caso, era in gran parte diretta contro una presenza straniera, quasi sempre europea. Il fine politico della violenza era l'indipendenza, l'allontanamento dell'amministrazione straniera e la costituzione di una nuova nazione. India, Israele e Algeria, per esempio, hanno impiegato gradi diversi di violenza terroristica nella loro lotta per l'indipendenza. Nel caso di Israele e dell'Algeria venne messa a punto una strategia che permetteva di sfruttare la posizione di forza dell'avversario.

b) Il terrorismo contemporaneo

La caduta dei grandi imperi coloniali dopo la seconda guerra mondiale produsse una vasta e rapida riorganizzazione dell'assetto mondiale, intrapresa sotto la pressione del nazionalismo nascente nei paesi ex coloniali.

Molti dei gruppi terroristici separatisti o nazionalisti (l'OLP ne è il miglior esempio) hanno operato in base all'assunto che l'uso della violenza può essere in certa misura necessario per dare a un popolo la sua terra. È una classica applicazione, sostenuta da un uso moderno della violenza selettiva, del famoso detto di Clausewitz, secondo cui la guerra è una continuazione della politica con altri mezzi.

In gran parte della comunità internazionale il diffuso sentimento anticolonialista del periodo postbellico si è tradotto in un atteggiamento di simpatia verso il terrorismo di questo genere. Al tempo stesso, gli scritti di Mao, Che Guevara, Frantz Fanon e Carlos Marighella hanno diffuso una fede quasi religiosa nell'idea che la storia sia dalla parte degli oppressi, e hanno fornito un legame teorico con i gruppi terroristici di ultrasinistra nelle società industriali avanzate dell'Europa occidentale e del Giappone.

Per un'evoluzione parallela, si fa sempre più acuta la consapevolezza dell'interdipendenza di tutti i popoli, la sensazione che le grandi sfide che l'uomo deve affrontare abbiano dimensioni mondiali. Un epifenomeno di questa tendenza è l'implicita idea che le nazioni industrialmente avanzate siano direttamente responsabili dello stato di sviluppo delle nazioni più povere. Sia o no vera, quest'idea contribuisce a creare un clima internazionale nel quale ‛vendicatori' (che si autoinvestono del ruolo) possono cercare riparazioni mediante minacce o atti di violenza. Questo è appunto il caso dei rapimenti - con estorsione, a titolo di ‛riparazione', di riscatti esorbitanti - di uomini di affari stranieri a opera dei terroristi latino-americani. In questi casi, gli omicidi sono giustificati come ‛esecuzioni'.

Un terzo elemento è costituito dagli immensi progressi nelle comunicazioni. Gli immediati reportages televisivi mondiali su guerre, insurrezioni, assassinî e catastrofi contribuiscono a creare e rinforzare quel senso di apparente disordine e instabilità che, per molti, è la caratteristica principale della nostra epoca, e suggeriscono l'esistenza di ambienti nei quali sono quasi di prammatica le azioni violente di uomini e donne disperati. Nello stesso tempo, i satelliti televisivi forniscono un pubblico enorme alla ‛teatralità' dei terroristi. Possiamo già vedere ‛il villaggio globale' preso in ostaggio da terroristi che dispongano, ad esempio, di armi nucleari o abbiano accesso ad armi batteriologiche avanzate.

Dobbiamo anche prendere in considerazione ciò che si potrebbe chiamare la ‛produttività' o efficacia del terrorismo. Uno studio preparato dalla Rand Corporation ha esaminato 63 casi, tra i più clamorosi, di presa di ostaggi da parte dei terroristi, nel periodo che va dall'inizio del 1968 alla fine del 1974. Le conclusioni sono impressionanti. Secondo la sintesi fatta nel 1976 da una ricerca della CIA, si rileva che esiste: a) l'87% di probabilità di effettiva presa degli ostaggi; b) il 79% di possibilità che tutti i membri del gruppo di terroristi sfuggano alla punizione o alla morte (riescano o non riescano a impadronirsi degli ostaggi); c) il 40% di possibilità che tutte, o almeno alcune, delle richieste dei terroristi vengano accolte (nel caso che le richieste non si limitino alla semplice possibilità di mettersi in salvo); d) il 29% di possibilità di ottenere un soddisfacimento completo di queste richieste; e) l'83% di possibilità di successo nel caso l'unica richiesta sia la libertà di fuga per se stessi o per altri; f) il 67% di possibilità che, nel caso vengano rifiutate le richieste principali, tutti o quasi i membri del gruppo terroristico riescano comunque a cavarsela salvando la vita, sia entrando in clandestinità, sia accettando la possibilità di fuggire in cambio della rinunzia alle loro richieste originarie, sia arrendendosi a un governo amico; g) infine, praticamente il 100% di probabilità di ottenere una grossa pubblicità (se questo era uno degli scopi dei terroristi).

Sebbene queste statistiche siano impressionanti già di per se stesse, uno dei più drammatici esempi dell'efficacia del terrorismo è dato dall'emergere di Yasser Arafat, capo dell'OLP, come il riconosciuto portavoce del popolo palestinese, posizione rafforzatasi dopo il suo intervento - un fatto senza precedenti - all'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974.

Anche se non troppo sorprendente, il pesante aumento quantitativo sia delle azioni terroristiche sia dei gruppi terroristici durante l'ultimo decennio è tuttavia causa di turbamento, come anche certe caratteristiche qualitative dell'espansione dell'attività terroristica.

c) Struttura e strategia

Come si traduce in una struttura sociale o politica il dramma di un evento terroristico? L'atto di terrorismo coinvolge tre attori principali, le cui azioni possono essere influenzate da tre principali gruppi di spettatori. Il primo attore è il gruppo che minaccia o esegue un'azione violenta, al fine di gettare discredito sulle autorità responsabili o di raggiungere un qualche altro fine politico. Il secondo attore è il gruppo contro il quale viene minacciata o condotta l'azione violenta; questo gruppo ha un valore incidentale ai fini del risultato politico desiderato, ed è scelto solo perché ha un valore, intrinseco o simbolico, per il terzo attore. Questo terzo attore è il governo, o un'altra autorità, che il terrorista vuole screditare o influenzare, basandosi sulla sua responsabilità o sulla preoccupazione per la salvezza dell'oggetto dell'atto di violenza, minacciato o attuato. Il pubblico davanti al quale si svolge il dramma, e i cui atteggiamenti possono influenzarne il decorso e il risultato, comprende le persone di cui è responsabile il governo preso di mira, altri governi con interessi e responsabilità simili e altri gruppi terroristici con interessi sia tattici sia politici nel conflitto.

È certo valido studiare il terrorismo in quanto spettacolo, ma è forse ancora più proficuo studiarlo come una forma di guerra, poiché esso corrisponde all'essenza della strategia militare classica: l'uso efficace della forza per ottenere un fine politico desiderato. Il terrorismo è una forma di conflitto particolarmente minacciosa poiché, per sua stessa natura, pone il governo-obiettivo dinanzi al fondamentale problema: come difendere dalla minaccia cittadini, istituzioni e interessi, pur preservando i caratteri essenziali del sistema politico? In una società libera i terroristi hanno l'iniziativa e, entro certi limiti, possono determinare l'intensità, l'ampiezza e i temi che caratterizzano le fasi della lotta. L'unica difesa a lungo termine contro il terrorismo è, quindi, l'eliminazione dei motivi profondi di protesta. È questa, naturalmente, una strada lunghissima. Nel frattempo, per limitare il campo delle possibili azioni terroristiche, deve essere intrapresa un'azione governativa atta a migliorare la cooperazione internazionale, la sicurezza e le contromisure, nonché a intensificare la preparazione per la gestione di eventuali crisi.

I gruppi terroristici bene addestrati, altamente organizzati e ben finanziati sono formati generalmente da unità strutturate, indipendenti e sconosciute l'una all'altra, con un gruppo che ha il controllo centrale. Nelle prime fasi della loro organizzazione, queste unità sono spesso delle piccole ‛cellule' con tre o quattro elementi. Il compito iniziale di queste unità è quello di rafforzare l'organizzazione. Il successivo importante compito è quello di ottenere il riconoscimento da parte dei mezzi di comunicazione di massa. All'inizio, ciò viene ottenuto attaccando bersagli facili, privi di un immediato valore politico o militare, come personalità di rilievo, palazzi con uffici e banche: il principale obiettivo è quello di diffondere la paura. I terroristi palestinesi sono noti per avere di proposito evitato bersagli quali veicoli militari vulnerabili e chiaramente identificabili, e aver attaccato invece autobus scolastici pieni di bambini. Simili attacchi hanno spesso lo scopo di attirare nuovi membri, richiamati dalla notorietà del gruppo e dalla sua abilità nel mettere in imbarazzo le autorità. Nel 1970, per esempio, l'FPLP (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina) balzò alla ribalta con uno spettacolare dirottamento aereo multiplo, seguito dalla distruzione, ripresa dalla TV, dei tre apparecchi catturati in un aeroporto giordano.

Come regola generale, un gruppo terroristico aumenta progressivamente la violenza dei propri attacchi, al fine di mantenere alto il livello di paura nella popolazione e nei governi; le azioni si mantengono però entro limiti che le fanno apparire come una risposta naturale alle provocazioni delle autorità. Nelle fasi successive delle campagne terroristiche, quando il gruppo è cresciuto di numero, di appoggi e di popolarità, i bersagli divengono più complessi e più variati, assumendo un maggior rilievo sia militare che politico. In questa fase la strategia è quella di evitare battaglie generali, attaccando però con insistenza il governo e spaventandone i difensori. A questo punto, spesso, i governi cercano di risolvere i loro problemi prendendo misure repressive e reagendo in modo irrazionale, col risultato di alienarsi progressivamente la cittadinanza. È difficile concepire una risposta globale peggiore.

Generalmente i terroristi sono altamente selettivi nello scegliere i loro obiettivi. Poiché tutte le azioni terroristiche sono spettacolari, i terroristi tendono a valutare il valore simbolico, pubblicitario, politico e militare di un progetto di attacco. Il pericolo di alienarsi le simpatie della gente ha rappresentato senz'altro un freno per alcuni gruppi, che pure sarebbero stati capaci di eccidi di massa.

Ciononostante, frazioni estremiste dell'OLP e dell'URA hanno mostrato una maggiore disponibilità a provocare un gran numero di vittime nei loro attacchi. Nell'attacco suicida dell'URA all'aeroporto di Lod nel 1972, durante il quale vennero massacrate ventisei persone e oltre settanta ferite, furono usate armi automatiche e granate a mano contro civili indifesi. Terroristi cubani di destra, nel 1976, misero una bomba in un aereo cubano, causandone la caduta nel Mare dei Caraibi, con la morte di tutte le 73 persone a bordo.

Come ha notato la CIA, le autolimitazioni dei terroristi rispetto alla violenza di massa sono determinate in larga misura dalle tradizioni nazionali, come pure dal credo politico e dal carattere particolare di un determinato gruppo. Sebbene sia, di conseguenza, difficile generalizzare, è però chiaro che non si può confidare in una persistenza indefinita delle restrizioni che hanno finora limitato l'ordine di grandezza della violenza terroristica. In presenza di un terrorismo capace di un influsso disgregatore a livello nazionale, i governi farebbero bene a prepararsi a una possibile escalation, se non vogliono essere colti di sorpresa.

I terroristi hanno dimostrato ripetutamente di avere interesse alla disgregazione nazionale. Gli assassini di H. M. Schleyer e di Aldo Moro, come pure il sequestro dei banchieri a Barcellona, sono esempi di attacchi contro la struttura istituzionale, simbolizzata da questi uomini di potere. Per quanto questi attacchi non presentassero una tecnica sofisticata, i terroristi hanno dimostrato di interessarsi anche ad azioni tecnicamente più difficili. Per esempio, dopo l'uccisione di Moro, i terroristi tentarono di gettare Roma nell'oscurità. Essi attaccarono alcuni impianti elettrici, ma non erano ancora abbastanza esperti per sapere esattamente dove colpire. Ciononostante, riuscirono a lasciare senza corrente alcuni sobborghi di Roma. Nel 1977 i terroristi palestinesi iniettarono mercurio liquido nelle arance provenienti da Israele, danneggiando così il 40% del commercio frutticolo israeliano sul mercato europeo. È interessante notare che il mercurio liquido non è molto tossico. Non ci furono vittime; tuttavia i terroristi dimostrarono di poter compiere un'azione complessa, non violenta, ma tale da causare notevoli effetti disgregativi.

d) Cooperazione internazionale

Vi sono segni di un aumento della cooperazione fra organizzazioni terroristiche nazionali e internazionali, sotto forma di aiuti finanziari e tecnici. Come risultato di questa cooperazione, e dell'estesa pubblicità fornita alle attività terroristiche dai mezzi di comunicazione, procedimenti tecnici e persino atteggiamenti propri di certi gruppi sono stati adottati da altri gruppi.

Per esempio, nei campi dei terroristi palestinesi in Libano, Siria, Libia (e, fino al 1970, Giordania) si sono addestrati nelle tecniche terroristiche rivoluzionari provenienti dall'Europa occidentale, dall'Africa, dall'America Latina, dall'Asia e dal Nordamerica. Tali gruppi comprendono rappresentanti dei Weathermen e delle Pantere Nere americani, dell'IRA, dell'Armata di liberazione del popolo turco, del Fronte di liberazione eritreo, dell'URA giapponese e del gruppo tedesco Baader-Meinhof. I palestinesi, inoltre, non hanno limitato la loro opera di addestramento ai gruppi di sinistra: hanno reclutato anche neonazisti tedeschi, presumibilmente sulla base del comune antisemitismo.

Questo collegamento palestinese sembra essere il principale tramite fra i diversi gruppi e atti terroristici che sono venuti costituendo il cosiddetto terrorismo transnazionale. Nella misura in cui esiste, l'alleanza sembra essere poco definita, basata più su simpatie comuni che su esperienze condivise. Questo è il caso specialmente dei gruppi terroristici usciti dal movimento della ‛nuova sinistra' nelle università occidentali e giapponesi. Sebbene la maggior parte degli studenti che hanno militato nel movimento della ‛nuova sinistra' alla fine degli anni sessanta siano poi rientrati nell'alveo della normale attività politica o abbiano addirittura abbandonato ogni interesse politico, un piccolo numero di quelli che erano su posizioni estremiste hanno intensificato i loro sforzi. Malgrado differenze culturali spesso cospicue, questo è il denominatore comune di gruppi quali i Weathermen americani, l'URA giapponese, le Brigate Rosse italiane e la Rote Armee Fraktion tedesca, gruppo fondato dalla banda Baader-Meinhof.

Le Brigate Rosse rappresentano uno spaventoso esempio del potere che una piccola banda di fanatici decisi può raggiungere in una democrazia liberale (particolarmente in una come quella italiana, non certo famosa per la sua stabilità). Le BR paralizzarono, in pratica, la già scossa vita politica italiana, sequestrando Moro, che nell'ottobre 1976 era stato nominato presidente della Democrazia Cristiana ed era considerato da molti come il più importante uomo politico italiano. Il fine immediato delle BR era quello di impedire il ‛compromesso storico', che prevedeva la partecipazione dei comunisti a un governo capeggiato dai democristiani. Moro era ritenuto l'unico uomo politico fornito della pazienza, del tatto e dell'abilità necessari per tenere insieme una simile tentennante coalizione.

È noto che le Brigate Rosse hanno ricevuto un accurato addestramento in Cecoslovacchia. Almeno quattro capi delle BR sono stati addestrati in Cecoslovacchia per periodi che vanno da parecchi mesi a un anno. In un covo delle BR, scoperto durante le perquisizioni condotte per ricercare Moro, vennero trovate chiavi con un cartellino recante scritto ‛Praga', e venne dimostrato che erano di ‛rifugi' in quella città.

I gruppi di cui si è discusso in precedenza sono responsabili di gran parte delle attività terroristiche dell'ultimo quindicennio. Rispetto all'IRA, o ai terroristi eritrei o baschi, presentano una differenza estremamente significativa per la comprensione del terrorismo transnazionale. Il loro tratto peculiare è che non pretendono di rappresentare una classe oppressa nel loro paese. I membri di tali gruppi sono in genere figli di società opulente, figli della stessa civiltà industriale moderna. Essi hanno rifiutato le loro origini borghesi, ma non in favore di una classe lavoratrice oppressa. Si sono, invece, identificati con le lotte del Terzo Mondo, mitizzate durante gli anni sessanta nelle figure di ‛eroi' quali Che Guevara e Fidel Castro. La stessa strategia della guerriglia urbana, da loro adottata come modello, era stata sviluppata dai rivoluzionari dell'America Latina. H. Mahler, l'ideologo della Baader-Meinhof, si è espresso in questo modo: ‟Non ci sentiamo più tedeschi, ma piuttosto una specie di quinta colonna del Terzo Mondo". Suzanne Albrecht, che partecipò all'assassinio del direttore della Banca di Dresda, J. Ponto (padrino di Suzanne e amico intimo del ricco padre di lei), ha spiegato il suo estremismo dicendo che ‟era stufa di mangiare caviale". La banda Baader-Meinhof ha anche parlato del suo impegno a ‟distruggere le isole di benessere in Europa".

Questo rifiuto della classe d'origine e la creazione di una nuova identità antiborghese, sul modello di un archetipo rivoluzionario terzomondista, implicano l'esistenza, in questi terroristi, di un insieme di valori e di modi di azione comuni, che costituiscono la base per un'ampia cooperazione nella lotta contro il comune nemico (la democrazia industriale occidentale), a favore dei popoli oppressi del Terzo Mondo. Infine, c'è una visione comune del mondo, definito in termini di lotta, nella quale l'alleanza con i movimenti terroristici di altri paesi è non solo logica, ma necessaria. In verità, simili movimenti continuano a fornire ai terroristi occidentali sia l'ispirazione che una base concettuale. Nel 1970, per esempio, il leader arabo G. Habash disse a quattrocento delegati di un congresso internazionale rivoluzionario a Pyongyang, nella Corea del Nord: ‟In questi tempi di rivoluzione del popolo contro il sistema imperialistico mondiale, non possono esserci confini né geografici né politici, e neppure proibizioni morali contro le imprese terroristiche da parte del popolo".

Si ritiene che l'FPLP abbia un laboratorio, che è il centro principale di rifornimento per passaporti falsi e altri documenti usati dai terroristi di tutto il mondo. L'esame di molti dei documenti sequestrati conferma la loro provenienza da un'unica fonte. Palestinesi, tedeschi occidentali, giapponesi e lo stesso Carlos hanno viaggiato con documenti falsi di questo genere.

Nel 1974 i gruppi rivoluzionari dell'Argentina, della Bolivia, del Cile e dell'Uruguay hanno fondato una organizzazione centrale chiamata Giunta di coordinamento rivoluzionario (JCR). L'anno seguente i rivoluzionari colombiani, paraguaiani e venezuelani aderivano all'organizzazione nel corso di un incontro a Lisbona, durante il quale il patto venne formalizzato. Insieme, questi gruppi sono riusciti a raccogliere un notevole quantitativo di denaro, frutto principalmente di riscatti pagati per il sequestro di uomini di affari. Solo gli argentini sembra abbiano rastrellato oltre duecento milioni di dollari in un periodo di tre anni.

A metà dell'ottobre del 1977 il ‟Times" di Londra riferì che la Giunta aveva istituito un quartier generale a Parigi, che era divenuto una specie di centrale informativa per il terrorismo internazionale, specializzata nella pubblicazione di libelli rivoluzionari e di manuali di tattica. Alcuni esperti del terrorismo mondiale hanno suggerito che la spinta per un maggiore coordinamento del terrorismo internazionale possa provenire dalla Giunta.

È opinione diffusa che un esponente dei Montoneros argentini abbia presentato Renato Curcio, capo delle Brigate Rosse, a Ulrike Meinhof durante un incontro segreto a Parigi nel 1970. Gran parte della successiva cooperazione nelle azioni terroristiche europee può essere rintracciata in questo legame sudamericano, come pure qui va rintracciata l'origine dei primi finanziamenti con i quali le organizzazioni terroristiche europee iniziarono le loro operazioni alla fine dell'ultimo decennio. Molti indizi fanno ritenere che l'organizzatore della JCR sia il DGI cubano.

Almeno due volte vi sono stati incontri ad alto livello fra i quadri dirigenti del terrorismo internazionale: nel Libano nel 1972 e a Larnaka (Cipro) nel luglio del 1977. A questi incontri hanno partecipato tedeschi, giapponesi, iraniani, turchi e l'IRA; il finanziamento è stato fornito dai palestinesi.

e) Cooperazione e appoggio dei governi

È noto che alcuni gruppi terroristici ricevono sostanziosi aiuti finanziari e militari da governi amici. Questo è uno degli aspetti più importanti del problema del terrorismo, e ha una lunga storia. Avanti la prima guerra mondiale, il governo zarista della Russia aiutò segretamente la Mano nera serba, un'organizzazione segreta le cui attività nei Balcani furono una delle cause principali dello scoppio della guerra nel 1914. Dalla fine degli anni venti, il governo italiano aiutò i separatisti croati, gli Ustascia, dando persino asilo a numerosi noti assassini, ma negando sempre qualunque coinvolgimento. In uno sfoggio di virtuosa indignazione, Mussolini tuonava che l'Italia non aiutava assassini, e che quanti volevano coinvolgerla erano vigliacchi e bugiardi. Dichiarazioni analoghe, e di pari attendibilità, sono state ripetutamente rilasciate da governi quali quelli della Libia e dell'Algeria negli anni sessanta e settanta.

Ovviamente molti sono i modi in cui un governo può aiutare le attività terroristiche: dall'offerta, apparentemente passiva, di rifugio o di uso dello spazio aereo, a una più attiva opera di promozione e sostegno mediante la fornitura di denaro, armi o addestramento. La lista delle nazioni che sono o sono state coinvolte di recente nel sostegno del terrorismo comprende la Libia, Cuba, l'Unione Sovietica, la Cina, la Corea del Nord, l'Algeria, la Repubblica Democratica dello Yemen (Aden), la Tanzania, il Congo, lo Zaire, l'Egitto, la Siria, l'Iraq e il Libano.

Tra i paesi più attivi si deve annoverare la Libia, che ha aiutato, e continua ad aiutare, un'ampia gamma di gruppi nazionalistici di varia estrazione ideologica. Questi aiuti sono stati in gran parte segreti, ma nell'estate 1972 il colonnello Mu'ammar Gheddafi, il dittatore libico, ha cominciato a vantarsi apertamente del suo appoggio al terrorismo mondiale. Gheddafi ha detto in un'intervista che non solo organizzava campi di addestramento per volontari e dava asilo ai dirottatori arabi, ma forniva anche armi all'IRA nell'Ulster e ai musulmani nelle Filippine. Il colonnello ha aggiunto anche che sarebbe stato felice di fornire armi ai Negri, ‟issando negli Stati Uniti la bandiera della lotta contro il razzismo americano". Nel settembre 1972 Gheddafi diede ad Arafat cinque milioni di dollari in ‛segno di gratitudine' per l'assassinio di undici atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco, ad opera di Settembre Nero e di Al-Fatah. In un incontro segreto nel novembre 1976, Libia e Algeria si assunsero la responsabilità per l'armamento, il finanziamento e l'addestramento dei baschi, dei brettoni e dei corsi.

Con maggior segretezza, anche paesi comunisti hanno promosso l'addestramento di terroristi. Alla fine degli anni sessanta, guerriglieri messicani furono addestrati nella Corea del Nord e nel Vietnam del Nord. Nei primi anni settanta gl'insorti africani che combattevano i Portoghesi erano addestrati all'uso di armi sofisticate, compresi i missili terra-aria, da ufficiali sovietici in basi situate nell'Unione Sovietica.

Durante tutti gli anni sessanta i Sovietici avallarono i programmi di addestramento cubani, che preparavano la gioventù del Terzo Mondo ai metodi della guerriglia. Allo stesso modo, negli anni settanta, l'appoggio sovietico ai gruppi terroristici è stato fornito in massima parte attraverso Stati satelliti e altri intermediari. Fin dal 1969 Mosca fornisce fondi, armi e altri aiuti ai gruppi di fedayin mediante un complesso sistema di intermediari. Più o meno lo stesso metodo viene usato per aiutare i terroristi occidentali. Non c'è dubbio che i Sovietici considerino il terrorismo come pericoloso, anzitutto a causa della sua natura incontrollabile, e il loro appoggio, fuori del Medio Oriente, è altamente selettivo, in base a considerazioni strategiche. Dalla fine della seconda guerra mondiale, per esempio, l'Unione Sovietica è stata la principale sostenitrice del movimento separatista croato in esilio, principalmente per creare problemi e difficoltà al regime iugoslavo socialista del maresciallo Tito.

Ci sono elementi per ritenere che la comunità internazionale sia oggi molto meno tollerante che in passato verso la violenza terroristica. Gli Stati del Terzo Mondo sono sempre meno propensi ad affrontare la minaccia di sanzioni per l'aiuto prestato a operazioni terroristiche. Un episodio abbastanza significativo a questo proposito si è verificato qualche anno fa. Il dirottamento in Somalia di un jet della Lufthansa ad opera dei palestinesi, il 13 ottobre 1977, fu effettuato per obbligare il governo della Germania Occidentale a liberare tre capi della Baader-Meinhof e altri otto loro colleghi. Quando si verificò il dirottamento, Libano, Siria, Giordania, Kuwait, Oman e Yemen del Sud chiusero i loro aeroporti per impedire l'atterraggio all'aereo dirottato. In passato, gli stessi paesi si erano mostrati tradizionalmente benevoli verso i terroristi palestinesi. Ugualmente significativo è il fatto che le nazioni cui i tedeschi imprigionati avevano chiesto asilo (Algeria, Libia, Iraq, Yemen del Sud e Vietnam) rifiutarono tutte di accogliere i terroristi.

f) Sviluppo potenziale del terrorismo

Jenkins (v., 1977) identifica due fonti principali del terrorismo moderno: 1) il fallimento della guerriglia rurale di stile cubano in America Latina, esemplificato dal ‛fiasco' boliviano di Che Guevara; 2) la grave sconfitta delle forze arabe nel conflitto contro Israele nel 1967, che indusse i palestinesi ad abbandonare la loro fiducia nella forza militare convenzionale degli Stati arabi, per rivolgersi a varie forme di terrorismo: dalla guerriglia di confine ad attacchi più sofisticati contro la società tecnologica avanzata, quali i dirottamenti di aerei di linea.

Jenkins prevede un certo numero di potenziali sviluppi del fenomeno, che fanno presagire serie complicazioni per la gestione dei fatti terroristici e per la politica generale dei governi. Prima di tutto, esistono i presupposti per un'escalation della violenza. Ci sono almeno due fattori che hanno rilevanza decisiva a questo proposito. Il primo consiste nella diminuzione di sensibilità del corpo sociale di fronte a ciò che era inizialmente percepito come una forma di violenza impressionante. I primi dirottamenti aerei, per esempio, spaventarono veramente il pubblico inducendolo a richiedere a gran voce norme di sicurezza più severe, e ad accettare con pazienza i vari ritardi e gli altri inconvenienti dovuti alla routine dei controlli con i raggi X e delle perquisizioni personali negli aeroporti. Oggigiorno i dirottamenti sono eventi di ordinaria amministrazione e devono presentare un qualche sviluppo insolito per ottenere un certo rilievo da parte dei mezzi di comunicazione di massa. La domanda è allora: riterranno i terroristi necessaria un'escalation della minaccia, al fine di conservare lo ‛spazio in prima pagina' e la capacità di fare inorridire un pubblico ormai rotto a tutto?

Il secondo fattore è la possibilità di atti terroristici disgregativi su scala nazionale, se non addirittura di eccidi di massa. Quale tipo di autolimitazione - se pure ne esiste una - possiamo presumere presente in individui psicotici o disperati (dato l'accesso a tecnologie di distruzione di massa), in particolare se essi vedono come irraggiungibili i loro scopi politici? Un individuo (o un gruppo), giunto alla conclusione di non aver nulla da perdere, vanifica il presupposto di razionalità intrinseco a tutte le teorie della deterrenza nucleare.

Un altro sviluppo possibile è che i gruppi terroristici divengano molto più simili alle organizzazioni criminali tradizionali. Esistono chiari parallelismi, ad esempio, tra i sequestri di persona a scopo di riscatto in Italia, controllati dalla mafia (un reato di vecchia data in questo paese), e i sequestri di ispirazione ‛politica' di dirigenti stranieri in America Latina. Quest'ultima attività si e rivelata talmente remunerativa, che potrebbe facilmente continuare anche rinunciando alle accuse di ‛reati contro il popolo' emesse dai vari tribunali rivoluzionari; oppure potrebbe mantenere la sua bardatura rivoluzionaria come semplice mascheramento per attività di natura essenzialmente criminale. Ciò suggerisce la possibilità del formarsi di un ‟sindacato quasi politico del crimine, impegnato in attività criminali" (Jenkins) - quali i sequestri, il racket delle protezioni e altre forme di estorsione - che mantenga però un profilo politico, per sfruttare il risentimento delle masse o le simpatie rivoluzionarie del popolo.

Jenkins vede in gran parte del terrorismo una reazione alla tendenza generale verso una crescente centralizzazione dell'autorità negli Stati moderni, con la concomitante perdita dell'autonomia regionale. Egli asserisce che ‟l'intenso nazionalismo della fine dell'Otto e della prima metà del Novecento viene rimpiazzato da una forte corrente regionalistica ed etnica". Ciò è chiaramente alla base dei vari movimenti separatisti. Allo stesso tempo, se e quando tali movimenti riusciranno a costituire unità nazionali più piccole (uno Stato palestinese potrebbe rappresentare un precedente), grande sarebbe la tentazione, per questi Stati relativamente deboli, di ricorrere al terrorismo come surrogato di una guerra convenzionale. Purtroppo, la decisione di abbandonarsi a questa tentazione nascerebbe da un'analisi ‛costi e benefici' basata sull'efficacia del terrorismo precedente.

Un altro potenziale sviluppo consiste nell'accresciuta importanza di attori non statali nella comunità internazionale, con l'affermazione di gruppi quali l'OLP che ottengono un riconoscimento globale come rappresentanti etnici senza una base nazionale. Organizzazioni relativamente deboli potrebbero dettare legge a potenti nazioni, minacciando un comportamento irrazionale o violento. Esistono nel mondo circa ottocento diversi gruppi etnici e, sebbene sia difficile stabilire quanti abbiano la capacità di far sentire la loro presenza sulla scena mondiale, quelli con aspirazioni su ampia scala hanno, nella storia dell'OLP, un esempio di come arrivare al successo.

L'attività terroristica può infine avere origine da gruppi di estrema destra, cui manchi la fiducia nella capacità delle autorità legittime di combattere il terrorismo di sinistra, o che siano preoccupati per ciò ch'essi percepiscono come una generale minaccia delle sinistre. Sia che sbocchi nella costituzione di gruppi di vigilantes (come è già accaduto in Argentina e nell'Irlanda del Nord), o in operazioni clandestine strutturalmente affini a quelle della sinistra terroristica (nel caso dell'Italia e della Spagna), quest'attività terroristica di destra rappresenta un'ulteriore erosione dello Stato di diritto, contribuisce al ciclo della violenza ed è sintomatica di una società che ha perso di vista i suoi scopi. In breve, è una minaccia non inferiore a quella rappresentata dal terrorismo di estrema sinistra.

g) Pubblicità

Come si è detto in precedenza, il terrorismo moderno è strettamente legato ai progressi delle telecomunicazioni. I terroristi ricercano la pubblicità dei mass media. Le loro azioni sono studiate in modo da drammatizzare e pubblicizzare la loro esistenza e la loro causa. Attraverso le loro azioni violente, i terroristi cercano spesso di convincere i non impegnati a ritirare il loro appoggio a un'istituzione o a un regime, per favorire un'estensione dell'attività rivoluzionaria. Perché la loro azione sia efficace, i terroristi devono informare e coinvolgere il grosso pubblico. In molti casi di azioni terroristiche in Sudamerica, Canada ed Europa, i gruppi hanno quindi incluso tra le loro richieste, in cambio della liberazione di ostaggi, la pubblicazione di ‛manifesti'.

Ogni volta che sia possibile i terroristi impiegheranno strategie tendenti a mettere in crisi il governo in carica e ciò, nel sistema parlamentare europeo o canadese, può portare il primo ministro alle dimissioni. Il tipo di pressione esercitato sulla coalizione al governo in Italia durante il caso Moro illustra l'influenza che un piccolo gruppo di estremisti può esercitare in una società libera. L'atteggiamento della stampa nazionale nei confronti del governo è naturalmente di importanza fondamentale nell'orientare l'opinione popolare circa la sua capacità di gestire la crisi.

È dimostrato che le tecniche terroristiche di successo vengono imitate e ripetute da altre organizzazioni nel mondo. I mass media hanno un ruolo di primaria importanza in questo fenomeno, come pure nelle comunicazioni tra i terroristi in generale. Secondo un esperto di scienze del comportamento, se si potesse evitare la pubblicità, si potrebbe eliminare il 75% del terrorismo nazionale e internazionale. La crisi degli ostaggi in Iran è stata un ‛evento dei mass media'. I terroristi orchestrarono, a loro vantaggio, praticamente ogni aspetto dell'informazione fornita dai mass media.

Se il gruppo terroristico è legato direttamente a un partito politico, l'attività terroristica può implicare ben presto responsabilità politiche. Un pericolo costante per i movimenti politici impegnati nel terrorismo è di rinchiudersi nell'attività terroristica, perdendo di vista gli obiettivi politici a lunga scadenza. Nel momento in cui diventi necessario soffocare gli attacchi terroristici e ricercare una maggiore legittimità e un ruolo attivo nel governo, all'interno della struttura organizzativa del gruppo si può verificare una frattura. A volte, gli elementi più estremisti possono formare pericolosi gruppi separatisti. Per esempio, nel tentativo di farsi riconoscere come il rappresentante legittimo dei Palestinesi, l'OLP ha cercato di dissociarsi dai suoi elementi più radicali; senonché, ciò facendo, l'organizzazione si è trovata costretta a giustiziare alcuni dei suoi membri più estremisti. Il dissenso tra i gruppi terroristici del Medio Oriente circa le recenti manovre di pace ha causato la rinascita del Fronte del rifiuto, intenzionato a boicottare qualunque composizione politica giudicata inaccettabile.

3. L'arsenale del terrorismo

Confrontato con i mezzi della guerra moderna, l'arsenale degli attacchi terroristici è di solito primitivo. Cosi, raramente i terroristi hanno usato altro che pistole, fucili mitragliatori e bombe primitive. Tuttavia essi hanno raggiunto successi tattici considerevoli. Con i mezzi più moderni di cui potrà disporre in futuro, il terrorismo progredirà anche in audacia e perfezionamento tecnologico?

Un maggior grado di perfezionamento può essere ottenuto sia mediante l'uso di armi più moderne, sia attaccando, con le attuali armi primitive, obiettivi tecnologicamente più sofisticati. Nella prima categoria si possono comprendere razzi portatili, anticarro e terra-aria, mezzi chimici e biologici e armi nucleari. La seconda categoria comprende l'uso di esplosivi per far saltare il trasformatore principale in una centrale elettrica, per il sabotaggio di oleodotti e metanodotti, per la distruzione di centri di calcolo di primaria importanza. (Ovviamente, un'arma anticarro sofisticata può essere usata anche per distruggere una installazione chiave. Pertanto, le due categorie non si escludono a vicenda).

Nonostante la probabilità che il terrorismo assuma nuove e più dannose forme, non prevediamo un terrorismo che pratichi la distruzione di massa. Ma la semplice esistenza di una possibilità del genere (con le opportunità che essa offre in materia di estorsioni) costituisce secondo noi un grave problema, di cui illustreremo ora gli aspetti più inquietanti.

Il nostro scopo è spiegare al lettore i danni che possono essere causati da bande anche piccole di terroristi; non vogliamo certo incitare i terroristi a nuovi exploits, né scrivere un ‛manuale di istruzioni'. Diamo per scontato - com'è chiaramente il caso dei tedeschi, dei palestinesi, dei baschi e di alcuni gruppi sudamericani - che i terroristi abbiano accesso alle attrezzature e alle strutture di laboratori di livello universitario, e che possano impiegare scienziati e ingegneri del massimo livello. La plausibilità di quest'ultima ipotesi può essere illustrata dal fatto che svariate decine di migliaia di studenti arabi hanno ricevuto una formazione tecnica di livello universitario negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale: è quindi sufficiente che almeno una decina di essi appoggino attivamente i gruppi palestinesi più estremisti.

a) Il terrorismo come fattore di disgregazione nazionale

Se il terrorismo raggiunge un livello tale da costituire una minaccia di disgregazione delle basi nazionali, politiche e sociali, costituisce allora un pericolo potenziale che non può essere preso alla leggera né dai governi né dai privati. Azioni isolate o una serie di azioni di tale portata metterebbero alla prova la preparazione e la flessibilità delle autorità locali, regionali e nazionali. Decisiva diventa in questo caso la vigilanza del governo, che dovrebbe usare tutte le sue risorse per reagire alla gravità della sfida terroristica e, allo stesso tempo, valutare la reattività del settore privato e l'entità della minaccia alla sicurezza e al benessere della cittadinanza. Un terrorismo che agisca come un fattore di disgregazione su scala nazionale può determinare sia sconvolgenti eccidi di massa, sia atti di minore gravità, ma egualmente diretti a destabilizzare la vita nazionale. A qualunque livello, il terrorismo può comunque causare un grado di destabilizzazione dalle gravi conseguenze nazionali e internazionali, specialmente in un paese come gli Stati Uniti.

Le sostanze biologiche e chimiche, sebbene facilmente ottenibili, non sono state molto usate e non sembrano quindi destinate a diventare una probabile arma terroristica. Esiste tuttavia una certa documentazione circa l'uso di sostanze biologiche e chimiche fin dalla prima guerra mondiale. Nel 1967 l'esercito egiziano fu accusato di aver usato sostanze tossiche contro gli yemeniti. Secondo alcuni rapporti il gruppo Baader-Meinhof avrebbe minacciato di usare iprite contro città della Germania Occidentale. Sotto molti aspetti, le sostanze chimiche e biologiche rappresentano per i terroristi la strada più facile per tentare distruzioni di massa. Ora, a differenza dei materiali nucleari, per i quali sono state adottate notevoli precauzioni, il controllo e la salvaguardia delle sostanze chimiche e biologiche non sono stati presi sufficientemente in considerazione. In realtà, è molto più facile coltivare bacilli del carbonchio, piuttosto che rubare o fabbricare un'arma nucleare, e un attacco a base di carbonchio è potenzialmente più letale di un'esplosione nucleare. Un piccolo ordigno nucleare può uccidere centomila persone se fatto esplodere in un centro densamente popolato, mentre un attacco con bacilli del carbonchio sotto forma nebulizzata può raggiungere gli effetti di un ordigno termonucleare.

In rari casi, finora, gli attacchi terroristici hanno dato prova di alto livello tecnologico. Ciononostante, vi sono stati episodi isolati di attacchi terroristici con uso di sostanze tossiche e negli Stati Uniti almeno cinquanta volte è stato minacciato l'uso delle armi nucleari. Lo iodio 131, un isotopo radioattivo, è stato spruzzato su un treno in Europa. Il cosiddetto bombardiere alfabetico, a Los Angeles, aveva preparato un certo numero di esplosivi sofisticati e, quando venne arrestato, stava, sembra, sintetizzando un tipo di gas nervino. Nel gennaio 1972 due studenti universitari vennero accusati di aver organizzato un complotto per avvelenare le riserve idriche di Chicago con vari batteri, tra cui quelli del tifo. Un anno più tardi, le autorità della Germania Occidentale ricevettero una minaccia simile, relativa all'introduzione di bacilli del carbonchio nelle riserve idriche del paese. Per attuare queste minacce non occorre una tecnologia complessa, ma il ripetersi di questi episodi ha evidenziato che esistono pazzi pronti a minacciare la società e magari a uccidere migliaia di persone. Questi individui non devono essere confusi con i gruppi terroristici ‛razionali', che non si sono mostrati disponibili a realizzare azioni di questo tipo; d'altra parte non tutti i terroristi operano necessariamente in base a calcoli razionali. La tecnologia esiste e i governi devono cercare di ridurre al minimo le possibilità che i terroristi la usino. Sebbene siano improbabili distruzioni di massa, sono invece probabili azioni meno violente di disgregazione nazionale. Le società avanzate sono estremamente vulnerabili. Reti dell'alta tensione, riserve idriche, centri di calcolo, reti di calcolatori, oleodotti e metanodotti, nonché tutti i trasporti aerei, sono tutti esempi di obiettivi altamente vulnerabili. Il danneggiamento di elementi essenziali di uno qualunque di questi sistemi si dimostrerebbe catastrofico. Poche contromisure serie sono state prese per diminuire tale vulnerabilità. Al contrario, il danneggiamento, a opera di terroristi, di sistemi di vitale importanza è stato reso più facile dalla creazione di razzi anticarro e antiaereo di precisione, piccoli e facilmente trasportabili (praticamente tutti di fabbricazione sovietica).

I governi si troveranno costretti, in futuro, a fronteggiare azioni terroristiche con effetti disgregativi su scala nazionale? È possibile che alcuni terroristi già posseggano i mezzi per distruzioni di massa ed è quindi ovvio che i governi non si possono permettere di restare impreparati. Ogni azione terroristica, per sua natura, richiede una risposta e forza l'avversario a fare la mossa seguente. Il problema che si pone è se i governi possano pensare di compiere scelte così importanti in un vuoto decisionale. Sembra molto più conveniente prepararsi ad affrontare un ampio arco di emergenze, anche se non si dovesse arrivare mai a utilizzare i piani preparati.

b) La plausibilità di un terrorismo di distruzione di massa

Le congetture circa l'uso, da parte di terroristi, di armi atte alle distruzioni di massa sono state considerate azzardate e allarmistiche. Si è spesso sostenuto che l'uso terroristico di tali armi è improbabile per molte e valide ragioni. Prima di tutto, le precauzioni contro l'accesso di terroristi a materiali nucleari idonei dovrebbero prevenire simili incidenti. In secondo luogo, sostanze chimiche e biologiche sono state spesso disponibili, ma sono state usate raramente, e anche allora in modo inefficace. In terzo luogo - ed è forse il motivo più importante - l'uso di mezzi di distruzione di massa sarebbe controproducente per i terroristi, perché alienerebbe loro seguaci e potenziali sostenitori e provocherebbe contromisure repressive. Questi argomenti sono bensì validi per il passato e forse anche per il futuro immediato, ma i governi e il pubblico dovrebbero cercare di prevedere gli sviluppi che potrebbero renderli meno efficaci.

L'attuale tendenza alla proliferazione di materiali fissili e di armi nucleari ha messo in evidenza l'erosione del predominio delle superpotenze, ed è stata accompagnata da un crescente attivismo del Terzo Mondo. Gli accordi per il controllo delle armi nucleari, chimiche o biologiche possono essere difficilmente applicati nei paesi poveri e comunque non sono vincolanti per i gruppi terroristici.

Col diffondersi della capacità di costruire armi nucleari, un numero sempre maggiore di paesi può cercare di sviluppare propri mezzi di deterrenza. Ma trovando impraticabile la scelta nucleare, un paese può ricercare mezzi di distruzione più rapidamente accessibili, ma ugualmente potenti, quali potrebbero essere le armi biologiche. L'uso ditali agenti distruttivi può comportare costi eccessivi per nazioni industrializzate o in via di sviluppo, ma gruppi nazionali estremamente poveri e certi gruppi subnazionali potrebbero essere meno cauti. Gruppi e paesi con un potere politico limitato possono vedere nel possesso di armi per la distruzione di massa un mezzo efficace per ottenere riconoscimenti politici. È anche possibile che si giunga a considerare la capacità distruttiva di massa come una leva nella lotta per una ridistribuzione globale del potere politico ed economico. Il potenziale di ricatto sarà sempre molto alto quando ci sia la possibilità di una violenza di massa: la presa di ostaggi potrà in futuro coinvolgere intere popolazioni.

È dunque possibile che gli argomenti contro la probabilità dell'uso - da parte di nazioni o gruppi terroristici - di mezzi per la distruzione di massa si rivelino a lungo termine meno persuasivi di quanto non appaiano ora. Anzitutto, anche le centrali nucleari meglio protette possono essere oggetto di attacchi. Gli Stati Uniti non possiedono il monopolio della tecnologia nucleare e possono non essere in grado di fornire protezione e sicurezza a tutto il mondo. L'affidabilità dei paesi del Terzo Mondo in materia di combustibile degli impianti nucleari può non essere maggiore della loro affidabilità in altri campi. Inoltre, la corruzione può creare un fiorente mercato nero di tali materiali, qualora governi o gruppi subnazionali siano determinati ad acquistarli per la produzione di armi.

Il livello di sicurezza degli impianti atomici, fuori degli Stati Uniti o della Gran Bretagna, non è sempre elevato ed esiste la possibilità che i terroristi occupino una centrale barricandovisi con ostaggi e minacciando una qualsiasi forma di sabotaggio se non vengono accettate le loro richieste. A molti questo scenario appare più plausibile di quello in cui si prevede che i terroristi riescano a ottenere materiale fissile e a costruire una bomba nucleare. (Sono stati riferiti molti casi di studenti universitari che hanno cercato di progettare una bomba atomica, ma si tratta per lo più di progetti di dubbia validità).

In secondo luogo, non sono mancati casi di nazioni che hanno dimostrato la loro disponibilità a far uso di armi biologiche o chimiche. Esistono numerosi esempi di uso di tali armi fin dalla prima guerra mondiale. È possibile che queste sostanze esercitino un'attrazione sempre maggiore, in quanto possono costituire - essendo poco costose, facilmente ottenibili ed efficaci - una sorta di ‛deterrente del povero'.

Il terzo argomento contro l'uso terroristico di armi per la distruzione di massa, si basa sugli effetti controproducenti che azioni del genere avrebbero sui simpatizzanti e sull'opinione mondiale, ed è forse il più convincente, sebbene alcune recenti tendenze terroristiche l'abbiano reso meno persuasivo. Infatti, alcuni gruppi terroristici non si sono fermati di fronte all'eccidio indiscriminato, come si e visto con i massacri negli aeroporti di Roma e di Lod e nella stazione ferroviaria di Bologna. Le armi per la distruzione di massa possono attirare gruppi nichilistici inclini a provocare incidenti distruttivi a forte impatto emotivo: come si è già detto, nel 1975-1976 la banda Baader-Meinhof nella Germania Occidentale minacciò di usare sostanze tossiche contro le città tedesche. Anche gruppi criminali apolitici possono essere attratti dalle opportunità di estorsione offerte dalla minaccia di distruzioni di massa.

Fazioni radicali di molti movimenti terroristici, come il Fronte palestinese del rifiuto, possono non dar peso al fatto di alienarsi il favore dell'opinione pubblica mondiale, ed essere attratti dalle distruzioni di massa nel perseguimento dei loro scopi di disgregazione. Uno degli obiettivi del terrorismo è certamente quello di provocare contromisure repressive, tali da gettare discredito su un governo democratico.

La riuscita di un ricatto e l'erosione dei processi decisionali nazionali non richiedono l'uso effettivo di armi distruttive di massa da parte dei terroristi. Il semplice possesso di mezzi di grande potenza distruttiva attirerebbe vasta pubblicità sulla causa di un gruppo terroristico e potrebbe fornire un significativo mezzo di pressione politica.

Azioni violente contro il governo e la società sono possibili oggi e non sono improbabili nemmeno in futuro. Gli attentati di massa in Italia e all'aeroporto La Guardia e lo spettro di un uso deliberato della ‛febbre di Filadelfia' rappresentano un messaggio: il tempo sta passando e l'irrazionale può accadere.

Nessuna analisi teorica può stabilire se ci saranno o non ci saranno episodi di distruzione di massa. Tuttavia, una conclusione è ovvia: anche se il terrorismo con distruzioni di massa fosse altamente improbabile come molti ritengono, le sue potenziali conseguenze non possono però essere ignorate. È necessario cercare di capire non solo gli effetti materiali ma anche i più complessi effetti socioeconomici di un'intensificazione delle azioni terroristiche.

c) Armi convenzionali

È difficile valutare e prevedere i piani dei vari gruppi terroristici. Allo stesso modo, è difficile sapere quali armi potranno usare. Tuttavia, basandosi sia sulla reperibilità sia sul precedente uso, si può congetturare quali armi si troveranno più probabilmente nelle loro mani.

L'arma più facilmente accessibile a un'organizzazione terroristica sono gli esplosivi primitivi ‛fatti in casa', che possono essere fabbricati con materiali apparentemente innocui, reperibili sul mercato. Bisogna menzionare subito dopo le armi automatiche. Esempi tipici sono i mitra e le pistole mitragliatrici fabbricati nell'Unione Sovietica, in Cecoslovacchia e in Polonia. Tali armi sono state usate estesamente nelle operazioni terroristiche. Al contrario, armi pesanti, quali la calibro .50 americana, sono difficili da nascondere e da spostare senza farsi scoprire. È noto che alcuni gruppi terroristici sono in possesso di lanciarazzi leggeri anticarro, in particolare il tipo RPG-7 di fabbricazione sovietica e il LAW statunitense. Per esempio, l'RPG-7 fu usato nel gennaio 1975 per attaccare la linea aerea El Al all'aeroporto di Orly a Parigi. Il LAW americano e altre armi anticarro, come il francese Strim F-1, sono stati forniti in grandi quantità alle forze militari di varie nazioni. Sono portatili e facilmente occultabili. Missili terra-aria (le meno facilmente accessibili tra le armi di questo tipo) sono notoriamente in possesso di gruppi palestinesi.

d) Armi non convenzionali

Lo sviluppo di armi radioattive (escludendo la costruzione di esplosivi nucleari), la sintesi di gas nervini e la coltura di piccoli quantitativi di sostanze biologiche adatte a questi scopi sono all'ordine del giorno. Inoltre, sono acquistabili sul mercato sostanze pericolose come il cobalto 60, l'insetticida TEPP e campioni di bacilli del carbonchio. Sebbene la coltura di sostanze biologiche velenose costituisca un'attività rischiosa per il dilettante, e il produrne grandi quantità richieda notevoli competenze, esistono ugualmente migliaia di persone sufficientemente preparate per simili compiti.

Vi sono vari modi per analizzare comparativamente le armi nucleari, chimiche e biologiche. Uno si basa sul confronto tra le rispettive quantità necessarie per provocare un numero elevato di vittime entro un'area di un miglio quadrato, in condizioni ideali. Nella tabella seguente, impostata su questo criterio, le varie sostanze vengono elencate a seconda della loro efficacia.

Tabella

Questa tabella illustra un punto importante: le armi chimiche, e specialmente i gas nervini, possono essere più efficaci delle armi esplosive a frammentazione; alcune sostanze biologiche sono equiparabili per efficacia alle armi termonucleari e sono centinaia di migliaia di volte più devastanti dei gas nervini. È utile ricordare che la peste (bubbonica, polmonare o setticemica) causò all'incirca 75 milioni di morti solo nel periodo dal 1347 al 1351 e la spagnola uccise più di 21 milioni di persone nel 1918-1919.

È facile illustrare gli aspetti teorici degli esplosivi nucleari, come pure quelli di tossine virulente e di agenti patogeni viventi, ma esiste un abisso tra la teoria e la pratica. Sebbene la progettazione teorica di esplosivi nucleari sia divenuta un passatempo elementare, la costruzione di un esplosivo nucleare affidabile è un compito difficile e pericoloso, che non verrebbe intrapreso alla leggera da un'organizzazione terroristica desiderosa di preservare le sue limitate risorse tecniche, e specialmente il suo personale scientifico. Similmente, mentre è facile effettuare stime teoriche delle vittime da attacchi realizzati con mezzi chimici, biologici o radioattivi, la dispersione efficace di tali sostanze non è un problema di semplice soluzione. Attacchi di tal genere sono praticamente impossibili da condurre contro grandi impianti idrici; per una dispersione efficace sotto forma nebulizzata sarebbe essenziale l'aiuto di un ingegnere competente e di un meteorologo. Confrontati con gli esplosivi nucleari, e malgrado le numerose difficoltà connesse a una dispersione efficace, gli attacchi chimici, biologici e radioattivi sono tuttavia di esecuzione relativamente agevole. La distruzione di massa, anche ragionando con ogni cautela, è dunque tecnicamente praticabile: è però utopico pensare di effettuarla gettando piccole quantità di una qualche ‛supertossina' in una riserva di acqua.

e) I nodi critici della società

Le società altamente industrializzate - specialmente quelle che premiano la concorrenza e l'efficienza - sono le più fragili, in quanto sono le più vulnerabili di fronte a una catastrofe. Aerei di linea, gasdotti, centrali elettriche, piattaforme marine per l'estrazione del petrolio, schedari computerizzati dei governi o delle imprese multinazionali: sono tutti esempi di possibili obiettivi di azioni di sabotaggio, la cui distruzione avrebbe effetti a catena di gran l'unga maggiori della loro perdita pura e semplice. Prendiamo il caso del famoso black out di New York, durante il quale si sono verificati danni sproporzionatamente alti a causa dei saccheggi incontrollati, degli incendi, della riduzione delle scorte e, infine, dell'ulteriore diminuzione della già scarsa fiducia del pubblico. Supponiamo che, invece di due giorni, il black out fosse durato anche solo cinque giorni. La città sarebbe rimasta paralizzata. Non è difficile immaginare drammatici ma realistici scenari: libertà per i saccheggiatori; incendi che scoppiano per incuria; la Guardia Nazionale, con i nervi a pezzi, spara sulla folla in preda al panico; scarseggiando ben presto cibo e acqua, l'accaparramento diventa frenetico; il collasso del sistema sanitario suscita lo spettro delle epidemie; i topi, più numerosi delle persone, spadroneggiano incontrastati. Il punto importante è che la ‛natura', con l'aiuto dell'umana inefficienza, ha prodotto uno stato d'assedio per due giorni. Una forza paramilitare anche piccola ma bene addestrata potrebbe virtualmente gettare nel caos per molto tempo una qualunque grande area metropolitana.

Finora, il terrorismo si è limitato ad atti di portata ridotta. Anche così, tuttavia, il mondo rimase inchiodato di fronte allo schermo televisivo quando si verificarono gli assassinî di Monaco nel 1972, ed è stato un puro caso se i musulmani hanafi a Washington non scelsero un obiettivo più efficace. Poiché siamo implicitamente disposti ad accettare perdite umane e politiche, siamo quindi preparati ad affrontare attacchi del genere, di portata relativamente modesta; ma anche una leggera deviazione dallo schema consueto degli incidenti ormai ‛familiari' potrebbe provocare terribili disastri. Trent'anni orsono i terroristi non avrebbero potuto raggiungere una grande efficacia; oggi, invece, i centri di comunicazione, di produzione e distribuzione sono relativamente poco numerosi e altamente vulnerabili. D'altra parte, i mezzi di comunicazione debbono muoversi sul filo del rasoio, giacché, facendo il loro lavoro d'informazione, possono correre il rischio di contribuire essi stessi ad aggravare il terrore.

I terroristi non hanno bisogno di usare bombe atomiche o armi batteriologiche per provocare devastazioni. Un terrorista abile, che identifichi i punti vulnerabili, può infliggere danni pesanti: valga l'esempio dell'attentato contro papa Giovanni Paolo II.

In questo paragrafo abbiamo discusso la fragilità dei nodi vitali della società, le sue ‛strozzature'. Molte di queste strozzature sono ovvie e le altre non debbono essere pubblicizzate. Ci limitiamo quindi a una discussione generale, per non fornire a eventuali terroristi un ‛manuale d'istruzioni'. Fabbricare armi nucleari, o preparare armi chimiche o biologiche, richiede preparazione tecnica, mentre a un individuo che voglia infliggere un considerevole danno a una nazione industriale è sufficiente anche un armamentario primitivo, una volta che abbia acquistato una precisa conoscenza dei punti deboli più importanti.

4. Sicurezza e contromisure tecnologiche

La tecnologia è solo uno dei mezzi per combattere il terrorismo. Il controterrorismo deve fare necessariamente ricorso - prima, durante e dopo gli attacchi, minacciati o realmente effettuati - ai servizi di informazione, alla polizia e alle operazioni militari, come pure alle tecniche psicologiche, mediche e delle scienze del comportamento. Il ruolo della tecnologia oggi è quello di sostenere questi sforzi.

Il modo più pratico per giudicare l'utilità e la portata relative all'applicazione delle varie tecnologie è quello di suddividere l'insieme delle misure controterroristiche nelle seguenti quattro funzioni (non reciprocamente esclusive).

Prevenzione. Evitare attacchi terroristici impedendo, ove possibile, l'accesso agli strumenti e mantenendo un'efficace protezione degli obiettivi critici suscettibili di attacco, o usando una combinazione dei due metodi.

Controllo. La tempestiva predisposizione di meccanismi di comando e di controllo dei mezzi a disposizione del governo, per assicurare una risposta efficace di fronte a un attacco, con adeguati congegni informativi e decisionali, studiati per strappare l'iniziativa ai terroristi.

Contenimento. Misure di emergenza prese per isolare fisicamente le azioni terroristiche e ‛disinnescarne', in senso psicologico, le conseguenze politiche desiderate dai terroristi. Questa funzione comprende azioni per limitare i danni e per fornire un'assistenza sanitaria di emergenza.

Normalizzazione. Iniziative deliberate per chiudere l'incidente e ristabilire la normalità; esse devono durare finché la situazione non sia tornata normale e non siano nuovamente disponibili i servizi usuali.

Si possono mettere queste quattro funzioni in correlazione con altrettante ‛fasi' nella gestione dei problemi terroristici. Sebbene i modi di gestire queste fasi e le concomitanti tecnologie siano interconnessi, tuttavia i requisiti degli apparati e degli strumenti sono alquanto diversi nelle varie fasi. Un'ulteriore utile distinzione è quella tra le misure di portata generale e i dispositivi specializzati e ‛tagliati su misura' per un particolare tipo di attacco o minaccia.

a) Misure di portata generale

La prima e l'ultima fase - la prevenzione e la ricostruzione - richiedono anzitutto misure di portata generale. Il controllo dei passeggeri e dei bagagli negli aeroporti, le recinzioni, le guardie e gli allarmi creano difficoltà ai terroristi. Per quanto non ci possano essere garanzie contro l'aggiramento delle misure da parte di terroristi abili e decisi, i controlli limitano le possibilità d'azione anche ai gruppi più capaci. Misure del genere, per essere efficaci, devono essere applicate in modo generale, onde evitare che servano soltanto a spostare l'interesse dei terroristi da un obiettivo a un altro (per esempio, i pirati dell'aria, come i responsabili del dirottamento di Entebbe, salgono a bordo in scali noti per le carenti misure di sicurezza). Quando gli obiettivi sono numerosi, i sistemi protettivi e gli strumenti devono essere economicamente realizzabili. Sono da preferirsi sistemi d'allarme polivalenti, piuttosto che una proliferazione di singoli sistemi. Per esempio, sarebbe ridicolo installare in ogni aeroporto un sofisticato sistema per rilevare il veleno dei cobra. D'altro canto, uno strumento che fosse in grado di rilevare, con una certa attendibilità, un'ampia gamma di veleni, esplosivi e droghe potrebbe essere utile, se il suo costo non fosse troppo alto.

Molte delle misure di emergenza intese a normalizzare la situazione dopo un evento terroristico non sono sostanzialmente diverse da quelle adottate di solito in occasione di disastri naturali.

Le misure tendenti a prevenire il terrorismo sono particolarmente costose, poiché devono essere applicate in modo generale per risultare efficaci. La maggior parte delle misure per la normalizzazione presentano il vantaggio di servire anche in caso di altri tipi di calamità. Le misure per la ricostruzione disposte in relazione a singoli disastri non costano tanto quanto le misure preventive, poiché sono applicate soltanto dopo il fatto, per ovviare a un particolare problema. Pertanto, tali misure possono essere disposte anche a costi unitari relativamente alti (per installazione), al contrario delle misure preventive.

Il tentativo di allocare le risorse del controterrorismo sulla base di un'analisi dell'utilità marginale pone problemi estremamente complessi, per il gran numero di bersagli potenziali e per la varietà di possibili contromisure, che determinano una quantità di investimenti alternativi. Queste alternative, naturalmente, possono essere raggruppate, ma devono allora essere soppesate in riferimento alle vite e ai beni salvati e alla sovranità dello Stato preservata. In definitiva, si torna a un'analisi basata fondamentalmente sulla sensibilità e su valutazioni professionali.

b) Misure specializzate

Le fasi di controllo e di contenimento contrastano nettamente con le fasi di prevenzione e di normalizzazione. In queste due ultime fasi sono auspicabili misure di carattere generale. Nel controllo e nel contenimento di un attacco terroristico è necessaria, invece, una esatta taratura della risposta rispetto alla natura della minaccia. Se la minaccia, da parte di un terrorista, di usare il veleno del cobra è plausibile, allora diventa indispensabile poter disporre di un antidoto, che non dovrebbe però essere disponibile necessariamente ovunque. Date le ovvie restrizioni logistiche, sarebbe sufficiente una quantità limitata di antidoto, calcolata sulle risorse dei terroristi e sulla loro capacità di usarle. Potrebbe quindi valere la pena di investire nel perfezionamento di una tecnologia altamente specializzata anche se su basi molto limitate (in termini di numero dei congegni prodotti), da usare in casi particolari.

Non possono essere previsti i singoli casi, perciò la principale strategia da adottare è il rapido accesso a un'ampia gamma di esperti e di attrezzature. Ciononostante, possiamo aspirare a una tecnologia più avanzata di quella disponibile nella fase preventiva, con il suo costoso investimento iniziale in grandi quantità di attrezzature ‛ubiquitarie', e possiamo sviluppare strumenti più specializzati per combattere le minacce specifiche giudicate più probabili.

c) Prevenzione

Un modo certamente positivo di affrontare la minaccia terroristica è quello di creare condizioni tali da rendere impossibile ai terroristi attaccare con successo gli obiettivi critici. Questa meta è utopistica, per ragioni di natura politica, economica e sociale. Ciononostante, molto può essere fatto per prevenire alcune forme di terrorismo. Una delle aree ovvie da sviluppare è l'impiego della tecnologia per ‛rendere più difficile l'obiettivo'. Il rischio è, però, quello di aprire la società all'impiego di misure di sicurezza repressive: in tal caso i terroristi avrebbero vinto la loro battaglia. Per quanto sia una questione in un certo senso soggettiva, l'applicazione della tecnologia è particolarmente consigliabile quando impedisca al potenziale terrorista di esercitare la capacità d'influenza che cerca, e ciò senza che si ricorra a politiche restrittive dei diritti civili.

Il ‛rendere più difficile l'obiettivo' ha un valore deterrente, comportando il tentativo di impedire ai terroristi l'accesso non solo ad armi ed esplosivi, ma anche agli obiettivi presi di mira. Il fine è quello di rendere così difficile la potenziale azione terroristica da scoraggiare il dilettante e da rendere troppo alto il costo dell'operazione per il professionista. Perciò, il ‛rendere più difficile l'obiettivo' equivale a creare delle barriere, alcune di natura materiale, altre relative alla gestione degli episodi di terrorismo.

I metodi ‛materiali' mirano a ridurre la capacità dei terroristi di danneggiare una particolare installazione e, nel caso di centrali elettriche o di sistemi di comunicazione, tendono ad aumentare il numero dei punti critici. Qui prendiamo in considerazione due tipi di barriere: a) blocco dell'accesso ai mezzi; b) strumenti e procedure di sicurezza.

I sistemi per individuare gli strumenti e i materiali suscettibili di essere usati dai terroristi e i metodi per impedire l'accesso a potenziali obiettivi migliorano in continuazione. Tuttavia, nessuno dei congegni attualmente disponibili, o previsti per il futuro, ha capacità di rilevazione a largo raggio; nessuna delle barriere esistenti, o prevedibili, è impenetrabile. I sensori sono peraltro utili nella prevenzione del terrorismo poiché rendono difficile al potenziale terrorista il trasporto di armi, esplosivi e sostanze chimiche, biologiche o radioattive.

La massima priorità spetta alla prevenzione dell'azione terroristica. Malgrado gli sforzi di prevenzione, però, i terroristi possono sempre attaccare. Come risposta, quindi, il governo deve tenere tutti i suoi mezzi pronti e sotto controllo; deve limitare il danno e fornire servizi sanitari di emergenza per contenere gli effetti dell'attacco; deve, infine, ricostruire l'obiettivo danneggiato. Queste tre azioni vanno intraprese nell'ordine indicato.

d) Controllo

Quali sono gli elementi costitutivi del ‛controllo'? Essere padroni della situazione, o almeno darne l'impressione, implica che sia stato fatto un considerevole lavoro di preparazione. È ovvio che la ‛fortuna' entra nell'equazione, ma vi entrano anche una preparazione organizzativa ben studiata, l'appianamento di contese di giurisdizione fra autorità locali, statali e federali, e l'uso pianificato della tecnologia. A un livello operativo, il problema di ottenere il controllo è analogo a quello di creare ‛adattamenti d'impedenza' tra i livelli decisionali del governo, le operazioni sul terreno e i terroristi. I sistemi per affrontare una situazione di detenzione di ostaggi, oppure un attacco, meno localizzato, con armi leggere o con missili, comprendono il controllo delle comunicazioni radio-telefoniche, l'isolamento dei focolai delle attività terroristiche, lo sviluppo di informazioni tattiche e la preparazione di un piano iniziale.

Prendiamo in considerazione, prima di tutto, il caso della detenzione di ostaggi. Il controllo delle comunicazioni impedisce che sia i terroristi sia la stampa e il pubblico vengano a conoscenza delle operazioni tattiche del governo (il che vanificherebbe le sue risposte all'attacco). Per esempio, all'epoca dell'episodio degli hanafi, i giornalisti erano in contatto con i terroristi, interrompevano le comunicazioni con la polizia e divulgavano importanti informazioni circa le operazioni del governo. Inizialmente, si possono usare anche le linee telefoniche normali, ma poi è necessario installare linee dirette tra la scena dell'attacco e un centro operativo appositamente costituito. Ovviamente, le comunicazioni relative all'attacco non dovrebbero essere trasmesse sulle normali frequenze radio della polizia. Saranno quindi di vitale importanza linee di emergenza protette da interferenze, e stazioni radio militari e di polizia.

L'area dell'attacco può essere isolata in vari modi; la sua estensione viene determinata al momento dell'attacco. Come misura standard, le strade e gli edifici adiacenti vengono normalmente evacuati, e viene messo in atto un accerchiamento di polizia, onde isolare i terroristi nel luogo in cui sono barricati. Una volta prese queste precauzioni, divengono preminenti il comando e le comunicazioni.

Le richieste iniziali dei terroristi possono essere state comunicate per telefono alla polizia o possono essere state trasmesse con altri mezzi (per esempio, una stazione radio). All'inizio, i negoziatori si faranno riconoscere dai terroristi dichiarando le loro qualifiche, tenteranno di stabilire chi essi siano e chi rappresentino, di conoscere l'identità e le condizioni di ciascun ostaggio e di indurre i terroristi a formulare per intero le loro richieste. Lo scopo di tali colloqui è quello di ottenere informazioni preliminari, che consentano alle autorità di consultare gli schedari sui terroristi conosciuti e di progettare una strategia iniziale impostata sulle tecniche desunte dalle scienze del comportamento e già usate con successo in casi del genere da altre polizie.

A questo punto sarà possibile mettere assieme una prima valutazione dei dati disponibili sia sulla situazione concreta sia sul comportamento dei terroristi. Rimangono tuttavia alcune questioni che richiedono una rapida decisione: bisogna decidere se agire subito o attendere e, se si opta per l'attesa, quali tattiche usare per guadagnar tempo, per ottenere ulteriori informazioni e stabilire un sistema di scambio con i terroristi (per esempio, un ostaggio o qualche altra concessione in cambio di cibo). Le prime tre o quattro ore sono cruciali: se nessuno degli ostaggi viene ucciso in questo periodo, vi sono buone speranze di risolvere la situazione senza vittime.

Il secondo e più generale problema è quello di un eventuale ‛attacco a fuoco'. I governi hanno dovuto affrontare casi di assassinî, esplosioni, sabotaggi e uso di missili terra-aria contro aerei di linea. Riuscire a controllare, e quindi a fronteggiare, attacchi del genere è più difficile che trattare un caso di detenzione di ostaggi. La ragione è semplicemente che, in quest'ultimo caso, la situazione è ben circoscritta: sappiamo dove sono sia i terroristi che gli ostaggi. Quando invece viene minacciato un attacco a fuoco, la posizione dei terroristi è ignota, ed è anche incerta la possibilità di identificare il loro obiettivo.

Condizione preliminare è l'organizzazione di un centro operativo. Elementi di base sono anche il controllo delle comunicazioni e un metodo di raccolta e di analisi delle informazioni. Le tecnologie pertinenti sono le stesse discusse nella situazione di detenzione di ostaggi, ma l'uso delle forze militari e di polizia può essere molto diverso. Ciò dipende dal fatto che può esservi un gran numero di obiettivi potenziali. In caso di minaccia di uso di armi automatiche, dovranno essere messi in allarme i servizi di sicurezza pubblici e privati, ma il numero di magnetometri, di apparecchi a raggi X, di rilevatori di esplosivi necessari per una efficace protezione può eccedere la disponibilità. Qualora infine si sospettasse il possibile impiego di razzi SA-7, si dovrebbe ricorrere all'esercito.

e) Contenimento

Per definizione il contenimento implica misure tempestive per disinnescare l'azione terroristica dai suoi - potenzialmente costosi - effetti socioeconomici. Ovviamente lo scopo è quello di limitare i danni sia materiali che politici.

Non è possibile impedire attacchi con armi leggere. Al massimo si può restringere la gamma dei possibili obiettivi, migliorando le misure di sicurezza. Tali misure, essendo preventive, possono fornire argomenti alla propaganda dei terroristi, i quali possono inoltre attendere fino a che il costo e gli inconvenienti delle misure di sicurezza diventino eccessivamente gravosi per il governo. Le tattiche più valide, quindi, sono quelle che cercano di sconfiggere il terrorista sul piano psicologico e di coinvolgerlo in un flusso di comunicazioni che possa indurlo alla resa o a commettere errori tali da favorire la sua cattura. L'FBI è all'avanguardia nell'elaborazione e nell'uso di questi metodi. Se una minaccia terroristica diviene di pubblico dominio, il governo deve fare ogni sforzo per convincere la gente che la situazione è sotto controllo. D'altra parte, come si accettano i rischi di incidenti o malattie, allo stesso modo vanno accettati i pericoli del terrorismo.

Come per la fase del controllo, il problema della detenzione di ostaggi è sufficientemente chiaro per essere trattato con le più ovvie misure di contenimento. Subito dopo la prima mossa mirante a ottenere il controllo della situazione - e dando per scontato che le probabilità di salvare gli ostaggi possono aumentare col tempo e con un'appropriata preparazione - se ne possono compiere delle altre studiate in modo da rafforzare la posizione del governo rispetto a quella dei terroristi, nel senso di isolarli ulteriormente e di diminuire la loro capacità d'influenza.

Il guadagnar tempo è un elemento di per se stesso positivo. Per esempio, col tempo aumenta la stanchezza e possono aumentare le opportunità di raccogliere informazioni importanti e di preparare piani di liberazione. Nella tattica dilatoria il successo dipende dalla capacità di riuscire a convincere i terroristi che il governo si sta muovendo con la massima celerità nel prendere in considerazione le loro richieste, ma problemi politici e tecnici impediscono i progressi. Le condizioni essenziali sono la credibilità e la gestione del flusso di informazioni fornite ai terroristi.

Altre informazioni si possono ottenere cercando di convincere i terroristi a rilasciare uno o più ostaggi i quali, perché anziani o in cattive condizioni fisiche, necessitino di cure mediche. Queste persone potranno costituire preziose fonti d'informazione. Altre buone fonti possono essere gli strumenti elettronici e gli apparecchi a infrarossi per la visione notturna. Informazioni relative alla pianta e ai servizi dell'edificio in cui sono rinchiusi gli ostaggi possono essere ottenute da persone che conoscano il posto, oppure esaminando i progetti degli architetti o ispezionando edifici simili nei dintorni. Notizie di vitale importanza relative ai precedenti, alle motivazioni e alle abitudini dei terroristi possono essere ricavate dagli schedari dei servizi segreti e utilizzate quindi per elaborare un piano di liberazione.

Se i terroristi cominciano a uccidere gli ostaggi, può essere effettuato un rapido assalto con le forze disponibili della polizia o dell'esercito. Nel caso, più verosimile, che ci sia il tempo necessario, si possono chiamare e istruire per un tentativo di liberazione con la forza squadre d'assalto (della polizia e dell'esercito) specialmente selezionate e altamente addestrate.

Esistono poi mezzi per controllare il grado d'isolamento del teatro dell'azione: oltre a predisporre un cordone di sicurezza, si possono anche interrompere le linee telefoniche, l'elettricità, il gas e l'acqua. Dispositivi locali di disturbo possono essere usati per neutralizzare le radio portatili, dando con ciò al governo il monopolio delle informazioni fornite ai terroristi.

Per ottenere una conclusione positiva della vicenda può essere necessario ingannare i terroristi e, inizialmente, rifiutare notizie alla stampa, tutte scelte che comportano, in un secondo tempo, dei costi per il governo.

Gli sforzi di contenimento possono continuare per stringere il cerchio, con un assedio che può durare da molte ore a molti giorni, o persino settimane (per esempio, i due attentati avvenuti in Olanda nel maggio 1977 - il sequestro di un treno e l'assalto a una scuola - durarono molto a lungo). La soluzione auspicata è la resa dei terroristi come effetto dell'isolamento, della perdita d'iniziativa e del conseguente senso di impotenza. Se la resa non sopravviene né si annuncia probabile, a un certo punto bisogna tentare di liberare gli ostaggi e chiudere il caso.

f) Normalizzazione

La normalizzazione implica iniziative per porre fine all'attacco terroristico, ristabilire i servizi e tornare alla situazione precedente l'attacco. Tutta l'operazione può risultare impossibile: è comunque importante tentare.

Se un jumbo jet venisse abbattutto da razzi SA-7, i problemi immediati sarebbero gli stessi di un qualunque incidente aereo. Sarebbe essenziale la disponibilità di servizi medici di emergenza. Ovviamente, sarebbe auspicabile avere a disposizione anche dei professionisti esperti: da traumatologi e ortopedici a personale paramedico ben addestrato. A meno che gli attacchi terroristici non diventino comunissimi, nessuna nazione svilupperà un efficiente sistema sanitario solo per usarlo in casi di terrorismo. Inoltre, le conseguenze di azioni terroristiche possono comprendere anche incidenti di massa. Lesioni meccaniche come lo pneumotorace chiuso causato da spostamento d'aria o le ustioni sono comuni non solo nel caso di esplosioni provocate da terroristi, ma anche negli incidenti industriali e nei disastri naturali. Se le conseguenze del terrorismo venissero incluse nella lista delle calamità gravi e più comuni, sarebbe facilmente giustificabile un sistema efficiente di assistenza sanitaria di emergenza. Le apparecchiature necessarie sono una comune camera di rianimazione, un equipaggiamento portatile di ventilazione, strumenti chirurgici, elicotteri, organizzazioni logistiche sperimentate e un centro specializzato che sappia smistare i pazienti agli ospedali più adatti.

5. Scelte politiche e tattiche antiterroristiche

Sebbene il rifiuto a trattare sia temporaneamente la reazione più comoda, le prime difese possono fallire: il governo può non riuscire a ottenere in anticipo informazioni su un atto terroristico incombente, o l'obiettivo può non essere stato abbastanza protetto. Se si trattasse di un ennesimo dirottamento aereo, la cosa non sarebbe piacevole per il governo, ma il mondo si è ormai abituato a simili eventi. Ma nel caso che un DC-10 venisse abbattuto da un missile terra-aria, o nel caso che i terroristi creassero una loro speciale ‛febbre di Filadelfia', il governo si troverebbe sotto una pressione fortissima. È cosa ovvia che i mezzi per affrontare un evento terroristico devono essere preparati per tempo; il governo dovrebbe organizzarsi per trattare con efficacia tali crisi, e ai livelli sia decisionali sia operativi si dovrebbero ‛simulare' azioni terroristiche, al fine di acquistare una certa esperienza nel trattarle.

In tempo di crisi un governo deve non solo aspettarsi di dover affrontare problemi di linee di condotta verso gli atti terroristici, ma anche prevedere attacchi alla sua sovranità. Le scelte fondamentali sono riassumibili nella domanda: in quale grado e in quali modi un governo prenderà in considerazione l'idea di venire incontro alle richieste dei terroristi?

a) Trattative con i terroristi

A prima vista, la linea di condotta di un governo dovrebbe essere quella di negare qualunque concessione ai terroristi. Questa posizione, in effetti, può essere appropriata quando sia in pericolo solo la vita di pochi individui. La scelta di non accettare una vera trattativa con i terroristi deve invece essere rivista nel caso sia minacciata una distruzione massiccia di vite e di beni. Se la distruzione di una grande città dovesse essere considerata un pericolo reale, il governo avrebbe poca scelta, salvo quella di fare concessioni rilevanti, che possono potenzialmente minare la sua autorità.

Nel caso di terrorismo ‛intermedio' (abbattimento di aerei di linea, sabotaggio di impianti di energia o di comunicazioni e altre azioni disgregatrici a livello nazionale), non si tratta di un tipo di minaccia che possa paralizzare la nazione in modo permanente o minare irreparabilmente le fondamenta di una società moderna; d'altra parte, non si tratta nemmeno di un tipo di minaccia che possa essere accantonata come tale da non richiedere sostanziali trattative. I governi dovranno quindi cercare di mantenere un difficile equilibrio tra la disponibilità a fare concessioni significative e la tendenza a non trattare affatto.

Per quanto abbia spesso basi nichilistiche, la violenza terroristica è attuata da gente che ha scopi politici e finanziari che sono, per essa almeno, razionali. I governi si trovano quindi di fronte alla necessità di risolvere un problema fondamentale: che comprendano o non comprendano i particolari fini di un dato gruppo terroristico, quale tipo di concessioni saranno disposti a fare nel caso si verifichi una minaccia di attacco terroristico ‛intermedio'?

Prima di cercare di delineare una difesa, è importante identificare tutte le eventualità più temibili. Il danno fisico immediato è meno pericoloso dell'impatto che l'azione può avere sulla struttura socioeconomica. I pericoli maggiori nascono dagli effetti secondari persistenti. Per esempio, se un gruppo terroristico riuscisse a distruggere un jumbo nel momento del decollo, gli effetti - sul piano istituzionale e su quello psicologico - sarebbero di gran lunga più significativi della distruzione in se stessa. In alcuni casi, come attacchi a centrali elettriche o a reti di comunicazione, gli effetti secondari sulla società potrebbero avvicinarsi a quelli di una distruzione di massa.

Alla luce di questo pericolo potenziale, lo scopo preminente di un governo deve essere quello di ‛disinnescare' gli effetti secondari. Se tanto i terroristi potenziali quanto i loro interlocutori si convincono che gli atti di violenza ‛intermedi' non hanno necessariamente ripercussioni sociali di vasta portata, i governi saranno in una migliore posizione per escludere l'eventualità di concessioni strategiche. Se però il governo si lascia prendere dal panico e reagisce a un atto terroristico in modo sproporzionato, cosa potrà aspettarsi dal pubblico e dai mezzi di comunicazione di massa?

Il genere di ricatto più facile da accettare è quello consistente in una richiesta economica, senza implicazioni politiche o istituzionali. Nella sfera privata la cosa è piuttosto comune. Presumibilmente, le richieste economiche raggiungerebbero livelli molto alti se fossero dirette contro un governo; d'altra parte, non costituirebbero probabilmente un grave colpo per la sovranità nazionale. In un caso simile il governo può cercare di prolungare le trattative, al fine di localizzare i ricattatori. Se non fosse possibile ritardare la risposta a causa dei ristretti limiti di tempo imposti dai terroristi, può essere preferibile pagare almeno una parte della somma richiesta, piuttosto che mettere alla prova la loro intenzione di porre in atto la minaccia formulata.

Le minacce che richiedono un cambiamento nella linea di condotta del governo rappresentano un problema diverso. Esse appartengono a un tipo affatto peculiare, poiché non sono dirette contro un individuo o un gruppo, ma contro un organo ufficiale dello Stato, fornito di poteri decisionali. Il cedere a una minaccia del genere potrebbe minare la credibilità del governo sia all'interno che all'estero. Tuttavia, persino nel contesto del ricatto politico c'è un'ampia gamma di possibili richieste e una gamma egualmente ampia di possibili risposte.

Per esempio, un gruppo terroristico può presentare al governo un elenco di cambiamenti progressivi, cambiamenti la cui attuazione può plausibilmente estendersi per un periodo abbastanza lungo e può rientrare nel quadro della politica governativa. In un caso del genere, può essere possibile trattare senza minare apertamente la sovranità nazionale. A lunga scadenza, man mano che si ottengono informazioni sui loro progetti, può crearsi la possibilità di contrastare i disegni dei ricattatori; a breve termine, il governo può invece tentare la strada della trattativa, o può trovarsi costretto a cedere, in tutto o in parte, alle richieste dei terroristi.

Il governo dovrà affrontare un problema di gran lunga più grave se i terroristi proclamano la loro minaccia pubblicamente o se i mezzi di comunicazione di massa ne vengono in qualche modo a conoscenza. (La difficoltà di mantenere il segreto circa la minaccia può essere aggravata nel caso che un gruppo terroristico chieda mutamenti politici immediati e radicali, tali da non poter essere plausibilmente attuati nel contesto normale dei programmi del governo). Qualora diventasse di pubblico dominio che un piccolo gruppo può forzare un governo legittimo a cambiare la sua politica interna o internazionale, è probabile che si verificherebbe un significativo effetto ‛a valanga'. Altri gruppi di fanatici potrebbero rapidamente convincersi di poter entrare anch'essi nell'arena del potere politico ricorrendo a minacce estreme. Se la minaccia diviene pubblica, o anche solo se vengono diffuse voci sulla stampa, ne può derivare un panico diffuso. Non avendo mai affrontato un problema del genere, e non avendo quindi esperienza in proposito, possiamo solo fare ipotesi circa gli effetti sulle autorità responsabili di un'opinione pubblica sconvolta durante la crisi. È probabile, comunque, che le pressioni perché si accettino (o non si accettino) in tutto o in parte le richieste dei terroristi sarebbero enormi, limitando ulteriormente le opzioni del governo.

Sarebbe quindi preferibile mantenere il segreto durante le trattative; d'altra parte alcuni gruppi terroristici possono ritenere vantaggioso rendere pubbliche le loro minacce. La pubblicità li renderà più noti e può anche sortire l'effetto che la popolazione, colta dal panico, eserciti una pressione sulle autorità affinché accettino le richieste. Questo problema può complicarsi ulteriormente se i terroristi impongono alla trattativa ristretti limiti di tempo. In una simile situazione, se le autorità non riescono a persuadere i terroristi a ridurre le loro richieste, o a convincerli che la violenza non favorirebbe la loro causa, il governo si troverebbe costretto alla scelta finale: o accettare, in tutto o in parte, le richieste dei terroristi, o mettere alla prova le loro intenzioni di attuare la minaccia.

Quando il governo deve trattare con un gruppo terroristico alla ricerca di un riconoscimento nel sistema internazionale (come l'OLP), le probabilità di sfruttare questa aspirazione dei terroristi (fornendo risorse che essi sarebbero costretti a proteggere durante i negoziati) e di mantenere il segreto sono ragionevolmente alte. Poiché il gruppo aspira a inserirsi nel sistema, non guadagnerebbe nulla rendendo impossibile, alle nazioni già nel sistema, accedere alle sue richieste. Questi gruppi desiderano infatti essere integrati.

Al contrario, gruppi nichilistici possono ritenere che il terrore sia nel loro interesse. Poiché disprezzano l'ordine costituito e non desiderano farne parte, il governo può non riuscire a persuaderli a mantenere il segreto. La loro stessa tattica può precludere una simile possibilità. Consideriamo il caso di terroristi che abbiano occupato un deposito di armi nucleari e siano stati circondati da forze militari. Una evenienza del genere non potrebbe essere mantenuta segreta; le autorità dovrebbero affrontare la minaccia pubblicamente. Il danno politico maggiore si sarebbe già verificato con l'occupazione stessa del deposito. In un caso simile le autorità possono rifiutarsi di trattare, ritenendo preferibile organizzare un attacco su larga scala contro i terroristi. La maggiore concessione che si può fare ai terroristi, in questo caso, è garantire loro la fuga.

Nei casi sopra menzionati le possibilità di trattare possono aumentare notevolmente se le richieste rimangono segrete e se il gruppo terrorista desidera un riconoscimento. Molte volte ciò è chiaramente impossibile. Ciononostante, poiché la segretezza e il riconoscimento possono rappresentare la migliore possibilità, per il governo preso di mira, di limitare il danno, essi dovrebbero essere considerati come materia di trattativa, qualora l'uso della forza non avesse probabilità di successo.

b) La tattica

Le prime linee di difesa possono fallire, cioè può non essere possibile ottenere in anticipo sufficienti informazioni per impedire un attacco terroristico, e, d'altra parte, qualunque sistema di sicurezza può essere sventato. Si arriva dunque all'ultima linea di difesa: una tattica efficace verso l'azione terroristica. L'unico fattore che può consentire al governo di salvare la faccia, e quindi impedire una perdita completa della fiducia dell'opinione pubblica, è la percezione, da parte dell'opinione pubblica, che tutto il possibile sia stato fatto. La ‛verità' in questo caso può essere irrilevante.

Come reagirà dunque un governo a un ricatto o a un'aggressione? Le iniziative possibili sono diverse. Per casi di presa di ostaggi di minor gravità sono state sviluppate tecniche comportamentali che sembrano funzionare bene. Un evento di maggiore gravità, quale fu l'esplosione di bombe all'aeroporto La Guardia, può rapidamente determinare il coinvolgimento del capo dello Stato. Nel caso dei dirottatori croati, la politica statunitense del rifiuto di concessioni venne attenuata. In seguito all'insistenza dei dirottatori, si pubblicò il loro messaggio di propaganda e furono lanciati su Londra dei manifestini. Nel caso degli hanafi è difficile dire chi sia stato determinante: se la polizia, gli psichiatri o gli ambasciatori musulmani. In un modo o nell'altro, comunque, con iniziative improvvisate o con il ricorso a raffinate tecniche comportamentali, si riuscì a evitare il massacr0. Durante gli ultimi anni, negli Stati Uniti si sono verificati numerosi ricatti con armi nucleari, tutti affrontati in modo competente dall'FBI e dal Dipartimento dell'Energia. Per fortuna, comunque, le minacce provenivano da dilettanti.

Molti sono gli obiettivi dei terroristi, e ancora maggiore è la varietà dei potenziali atti terroristici. Limiteremo la nostra discussione alle situazioni nelle quali sia possibile e produttiva una conduzione tempestiva della crisi. Le tecniche di conduzione della crisi possono essere efficaci quando le prime fasi dell'azione terroristica non abbiano già reso vana un'iniziativa delle autorità per limitare il danno. Queste tecniche possono essere applicate utilmente nei casi di detenzione di ostaggi, di dirottamenti di aerei, treni o navi per ragioni politiche, di attentati all'economia o alle istituzioni (per es. l'occupazione di centrali nucleari o il sabotaggio di centrali elettriche), nel caso di minacce di distruzioni di massa, comprese quelle con armi nucleari, chimiche e biologiche. In questi casi i terroristi non hanno ancora impegnato tutto il loro potenziale distruttivo, e perciò il governo ha numerose possibilità, incluse le trattative e le iniziative per la limitazione dei danni nel caso che le trattative stesse falliscano.

La semplice capacità di fronteggiare l'azione terroristica o di limitare e riparare i danni ha poco valore se non può essere esercitata in forma programmata. La maggior parte delle grandi nazioni possiede un'enorme capacità potenziale. Il problema è quello di mobilitarla nel momento dell'attacco terroristico e, inoltre, di farlo in conformità con i vincoli giuridici, etici e politici di una data società.

La volontà di mettere in atto una minaccia, la valutazione dell'abilità e delle risorse dei terroristi e il calcolo dei costi e benefici (per il governo come per i terroristi) sono strettamente collegati. La flessibilità del governo è condizionata dalle richieste stesse, dalla linea di condotta adottata riguardo alle trattative con i terroristi, dalla forza personale del capo dell'esecutivo e dalla preveggenza mostrata nella pianificazione della conduzione della crisi.

c) Credibilità della minaccia

Se il governo è minacciato da un grave atto di violenza o da un tentativo di eversione su scala nazionale, quali azioni può intraprendere per limitare i pericoli a breve termine? Nessuna ricerca può permettere di rispondere adeguatamente a questa domanda, poiché non c'è previsione che possa evitare a un capo di Stato di dover fare valutazioni ‛a caldo' se viene percepito il rischio di una catastrofe. Anche se non si possono costruire modelli di previsione, il problema può però essere circoscritto. È perlomeno necessario valutare la credibilità della minaccia e individuare le conseguenze di un eventuale fallimento nel fronteggiare la minaccia stessa.

La valutazione della credibilità è una questione complessa, che richiede sagacia, oltre che informazioni sui comportamenti e sulle capacità tecniche dei terroristi. Se terroristi dell'OLP minacciassero di usare gas nervino qualora non venissero esaudite le loro richieste, il problema della credibilità dovrebbe accentrarsi sulla loro decisione di mettere in atto la minaccia, piuttosto che sul tentativo di appurare l'effettiva disponibilità di gas nervino. Al contrario, nel caso di terroristi di minor rango, l'interesse principale (pur non tralasciando l'analisi delle loro motivazioni) dovrebbe concentrarsi sulla determinazione della loro capacità tecnica di mandare a effetto la minaccia.

La valutazione della credibilità, di per se stessa, può non rivelarsi utile; essa deve piuttosto essere collegata a una gamma di iniziative possibili, che il governo può intraprendere in risposta alla minaccia. A sua volta, il costo è misurabile in diversi modi: vi sono costi economici e costi politici; c'è il rischio di perdere vite umane per il panico creato da un'azione governativa e quello di perdite in fatto di diritti civili; c'è il rischio di controversie giurisdizionali con le autorità locali e, infine, come caso estremo il rischio di distruzione dello Stato, sia a causa di una valutazione sbagliata dell'avversario sia per l'opera inadeguata del governo stesso.

Non è difficile immaginare un'iniziativa semplicissima ma in grado di creare panico: per esempio, l'uso di uno speciale equipaggiamento per rintracciare una bomba nucleare nascosta. Se l'equipaggiamento è troppo ‛visibile', il tentativo di localizzare l'‛arma' può seminare il panico, specialmente se la ricerca è effettuata in una grande città.

d) Organizzazione del governo

Di solito, i poteri preposti ad affrontare i vari aspetti di un evento terroristico sono suddivisi tra svariati organi e autorità. Ora, tale suddivisione, se è idonea al disbrigo delle questioni di ogni giorno, può costituire un grave intralcio in caso di crisi. Per mantenere la fiducia del pubblico circa la capacità del governo di reagire con efficienza, è importante evitare il ricorso a misure di emergenza inutilmente allarmanti e gestire, finché è possibile, la crisi attraverso i normali canali. D'altro canto, a un certo livello di preoccupazione dell'opinione pubblica, il limitarsi ai ‛canali normali' può apparire segno di ottusità o di stupidità; in questi casi un coinvolgimento aperto del capo dello Stato rassicurerà il pubblico che si sta facendo tutto il possibile. È questa una strada assai stretta, piena di rischi per il capo dello Stato di essere improvvisamente trascinato nel vortice di una situazione imprevedibile.

Il nostro parere è che le misure organizzative basilari per affrontare le azioni terroristiche debbano seguire i binari - giuridici e diplomatici - tradizionali, mentre a un ristretto gruppo di massimi dirigenti, che godono la fiducia del capo del governo, dovrebbero essere affidate sia la responsabilità di tenere sotto controllo le crisi improvvise sia l'autorità di coordinare e accelerare, in caso di necessità, le iniziative governative. Con una struttura del genere sarebbe possibile una partecipazione informale, nella misura desiderata e con il grado di ‛visibilità' pubblica appropriato alle circostanze, del capo del governo alla gestione di una crisi veramente grave.

Un attacco terroristico frontale può porre notevoli problemi agli organi statali addetti ai soccorsi in caso di calamità, come anche alla polizia e alla magistratura. Un attacco grave potrebbe giustificare il tipo di coordinamento ad alto livello sopra descritto. Una minaccia di eversione su scala nazionale, tuttavia, presenta un insieme di problemi molto più complessi. Come abbiamo già detto, il primo di tali problemi è la credibilità della minaccia stessa, che è materia estremamente delicata, specialmente nel caso di minacce chimiche, biologiche e nucleari. Allarmarsi troppo facilmente può indurre il governo a prendere decisioni affrettate e insensate, che possono di per sé costituire un successo per i terroristi, anche senza necessità di ulteriori azioni da parte loro. D'altra parte una calma eccessiva, tale da far ignorare una minaccia reale, può portare alla tragedia. Come abbiamo sottolineato, il rapido accesso a una consulenza scientifica specializzata è cruciale per una valutazione attendibile della credibilità di minacce insolite, mentre la consulenza di esperti di scienze del comportamento può essere di aiuto nel determinare la credibilità di tipi specifici di minacce. Il gruppo di controllo ad alto livello - quale noi lo prevediamo - dovrebbe servire a proteggere il governo da una reazione eccessiva di fronte a minacce irrilevanti o non esattamente valutate, ma anche a facilitare la reazione a una minaccia ritenuta reale.

Lo stesso principio organizzativo potrebbe essere alla base di un servizio di protezione civile. La preparazione alla gestione di un atto terroristico disgregativo su scala nazionale dovrebbe in realtà rientrare nel più vasto programma della protezione civile, un programma che spesso esiste solo sulla carta.

e) Pianificazione degli interventi

Nell'organizzazione della lotta al terrorismo, i primi passi sono quelli della pianificazione e dell'assegnazione delle responsabilità. Entro il gruppo di controllo, la cui costituzione ci sembra necessaria, si dovrà procedere a una chiara distribuzione delle responsabilità e all'elaborazione di piani. Per assicurarsi un funzionamento senza intoppi nel momento della crisi è necessario mettere alla prova l'organizzazione, in modo che si sviluppi una routine. Non ci si può aspettare che i consiglieri ad alto livello previsti partecipino spesso a tali esercitazioni, ma potrebbero farlo dei loro assistenti. Bisognerebbe, inoltre, costituire una piccola squadra, con funzioni di collegamento, di persone provenienti dai vari apparati suscettibili di essere coinvolti in una crisi dovuta ad attacchi terroristici. Questa squadra dovrà esercitarsi a sviluppare una routine collaudata, ivi inclusa la collaborazione con gli altri livelli governativi, con i responsabili locali e con altri enti interessati a risolvere le difficoltà poste dallo studio degli svariati ‛scenari' terroristici. L'accento dovrebbe battere sui modi per reperire le risorse necessarie e giungere alle decisioni opportune in una situazione di crisi. L'obiettivo non sarà quello di prepararsi per una crisi specifica, ma quello di sviluppare un modus operandi, acquisire una conoscenza delle risorse disponibili, stabilire come accedere a tali risorse e chiarire i problemi logistici relativi. Durante queste esercitazioni sarà possibile sperimentare l'uso di svariate reti d'informazione, fare ricerche assistite da calcolatori e ricorrere a inventari automatizzati dei fattori rilevanti per le decisioni; bisognerebbe, inoltre, accertare meglio l'utilità relativa dei vari tipi di banche di dati sui gruppi e gli atti terroristici. Il piano di queste esercitazioni deve essere preparato con anticipo e con molta cura, con ‛esercizi sulla carta' condotti da tutto il gruppo. Le esercitazioni dovrebbero servire come efficaci modelli della realtà, senza divenire tanto complicate da confondere anziché insegnare.

Sebbene l'assistenza dei calcolatori nel prendere le decisioni possa essere di notevole valore, non può però rimpiazzare un abile gruppo che gestisca la crisi. D'altro canto, se si devono affrontare problemi logistici molto complessi (come la fornitura di servizi di emergenza, compresa l'assistenza sanitaria), oppure se si è colpiti da interruzioni gravi di servizi essenziali (come la mancanza di energia elettrica), l'assistenza di calcolatori sofisticati e sistemi automatizzati di gestione sono indispensabili. Tali sistemi dovrebbero essere progettati con intelligenza, sia per venire incontro ai reali bisogni della conduzione di una crisi, sia per evitare una loro proliferazione incontrollata.

I giochi di simulazione sono un'estensione del metodo di ricerca basato su casi specifici. Per quanto riguarda la detenzione di pochi ostaggi, è disponibile già una notevole quantità di dati e sono in via di elaborazione tecniche per la trattazione di questi casi. Esistono numerosi e validi programmi di addestramento, che affrontano gli aspetti comportamentali e tattici delle situazioni di detenzione di ostaggi. (In questo campo, i primi innovatori sono stati l'Accademia nazionale dell'FBI e il Dipartimento di polizia di New York). Quando, però, mancano dati, i ‛casi' devono essere simulati. Ovviamente, la simulazione non rimpiazza l'esperienza dal vivo; d'altra parte, sarebbe difficile trovare una persona sana di mente desiderosa di sperimentare direttamente i problemi posti da un atto terroristico di distruzione di massa. I giochi di simulazione si dimostrano quindi indispensabili per l'addestramento e la programmazione e possono rivelarsi preziosi anche nel decorso di una situazione reale.

Sono essenziali modelli euristici semplici e visualizzatori in linea, che pongano le domande giuste e forniscano una lista di cose da fare e da non fare; dev'essere fornito immediatamente anche un elenco di esperti specificamente competenti. Questi, e altri, sussidi informativi sono strumenti fondamentali per il gruppo che gestisce la crisi; hanno infatti già dimostrato la loro utilità anche in situazioni di crisi non provocate da terroristi, sia negli Stati Uniti che altrove.

Occorrono sforzi notevoli per costruire i modelli, le banche di dati e i sistemi automatizzati necessari per una conduzione efficace della crisi. Il cammino rimane in gran parte inesplorato.

I mezzi di comunicazione sono tra i protagonisti dello scenario di un dramma del terrorismo. Possono svolgere una funzione positiva, limitando le ripercussioni sociali di un attacco, oppure possono fomentare il terrore. La funzione informativa dei mezzi di comunicazione non può essere eliminata, nè ciò è desiderabile in società libere. D'altra parte, se i mezzi di comunicazione non danno informazioni circa gli eventi terroristici, può accadere che i terroristi, al fine di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica, estendano ulteriormente la loro attività o decidano di aumentare il livello di violenza.

A che cosa mirano in ultima analisi i giochi di simulazione? Il gruppo che gestisce la crisi deve coordinare le operazioni governative, sollevando il capo del governo e i dirigenti di grado più elevato dai problemi operativi spiccioli. Nel caso di un evento terroristico di grosse proporzioni si deve assolutamente evitare la confusione. Pertanto, le risposte del governo all'emergenza dovrebbero verificarsi il più possibile entro un contesto pianificato in precedenza. I prodotti finali dei giochi di simulazione sono gruppi di opzioni, che si riferiscono ai tipi più ovvi di scenari e presuppongono in chi gestisce la crisi la completa conoscenza dell'efficienza degli apparati statali nel reagire alla crisi stessa e la capacità di trasformare rapidamente i vari enti (che svolgono le loro normali funzioni) in organismi pronti a rispondere all'emergenza. Una volta acquisite, tali capacità devono essere mantenute in esercizio e le informazioni verificate, altrimenti l'investimento nei giochi di simulazione invecchierebbe rapidamente.

f) Limitazione dei danni

Nel caso che la strategia di trattative messa in atto dal governo non abbia completo successo, devono essere prese misure per limitare i potenziali danni materiali, istituzionali e psicologici derivanti dall'atto terroristico.

Le devastazioni causate dai terroristi sono notevolmente simili agli effetti delle calamità e dei disastri naturali. Si sono verificati incidenti industriali che hanno diffuso sostanze chimiche mortali in un modo che avrebbe fatto invidia ai terroristi. (Nel 1976 la fuga - da uno stabilimento industriale - di una nube di diossina, TCDD, devastò la cittadina italiana di Seveso). I terremoti possono causare danni superiori a quelli di qualunque bomba, persino termonucleare, che i terroristi possano minacciare di far esplodere. I terroristi possono però aumentare la frequenza di tali catastrofi, il che rende quindi più urgente la preparazione preventiva; inoltre, essi hanno, diversamente dalla natura e dal caso, la possibilità di reiterare le minacce di catastrofi.

Le risorse preparate per limitare gli effetti di disastri causati dai terroristi possono essere usate anche per fronteggiare incidenti industriali, inondazioni, terremoti e uragani. Se vengono approntati mezzi logistici di assistenza sanitaria di emergenza nel caso di un attacco terroristico su larga scala, ciò significa avere possibilità assai migliori di alleviare le sofferenze umane nel caso di incidenti industriali o di calamità naturali. Pertanto, i preparativi per fronteggiare eventuali danni prodotti da terroristi non devono rimanere necessariamente isolati; possono essere inclusi nei programmi generali della protezione civile.

Durante una crisi dovuta al terrorismo, una delle principali responsabilità del governo è quella di far sì che l'opinione pubblica conservi la fiducia nella sua capacità di affrontare tutte le situazioni. Finché un governo - ad onta di qualunque eventuale concessione o danno materiale - riesce a convincere i cittadini di essere in grado di governare, i terroristi falliranno uno dei loro principali obiettivi e l'autorità del governo rimarrà intatta.

Al fine di limitare i danni, il governo dovrebbe ricorrere a tutte le sue risorse per adempiere le funzioni di controllo, contenimento e ricostruzione. Sfortunatamente, le iniziative per limitare i danni non sono sempre facili da mandare a effetto, ma, poiché la fiducia del pubblico nel governo riveste somma importanza, le apparenze possono essere spesso più importanti della realtà.

6. Considerazioni di ordine internazionale

Il terrorismo contemporaneo rivendica un campo di battaglia senza confini. Il carattere transnazionale di tanti eventi terroristici riflette un fondamentale elemento del problema, il fatto, cioè, che finora l'esistenza dei confini nazionali ha offerto ai terroristi sia possibilità di fuga sia rifugi sicuri.

I terroristi sono riusciti perfino a portare alcune nazioni sull'orlo della guerra, creando situazioni di conflitto di sovranità fra due Stati. Nell'incidente di Entebbe il paese ospite, l'Uganda, decise di accogliere, appoggiare e difendere i terroristi dirottatori dell'aereo dell'Air France. Israele si senti obbligato ad agire e lo fece con successo, pur violando la sovranità dell'Uganda e con un'azione che avrebbe potuto essere interpretata come un'azione di guerra. Nell'incidente di Mogadiscio il paese ospite, la Somalia, non sapeva come trattare un evento terroristico, che comunque non desiderava assolutamente appoggiare. Temendo di venire coinvolti, i dirigenti somali decisero di restituire ai terroristi il pilota tedesco che era riuscito a fuggire. Senonché il pilota venne giustiziato in modo sommario e la Somalia si trovò coinvolta nella sua morte. Solo l'operazione di salvataggio da parte della Germania Federale impedì la perdita di altre vite. Anche in questo caso ci sarebbe stata una violazione della sovranità nazionale, se l'azione tedesca si fosse scontrata con la resistenza della Somalia. L'invasione israeliana del Libano può ben essere stata una controffensiva diretta contro i terroristi palestinesi; essa sortì però anche l'effetto di destabilizzare il governo libanese, pregiudicando ulteriormente il precario equilibrio del Medio Oriente.

Malgrado i brillanti successi degli Israeliani a Entebbe e dei Tedeschi in Somalia, tali operazioni non sempre funzionano. Esse corrono, inoltre, il rischio di violare gli accordi internazionali relativi al diritto e alla competenza di uno Stato a perseguire le attivita criminali entro i propri confini. Il terrorismo transnazionale opera con la piena consapevolezza del fatto che la comunità internazionale è priva di strumenti atti a combatterlo. Al massimo, può scontrarsi con iniziative accidentali, intraprese in un contesto internazionale confuso e conflittuale. Inoltre, esso sa che uno dei principi più gelosi della sovranità nazionale è il diritto di un paese a concedere asilo a coloro i cui reati, commessi in un altro Stato, siano considerati di natura ‛politica'.

Conseguentemente, ci troviamo di fronte a un paradosso: mentre qualunque pianificazione a lungo termine per combattere il terrorismo transnazionale deve necessariamente, per delineare una risposta transnazionale, travalicare i limiti dello Stato nazionale, allo stesso tempo le operazioni di gestione della crisi cui abbiamo assistito finora rinforzano la supremazia dello Stato nazionale. Il fallimento della comunità internazionale nell'affrontare il terrorismo deve essere visto nel più vasto contesto della sua limitata capacità rispetto a ciò che Stanley Hoffman ha descritto come ‟la gestione globale e regionale della forza in un mondo caratterizzato da una multiforme corsa agli armamenti, nel quale la violenza attraverso i confini è l'ultima risorsa non solo degli Stati, ma anche di gruppi e di individui frustrati; nel quale le armi per la distruzione di massa possono divenire più economiche da produrre e più facili da fornire; nel quale il ricorso alla forza può ancora apparire spesso come un mezzo razionale per il conseguimento di fini politici; nel quale l'aumento degli armamenti può, ancor più spesso, essere un fine in se stesso". In effetti, gli sforzi condotti durante questo secolo per costruire una struttura internazionale di prevenzione e sconfitta del terrorismo transnazionale sono andati di pari passo con gli sforzi internazionali per controllare i conflitti su larga scala, e si sono scontrati in larga misura con gli stessi problemi.

a) Aree potenziali di cooperazione internazionale

Uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione di accordi internazionali sul controterrorismo riguarda l'irrogazione di sanzioni, particolarmente quando sia coinvolta la sovranità. Responsabilità di terzi per danni, accordi per regolare perquisizioni e sequestri, e il problema generale dell'identificazione: sono tutte questioni sulle quali il diritto internazionale corrente ha poco da dire.

Ovviamente, il modo migliore per affrontare il problema delle sanzioni è quello di esaminarle con cautela, una per una. Persino riguardo alle forme più diffuse di terrorismo, come il sequestro di un aereo, le sanzioni sono difficili da definire, e ancor più da imporre. Le possibilità sono limitate. Per esempio, se terroristi armati scendono da un aereo di una linea nazionale, è ovvio che non sono stati controllati nel modo dovuto prima dell'imbarco. Il problema della responsabilità deve quindi essere ripartito tra le autorità aeroportuali e la linea aerea. Le possibili sanzioni più ovvie contro entrambe sono la rinuncia all'uso di quel dato aeroporto o il rifiuto del diritto di atterraggio per gli aerei della linea aerea coinvolta. Entrambe le mosse, tuttavia, hanno un alto costo, perché comportano analoghe sanzioni da parte dei paesi interessati. Ad ogni modo, la preoccupazione internazionale per il terrorismo non ha ancora raggiunto livelli tali da imporre costi di questo tipo. È tuttavia possibile minacciare aeroporti e compagnie di una perdita di traffico turistico. Ciò può essere fatto indirettamente, informando i potenziali viaggiatori che certi aeroporti o compagnie non sono sicuri.

Un approccio diverso potrebbe essere quello di predisporre ispezioni internazionali ad hoc. In molti aeroporti, specialmente in quelli di Roma e Atene, esistono sistemi di controllo tecnicamente attendibili e il personale è stato addestrato a usarli. Ciò che sembra tuttavia carente è la volontà di farne un uso efficiente e rigoroso. Questa situazione potrebbe essere migliorata mediante ispezioni internazionali e il conseguente rischio di una pubblicità negativa.

Per il momento, sembra ragionevole supporre che i programmi di più probabile attuazione siano quelli che evitano le più spinose questioni di sovranità nazionale. Ciò che sembra necessario, all'inizio, è un approccio limitato, studiato per promuovere nei paesi interessati, almeno in certa misura, un atteggiamento comune nei confronti della dimensione internazionale del terronsmo. È necessario riuscire a creare un clima internazionale caratterizzato dalla percezione di una minaccia comune. Solamente in una simile atmosfera si potrà sviluppare una rete di iniziative internazionali formali, dirette a imbrigliare l'attività terroristica. È possibile costruire una cooperazione efficace basandosi sui canali di comunicazione già esistenti, sull'allacciamento di relazioni tra le sezioni politiche delle ambasciate e i ministeri degli Esteri, gli attachés giuridici e i ministri degli Interni, e infine tra i vari servizi segreti. I canali sono questi. Il problema è quello di sviluppare l'interesse per il terrorismo, di promuovere un coordinamento di programmi e ricerche e, infine, di sollecitare una migliore distribuzione delle risorse umane e finanziarie.

Esistono svariate aree, relative a misure dissuasive, suscettibili di essere oggetto di accordi internazionali. Sforzi reciproci che mettano in comune le risorse (personale, informazioni, tecnologia) rappresentano uno sviluppo logico per una comunità internazionale impegnata a combattere il problema globale del terrorismo.

b) Squadre specializzate di soccorso

Il raid di Entebbe è stato un'esibizione controterroristica di primissimo ordine. Forse il suo più grande significato è stato la lampante dimostrazione pubblica che contromisure dirette sono possibili e che i ‛santuari' non sono invulnerabili. L'esperienza di Entebbe suggerisce, per gli Stati che temano attacchi terroristici sul loro territorio o contro loro cittadini e proprietà all'estero, l'opportunità di una comune pianificazione degli interventi e di comuni esercitazioni.

Gli Stati Uniti mantengono correntemente in funzione forze militari speciali, addestrate per il controterrorismo. Al centro del programma vi è una unità dell'esercito - chiamata Delta Team - che riceve un addestramento particolarissimo ed è formata da parecchie centinaia di uomini. Addestrata per azioni preventive, questa unità è in grado di eseguire operazioni di liberazione di ostaggi analoghe a quella di Entebbe. Ci sono anche altre unità militari, che vengono preparate a partecipare a operazioni di controterrorismo, anche se non come compito primario. Esse comprendono due battaglioni di Ranger dell'esercito, disponibili come sostegno di speciali unità del controterrorismo, e diversi reparti della marina: diciannove plotoni (di quattordici uomini ciascuno), una compagnia (180 uomini) delle forze di ricognizione, una unità anfibia (1.800 uomini), un battaglione (1.200 uomini) di Marines. A queste si aggiungono infine unità di soccorso militare aereo e forze operative speciali dell'aeronautica. Tutte queste forze, predisposte per operazioni oltremare, verrebbero chiamate in azione, presumibilmente, solo in caso di gravissime crisi internazionali.

Un gruppo non militare, che potrebbe entrare in azione in occasione di una crisi interna, è il Nuclear Emergency Search Team (NEST) che fa parte del Dipartimento dell'Energia ed è indipendente dall'esercito. Fu il NEST a condurre le ricerche di materiale radioattivo in seguito alla caduta di un missile sovietico nel Canada settentrionale nel 1977.

Gli Stati Uniti non sono attualmente impegnati nell'addestramento di forze di altri paesi. Ciò potrebbe avvenire facilmente attraverso i programmi militari internazionali esistenti. Ulteriore lavoro resta da fare, in collaborazione con taluni paesi, per quanto riguarda un'adeguata pianificazione delle situazioni che potrebbe prevedere l'uso, da parte degli Stati Uniti o di altre nazioni, di aeroporti e di altri servizi di sostegno, come pure la coordinazione durante crisi internazionali. I governi potrebbero anche considerare le esercitazioni dimostrative dei servizi di sostegno oltremare come un potenziale mezzo di dissuasione.

Almeno altre dodici nazioni mantengono speciali unità di commandos, addestrate per operazioni di controterrorismo. Indubbiamente, le due più famose unità di questo genere sono i Saiyeret israeliani e la GSG-9 della Germania Occidentale. I primi hanno portato a termine il raid di Entebbe nel luglio 1976. Prima di questa impresa sensazionale, nel maggio 1972 avevano sventato il dirottamento di un aereo della Sabena all'aeroporto internazionale Ben Gurion, in Israele, travestendosi da meccanici e irrompendo di sorpresa nell'aereo.

La Grenzschutzgruppe-9 (GSG-9, Gruppo di protezione dei confini-9) è universalmente considerata la migliore squadra antiterrorismo esistente. Ha al suo attivo lo strepitoso successo del raid di Mogadiscio (1977). Creata dal governo della Germania Occidentale dopo la strage di Monaco, è composta interamente di volontari, tutti con un quoziente intellettuale superiore alla media e tutti addestrati a padroneggiare svariate tecniche - inclusi il karatè, le immersioni con autorespiratore, il combattimento all'arma bianca - e all'uso di una vasta gamma di armi. La squadra tedesca utilizza l'equipaggiamento più moderno ed è altamente mobile. È divisa in unità di cinque uomini, ognuna dotata di due potentissime Porsche. Queste unità dispongono anche di elicotteri e aerei. Per prepararsi al comando di questa squadra, il suo colonnello si è addestrato per un mese presso il Training Center dell'FBI a Quantico, in Virginia, e per un altro mese presso le scuole dei paracadutisti in Israele.

Gli altri dieci paesi che posseggono reparti speciali per il controterrorismo sono l'Inghilterra, la Francia, la Svizzera, il Belgio, la Danimarca, l'Italia, l'Olanda, la Norvegia, l'Austria e l'Indonesia. Anche Hong Kong possiede una unità del genere.

La squadra inglese, nota come SAS (Special Air Services regiment), è composta da cento uomini, che operano principalmente nell'Irlanda del Nord. La SAS prestò ai Tedeschi due esperti in dirottamenti per il raid di Mogadiscio. Gli Inglesi fornirono anche le speciali granate che stordirono i terroristi, permettendo al commando di catturare l'aeroplano. La SAS ebbe un ruolo notevole anche nel far fallire l'occupazione dell'ambasciata iraniana a Londra nel 1980.

La Francia ha numerosi reparti speciali, addestrati ad agire in casi di dirottamenti aerei, ribellioni nelle carceri, e per la protezione di pubblici ufficiali. Le più note sono le brigate antiterrorismo del Ministero degli Esteri e la Gigene del Ministero della Difesa. Queste squadre sono entrate in azione più di sessanta volte, sia all'interno della Francia che all'estero. Un esempio molto noto è l'operazione del 1976 a Gibuti, allora territorio francese. I commandos salvarono i bambini del personale militare francese, tenuti in ostaggio da quattro terroristi provenienti dalla vicina Somalia.

Gli Olandesi hanno due unità antiterrorismo. Una, proveniente dai corpi della fanteria di marina olandese, è addestrata per il combattimento corpo a corpo. L'altra è formata da tiratori scelti provenienti dall'esercito, dalla marina e dalla polizia militare. Essi provvedono la copertura di fuoco per le operazioni del commando della marina, come negli assalti al treno sequestrato nel giugno 1977 e alla scuola dove terroristi delle Molucche del Sud tennero in ostaggio, per venti giorni, circa cinquanta persone.

Gli Svizzeri stanno preparando una unità di commando che sia in grado di condurre azioni come quelle di Mogadiscio e di Entebbe. Essi, inoltre, hanno circa 2.700 ‛marescialli del cielo', ufficiali specialmente addestrati che accompagnano i voli degli aerei di linea nazionali. Ufficiali del genere volano anche nei voli commerciali delle linee egiziane.

I Belgi hanno una speciale unità di commando denominata Brigata Diana. Il gruppo è formato da volontari selezionati, provenienti dalla polizia. Anche gli Italiani hanno reparti antiterrorismo.

L'esistenza di queste varie squadre mostra il formidabile potenziale disponibile per una cooperazione internazionale in operazioni di controterrorismo. C'è un bisogno evidente di estendere la limitata cooperazione verificatasi finora a programmi di addestramento comune, come pure alla pianificazione di eventuali operazioni controterroristiche multinazionali.

c) Incremento della cooperazione internazionale

Dopo il sequestro e l'uccisione di Moro è stata sviluppata una rete controterroristica, basata sulla cooperazione delle diverse polizie e dei servizi segreti. Durante un convegno segreto nell'aprile 1978 i paesi del Mercato Comune, più l'Austria e la Svizzera, hanno concordato di mettere in comune le risorse per combattere il terrorismo sul continente europeo. Secondo il ministro degli Interni austriaco Erwin Lanc, questa rete si propone di ‟fornire un diretto e rapido scambio di informazioni e una strategia coordinata; stabilire contatti personali tra le varie forze di polizia; armonizzare l'equipaggiamento della polizia e le bande di frequenza radio; mettere in funzione una banca dati europea computerizzata per la segnalazione delle auto rubate, delle targhe, del denaro sporco, dei movimenti attraverso le frontiere; scambiare conoscenze ed esperienze acquisite".

Per quanto riguarda l'arsenale del terrorismo, la maggiore preoccupazione internazionale riguarda probabilmente la possibilità che i terroristi possano un giorno impadronirsi di materiali fissili mediante atti di pirateria ai danni del commercio di tali materiali. A questo scopo sono già state prese alcune misure di carattere internazionale. Gli Stati Uniti e molte altre nazioni nel 1969 hanno sottoscritto il Trattato di non proliferazione. Una Conferenza di fornitori si è riunita a Londra allo scopo di fissare dei criteri di sicurezza. L'International Atomic Energy Agency (IAEA), con sede a Vienna, è un'organizzazione composta da più di 130 nazioni, fondata per regolare la diffusione dei materiali nucleari. L'americana Nuclear Regulatory Commission (NRC) ha fissato condizioni severe riguardo alla sicurezza e al trasporto di materiali fissili. Negli Stati Uniti le regole interne per il controllo di questi materiali sono molto rigide. In altri paesi, invece, malgrado i regolamenti internazionali stabiliti dalla IAEA e dalla Conferenza dei fornitori, non si può essere altrettanto certi della sicurezza per quanto riguarda il plutonio 239 e l'uranio 235. Gli eventuali fornitori di propellenti, impianti e accessori nucleari devono necessariamente riconoscere l'esistenza della minaccia terroristica, e tenerne conto nei loro programmi di esportazione. Gli Stati fornitori potrebbero richiedere, per la sicurezza degli impianti e il trasporto dei materiali, rigorose regole internazionali equivalenti a quelle della NRC.

Un'altra vasta area di possibile cooperazione internazionale è quella del commercio delle armi convenzionali. Le condizioni di vendita degli Stati fornitori dovrebbero comprendere l'uso di procedure controllate, per assicurarsi che le armi non vengano successivamente vendute ai terroristi. In tal modo i potenziali trasgressori dovrebbero affrontare la minaccia di un'interruzione dei rifornimenti futuri, qualora trasferissero le armi a un terzo acquirente, in violazione degli accordi. È ovvio che imporre tali accordi non sarà certo facile, specialmente dato il coinvolgimento di grandi interessi nella vendita di armi. Un'area forse più promettente è quella del controllo degli esplosivi convenzionali attraverso un loro rilevamento totale.

Durante gli ultimi anni l'Ufficio dell'alcool, tabacco e armi da fuoco del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha preso questa iniziativa per quanto riguarda la ‛segnalazione' degli esplosivi. Spiegato semplicemente, i segnalatori rappresentano un mezzo attraverso il quale eventuali esplosivi nascosti attivano un apparecchio di rilevamento. Un programma di rilevamento, eseguito in modo appropriato, permetterebbe di prevenire l'introduzione di esplosivi in una data area per uso illegale. Si è lavorato anche allo sviluppo di segnalatori che servano all'identificazione del tipo di esplosivo dopo che l'esplosione si sia verificata. Certo, per quanto siano importanti per l'analisi dell'evento e la ricerca degli autori dell'attacco, i segnalatori per l'identificazione non impediscono l'uso criminale degli esplosivi. La segnalazione si ottiene attraverso un processo molto semplice (anche perché non occorre che il segnalatore rimanga intatto dopo l'esplosione); la realizzazione di un programma di questo tipo è ormai prossima.

La segnalazione richiede l'aggiunta, agli esplosivi, di una qualche sostanza chimica che attivi il sistema di rilevamento, segnalando appunto la presenza dell'esplosivo. Gran parte del lavoro si è finora concentrato sulla preparazione di segnalatori a vapore, che sono relativamente semplici e possono essere rilevati con strumenti poco costosi. I sistemi di rilevamento potrebbero essere inseriti nei vani delle porte, nei locali di transito degli edifici e degli aerei, o in unità portatili per la ricerca in un'area specifica.

Gli esplosivi dovrebbero essere additivati al momento della loro preparazione. Esplosivi con capsula detonante sensibile (dinamite, gelatine acquose e sospensioni, polveri esplosive, materiali semigelatinosi, esplosivi plastici ed esplosivi militari) possono essere tutti additivati in modo efficace. Tuttavia le sostanze detonanti, che ammontano all'80% dei tre bilioni di libbre di materiale esplosivo fatto esplodere ogni anno, non sono suscettibili di un procedimento del genere: esse sono infatti il risultato di una miscela di componenti (generalmente un ossidante e un combustibile oleoso) che non sono di per se stessi degli esplosivi e quindi non possono essere soggetti a una regolamentazione governativa.

In un programma di segnalazione realmente efficace (che potrebbe riuscire a ridurre in modo drastico l'incidenza di tutte le esplosioni criminose) il fattore critico è l'applicazione su scala internazionale. Se ciò non avviene, un programma di rilevamento potrebbe essere facilmente aggirato dai terroristi usando esplosivi non additivati, di origine straniera. Inoltre, un programma internazionale di segnalazione può essere efficace solo se i sistemi di rilevamento vengono impiegati in modo uniforme e su scala mondiale. Sebbene l'industria degli esplosivi e gli esperti di polizia auspichino l'avvento di una tecnologia avanzata che renda possibile il rilevamento di tutti i materiali esplosivi senza ricorrere a questo procedimento, la segnalazione a vapore è oggi ottenibile a un costo ragionevolmente basso. Questa è chiaramente un'area in cui accordi multilaterali a vasto raggio potrebbero rivelarsi estremamente proficui per i firmatari. Potrebbe essere un campo ideale di azione per le Nazioni Unite, proprio perché essenzialmente non politico e perché cerca di controllare una forma di attività criminale universalmente percepita come tale.

Un'altra preoccupazione riguarda lo sviluppo di convenzioni per la protezione delle piattaforme petrolifere e di altre strutture in acque internazionali. La questione della vulnerabilità delle piattaforme marine è tutt'altro che trascurabile. Durante il prossimo decennio verranno impiantate nel Golfo del Messico migliaia di tali piattaforme, tutte suscettibili di essere attaccate da gruppi terroristici. Lo stesso vale per le piattaforme presenti nel Mare del Nord.

È necessario elaborare convenzioni relative alla protezione delle piattaforme marine e di altre strutture in acque internazionali, alla luce della Convenzione della terza Conferenza del mare (1975), che ha adottato l'articolo 15 della Convenzione di Ginevra del 1958 sull'alto mare. Questo articolo condanna le azioni illegali violente sotto o sopra i mari, ma non specifica esattamente cosa debba essere considerato atto illegale. Inoltre esso afferma che ogni azione violenta intrapresa per una causa d'indipendenza o di liberazione non può essere considerata atto di pirateria. Come è stato notato in precedenza a proposito della Carta dell'ONU, a questo espediente può fare facilmente ricorso qualunque organizzazione terroristica. La Convenzione della terza Conferenza del mare ha creato quindi una scappatoia assai agevole per l'attività terroristica in acque territoriali.

Le aree di potenziale accordo internazionale discusse prima non esauriscono certo tutte le possibilità. Suggeriscono soluzioni possibili e, nel caso dei propellenti nucleari, urgentissime. Si è cercato di indicare le fortissime restrizioni che, nel campo del diritto internazionale, hanno finora impedito lo sviluppo di vasti programmi internazionali per combattere il terrorismo. Allo stesso tempo, sono state indicate le aree nelle quali accordi e cooperazione sono possibili.

Forse il maggior ostacolo a tutti questi sforzi è l'assenza di un clima internazionale caratterizzato da una percezione comune della minaccia. Fino a che la comunità internazionale non riconoscerà la gravità della minaccia costituita dal terrorismo, esisteranno sempre grossi limiti al tipo di cooperazione che può essere intrapresa. Poiché i terroristi di oggi non limitano il loro campo d'azione ai confini nazionali, il problema è globale e non può essere risolto pienamente se proprio tali confini forniscono ai terroristi rifugio o possibilità di fuga.

Le preoccupazioni per il terrorismo hanno un solido fondamento nella realtà. In un'epoca in cui al predominio delle grandi potenze succede una struttura più fluida delle relazioni internazionali, è verosimile che i vincoli tradizionali perdano progressivamente di efficacia. Dobbiamo aspettarci che la stessa diversità degli attori (ognuno dei quali persegue propri interessi) sulla scena mondiale accrescerà l'attrattiva esercitata da mezzi non convenzionali di conflitto. Per gli attori relativamente deboli, il fattore alta capacità d'influsso/basso costo è essenziale, dato che non possono permettersi di competere né sul piano militare né su quello politico. Per i più potenti, è invece decisivo l'elemento alta capacità d'influsso/basso rischio, essendo inaccettabili i costi di confronti convenzionali su larga scala, per non parlare poi di quelli nucleari.

Il terrorismo internazionale può diventare uno dei maggiori strumenti di una guerra non convenzionale: usata come arma strategica, la minaccia terroristica ‛pilotata' offre vantaggi unici nel perseguimento di obiettivi di politica estera. Sebbene non pericoloso per potenza di fuoco, il terrorismo internazionale mostra una profonda capacità d'influenza. Inoltre, l'iniziale incertezza circa l'origine dell'attacco incide spesso sulla capacità di risposta sia diplomatica sia militare. Per l'Unione Sovietica e i suoi satelliti - e per certi gruppi estremisti nazionali e subnazionali già attivi sulla scena terroristica - il terrorismo può costituire una possibilità irresistibilmente attraente, per il basso costo e il basso rischio, per impegnare l'Occidente in conflitti a bassa intensità.

Le minacce di morte recentemente avanzate dalla Libia contro il presidente americano e gli attentati contro alti ufficiali della NATO illustrano l'uso del terrorismo sia come strumento strategico per acquisire influsso politico sia come mezzo tattico di disgregazione sociale. Che un commando libico esista effettivamente oppure no è irrilevante; la semplice minaccia costrinse a moltiplicare le misure di protezione del presidente e sembrò paralizzare il governo americano. Lo spettacolare, eccessivo rilievo dato alle minacce dai mass media sortì l'effetto di fare del caso quasi un atto terroristico autoinflitto (con il colonnello Gheddafi come fattore scatenante).

Anche gli attentati contro il generale Kroesen in Germania e il generale Dozier in Italia sono rappresentativi di questa forma di terrorismo. Dozier, per esempio, non era soltanto un alto ufficiale, il cui rapimento poteva mettere in serio imbarazzo il governo americano; come simbolo dell'alleanza atlantica, il suo rapimento mirava ad attirare l'attenzione, attraverso i mass media, su questioni di grande importanza politica: la struttura dell'alleanza e la decisione di modernizzarne le forze.

Casi del genere dischiudono agli attacchi terroristici la possibilità di una capacità d'influsso ancora maggiore e di una portata ancora più vasta. Sempre più il terrorismo è diventato nelle mani di gruppi neonichilistici subnazionali (o di alcuni Stati) un mezzo strategico. La destabilizzazione del sistema internazionale offre il destro per un'opera di profonda disgregazione, mentre l'Occidente, data l'inadeguata protezione delle sue basi sia politiche (democrazia) che tecnologiche, è vulnerabile all'attacco.

Dobbiamo riconoscere la promozione della violenza terroristica dal rango di atto criminoso o di disturbo politico a quello di fenomeno che merita una seria attenzione internazionale. I governi stanno mostrando una crescente insofferenza nei confronti delle minacce e degli atti terroristici; ma se non possono, per mancanza di decisione, o non vogliono, per ignoranza, agire ora per fronteggiare le sfide future, i costi nei decenni avvenire saranno pagati in termini di umiliazione nazionale e di disintegrazione sociale. Il tempo utile sta per scadere, ma la questione è per chi: per i terroristi o per i governi?

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