TERRORISMO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

TERRORISMO

Domenico Caccamo

Il terrore, impiegato a difesa dello stato giacobino, fu legittimato da Robespierre come "emanazione della virtù", "giustizia pronta, severa, inflessibile", che è necessario esercitare in tempo di rivoluzione e di guerra (discorso Sui princìpi di morale politica, 5 febbraio 1794); così, i neologismi terrorisme, terroriste, terroriser, a indicare l'esercizio sistematico del terrore ad opera di un partito al potere, trovarono immediata diffusione, dopo la morte di Robespierre, in tutta l'Europa. Il Tommaseo e il Littré registravano t. nel senso di violenza estrema, impiegata come strumento di governo per disorientare e paralizzare gli oppositori, e citavano, accanto al potere giacobino, anche il "terrore bianco" portato dalla Restaurazione. Poi il t. fu rivendicato dai populisti russi, per i quali rappresentava una risposta obbligata alle "misure estreme di repressione" del potere zarista: la scena politica era occupata dalla figura del rivoluzionario in armi, deciso ad agire anche nell'isolamento e, se necessario, a "sfidare le imprecazioni e il furore" del popolo, diseducato e impreparato (S. Kravčinskij, La Russia sotterranea, con pref. di P. Lavrov, Milano 1882; il testo italiano ebbe traduzioni in Francia, Inghilterra e Germania). Successivamente il termine è stato usato in una duplice accezione: di rivolta "nichilista" e ribellione armata, proclamate da individui o gruppi ristretti, e di repressione brutale, elevata a sistema da organi di stato. Nella sua polemica contro lo spontaneismo, per l'organizzazione di partito, Lenin indicava il culto dell'azione isolata come il carattere fondamentale del t.: sono "terroristi" gl'intellettuali che si affidano alla "spontaneità" e allo "sdegno appassionato", rinunciando a "collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio" (Che fare?, 1902). Dal canto suo, K. Kautsky assimilava il comunismo di guerra al potere giacobino, la sanguinosa violenza degli anni 1793-94 a quella del nuovo stato sovietico: "Tra i fenomeni prodotti dal bolscevismo, il terrorismo, che comincia con la soppressione della libertà di stampa e culmina nelle esecuzioni di massa, è certo il fatto più saliente e più ripugnante" (T. e comunismo, 1919). Nella prima delle due accezioni, t. indica un fenomeno storicamente definito, forma specifica di violenza politica ad opera di gruppi minoritari, che passano dalla cospirazione direttamente all'intervento armato. Esso, quindi, si distingue dalle forme di violenza estrema realizzate in epoche diverse tramite l'apparato statale, nel quadro di un sistema giuridico o anche in violazione di esso (sterminio di gruppi, classi sociali o etnie avverse all'ordine stabilito); e si distingue, inoltre, sia dalla guerra condotta da eserciti regolari (che pure, in fatto di violenza contro inermi e innocenti, giunge fino all'esecuzione di ostaggi e al bombardamento "terroristico"), sia dalla guerra senza fronti, petite guerre o guerriglia rurale, forma diversa di lotta rivoluzionaria, implicante partecipazione di massa in operazioni di vasta portata.

In questo senso, il fenomeno terroristico ha radici ottocentesche, di derivazione social-rivoluzionaria e nazionalista. L'idea della "propaganda con i fatti" (il fatto insurrezionale è lo strumento propagandistico più efficace, in grado di penetrare negli strati profondi della società) nacque in Italia con l'infelice spedizione del Matese (1877) e fu accolta dal congresso anarchico di Londra (1881). Nel decennio successivo, vari fogli anarchici in Francia trattarono ripetutamente le questioni tecniche della fabbricazione di esplosivi, lanciando appelli segnati da un impulso distruttivo ("Pillons, brûlons, détruison...! Par le feu, le poignard, le poison"); si affacciava anche il concetto di una doppia opera di proselitismo, l'una aperta e legale, l'altra clandestina e settaria. La serie degli attentati a regnanti era stata inaugurata in Russia dall'impresa di D. Karakozov contro Alessandro II (1866) e, dopo un lungo intervallo, si era riaccesa nel 1878 con analoghi episodi in varie parti d'Europa. L'attentatore di Umberto I, G. Passanante, manifestava una protesta elementare, fuori da ogni legame di partito, nutrita della sola lettura di giornali sovversivi; al contrario, Karakozov era uno studente moscovita di estrazione nobiliare, inserito nella cultura politica e nel mondo cospirativo russo, animato dallo stesso ascetismo rivoluzionario che avrebbe poi ispirato il Catechismo di S. Nečaev. Ma la figura del giustiziere anarchico, con tratti di generoso altruismo e al tempo stesso di compiacimento sadico, apparve con Ravachol, il ribelle uscito dal sottosuolo di Parigi, che aprì in Francia l'ondata di violenza del triennio 1892-94; la stampa tenne allora una cronaca così attenta delle esplosioni (la più rovinosa causò la morte di 5 persone) da incoraggiare obiettivamente la riproduzione del fenomeno. Col t. populista e anarchico coincise nel tempo un t. di altro segno ideologico, nel quale era prevalente la rivendicazione di carattere nazionale (dall'attentato di F. Orsini agli esordi del separatismo irlandese); esso esplose in luoghi diversi del continente europeo e del Medio Oriente negli anni intorno alla prima guerra mondiale (Mano nera serba, Irish volunteers poi Irish republican army, Organizzazione rivoluzionaria interna macedone, agitazione sionista in Palestina). Forme terroristiche non furono disgiunte dalla rivolta dei paesi coloniali a conclusione della seconda guerra mondiale; sul finire degli anni Sessanta, una svolta decisiva per l'affermazione del t. come metodo principale di lotta fu segnata dal passaggio dalla guerriglia rurale alla teoria e alla pratica di nuove forme di "guerriglia urbana".

La strategia di liberazione nazionale in Asia dava la priorità alla creazione di solide "basi d'appoggio" nelle zone rurali, lasciando al nemico il controllo delle aree urbane e delle vie di comunicazione fino allo scioglimento del conflitto. Secondo Lin Piao, i contadini costituiscono "l'arsenale umano fondamentale" e la campagna rappresenta "il mondo senza confini" dove i rivoluzionari possono agire liberamente; la guerra popolare nei paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina deve articolarsi in fasi successive, guadagnando l'egemonia sull'universo contadino, stringendo d'assedio e infine espugnando i centri urbani (Viva la vittoria della guerra popolare!, settembre 1965). Non dissimile era la concezione castrista del "focolaio", per la quale un'avanguardia politica e militare, poste in alcune zone strategiche le sue "fortezze rurali", garantiva l'unità di comando e la continuità della lotta, agendo da catalizzatore del sentimento diffuso di rivolta; era prevista l'attività di distaccamenti urbani, ma l'attacco ai centri maggiori era rimandato sino allo scontro decisivo per l'annientamento del nemico. La morte di E. Guevara in Bolivia e l'arresto dell'ondata rivoluzionaria nell'America latina suggerirono la valutazione della città come teatro di combattimento prioritario, secondo uno schema più vicino alle forme del t. anarchico che a quelle della guerra per bande.

La graduale conversione alla guerriglia urbana si coglie già negli scritti di C. Marighella, un dirigente del Partito comunista brasiliano che nell'agosto 1967 aderì all'Organizzazione latino-americana di solidarietà, fondata all'Avana, avviando a pochi mesi di distanza la lotta armata in Brasile. Nel momento della polemica contro il burocratismo del suo partito, Marighella muoveva da posizioni castriste, sottolineando anch'egli la priorità della rivolta contadina: "Per me è giunto il momento di concentrare tutti gli sforzi rivoluzionari nell'area rurale. Il ruolo di una direzione proletaria, marxista-leninista, almeno in America latina, è quello di stare nella campagna e non nelle città" (lettera al Comitato centrale del Partito comunista brasiliano, L'Avana, 17 agosto 1967). Ma poi, nel breve manuale pubblicato su Tricontinental, Marighella concentrò tutta la sua attenzione sul "guerrigliero urbano"; l'obiettivo ultimo restava ancora l'esplosione del mondo rurale, ma il programma immediato e concreto era francamente terroristico. Piccoli gruppi forniti di armi leggere s'impegnano in azioni di carattere offensivo, basate sulla sorpresa, sulla mobilità e sulla perfetta conoscenza della topografia cittadina; i metodi di lotta possono essere semilegali, come l'occupazione di fabbriche, scuole e stazioni radio, o militari, come il sabotaggio e l'attacco alle banche, il sequestro e l'esecuzione; nella maggior parte dei casi, però, l'attività terroristica - che qui viene esplicitamente rivendicata - si riduce a piazzare bombe di considerevole potenza (C. Marighella, Piccolo manuale del guerrigliero urbano, in Tricontinental, ed. it., III, n. 16-17, genn.-apr. 1970, pp. 6-44). Fra i seguaci di Marighella, l'indirizzo favorevole a un'attività centrata sulle aree urbane ebbe ulteriore sviluppo. Il focolaio rurale presenta difficili condizioni di vita, mentre può essere scoperto e soffocato prima ancora che il popolo ne abbia notizia; inoltre, le azioni di guerriglia rurale sono sprovviste di qualsiasi efficacia propagandistica: "Fuori della città non puoi fare la guerra psicologica, la guerra dentro la casa della gente. L'assalto a una banca si fa in città perché tutti lo vedano e lo sappiano" (intervista della redazione di Jaca Book a un compagno brasiliano, in C. Marighella, Discorsi e documenti politici per la guerriglia in Brasile, Milano 1969). Gli stessi concetti ricorrono presso un teorico, A. Guillén, legato all'esperienza dei Tupamaros. Le posizioni di Mao e di Guevara sono ormai rovesciate: in paesi come l'Uruguay e l'Argentina, con un'alta percentuale di popolazione urbana e con un sistema economico fondato su poche città, l'epicentro della lotta si pone all'interno delle giungle di cemento; ai distaccamenti rurali dell'esercito rivoluzionario resta invece un ruolo subordinato, per l'interruzione dei rifornimenti di prodotti alimentari e materie prime.

In effetti il passaggio dalla guerriglia rurale a quella urbana si è realizzato nell'America latina e nel Medio Oriente, entro le organizzazioni dei Tupamaros uruguayani e del palestinese Settembre nero. Sotto il profilo ideologico, entrambi i gruppi presentano una miscela di rivendicazioni sociali e nazionali, col richiamo insistente a tradizioni specifiche e con una sottolineata coscienza di originalità etnica. La composizione sociale dei Tupamaros va dal bracciantato rurale al ceto medio possidente, con prevalenza di elementi piccolo-borghesi che vengono dal movimento studentesco, da settori socialisti e cattolici, ma soprattutto dall'esperienza delle lotte sindacali nelle campagne (il gruppo s'impose all'attenzione internazionale nel 1970-71, con sequestri di diplomatici stranieri e funzionari di società multinazionali, processati da "tribunali del popolo"). La nascita di Settembre nero è legata a eventi come la guerra arabo-israeliana del 1967 e la repressione dei fedayin palestinesi da parte di Hussein di Giordania (settembre 1970), che suggerivano nuove forme di struttura organizzativa e di azione militare; propria di Settembre nero, nell'ambito del movimento palestinese, è infatti la volontà di spostare il teatro delle operazioni dal deserto, dove prevale la superiore tecnologia israeliana, in un contesto urbano (i presunti legami con organizzazioni come i Weathermen statunitensi, la Rote Armee Fraktion e le Brigate rosse conferirebbero particolare importanza nel t. internazionale ai centri palestinesi di addestramento; certo Settembre nero, nel 1972, impiegò elementi giapponesi per l'azione sanguinosa all'aeroporto di Tel Aviv, che costò 26 morti e 80 feriti).

Negli SUA e nell'Europa occidentale, il t. si presenta come un aspetto particolarmente grave della crisi di governabilità delle società industriali avanzate. La rivendicazione di una piena identità culturale radicalizza il movimento negro negli Stati Uniti, mentre l'irredentismo irlandese e il separatismo basco sono le componenti fondamentali della violenza che ha sconvolto la Gran Bretagna e la Spagna dall'inizio degli anni Settanta: si tratta, in questi casi, di un t. che colpisce essenzialmente dall'estermo il sistema sociale, generato da situazioni e settori particolari. I gruppi armati sorti in Italia, in Germania e in Giappone (come pure i Weathermen americani) sembrano, invece, radicati nelle strutture economiche e politiche dei rispettivi paesi; è assente, in essi, la rivendicazione di carattere tradizionale (contenuti e valori della nazionalità o della stirpe), mentre la guerra rivoluzionaria è configurata come "lotta metropolitana", condotta nel nome dell'"internazionalismo proletario" in solidarietà con la lotta dei popoli del Terzo Mondo. Principali componenti della recente esplosione del t. nei paesi industrializzati sono: l'ascesa di movimenti giovanili di contestazione radicale; la diffusione di nuovi modelli di lotta rivoluzionaria, adeguati alle condizioni ambientali delle zone economicamente sviluppate; la suggestione esercitata da potenti miti politici, quali la rivoluzione culturale cinese e la guerra popolare vietnamita. Le sue radici ideologiche possono identificarsi nell'espansione della cultura politica di Nuova sinistra, ispirata ai motivi della scuola di Francoforte, e nell'improvviso risveglio di correnti e concezioni anarchiche.

Con le rivolte razziali del biennio 1964-65, il movimento negro negli SUA passò dalla rivendicazione dei diritti civili alla lotta nei ghetti di colore dei grandi centri urbani. A Oakland, California, nacque il Black panther party (1965), concepito all'origine per compiti di autodifesa contro l'abuso delle autorità e dei privati bianchi. La prima azione armata del partito risale al 1967, quando numerosi militanti occuparono l'assemblea legislativa della Califomia per darvi lettura di un documento politico; poi, attraverso le vicende di una vasta repressione e della morte violenta di capi e gregari, le Pantere nere parteciparono al processo di criminalizzazione della politica americana. Nell'autobiografia di Malcom X si coglie la dinamica della contrapposizione estrema e della rivolta degli emarginati, mentre gli scritti di altri leader (S. Carmichael, E. Cleaver) denunciano con ricorrenza ossessiva il carattere barbarico del potere centrale, visto come un meccanismo di controllo infallibile, che va attuando un piano di genocidio. La stessa radicale semplificazione degli atteggiamenti ideologici della Nuova sinistra si riscontra nel più duro fra i movimenti americani di protesta: i Weathermen, nati sul tronco del movimento studentesco, lacerato dalla tensione fra i custodi dell'ortodossia proletaria (per i quali l'aggressività degli studenti piccolo-borghesi costituiva solo un apporto secondario alla causa) e i sostenitori della "nuova classe lavoratrice" (per i quali, invece, il ruolo centrale della classe operaia era stato cancellato dal recente progresso tecnologico). Ai temi della Nuova sinistra i Weathermen aggiungono il corollario che la lotta armata contro lo stato è lo strumento migliore per creare una coscienza rivoluzionaria di massa; grande rilievo prende la motivazione antirazzista e anti-imperialista, in riferimento alla guerra nel Vietnam, mentre è determinante nella composizione del gruppo la confluenza di un settore di liberazione femminile (Weatherwomen). Esclusa la possibilità di un'autentica lotta popolare, i nuclei d'avanguardia muovono nella prospettiva della disperazione e autodistruzione. I "giorni della rabbia" a Chicago (ottobre 1969) si risolvono in una serie di azioni esemplari con una partecipazione numerica modesta, nell'ordine delle centinaia di persone; ma i resoconti evidenziano la stupefacente violenza degli scontri, esercitata sui beni e sui simboli della classe dominante. A partire dal 1971 i Weathermen impiegarono gli esplosivi; l'anno seguente registrò l'attentato alla filiale di Berkeley della Banca d'America, dimostrazioni a Washington, la rivolta in un carcere di New York (dove persero la vita 30 detenuti e 9 ostaggi).

In Germania, i gruppi terroristici traggono origine dal fermento delle comuni giovanili e dell'intelligencija socialista di sinistra, radicalizzato dalla repressione e dall'esaurimento della rivolta studentesca. Tra i membri della Rote Armee Fraktion (le cui azioni ebbero inizio nell'aprile 1968), le due figure femminili dominanti, U. Meinhoff e G. Ensslin, avevano ricevuto dall'ambiente familiare un'educazione religiosa evangelica, segnata da un forte impegno pacifista e antimilitarista; l'ideologo del gruppo, l'avvocato H. Mahler, era un professionista di qualche successo, mentre A. Baader, privo di studi, aveva allacciato rapporti con intellettuali in seno alla Kommune I di Berlino. La banda Baader-Meinhoff pretendeva di identificarsi nell'esercizio di un t. "rosso", o rivoluzionario, distinto dal t. "piccolo-borghese", o individuale, che considerava tipico del vecchio anarchismo. Ma nel momento stesso in cui rivendicava la violenza di massa, la banda doveva ammettere la mancanza, nelle condizioni della Repubblica federale, di un consistente sostegno di popolo; escludeva, quindi, la guerriglia rurale dal novero delle possibilità effettive e concentrava ogni attenzione sui problemi della guerriglia urbana. La grande città offre alle formazioni partigiane rifugio e rifornimento, indipendenti da un appoggio di massa; nella sua densità di abitanti e di traffico, garantisce l'anonimato e i rapporti clandestini con la rete dei simpatizzanti. Ma, soprattutto, la grande città è vulnerabile: essa scopre, infatti, un largo fianco di zone indifese, che anche un esiguo gruppo di combattenti può facilmente violare. La RAF colpì dapprima i grandi magazzini di Francoforte, passando poi a eseguire attentati dinamitardi su obiettivi più ardui. Secondo le versioni ufficiali, essa progettava esplosioni nel centro di Stoccarda, quando venne decimata da una prima azione spettacolare dei nuclei speciali (1972), e preparava un'azione contro lo stadio di Amburgo, quando fu dispersa nel 1974.

Nel caso italiano, l'analisi del t. è stata complicata dalla lentezza dei procedimenti giudiziari e dalle oscillanti valutazioni offerte dalla pubblicistica. Il t. nacque in Italia nel 1969 e raggiunse un vertice nel dicembre dello stesso anno, quando un'esplosione nella sala centrale della Banca dell'Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, provocò la morte di 16 persone e il ferimento di 88. Le indagini si orientarono in un primo tempo verso gruppi anarchici, poi verso una centrale eversiva di estrema destra; a distanza di dieci anni, la magistratura ha indicato quali ispiratori del crimine gl'imputati di destra radicale, senza però escludere una partecipazione diversa (assoluzione per insufficienza di prove del principale imputato di fede anarchica) e punendo al tempo stesso, con lievi pene, reticenze e corresponsabilità dei servizi segreti. Dal canto loro, nell'interpretazione globale dei fatti, i maggiori organi d'informazione sono passati dall'ipotesi del complotto, per cui le azioni terroristiche rispondevano a una strategia reazionaria della tensione (C. Cederna, G. Galli), all'ipotesi della successione di ondate di segno opposto, dapprima sorte dalla volontà di criminalizzare la lotta politica per favorire soluzioni autoritarie, ma in ultimo coincidenti con la diffusione di un "catechismo rivoluzionario unico nell'Occidente industriale" (A. Ronchey). Il sequestro del presidente della Democrazia cristiana A. Moro e la strage della sua scorta in via Fani, poi il ritrovamento del suo corpo in una vettura abbandonata nel pieno centro di Roma (marzo-maggio 1978) hanno fatto riemergere la tesi del complotto, questa volta ordito dall'esterno. Le diverse interpretazioni, tuttavia, erano fortemente ideologiche: si è parlato di basi di addestramento nell'Est europeo (l'eliminazione di Moro sarebbe servita a impedire lo slittamento verso soluzioni di compromesso storico, sottraendo agli eurocomunisti italiani il principale interlocutore); ma anche di servizi segreti occidentali (il delitto, in tal caso, avrebbe inteso ostacolare la convergenza DC-PCI e l'ingresso dei comunisti nell'area del potere, che si verificava col nuovo governo Andreotti). E non è mancato il tentativo di squalificare la classe politica, accusata di scarsa solidarietà con la figura dell'ex presidente del Consiglio (L. Sciascia). Alle radici del fenomeno terroristico, un'ampia letteratura ha indicato presupposti sociologici, presenti in tutti i paesi industrializzati ma operanti in Italia con particolare intensità, come la violenza strutturale degli agglomerati urbani, l'esaurimento della riserva di valori tradizionali e la dissoluzione del sistema educativo: il t. italiano appare come la fase ultima del "rovesciamento rivoluzionario", coincidente col tramonto dei vecchi ceti medi e del mondo contadino, cioè con la violenza dei grandi mutamenti sperimentati dal paese in tempi brevi (L. Cavalli). Ma sono stati indicati anche fattori particolari, come la paralisi avanzata del meccanismo economico, o la nuova politica del PCI.

All'origine delle Brigate rosse s'incontrano due componenti, l'una di formazione universitaria (specie nella facoltà di sociologia di Trento) e l'altra maturata nella militanza (a Reggio Emilia) dei partiti di sinistra: l'estremismo nasce in ambiente operaio, come reazione al riformismo del PCI, e in ambiente borghese, come frutto della prolungata esperienza nel movimento studentesco. Passati da Trento a Milano durante l'autunno caldo del 1969, R. Curcio e M. Cagol vi organizzano un Collettivo politico metropolitano che unisce operai e studenti, agitando i concetti dell'"autonomia proletaria" e dello "scontro violento": la direzione burocratica delle istituzioni partitiche e sindacali va soppiantata da un'avanguardia rivoluzionaria, valida finché agisce alla testa del movimento; quanto al metodo, "ogni discorso che ponga l'accento sulla legalità della lotta tende a portarti inerme nelle braccia dell'illegalità del sistema". Alle idee di derivazione anarchica o anarco-sindacalista si affiancano le parole d'ordine di Mao e Lin Piao sull'accerchiamento terzomondista delle metropoli del capitalismo morente. Ma sono anche presenti motivi dell'analisi marcusiana: base del movimento è la "nuova forza-lavoro", il "moderno proletariato" costituito dalla giovane generazione operaia, dai tecnici, dagli studenti (Appunti per una discussione e Lotta sociale e organizzazione nella metropoli, autunno 1969). Lo sviluppo delle BR è interno alla società italiana, di cui esse condividono angosce e certezze: intorno al 1972 si afferma che la crisi economica è frutto di una deliberata mistificazione, poi si vive l'attesa del golpe reazionario. Cresciute dopo la morte di G. Feltrinelli (1972) e la dissoluzione dei Gruppi d'azione partigiana, le BR alzano il tiro dai personaggi di modesto rilievo ai rappresentanti del potere ("portare l'attacco al cuore dello stato"); dopo una serie di espropri l'organizzazione emerge col processo inscenato al magistrato M. Sossi (1974), con l'assassinio del procuratore generale di Genova F. Coco (che corrisponde nel tempo - estate 1976 - a quello di un altro magistrato, V. Occorsio, rivendicato dal gruppo di destra radicale Ordine nuovo), col delitto Moro e con una serie ininterrotta di azioni cruente, culminanti nell'uccisione di vari magistrati, tra il 1979 e il 1980, e del vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, V. Bachelet, all'interno dell'università di Roma, febbraio 1980. Nonostante la dispersione del gruppo originario e le rivelazioni di brigatisti "pentiti" (marzo-giugno 1980), le BR hanno intensificato le azioni armate; sul piano ideologico, hanno aggiornato i loro documenti col riferimento alla crisi economica, ma accentuando la rigidezza dei loro schemi. Lo "Stato Imperialista delle Multinazionali" (SIM) rappresenta, dopo il tramonto dello stato nazionale, il potere mondiale del capitale monopolistico; esso, ora, si trova a combattere una crisi economica dalla quale può uscire realizzando un duplice progetto di ristrutturazione interna e di guerra esterna (contro il blocco sovietico). L'intera prospettiva è dominata dalla presenza di un Potere che agisce con estrema lucidità: il SIM viene definito "una struttura riformistico-repressiva altamente integrata e centralizzata", che utilizza canali politici come i partiti, i sindacati e i mass-media e, d'altra parte, strumenti di annientamento come i nuclei speciali, i tribunali speciali, le carceri speciali; al riformismo del PCI e alla repressione poliziesca, l'uno e l'altra funzionali allo stesso progetto di ristrutturazione e di guerra, si contrappongono su scala europea le armate di liberazione nazionale, i nuclei di guerriglia e i "movimenti autonomi di massa". L'analisi di classe, volta a chiarire le possibilità di penetrazione e proselitismo, indica nell'"operaio-massa, quello che lavora alla catena di montaggio e nei reparti ad alto quoziente di nocività", la riserva della lotta armata; e nell'"operaio professionale", o qualificato, la base sociale del revisionismo. La piccola borghesia, invece, resta un insieme disorganico di ceti politicamente ambigui (Risoluzione della direzione strategica, febbraio 1978).

Se nella strategia delle BR al sottoproletariato non resta altro che un ruolo secondario, i Nuclei armati proletari pongono la popolazione delle borgate del Mezzogiorno e dei ghetti delle città industriali del Nord come soggetto della lotta rivoluzionaria, in piena solidarietà con i dannati della terra, abitanti delle bidonvilles tropicali. Il tema della marginalità e della condizione carceraria passa in primo piano, mentre viene accentuata l'esigenza di una "totale autonomia" dei singoli gruppi: sono dunque respinte, nella sostanza, sia le indicazioni di Marx sull'ambiguità del sottoproletariato che quelle di Lenin sull'organizzazione del partito. Dopo un tentativo di collegarsi al gruppo di Lotta continua, parte del movimento dei carcerati, risalente al 1968, passò all'azione clandestina unendosi ad alcuni studenti napoletani; sorti da questo connubio, i NAP intensificarono la loro attività nel biennio 1974-75 (dinamite nelle carceri di Napoli, Roma e Milano, tragico tentativo di rapina a una banca di Firenze, sequestro del giudice G. Di Gennaro, sommossa nel carcere di Viterbo). La rivolta anti-istituzionale del 1968, comune ai gruppi di tutta la sinistra radicale, trova però compiuta espressione in Autonomia operaia. Sorta dal sindacalismo selvaggio dei comitati di base, nel confronto con Potere operaio e Lotta continua, AO dà vita a Roma ai collettivi di via dei Volsci e del Policlinico; ma emerge in effetti durante la ripresa del movimento studentesco nel febbraio-marzo 1977, scontrandosi col PCI (boicottaggio del comizio di L. Lama all'università di Roma, rivolta giovanile nella capitale dell'Emilia rossa). Anche il quadro dell'autonomia presenta particolari connotazioni ideologiche. Negli scritti di A. Negri acquista singolare rilievo un elemento estraneo alle matrici culturali della Nuova sinistra, come la dissoluzione dello Stato, incapace di assolvere i suoi compiti di pianificazione sociale e ridotto a interventi casuali e arbitrari: a questo punto, "la violenza costituisce la normalità del rapporto fra uomini e costituisce anche la chiave del progresso delle forze produttive" (Crisi dello Stato-piano, comunismo e organizzazione rivoluzionaria, Milano 1974); mentre il compromesso storico, "ultima edizione della svolta di Salerno, interiorizzazione dell'ordine di Jalta", viene considerato parte essenziale del progetto di ristrutturazione capitalistica (Proletari e stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico, Milano 1976).

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Una bibliografia sui temi della violenza, per gli anni 1945-77, si trova in La violenza politica nel mondo contemporaneo. Bibliografia internazionale..., a cura di L. Bonanate, Milano 1979.

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