Testi antichi e nuovi saperi: botanica e materia medica

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Giovanni Di Pasquale
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Accanto alle novità testuali, nella medicina e nella filosofia naturale si afferma in questo periodo un sapere dei “particolari” che, pur non rientrando nella definizione aristotelica di scienza, rappresenta tuttavia una novità rilevante e apre il sapere naturalistico a nuovi stili di osservazione e di ricerca, nonché a nuove e più agili forme di scrittura. 

La raccolta e la diffusione dei dati

Legate al revival del genere dei problemata (raccolte di questioni specifiche), le opere contenenti l’esame di fonti e bagni minerali, l’analisi di casi medici inauditi, le descrizioni di animali, di vegetali, di fatti e cose meravigliose si ricavano un posto accanto alle grandi sistemazioni scolastiche, scalzandone lentamente le basi e il senso. L’accumulazione di notizie e dati apparentemente non correlati fra loro, ma in realtà fondamentali per i diversi ambiti disciplinari scientifici che si vanno costituendo, non alimentano solo la curiosità dei collezionisti e dei signori che costituiscono Wünderkammern ammirate e note. Specialmente nel caso della medicina, la circolazione con diversi mezzi (epistole, comunicazioni) delle osservazioni finiscono per costituire un apporto indispensabile per una buona pratica professionale, accanto alla sistematizzazione appresa nelle università. Collezionare oggetti, fatti, memorabilia è inoltre un contrassegno di appartenenza a un ’élite della società e del sapere. Il termine chiave per comprendere questo atteggiamento è quello di historia, che si riferisce a una descrizione accurata e possibilmente risultante da un’esperienza diretta, ma anche all’arte e alla retorica del raccogliere dati e del narrare intorno a un singolo oggetto.

Il testo antico che per eccellenza mostra l’intrecciarsi tra le competenze scientifiche specifiche dei suoi commentatori e l’esigenza di restituirne il dettato, e che non a caso viene continuamente riletto e commentato in questo periodo, è una compilazione enciclopedica latina del I secolo, già conosciuta nel Medioevo, la Naturalis historia di Plinio (23/24-79). Nel Quattrocento l’opera conosce una fortuna senza precedenti; tra gli altri, numerosi medici e naturalisti si cimentano nelle edizioni di questo e di altri testi. La necessità di identificare e studiare le sostanze che avevano un uso farmacologico, individuando le autentiche, è stata essenziale nel determinare il passaggio dallo studio dei testi antichi – non solo quello di Plinio, ma anche quelli dei greci Teofrasto e Dioscoride (I sec.) – alla storia naturale in senso moderno. Altrettanto essenziale è l’expertise in questo campo sviluppata da figure professionali molto diverse, e animate da diversi interessi, in un arco che va dai lettori all’università e dai loro studenti fino agli speziali, ai farmacisti e ai collezionisti e ai mercanti di rarità naturali. Le opere della tradizione classica su animali, piante, sostanze di uso terapeutico sono precocemente pubblicate a stampa, a testimonianza dell’interesse che suscitano anche presso il pubblico più ampio.

La disputa su Plinio

Un episodio significativo nel passaggio dalla filologia testuale alla storia naturale è la disputa sul testo di Plinio apertasi alla fine del secolo, nel 1492. Nicolò Leoniceno pubblica infatti un duro attacco alla Naturalis historia, di cui elenca errori e ingenuità, sottolineando tra l’altro la scarsa competenza botanica dell’autore latino. A suo parere gli errori di Plinio erano stati ripresi anche da diversi autori arabi e medievali, che avevano in gran parte equivocato o letto in maniera erronea i grandi testi della tradizione greca.

A Leoniceno si oppongono Angelo Poliziano e Pandolfo Collenuccio; Ermolao Barbaro, dal canto suo, è piuttosto dalla parte di Leoniceno nel considerare Plinio poco affidabile. La disputa non si situa sul puro terreno filologico, benché Leoniceno attinga alla sua ottima conoscenza della lingua greca per risalire al senso autentico dei passi dei testi antichi, ma investe direttamente la questione delle esperienze dirette effettuate dai contendenti. Autore di un commento a Plinio pubblicato ai primi del Cinquecento, il medico vicentino Alessandro Benedetti non può evitare lo scontro con Leoniceno. I due hanno una formazione simile e sono stati a lungo amici, ma sulla questione pliniana si dividono. Se Leoniceno considera l’omaggio a Plinio ormai di retroguardia, Benedetti dal canto suo è l’esponente di un approccio meno filologico e più aperto alle osservazioni, libero dall’omaggio obbligato alla lingua greca.

Il filologo umanista non è dunque solo un retore, o un filosofo, o un letterato, ma è spesso impegnato direttamente sul fronte di diverse pratiche scientifiche, tra le quali la controversia non è la meno importante. Peraltro, in questi stessi anni i viaggi di esplorazione – verso l’Oriente e verso l’Africa – provocano, ben prima della riscoperta delle Americhe, l’arrivo in Europa di una massa imponente di oggetti naturali nuovi, molti dei quali di interesse botanico e farmacologico. Ma uno sguardo più attento si indirizza, attraverso erborizzazioni o raccolte di diverso tipo, anche su diverse realtà italiane ed europee. Il risultato è una filologia degli oggetti concreti; testi come quelli di Plinio o Dioscoride sono sottoposti a un’accurata revisione, nella quale le esigenze linguistico-testuali vanno di pari passo con quelle di classificazione e comprensione di oggetti non conosciuti né descritti dagli antichi. I medici si trovano in prima fila in questa rivoluzione filologico-scientifica, sia a causa della loro formazione in diversi ambiti della filosofia naturale, sia a causa delle esigenze della pratica terapeutica. Un atteggiamento non diverso investe anche un settore recentemente costituitosi del sapere medico, nato nelle università medievali in pieno periodo scolastico, come supporto a una migliore conoscenza del corpo umano già descritto dagli autori antichi: l’anatomia.

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