TETRACORDO

Enciclopedia Italiana (1937)

TETRACORDO (gr. τετραχόεδον)

Guido Gasperini

Il tetracordo fu l'elemento fondamentale sul quale si sviluppò tutto il sistema musicale dell'antica Ellade. Esso consisteva in una breve scala di quattro suoni successivi i quali, disposti nell'ordine discendente secondo l'antica usanza greca e svolti nel puro genere diatonico, formavano una serie di due toni e un semitono, racchiusa in un intervallo di 4a giusta.

Altre disposizioni di suoni, nell'interno del tetracordo, erano conosciute e potevano essere praticate dai Greci tanto nel genere diatonico quanto nel cromatico e nell'enarmonico; ma quella col semitono in basso, come nell'esempio primo, godeva di una considerazione speciale in quanto che ad essa sola veniva attribuita una origine schiettamente ellenica. Da ciò le venne il nome di tetracordo ellenico o dorico; e perciò fu essa considerata come la formula melodica più rispondente alle esigenze della tradizione musicale greca e al gusto e alle tendenze delle varie popolazioni formanti la grande nazione ellenica.

Particolare carattere del tetracordo fu l'invariabilità anzi l'intangibilità delle due note estreme formati l'intervallo di quarta giusta. Esse non potevano essere mai alterate mentre, per contro, la maggiore mobilità era concessa alle due note mediane le quali, nelle loro varie alterazioni, potevano dar luogo ai più diversi intervalli dei generi cromatico ed enarmonico.

Tale disposizione di suoni che dava al tetracordo ellenico uno speciale carattere e attribuiva alla discesa del penultimo suono sull'ultimo quasi il significato di una sensibile discendente alla tonica, fu il nucleo fondamentale da cui sorse, poi, tutto il sistema musicale nazionale ellenico. Infatti dalla successione di due tetracordi ellenici sorse, in primo luogo, la scala in ottava, la scala dorica, la quale essendo formata di due tetracordi ellenici disgiunti ebbe come note principali e dominanti i suoni invariabili dei due tetracordi, suoni invariabili che stando, fra di loro, nei rapporti di 8a, di 5a, e di 4a inquadravano la scala nelle prime e più perfette consonanze.

Poi, con l'aggiunzione, in alto e in basso, di un nuovo tetracordo ellenico, sorse la scala generale del sistema greco, il cosiddetto "gran sistema perfetto" (sistema téleion), che era formato di quattro tetracordi dorici congiunti due a due terminanti, in basso, con una nota isolata (una nota aggiunta) la quale, risuonando all'ottava bassa della nota centrale (la), dava completezza e perfezione al gran sistema.

È, poi, da aggiungere che ognuno dei tetracordi prendeva il nome dalla sua posizione nella scala generale. Così, incominciando dall'alto, il primo tetracordo era detto Hyperbolaíōn (o delle corde sopracute); il 2° Diezeugménōn (o delle disgiunte); il 3° Mésēn (o delle medie); il 4° Hypátōn (o delle gravi). E mentre la nota centrale, il la, era detta Mésē, e fungeva quasi da tonica dell'intero sistema, l'ultima nota della scala, risuonante in 8° con il la centrale, veniva chiamata Proslambanómenos.

È da notare, infine, che un quinto tetracordo dorico, il tetracordo delle congiunte (Synemménōn) s'introduceva spesso nel quadro del gran sistema perfetto allo scopo di agevolare la modulazione alla quarta superiore. Con questo tetracordo, ch'era formato delle note re, do, si bemolle, la e che sovrapponendosi al tetracordo delle disgiunte veniva a fondersi col suono della Mésē, aveva termine lo sviluppo del sistema tetracordale puramente ellenico e diatonico, sistema che riunendo alla serie dei quattro tetracordi dorici sopradescritti il tetracordo modulante delle congiunte, presentava l'aspetto seguente:

Si è detto più sopra che, nel tetracordo ellenico, mentre i suoni estremi erano fissi e immutabili, i suoni mediani erano mobili e potevano dare luogo a diverse combinazioni d'intervalli alterati cromaticamente o enarmonicamente. Ciò porta alle seguenti brevi considerazioni sull'uso dei tetracordi cromatici e enarmonici nel sistema greco. Il cromatismo e l'enarmonia avevano, nella musica greca, svolgimenti assai più semplici di quelli che vengono adoperati, allo stesso scopo, nella musica moderna. Mentre, infatti, nel sistema d'oggi ogni nota della scala può essere alterata per dare luogo a speciali effetti di colore, nel sistema greco soltanto i due suoni centrali d'ogni tetracordo avevano tale privilegio. La teoria coloristica greca cromatica ed enarmonica si può, quindi, enunciare in poche parole. Infatti l'effetto della alterazione cromatica si otteneva semplicemente abbassando di un semitono il 2° suono, discendente, d'un tetracordo diatonico; mentre l'effetto dell'alterazione enarmonica si otteneva abolendo del tutto il 2° suono suddetto e introducendo un nuovo suono che veniva a dividere in due quarti di tono il semitono giacente in fine al tetracordo. Brevemente esponendola in due esempî, la teoria della alterazione cromatica ed enarmonica dava luogo, quindi, ai seguenti passaggi melodici: (si segna con una crocetta il suono enarmonico che divide in due quarti di tono il semitono fa-mi). Molto più complessa era, invece, la teoria delle sfumature (χρόαι) che fiorì fino dai tempi di Aristosseno e ch'ebbe rapporti anch'essa con la teoria delle alterazioni dei suoni mobili del tetracordo. Ma l'applicazione pratica di quella teoria presenta tali raffinatezze di esecuzione da non poter trovare luogo in uno studio limitato quale è il presente. Ricordando, quindi, soltanto che la teoria delle sfumature ebbe applicazioni diverse a seconda delle varie scuole che la coltivarono e constatando che essa arrivò a tali raffinatezze di effetti da non potere essere riprodotta esattamente mediante la scrittura, passeremo all'ultima questione che può aver rapporti col tetracordo: la questione dei modi.

Fino dai tempi anteriori al sec. V a. C. fiorirono accanto al tetracordo ellenico altri due tetracordi, di origine asiatica la costruzione dei quali, pur valendosi degli stessi elementi usati per la formazione del tetracordo ellenico, era diversa da quest'ultimo. Infatti, mentre i suoni del tetracordo ellenico erano disposti, come si è visto sopra, nell'ordine seguente (discendente): un tono, un tono, un semitono; quelli degli altri due, provenienti dai canti dell'Asia e, più specialmente, dalla Frigia e dalla Lidia, procedevano, rispettivamente, nei due ordini, discendenti, seguenti: un tono, un semitono, un tono; un semitono, un tono, un tono.

I tre tetracordi davano, quindi, vita a tre scalette diversamente costituite e ristrette, ciascuna, nei limiti d'una quarta giusta.

Il gruppo dei tre tetracordi (obbedienti alle stesse regole, inquadrati in scale modali costruite con identici criterî e sottoposti ugualmente alle variazioni dei generi cromatico ed enarmonico) costituì la base del sistema modale greco. Esso fu il gruppo fondamentale dal quale sorsero, dapprima, le tre scale in ottava, la dorica, la frigia e la lidia (con prevalenza della scala "nazionale" dorica) e poi le scale derivate, tra le quali ebbero maggiore importanza e durarono più a lungo, la ipodorica, la ipofrigia, la ipolidia e la missolidia (o iperdorica) con le quali, nell'epoca più luminosa della musica greca (cioè nei secoli VI e V a. C.) si portò a compimento il sistema modale ellenico formato di sette scale o modi, ognuno dei quali aveva per nota fondamentale uno dei sette suoni della scala diatonica.

Però, altre scale o modi, sorti e adoperati in maniera non sufficientemente conosciuta, oggi, e, in specie, una complessa teoria della trasposizione delle scale avevano dato, prima del sec. V e diedero, poi, nei secoli seguenti, alla modalità greca altri sviluppi ed altre forme. Di tali sviluppi e di tali forme non molto chiara è attualmente la conoscenza. Certo è, però, che nonostante la varietà dei modi e la sottigliezza delle trasposizioni, il vecchio tetracordo rimase la base di tutto il sistema. E tale rimase finché nei secoli primi dell'era nuova non apparvero nuove tendenze e altri sviluppi dai quali sorse la nuova modalità.

Bibl.: M. Meibom, Antiquae Musicae Auctores septem, Amsterdam 1652; V. Bellermann, Tonleiter und Musiknoten der Griechen, Berlino 1847; R. Westphal, Musik des griechischen Alterthums, 1883; F. A. Gevaert, Histoire et Théorie de la Musique de l'Antiquité, Gand 1875-81; id. e Vollgraff, Les Problèmes d'Aristote, Parigi 1903; L. Laloy, Aristoxène, Parigi 1904; Th. Reinach, La musique grecque, ivi 1926; E. Romagnoli, Nel regno di Orfeo, Bologna 1911.