The Hunchback of Notre Dame

Enciclopedia del Cinema (2004)

The Hunchback of Notre Dame

Antonio Faeti

(USA 1939, Notre Dame, bianco e nero, 115m); regia: William Dieterle; produzione: Pandro S. Berman per RKO; soggetto: dal romanzo Notre Dame de Paris di Victor Hugo; sceneggiatura: Sonya Levien, Bruno Frank; fotografia: Joseph H. August; montaggio: William Hamilton, Robert Wise; effetti speciali: Vernon L. Walker; scenografia: Van Nest Polglase, Al Herman; costumi: Walter Plunkett; coreografie: Ernst Matray, Maria Matray; musica: Alfred Newman.

Parigi 1482, nel regno del vecchio e saggio Luigi XI: all'ombra di Notre Dame la zingara Esmeralda accetta di sposare il poeta Gringoire per salvarlo dalle ire della Corte dei Miracoli. Su di lei, danzatrice libera e seducente nell'allegria d'un cencioso carnevale, ha messo gli occhi l'ambiguo ministro della giustizia Frollo, che tenta di farla rapire da Quasimodo, il solitario e deforme campanaro di Notre Dame. Mentre Esmeralda è liberata dal capo delle guardie Febo, che pure la ama, Quasimodo è esposto a pubblico ludibrio sulla piazza: solo la bella zingara, presa da pietà, gli porge un sorso d'acqua da bere. Ma l'ossessione di Frollo non si placa: per gelosia accusa Esmeralda dell'assassinio di Febo, pugnalato a morte, e la condanna all'impiccagione. Ormai preso da un assoluto, impossibile amore, Quasimodo le offre l'asilo inviolabile della cattedrale e si mostra pronto a dare la vita per lei. Ma infine, Esmeralda ormai salva, resterà solo, nella sua Notre Dame.

Si è presi da un irresistibile, anche oltranzista, gusto per il paradosso, quando si esamina con attenzione, pensando prima di tutto alla data, il 1939, il film di William Dieterle. Infatti l'opera è densa di riferimenti che si sono chiariti, diffusi, apprezzati molti anni dopo. Nell'accurata e minuziosa lettura di un carnevale sovvertitore e totalizzante, per esempio, si scorgono inevitabili echi dell'opera di Michail Bachtin, e non sono certo allusioni fuggevoli, perché i folli, i mendicanti, l'icona della Morte possiedono una pertinenza visiva molto in anticipo sulla vulgata bachtiniana che, negli anni Settanta, transiterà dal testo più famoso su Rabelais addirittura fino ai fumetti.

Il paradosso è peraltro irrinunciabile, anche perché, dalla piazza dove il ribaltamento carnevalesco è mostrato con sorprendente bravura, si transita presto a una stamperia dove un monarca avveniristico, degno dell'amicizia di Voltaire, sostiene che i libri saranno le cattedrali del futuro. E qui, fra l'altro, Dieterle compie uno dei pochissimi atti di devozione fedele nei confronti del libro di Hugo, stravolto e reinterpretato con una serena baldanza in tanti momenti. Si comprende subito, del resto, che a Dieterle non interessa una sterile filologia ma una densa e fruttuosa ermeneutica. Così la sua prorompente Corte dei Miracoli non rende per nulla omaggio allo scrittore francese, ma a Fritz Lang e al suo M: e anche questa è una bella avventura interpretativa, che consiste nel portare, con rigorosa coerenza, fino a una sorta di ultima deriva l'intuizione di Hugo. La Corte dei Miracoli era per Hugo il luogo di una vera, irriducibile separatezza, un altrove compatto e definito, dove il Qui non contava pù nulla, sommerso com'era dall'ovvietà e dall'inautenticità. Grande simbolo di una sotterranea fabula dell'Occidente, la Corte dei Miracoli di William Dieterle richiama anch'essa Bachtin: qui è tutto saldamente ribaltato, c'è un altro re, ma non è un monarca dell'immondizia, non è il sire del piagnisteo, è un robusto eroe del randello che concepisce trame e disegni con lucida consapevolezza politica.

Anche Maureen O'Hara, con quella sua irripetibile grazia ossimorica che oscilla tra gli estremi di una sensualità sorprendente e di una aurorale freschezza preraffaellita, riporta non certo al generico, e visivamente consolidato, immaginario 'delle zingare', ben nutrito di contributi dedotti dalla comic art o dal fotoromanzo, ma a un territorio autonomo delle finzioni. Intrisa come è anche di un suo primigenio profetismo, questa Esmeralda creata da Dieterle (che qui potrebbe rivendicare il suo vero nome: Dieterle, certo, ma Wilhelm…) suggerisce di rammentare Isabella, zingara eroina di una delle più belle fiabe del romanticismo tedesco, miracolo narrativo del sommo Achim von Arnim.

Sono germaniche, anche se di un diverso secolo, quello dell'espressionismo, anche le radici teratologiche del sorprendente Quasimodo di questo film. Charles Laughton mostra una colta devozione, nei confronti del personaggio di Hugo: nella dichiarazione finale (che non appartiene al grande Victor) il mostro esprime quasi una 'dichiarazione di poetica' quando dice che vorrebbe essere di pietra anche lui. Ma è ben carnale, sofferto, intenso, imprendibile proprio quando propone il tema violento e affascinante di ogni teratologia degli umani: il diritto all'Eros, non quello metaforico delle dame di ogni piccola carità, quello sostanzioso e dettagliato di un libertinismo totalizzante che non esclude più nessuno. In questo senso, peraltro, il grande sacrificato, l'unico, del film nei confronti del romanzo, è proprio Claude Frollo: il devastante Hugo ne aveva fatto un eroe sadiano irresistibile, Dieterle quasi lo occulta, per ragioni evidenti e profonde. Infatti, in tutto il film circola un curioso spirito rooseveltiano che dimostra come Dieterle sia lontanissimo da Huizinga e dal suo fascinoso concetto di "autunno del medioevo". No, qui incombe davvero la primavera del rinascimento: ci si può ribellare, si può vincere, si combatte, si perviene a precisi risultati.

Il gobbo Quasimodo resta escluso, con la sua maschera che cita Arcimboldo e accarezza Aldrovandi. Ma non è escluso dalla vera poetica complessiva e dominante del film, anzi. La miglior lettura di tutto Hugo è quella del suo critico più audace, Victor Brombert, che lo ha studiato come visionario nel saggio Victor Hugo and the Visionary Novel. E Dieterle anticipa sorprendentemente questa cifra di lettura: ombre, contrasti, maschere, folle che si dispongono geometricamente, giudici tremendamente neri, la giustizia intrisa di tortura fino a fissarsi sulla gogna con minuziosa, iperrealistica attenzione. Davvero un omaggio preveggente alla forza ermeneutica del professor Brombert, ma anche al popolo dei lettori di Hugo, che amavano le sue gotiche intemperanze, che ne gustavano il noir spavaldo e la teratologia non catturabile.

Interpreti e personaggi: Charles Laughton (Quasimodo), Maureen O'Hara (Esmeralda), Cedric Hardwicke (Frollo), Thomas Mitchell (Clopin), Edmond O'Brien (Gringoire), Alan Marshall (Febo), Walter Hampden (arcidiacono), Katharine Alexander (Madame de Lys), George Zucco (procuratore), Harry Davenport (Luigi XI), Fritz Leiber (nobile anziano), Étienne Girardot (medico del re), Helene Whitney (Fleur de Lys), Arthur Ohl (Olivier), Minna Gombell (regina dei mendicanti), Rod La Roque (Philippe), Curt Bois (studente), Spencer Charters (impiegato del tribunale).

Bibliografia

Anonimo, The Hunchback of Notre Dame, in "Variety", December 20, 1939.

R.E. Morsberger, The Hunchback of Notre Dame, in Magill's Survey of cinema, 2° vol., a cura di F.N. Magill, Englewood Cliffs (NJ) 1980.

M. Mierendoff, William Dieterle. Der Plutarch von Hollywood, Berlin 1993.

H. Dumont, William Dieterle. Antifascismo y compromiso romántico, San Sebastian 1994.

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