The Killers

Enciclopedia del Cinema (2004)

The Killers

Claudio G. Fava

(USA 1946, I gangsters, bianco e nero, 105m); regia: Robert Siodmak; produzione: Mark Hellinger per Universal; soggetto: dall'omonimo racconto di Ernest Hemingway; sceneggiatura: Anthony Veiller; fotografia: Woody Bredell; montaggio: Arthur Hilton; scenografia: Jack Otterson, Martin Obzina; costumi: Vera West; musica: Miklos Rozsa.

Al e Max, due minacciosi uomini di mezza età, percorrono di sera le strade vuote di una cittadina del New Jersey, Brentwood, entrano in una cafeteria, terrorizzano il proprietario, il cuoco nero e un giovane cliente, Nick: cercano un frequentatore abituale, Ole Anderson detto 'lo svedese', collega di lavoro di Nick in un distributore di benzina. Quando il giovane si libera corre a casa dello 'svedese', per avvisarlo della terribile minaccia che lo aspetta. Ma 'lo svedese', sdraiato sul letto, non vuole muoversi: "Ho commesso un errore, una volta" dice a Nick e lascia che i due killer lo abbattano con otto colpi di rivoltella. Parte un'inchiesta, abilmente condotta da Jim Reardon, investigatore di una compagnia di assicurazioni, che vuole capire perché quest'uomo ancor giovane si sia lasciato uccidere senza opporre resistenza e perché abbia legato una polizza di 2.500 dollari a una donna che lo ricorda a malapena. Si tratta in effetti della cameriera di un albergo di Atlantic City che ha impedito allo 'svedese' di uccidersi quando questi aveva appreso come l'infida e bellissima Kitty Collins ‒ per cui aveva sacrificato tutto, era andato in galera e aveva partecipato a una arrischiata rapina da mezzo milione di dollari ‒ in realtà si fosse sempre presa gioco di lui. L'inchiesta di Reardon è anche il gomitolo da cui si dipanano i flashback della vita e della morte dello 'svedese': pugilatore irrimediabilmente ferito ad una mano, si lascia sedurre dal mondo della malavita, si assume la colpa di un furto compiuto da Kitty e costringe così il suo amico d'infanzia Sam Lubinsky, divenuto tenente di polizia, ad arrestarlo; accetta poi di prender parte alla rapina organizzata da un duro malavitoso, 'Big Jim' Colfax, ai danni di una grande azienda, senza rendersi conto che 'Big Jim', da sempre amante e dominatore di Kitty, ha calcolato tutto per indurlo a credere di essere stato ingannato dai compagni nella divisione del bottino, in modo che lui si impadronisca dell'intera somma e Kitty possa poi tranquillamente derubarlo e andarsene con lo stesso 'Big Jim'. Le indagini di Reardon e Lubinsky li porteranno ad uccidere Al e Max e a ferire gravemente 'Big Jim'. Mentre questi agonizza Kitty lo supplica di prendersi lui tutte le colpe per scagionarla ancora una volta, ma un poliziotto le intima di non chiedere una menzogna a un uomo che sta morendo.

Quello che colpisce immediatamente, in un film che si scrolla di dosso sin dalla prima inquadratura i suoi sessant'anni di vita e appare parimenti antico e giovanissimo, è proprio l'estrema modernità, la complessità e al tempo stesso la logica semplicità nella costruzione della sceneggiatura, tutta inventata prendendo l'avvio dall'affascinante ma minimo spunto iniziale offerto dalla novella di Hemingway. Si dice che oltre allo sceneggiatore accreditato, Anthony Veiller, ben due personaggi importanti, senza essere poi menzionati, abbiano contribuito al testo: Richard Brooks e soprattutto John Huston. Questi sembrerebbe aver svolto gran parte del lavoro. In effetti l'incastro flessibile e scorrevole dei flashback all'antica costituisce tuttora una delle tante fascinazioni di un film che ripropone i vezzi e le eleganze di un periodo di straordinaria vivezza del cinema americano postbellico e in particolare di quello animato da Mark Hellinger e da Robert Siodmak. Hellinger ispirò proprio Richard Brooks per il suo romanzo The Producer e passò come una meteora dal giornalismo a Broadway e a Hollywood, scrivendo e soprattutto (da associato o in prima persona) producendo film, fra cui gialli di grande risalto. Dal canto suo Siodmak può vantare una di quelle inarrivabili bio-filmografie tipiche di tutti i grandi ebrei tedeschi rivelatisi nel primo dopoguerra: una fama già assicurata in Germania, con almeno otto film fra cui il fondamentale Menschen am Sonntag, poi la Francia (altri otto film firmati) e infine gli Stati Uniti. Qui in un breve soggiorno, una decina di anni (poi tornò in Europa: molti film ma scarsi esiti) nei quali riuscì a dirigere addirittura una ventina di film e soprattutto a inserirsi in modo determinante nella storia del noir americano. In particolare dal 1944 al 1949 oltre a The Killers diresse Phantom Lady (La donna fantasma, 1944), The Suspect (Quinto: non ammazzare, 1944), The Spiral Staircase (La scala a chiocciola, 1946), The Dark Mirror (Lo specchio scuro, 1946), Cry of the City (L'urlo della città, 1948), Criss Cross (Doppio gioco, 1949): un risultato eccezionale in un momento di fortuna ma anche di felicità creativa senza eguali. In The Killers in particolare si avverte a ogni inquadratura ‒ il secco bianco e nero d'epoca è ancor oggi una festa del cuore ‒ la felicità della cosa ben riuscita e magicamente di-sposta al meglio, grazie a una intensità che pervade tutti gli attori, anche i mediocri. E che rifulge nei bravi: caratterista di spicco, il sempre sottovalutato Sam Levene ha tocchi di grande autenticità; Edmond O'Brien possiede il piglio persuasivo dei divi americani di serie B, una specie eccezionale e ormai scomparsa (ricevette anche un Oscar, per The Barefoot ContessaLa contessa scalza, Joseph L. Mankiewicz 1954); William Conrad e Jack Lambert vantano le doti tipiche dei vilains torvi di un tempo. E poi ci sono i due protagonisti. L'una, Ava Gardner, aveva già lavorato in una ventina di film, ma era più nota per la bellezza sensuale, l'accento del Sud e i mariti con divorzio incorporato a breve (Mickey Rooney, Artie Shaw, di lì a poco Frank Sinatra) che per il reale talento. Qui è invece impossibile non cogliere la sua esplosiva qualità divistica, la fredda e calda intensità del suo entrare in scena e del suo gioco seduttivo. L'altro era un esordiente: tutta una generazione ricorda la scritta iniziale "...e per la prima volta sullo schermo, nella parte dello 'svedese', Burt Lancaster…". Un esordio clamoroso per freddezza di stile e per sintonia con il tema e il personaggio: a trentatré anni l'ex acrobata da circo scopre, e ci fa scoprire, di essere una stella, e continuerà a esserlo per più di mezzo secolo.

Il fascino del film è tale che nel 1964 un altro grande regista, Don Siegel, trasse ispirazione dallo stesso racconto di Hemingway per il suo The Killers (Contratto per uccidere), con John Cassavetes, Lee Marvin, Angie Dickinson e Ronald Reagan nella sua unica parte di vilain. L'unica, e l'ultima, perché poi divenne veramente un divo, lui quasi sempre comprimario, come Presidente degli Stati Uniti d'America.

Intepreti e personaggi: Burt Lancaster (Ole Anderson, lo svedese), Ava Gardner (Kitty Collins), Edmond O'Brien (Jim Reardon), Albert Dekker ('Big Jim' Colfax), Sam Levene (tenente Sam Lubinsky), Virginia Christine (Lilly Harmon Lubinsky), William Conrad (Max), Charles McGraw (Al), Vince Barnett (Charleston), Jack Lambert (Dum-Dum), Charles D. Brown (Packy Robinson), Donald MacBride (R.S. Canyon), Phil Brown (Nick Adams), Queenie Smith (Queenie), Garry Owen (Joe), Jeff Corey (Blinky), Harry Hayden (George), Bill Walker (Sam), John Berkes (Mr. Plunther).

Bibliografia

A. Jameson, Le style gérmanique à Hollywood, in "La revue du cinéma", n. 6, printemps 1947.

R. Barjavel, Les tueurs, in "L'écran français", 6 mai 1947.

S.M. Kaminsky, American film genres, New York 1977 (trad. it. Parma 1994).

S. Shadoian, Dreams and dead ends. The American Gangster/Crime Film, Cambridge (MA)-London 1977 (trad. it. Bari 1980).

S. Jenkins, The Killers, in "Monthly film bulletin", n. 573, October 1981.

G. Fink, Come uccidere uno svedese, in Hemingway al cinema, Lignano 1984.

S. Selby, Dark City. The Film Noir, Jefferson (NC)-London 1984.

E. Dagrada, Robert Siodmak, Firenze 1988.

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