The Long Goodbye

Enciclopedia del Cinema (2004)

The Long Goodbye

Franco La Polla

(USA 1972, 1973, Il lungo addio, colore, 112m); regia: Robert Altman; produzione: Jerry Bick per Lion's Gate/United Artists; soggetto: dall'omonimo romanzo di Raymond Chandler; sceneggiatura: Leigh Brackett; fotografia: Vilmos Zsigmond; montaggio: Lou Lombardo; costumi: Kent James, Marjorie Wahl; musica: John Williams.

Il detective privato Marlowe aiuta l'amico Terry Lennox, incolpato dell'assassinio della moglie Sylvia, a fuggire in Messico. Sulle tracce di Lennox però non è solo la polizia: lo cerca anche il gangster psicopatico Augustine, cui sembrerebbe Lennox abbia rubato un'ingente somma di denaro. Dal Messico giunge notizia del suicidio di Lennox, accompagnato da una lettera di confessione. Marlowe, che nutre sospetti, conduce un'indagine personale. Di altre ricerche lo incarica Eileen, la moglie del famoso scrittore Roger Wade, il quale sembra ammansirsi solo davanti a un ambiguo medico, il dottor Verringer, che a tratti lo tiene in cura nella sua clinica. Wade si suicida in mare; la moglie rivela che è stato lui a uccidere Sylvia Lennox, con la quale aveva una relazione. Marlowe, che aveva temuto una congiura ai danni dell'amico, ben presto deve rendersi conto che tutte le accuse nei suoi confronti sono vere e che è stato ingannato: Terry non è morto, ha veramente assassinato Sylvia d'accordo con Eileen Wade, sua amante. Investito da una macchina, Marlowe si rimette in piedi e si reca in Messico dove, ritrovato Lennox, lo uccide.

Gli anni Settanta sono i più prolifici e innovativi dell'intero cinema altmaniano, che si appunta su una profonda revisione dei generi classici hollywoodiani. Qui è di scena il noir, e come al solito del tutto riveduto e corretto: Marlowe non è il tagliente scettico alla Bogart, ma un irridente bonaccione pieno di humour. La storia chandleriana viene completamente ribaltata, non tanto nelle sue linee di fondo quanto nello spirito di luoghi, personaggi e atmosfere, che sotto la mano del regista diventano continue allusioni al cinema americano del passato (v'è persino chi si diletta di imitazioni d'attori: John Wayne, Walter Brennan, ecc.). Pure, l'assunto è molto serio: il tradimento dell'amicizia e il suo castigo (che in Chandler non figurava). Tutta l'azione parte e si sviluppa dal presupposto, testardamente enunciato a più riprese dal protagonista, che Lennox non sia colpevole. Va da sé che la scoperta della sua colpevolezza getta un'ombra durissima sui sentimenti di Marlowe e sull'intero film. In mezzo sta l'affresco losangelino di una società stupida e corrotta, della quale Lennox è soltanto la punta dell'iceberg.

Ma seguire il film in questi termini significa perdere la metà di quanto esso ha da offrire sul versante visivo e aurale. La musica di John Williams si incentra su un solo tema ripetuto alla nausea in cento diversi stili (dalla banda mortuaria messicana al campanello di casa), la fotografia di Vilmos Zsigmond opera meraviglie con un obiettivo che riesce regolarmente a render conto dei riflessi su superfici di vetro (celebre la sequenza in casa dei Wade mentre la coppia litiga in riva all'oceano e Marlowe li guarda dall'interno). La simbologia è vorticosa: Marlowe vive isolato in una sorta di torre con uniche vicine alcune ragazze hippy sempre discinte; l'inganno da lui perpetrato ai danni del suo gatto configura quello di Lennox nei suoi confronti; in ospedale il detective si incontra con una sorta di suo doppio fasciato lungo tutto il corpo (e dunque irriconoscibile), che gli dona l'armonica a bocca che Marlowe suonerà alla fine, dopo avere ucciso Lennox, avviandosi lungo un viale deserto che prende immediatamente vita mentre il quadro viene inondato dalla musica di Hooray for Hollywood!

Insomma, la storia noir di Robert Altman (peraltro trattata in modo ben poco noir) è soltanto il pretesto per una trenodia sulla città americana del cinema. In The Long Goodbye il regista ha messo, sì, i soliti ingredienti della detective story (il gangster, il personaggio misterioso e ambiguo, lo scrittore, la donna fatale e via dicendo), ma vi ha messo anche e soprattutto ciò che Hollywood è stata per l'immaginario americano e planetario, un mondo di cliché al quale sfugge solo lui, Philip Marlowe, extraterrestre che sembra vivere nell'iperspazio, che non gioca al gioco degli altri, che se ne infischia di chi vince e chi perde, di chi comanda e chi obbedisce ("È ok per me" è il leit-motiv dell'intero film) ma che ha trovato in pochi, pochissimi valori l'unico sostegno che gli permette di portare avanti questa sua scelta di vita. Ecco perché, a differenza del Marlowe chandleriano, egli giustizia Lennox una volta scoperto il suo tradimento: questi non ha solo ucciso selvaggiamente la moglie, che peraltro tradiva con Eileen Wade, non solo ha derubato Augustine, ma ha insultato un principio di vita, un credo sul quale Marlowe ha basato l'intera sua esistenza.

Altman opera qui su diversi piani, come del resto è suo costume nel decennio in questione (da M*A*S*H* ‒ M.A.S.H., 1970, a McCabe and Mrs. Miller ‒ I compari, 1971, da Thieves Like Us ‒ Gang, 1974, a California Split ‒ California Poker, 1974). Il suo impegno non è semplicemente quello di raccontare vecchi generi cinematografici hollywoodiani in modi nuovi, ma quello di rivedere sistematicamente ogni livello poietico alterandolo sino al punto da rivoluzionare i modi stessi della percezione spettatoriale. Il suo fine: non, come in troppi hanno detto, rinnovare il cinema americano, ma decostruirlo in modo da farci comprendere come esso sia ormai finito, concluso e come, quindi, soltanto la ricerca e la sperimentazione ‒ anche e soprattutto a Hollywood ‒ possano permetterci di pensare a un futuro.

Interpreti e personaggi: Elliott Gould (Philip Marlowe), Nina van Pallandt (Eileen Wade), Sterling Hayden (Roger Wade), Mark Rydell (Marty Augustine), Henry Gibson (Dr. Verringer), David Arkin (Harry), Jim Bouton (Terry Lennox), Warren Berlinger (Morgan), Jo Ann Brody (Jo Ann Eggenweiler), Pepe Callahan (Pepe), Arnold Schwarzenegger (guardia del corpo di Augustine), Jack Knight, Vince Palmieri (gangster), Rutanya Alda (Rutanya Sweet), Tammy Shaw (vicina di Marlowe), Jack Riley (pianista), Ken Sansom (portiere del condominio Colony), Danny Goldman (barista), Sybil Scotford (agente immobiliare), Steve Coit (detective Farmer), Jerry Jones (detective Green), David Carradine (carcerato), Tracy Harris, Rodney Moss, Kate Murtagh, Enrique Lucero.

Bibliografia

R. Benayoun, La clé des champs de Bob Altman, in "Positif", n. 155, janvier 1974.

L. Brackett, From 'The Big Sleep' to 'The Long Goodbye' and more or less how we got there, in "Take One", n. 1, January 1974.

J.M. Sabatier, Le privé, in "La revue du cinéma", n. 281, février 1974.

G. Stewart, 'The Long Goodbye' from 'Chinatown', in "Film quarterly", n. 2, Winter 1974/75.

M. Tarantino, Movement as metaphor: 'The Long Goodbye', in "Sight & Sound", n. 2, Spring 1975.

B. Oliver, 'The Long Goodbye' and 'Chinatown': debunking the private eye tradition, in "Literature/Film quarterly", n. 3, Summer 1975.

E. Magrelli, Robert Altman, Firenze 1977.

J.-L. Bourget, Robert Altman, Paris 1981.

N. Kagan, American Skeptic: Robert Altman's genre-commentary films, Ann Arbor 1982.

G. Fink, I film di Robert Altman, Roma 1982.

H. Keyssar, Robert Altman's America, New York-Oxford 1991.

E. Martini, Il lungo addio. L'America di Robert Altman, Torino 2000.

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