The Party

Enciclopedia del Cinema (2004)

The Party

Andrea Meneghelli

(USA 1968, Hollywood Party, colore, 99m); regia: Blake Edwards; produzione: Blake Edwards per Mirisch/Geoffrey; soggetto: Blake Edwards; sceneggiatura: Blake Edwards, Tom Waldman, Frank Waldman; fotografia: Lucien Ballard; montaggio: Ralph E. Winters; scenografia: Fernando Carrère; costumi: Jack Bear; musica: Henry Mancini.

Sul set del film Son of Gunga Din, la comparsa indostana Hrundi V. Bakshi causa una serie di incidenti che culmina nell'esplosione di un fortino. Il direttore di produzione C.S. Divot ottiene dal produttore Fred Clutterbuck l'assicurazione che quel tizio non lavorerà più nel cinema. Ma per errore il suo nome finisce nella lista di un affollato party esclusivo, organizzato da Clutterbuck e signora nella loro villa. Hrundi si presenta alla festa con un sorriso a pieni denti ma fatica a trovare compagnia e, suo malgrado, è l'artefice di qualche contrattempo indesiderato. Alla festa partecipa anche Divot, in compagnia di un'attrice di belle speranze, Michèle. L'indostano è astemio, al contrario di un cameriere che presto si sbronza e contribuisce a sabotare la serata. Dopo essere finito in piscina, Hrundi è costretto a bere suo malgrado un drink che lo aiuta a entrare in confidenza con Michèle, reduce dalle avances inopportune di Divot. L'arrivo alla festa della figlia dei Clutterbuck, con un gruppo di amici vivaci e un elefantino al seguito, è la goccia che trasforma il party in una festa danzante tra la schiuma, per la gioia di Hrundi e Michèle. Hrundi infine accompagna la ragazza a casa, ed è probabile che i due si rivedranno.

The Party dispensa una raffica di gag che possono agevolmente comparire ai vertici di un'ideale antologia del cinema comico di tutti i tempi, a dispetto dell'insuccesso che lo accolse all'uscita. Ecco per esempio Peter Sellers osservare un quadro comandi tempestato di tasti misteriosi e non resistere alla tentazione di azionarne qualcuno, imprimendo alla festa fino ad allora perfetta i primi segni di un disfacimento inesorabile. Perché un indostano invitato per sbaglio, che più di tutto tiene a fare bella figura, deve sentire un bisogno tanto impellente quanto rischioso? Si accavallano in questo gesto curiosità, incoscienza, goffaggine, sottile spirito anarchico, candore infantile, passione per il gioco: gli ingredienti ben assortiti di una miscela che scorre lungo tutto il film. Aggiungiamovi anche il gusto per l'improvvisazione, quella che prende impulso da una prova eseguita per vedere cosa succede se… Questa è anche la scommessa poetica da cui The Party prende le mosse, con appena un canovaccio di qualche paginetta pronto prima delle riprese, da portare sul set per vedere come reagisce agli estri d'attore e alle sollecitazioni del qui e ora. È sorprendente verificare come un film tanto improvvisato prenda infine le forme di un congegno perfettamente compatto, dove le tantissime cose che succedono trovano il loro posto nell'insieme con invidiabile puntualità, riempiendo lo schermo in primo piano e su uno sfondo che l'occhio dello spettatore può sempre esplorare con profitto.

Il primo passo di Peter Sellers nella villa festante è già un tassello carico di presagi, il primo ingranaggio di una gigantesca ruota della sfortuna che girerà fino ad aprire le cateratte: sulle sue scarpe bianche fa sfoggio di sé una macchia di bitume, in cui si addensano il disagio del personaggio e, forse, la sua vocazione allo sberleffo. Dopo essersi guardato la scarpa insozzata, Sellers immerge la propria cravatta nella piscina, altro segno squisitamente anticipatore di un bagno che infine coinvolgerà tutti i convitati e in cui sguazzeranno ilari solo i puri di spirito, in un girotondo nella schiuma che a qualcuno è parso un omaggio alla battaglia tra le piume dei cuscini in Zéro de conduite. Dallo Chagall che piomba nello sciacquone al pavimento che sfugge sotto i piedi degli ospiti e li lascia precipitare in piscina, The Party è un film d'acqua, in aperto contrasto con la secchezza desertica del suo prologo. Nel bagno di schiuma che corona la serata, qualcuno ha inteso il segno visibile di una felice eiaculazione, liberata dai tabù.

Il film si è ben prestato a varie letture socio-politiche, che insistono sulla riscossa dell'umile, semplice, disa-dattato, diverso, straniero. Certo, una rivoluzione in chiave soft che si conclude a bolle di sapone, e dove il segno più concreto del Sessantotto lo troviamo scritto a tempera sulla pelle dell'elefantino. Del resto, a questa ricca congrega all'apparenza così forte e coesa nei suoi rituali, basta un niente per scoprirsi debole e impresentabile: uno spruzzo d'acqua e già scoppia l'isteria, il panico di un vestito inzuppato o di una messa in piega andata a catafascio. Poiché siamo a casa di un produttore, c'è chi ha inteso The Party come una sonora pernacchia verso la fabbrica dei sogni cinematografici: l'esplosione del prologo, dove Sellers fa saltare in aria un intero fortino per allacciarsi un sandalo (sublime sproporzione nella linea tra causa ed effetto), sarebbe dunque il gesto che riduce in calcinacci l'edificio hollywoodiano. Quando Blake Edwards tornerà sull'argomento (S.O.B., 1981), sarà parecchio più esplicito, rancoroso, nero pece. Se oggi lo slancio protestatario può apparire smorzato, The Party sviscera ancora, meglio di qualsiasi altro film, la tragedia e la complessità di un sentimento importante: l'imbarazzo. È una forma di disagio che nasce dal timore e dalla consapevolezza di essere messi a nudo dallo sguardo altrui, ancor più devastante per uno che, come Hrundi, amerebbe fare del cinema, o almeno della televisione. Tra i momenti più esemplari di questa condizione, c'è il crudele e irresistibile contrasto tra Claudine Longet che canta l'esangue Nothing to Lose e Sellers che in secondo piano si contorce in penose posture: e non si tratta, come qualche ospite è portato a sospettare, di un'inconsulta manifestazione d'estasi, ma di una pipì impossibile da trattenere. Impietosa, la macchina da presa sta a guardare. In quanto focolare privilegiato dell'imbarazzo e vettore che innesca la 'rivolta', Sellers è costantemente sotto la lente dell'obiettivo, affrontata con una prova maiuscola che sposa cartoonismo e umanità. Eppure The Party è un film corale, dove nessuno fa da tappezzeria: su tutti il padrone di casa J. Edward McKinley, etichettato come artefice dello slow burn più lento del cinema comico; e l'etilico cameriere Steve Franken, che per molti versi rispecchia la tragedia e il trionfo dell'ospite indostano.

Interpreti e personaggi: Peter Sellers (Hrundi V. Bakshi), Claudine Longet (Michèle Monet), Marge Champion (Rosalind Dunphy), Sharron Kimberly (principessa Helena), Denny Miller (Wyoming Bill Kelso), Gavin MacLeod (C.S. Divot), Buddy Lester (Davey Kane), Steve Franken (Levinson), Corinne Cole (Janice Kane), J. Edward McKinley (Fred Clutterbuck), Fay McKenzie (Alice Clutterbuck), Kathe Green (Molly Clutterbuck).

Bibliografia

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G. Turroni, Hollywood Party, in "Filmcritica", n. 199, luglio-agosto 1969.

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G. Legrand, Cette nuit ou jamais, in "Positif", n. 347, janvier 1990.

M. Cerisuelo, J.-L. Leutrat, S. Liandrat-Guigues, Parlez-vous hindoustani?, in "Positif", n. 375-376, mai 1992.

A. Pezzotta, L'arte di sabotare il set, in Blake Edwards: l'occhio composto, a cura di E. Bruno, Recco 1997.

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