Tideo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Tideo

Clara Kraus

Figlio di Eneo, re di Calidone, e padre di Diomede, fu uno dei sette principi che intrapresero la mitica spedizione contro Tebe, per appoggiare Polinice nel tentativo di rivendicare il suo diritto al trono tebano, occupato dal fratello Eteocle.

II suo incontro con Polinice era avvenuto alla corte di Adrasto, re di Argo, al quale T. si era rivolto per essere purificato, secondo il costume antico, della colpa di un omicidio commesso, che lo aveva costretto ad abbandonare Calidone.

Al momento in cui T. e Polinice si presentano insieme al re si riferisce la menzione dei due personaggi in Cv IV XXV 6. Ispirandosi all'elaborazione del mito quale si legge nella Tebaide di Stazio, e dichiarata la propria fonte (E però dice Stazio, lo dolce poeta, nel primo de la Tebana Istoria [= Theb. I 395 ss., 482 ss.]), D. riporta un episodio il cui protagonista è Adrasto: visto Polinice coperto di una pelle di leone e Tideo coverto d'un cuoio di porco selvatico, il re si ricorda del responso di Apollo secondo il quale le sue due figlie, Argia e Deifile (v.), avrebbero sposato un leone e un cinghiale e provoca quindi l'incontro delle due fanciulle con i rispettivi futuri sposi (Cv IV XXV 8, dove ricorre di nuovo il nome di Tideo).

Per il significato annesso allo stupore di Adrasto, colpito alla vista dei due giovani, e al pudore delle due fanciulle, come esempi delle due passioni cui assieme alla verecundia dà luogo la vergogna, v. ADRASTO.

Al momento conclusivo del mito di T. s'ispira invece l'episodio rievocato per definire con un paragone l'atteggiamento del conte Ugolino chino sopra il teschio dell'arcivescovo Ruggieri e intento a roderlo, nella seconda zona di Cocito: If XXXII 130 non altrimenti Tidëo si rose / le tempie a Menalippo per disdegno. Ancora una volta la fonte è Stazio, che racconta come T., ferito a morte dal tebano Melanippo (v.), riuscisse tuttavia a uccidere il proprio feritore e chiedesse ai compagni di portargliene il capo; avutolo da Capaneo, pur moribondo com'era, prese a morderlo ferocemente (Theb. VIII 750 ss.).

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