TIMARCHOS

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

TIMARCHOS (Τίμαρχος, Timarchus)

P. Moreno

1°. - Figlio di Prassitele, ateniese, scultore attivo tra il IV ed il III sec. a. C.

Plinio ne pone l'acmé alla cxxi Olimpiade (296-293 a. C.) insieme a quella del fratello Kephisodotos, che però doveva essere maggiore di anni e di più larga fama (Nat. hist., xxxiv, 51). Le fonti letterarie ed epigrafiche attestano la collaborazione tra i due: ma se di Kephisodotos si ha notizia di almeno una decina di opere eseguite da solo o con scultori diversi dal fratello, di T. non si conserva che una tarda iscrizione romana che lo ricordi solo.

Tra le opere eseguite in comune dai due erano, oltre ad alcune semplici statue onorarie a Megara (I. G., vii, 54), anche altre di notevole impegno, come la statua di Enyò nel tempio di Ares all'Agorà di Atene, un altare in bronzo presso la casa di Cadmo a Tebe, ed un altro forse simile con statue in marmo dedicato da Euthias figlio di Praxon nell'Asklepieion di Coo. Quest'ultimo si può forse identificare con l'altare sulla terrazza mediana del santuario (v. kephisodotos, 2°), ma è noto soprattutto da un mimo di Eronda, dove si ha l'impressione che si parli dei figli di Prassitele come di persone ancora viventi: il che sarebbe un elemento cronologico di notevole interesse, se la data del poema è attorno al 275 a. C. (Herond., iv, 20-25). Oltre alla tecnica del bronzo ed alla scultura in marmo, T. avrebbe anche praticato la scultura in legno nei ritratti dell'oratore Licurgo e dei tre figli che erano all'interno dell'Eretteo; di questi si ha solo notizia dalle fonti letterarie, ma presso l'Eretteo si è rinvenuta la base di una statua di sacerdotessa di Atena Poliàs, firmata dai figli di Prassitele (I. G., 11°, 3455). La sola opera, di quelle dovute alla collaborazione con Kephisodotos, di cui si abbia una soddisfacente ricostruzione è infine il Menandro (v.), di cui si è trovata la base con le firme degli artisti nel teatro di Dioniso ad Atene, nel posto in cui la descriveva Pausania senza peraltro ricordarne gli autori (Paus., i, 21, 1; Dio Chrys., xxxi, 346): non è certo se la vivacità ed il colorismo del Menandro a noi noto siano da riferire integralmente all'originale o non anche ad una più tarda redazione, tuttavia l'ipotesi che T. con Kephisodotos abbiano portato molto avanti le ricerche cromatiche di Prassitele arricchendole di interessi veristici di contenuto drammatico, sarebbe confermata dall'attribuzione dei frammenti dell'Asklepieion di Coo (v. kephisodotos, 2°).

Nulla invece si può dire dell'unica opera presumibilmente firmata dal solo T., portata a Roma nel Foro, dove, nell'area della colonna di Foca, si conserva l'iscrizione frammentaria: (op)us Timarchi (C.I.L., vi, 2, 10042).

Bibl.: v. kephisodotos, 2°; menandro; inoltre: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 1333; E. Löwy, I. G. B., n. 108, 109, 110, 491; H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, I, Stoccarda 1879, p. 393; H. Fuhrmann, Philoxenos, Gottinga 1931, p. 271 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 1238, s. v., n. 12; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXIII, 1939, p. 176; J. Marcadé, Rec. des signatures de sculpteurs grecs, I, Parigi 1953, pp. 57; 107.

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