Tintoretto

Enciclopedia Dantesca (1970)

Tintoretto (Iacopo Robusti)

Maria Donati Barcellona

Pittore (Venezia 1518/1519 - ivi 1549), allievo di Tiziano, fu attento anche alle sollecitazioni che giungevano a Venezia dai maestri dell'Italia centrale e segnatamente da Michelangelo e dai manieristi toscani ed emiliani. Spirito inquieto, trovò nella luce il mezzo espressivo per eccellenza: e infatti la luce - intesa in chiave luministica - è, più del colore, protagonista dei suoi dipinti, dalla giovanile Ultima cena per San Marcuola a Venezia alle sue ultime tele dipinte per San Giorgio Maggiore: Ultima Cena e Caduta della Manna.

Tra le opere della maturità è noto il Paradiso nella Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale.

È molto probabile che la prima idea per questo dipinto fosse un'Incoronazione della Vergine se, come quasi unanimemente la critica ritiene, è da ricollegarvi il bozzetto di tale soggetto conservato al museo del Louvre, che il Coletti avvicina invece, per concezione compositiva e per stile, al Giudizio Universale in Santa Maria dell'Orto (Venezia 1560 circa), o meglio alla parte superiore del grande quadro nel quale sono evidenti le affinità con il Paradiso, di cui costituirebbe un precedente. Lo studioso data quindi anche il bozzetto al 1560. È tuttavia più attendibile che l'esecuzione sia da spostare a un momento posteriore all'incendio che nel 1577 distrusse quasi completamente l'Incoronazione della Vergine affrescata dal Guariento nella Sala del Maggior Consiglio (1365): al momento cioè in cui il T. aspirava a esser chiamato a sostituire il dipinto perduto e al quale sono databili altri abbozzi e il disegno per un mosaico di uguale soggetto per la basilica di San Marco (M. Salinger).

Il T. ottenne l'incarico solo nel 1588, dopo la morte di Paolo Veronese, il quale lo aveva preceduto in questo compito assieme a Francesco Bassano; ma intanto all'idea iniziale si era sostituita, secondo alcuni studiosi, quella della Gloria del Paradiso. Nella nuova e definitiva versione rimase invariato l'impianto compositivo, mentre sembra accentuarsi e farsi più palese l'accostamento a Dante. " Non si può non pensare alla mistica rosa della Milizia santa, al miro gurge e alle faville vive delle anime beate " afferma il Coletti, seguito da altri critici. E, a loro giudizio, il richiamo a D. non si evidenzia soltanto nella composizione a grandi centri concentrici di beati (la stessa del bozzetto del Louvre, anche se in questo un colore più limpido e una luce più calma danno un senso di più pacata serenità) o nella figura della Vergine coronata di dodici stelle, quanto, piuttosto, nella luce che crescendo d'intensità, mentre dilata all'infinito lo spazio, rende sempre più diafani i corpi fino alla massima esaltazione nelle figure del Cristo e della Vergine, conclusione e insieme fonte della luce stessa.

Il de Tolnay interpreta invece il dipinto come un Giudizio Universale nel quale il Cristo Giudice, che veste il ‛ corruccio ' (tipo di manto indossato dal doge per le cerimonie del venerdì santo) ed è affiancato dall'arcangelo Michele reggente la spada e la bilancia - simboli della giustizia -, sarebbe visto come un " Doge celeste che deve ispirare il Doge terrestre nell'atto di amministrare la giustizia e di legiferare "; si stabilisce in tal modo un legame tra la scena raffigurata e i compiti cui erano chiamati doge e Gran Consiglio.

Bibl. - L. Coletti, Il T., Bergamo 1941³, 29, 42 (con bibl.); H. Tietze, Bozzetti di I.T., in " Arte Veneta " V (1951) 61; M. Salinger, T., Milano 1961, 36; C. de Tolnay, Il Paradiso del T. - Note sulla interpretazione della tela in Palazzo Ducale, in " Arte Veneta " XXIV (1970) 103-110.

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