TIRSO de MOLINA

Enciclopedia Italiana (1937)

TIRSO de MOLINA

Salvatore Battaglia

. Drammaturgo spagnolo, nato a Madrid nell'ottobre del 1571, morto nel Convento di Soria il 12 marzo 1648. Il suo vero nome è Gabriel Téllez, a cui il poeta preferiva lo pseudonimo T. de M., col quale doveva rimanere celebre. T. seguì gli studî regolarmente ad Alcalá, che allora costituiva il centro universitario di Madrid; probabilmente negli anni più fiorenti e maturi della giovinezza dovette essere assorbito dagl'interessi religiosi, e nel 1600, a ventinove anni, era novizio nel convento dei frati della Mercé, a Guadalajara, dove l'anno seguente faceva atto di professione. Questa prima parte della sua vita, che è poi quella in cui si vennero formando e il suo temperamento e la sua educazione letteraria, ci è quasi ignota: nulla si sa della sua famiglia (egli ricorda soltanto una sorella "pari a lui nell'animo e nelle sventure"), dell'ambiente che lo vide crescere, delle vie che tentò il suo ingegno prima di giungere alla grande arte drammatica; in un'opera di strana composizione, Los Cigarrales de Toledo (Madrid 1621), in cui la finzione si mescola all'autobiografia, i riferimenti alla sua vita si fanno frequenti e sicuri soltanto dopo il 1606, l'anno in cui aveva inizio la sua carriera teatrale, con una commedia, Amar por señas, quasi contemporanea all'edizione del Don Chisciotte, l'opera ch'egli leggerà e amerà sopra ogni altra prosa. Egli stesso racconta di esser vissuto dopo quest'anno tra Madrid e Toledo, finché nel 1615 si recava all'isola di San Domingo, dove svolgeva tre corsi di teologia fino al 1618: è il primo viaggio che lo porta al di là dell'Oceano, a contatto di paesi e di genti nuove, e che gli desta nello spirito il senso della conoscenza geografica e sociale, l'esperienza che maggiormente lo lusingava, com'egli stesso era solito affermare: "non merita il nome di uomo chi rimane chiuso nel suo paese e ignora le altre terre". Di dieci anni più giovane di Lope de Vega, ne subiva il fascino - ch'era peraltro travolgente e si rivelava fertilissimo di opere - e se ne dichiarava discepolo, nonostante li dividesse la loro stessa esperienza umana e morale che presentava, almeno nel campo biografico, aspetti e atteggiamenti profondamente antitetici; ma si rivelavano fortemente affini nel terreno artistico, e infatti nella prodigiosa fioritura d'ingegni drammatici, che per più di un secolo porteranno il teatro e la cultura spagnola su un piano europeo e universale, il genio di T. è il più vicino a quello di Lope de Vega: dal 1620, l'anno in cui T. gli offriva La villana de Vallecas (a cui l'altro rispondeva con la dedica del Fingido verdarero), i loro legami non soffriranno le incertezze e le fratture che la gelosa concorrenza, allora come oggi, è solita creare, e che allo stesso T. per altre vie e mediante altri uomini, doveva far sentire l'amaro morso. Proprio nel 1625, quando si trovava nella fervida pienezza della sua attività, era severamente ammonito dal Consiglio della Castiglia, che trovava sconveniente all'abito religioso la creazione teatrale, accogliendo in tal modo e favorendo la denunzia e le vendette di parecchi letterati, inaciditi per le aspre e violente critiche con cui T. giudicava la loro arte "culterana" e barocca.

Per dieci anni si doveva appartare dalla vita teatrale; ma soltanto da quella pubblica, ché nel segreto della sua ispirazione continuava a popolare le scene della sua fantasia di caratteri umani e di azioni drammatiche, mentre rivedeva le opere già compiute, ordinandole in una prima edizione (Primera parte de las comedias de T. de M., Siviglia 1627). Frattanto la sua vita di religioso esemplare e dotto si svolgeva attraverso i gradi della gerarchia del suo ordine: con le funzioni di "comendador" lo troviamo a Trujillo dopo il 1626; nel 1629 è a Salamanca, dove partecipa alla celebrazione di San Pietro Nolasco, fondatore dell'ordine della Mercé; dal 1632 al 1639 si occupa dell'amministrazione del suo ordine a Barcellona, finché è eletto generale dell'ordine e suo unico cronista (e infatti T. continuava, per gli anni 1570-1638, la Historia general de la Orden de la Merced, incominciata dal frate Alonso Ramón; è tuttora inedita e se ne conserva l'autografo nella Academia de la Historia di Madrid).

In questo periodo - nel quale la maturità degli anni e i rapporti più profondi con la vita dell'ordine dovevano acuire nel suo spirito la meditazione religiosa - T. abbandona la scapigliata ed errabonda giovialità dei Cigarrales de Toledo (1621), per un'arte più raccolta e più devota: Deleitar aprovechando (1635).

Le due opere hanno la medesima struttura, svagata e frammentaria, ma assolutamente diverso ne è il rispettivo contenuto; entrambe sono costruite in forma di miscellanea, in cui concorrono dialoghi, impressioni critiche, disquisizioni artistiche, novelle, atti scenici, liriche, entro una cornice fittizia e occasionale; nei Cigarrales (giardini in riva al fiume, dove si riuniscono alcuni amici intrattenendosi sui più diversi motivi della vita e dell'arte, tanto per sopportare alla meno peggio l'arida estate di Madrid) predominano le forme dell'arte profana con accenti liberi e moralmente spregiudicati: si narrano racconti (come quello dei Tres maridos burlados, derivato dalla novellistica italiana); si intercalano tre commedie: Como han de ser los amigos, El vergonzoso de Palacio (uno dei suoi migliori lavori, la cui composizione risale al 1610-1611). El celoso prudente (che si stampò più tardi anche con il sottotitolo Al buen callar llaman Sancho: Calderón de la Barca la imitò con singolare fedeltà in A segreto agravio, secreta venganza); si declamano poesie e poemetti (come la Fábula de Pan y Siringa, tratta da Ovidio), e si recita perfino qualche romance di carattere storico: in uno stile sintatticamente scaltrito e composito, ma assai agile, acuto e quasi sempre personale, specie negli episodî narrativi e rappresentativi; viceversa nel Deleitar aprovechando lo scrittore pare voglia redimersi, con una precisa e geometrica contrapposizione di motivi pietosi e devoti, anch'essi collegati mediante una cornice esteriore e provvisoria, più artificiosa della prima, ma che, al pari di quella, costituisce l'unica apparente ragione per riunire questo centone di favole mitologiche, di canzoni sacre, di leggende edificatrici, come La Patrona de las Musas (agiografia di Santa Tecla), Triunfos de la verdad (l'esistenza miracolosa del Papa San Clemente), El Bandolero (agiografia romanzata di San Pietro Armengol, uno dei fondatori dell'Ordine della Mercé), e perfino di autos sacramentales, come El Colmenero divino, Los hermanos parecidos, No le arriendo la ganancia. È spostato il piano d'osservazione, ma le predilezioni tecniche, di natura novellistica e scenica, sono identiche.

Ma frattanto, mentre pareva battersi il petto in segno di contrizione, curava l'edizione delle sue commedie, nelle quali è prevalente il carattere profano e si afferma rigoglioso e insopprimibile il senso della vita libera, aperta al conflitto delle passioni, mossa e differenziata dal giuoco dei più diversi sentimenti e delle più contrarie tendenze. Negli anni 1634-1635 pubblicava la Segunda, Tercera, Quarta parte delle sue commedie, a cui seguiva la Quinta parte nell'anno successivo (tutte a cura del presunto nipote Fr. Lucas de Ávila, sotto le cui sembianze si nascondeva lo stesso poeta, a cui un altro nome dava la possibilità di parlare di sé liberamente). Ancora nel 1638 scriveva la commedia Las Quinas de Portugal, in cui l'assunto eroico e nazionale è reso sovrumano dalla presenza prodigiosa del "Crocifisso". Forse questa è l'ultima delle sue commedie, ché negli anni seguenti, specie a partire dal 1645, T. si rifugiava nel convento di Soria, dove chiudeva la sua esistenza, ormai distaccato dalle sue numerose creature, che intanto continuavano a vivere di vita autonoma, quasi immemori, nella loro varietà psicologica e morale, di chi le aveva suscitate: tanto che, fino a pochi anni fa, si contestava a T. la paternità di uno dei capolavori del teatro universale: El burlador de Sevilla, la celebre leggenda di Don Giovanni.

Per il teatro spagnolo del Seicento, uno dei problemi più intricati è quello delle attribuzioni, poiché non sempre gli autori raccoglievano le loro commedie, e spesso le rifondevano e le ripresentavano con altro titolo, quando a volte non sollecitavano la collaborazione di altri commediografi e si servivano di argomenti già trattati ma che si presentavano sotto nuova luce: era, peraltro, nella tradizione del teatro, ove la comunione con il pubblico rendeva popolare e quasi di dominio comune le opere più personali. Per avvertire le difficoltà, basti pensare che lo stesso T., nel prologo ai Cigarrales, assicura di aver composto in meno di quindici anni, e cioè dal 1606 al 1621, più di trecento commedie: "ni hurtadas á la Toscana, ni ensartadas unas tras otras, como procesión de disciplinantes, sino con su argumento que lo comprende todo", cioè ciascuna in sé conchiusa con piena ed esauriente autonomia lirica; e invece quelle che gli si possono attribuire senza incertezze, tenendo anche conto dell'edizione curata da lui stesso, non sono più di settanta. Nella Primera parte (che è del 1627), se ne contengono dodici: 1. Palabras y plumas (rappresentata nel 1623; tratta dalla novella di "Federico e il falcone" del Boccaccio); 2. El pretendiente al revés (nota anche con il titolo El rábano por las hojas); 3. El árbol de mejor fruto (oppure El árbol de la vida, che è più esplicito); 4. La villana de Vallecas (del 1620, con una trama che pare derivare da La entretenida di Cervantes); 5. El melancólico, uno dei lavori più saldi per l'evidenza del carattere psicologico (trovava una seconda redazione nella commedia Esto sí que es negociar); 6. El mayor desengaño, che ha presentimenti drammatici del capolavoro El condenado por desconfiado; 7. El castigo del pensé-que (rappresentata nel 1613 con il sottotitolo El que fuera bobo no camine), che costituisce la prima parte della seguente: Quien calla, otorga (che risale al 1617); 8. La gallega Mari-Hernández (composta nel 1627); 9. Tanto es lo de más como lo de menos (del 1618-1619, ricordata anche con il titolo La virtud consiste en medio); 10. El pródigo y rico avariento; 11. La celosa de sí misma (nota anche con il titolo Lo que puede la aprehensión); 12. Amar por razón de Estado (rielaborata con il titolo Sutilezas de amor: da cui Calderón trasse l'ispirazione per El secreto á voces). Nella Segunda parte (1635), T. incluse: 13. La reina de los rejes; 14. Amor y celos hacen discretos (del 1616); 15. Quien habló, pagó (la leggenda del conte di Urgel, assassinato dai sicarî della regina d'Aragona); 16. Siempre ayuda la verdad (che risale al 1623, in collaborazione con J. Ruiz de Alarcón); 17. Los amantes de Teruel (il celebre mito amoroso che troverà un intelligente rifacitore in J. Pérez de Montalbán); 18. Por el sótano y el torno (composta nel 1622); 19. Cautela contra cautela (con un assunto analogo a quello di El amor y el amistad; anch'essa in collaborazione con J. Ruiz de Alarcón); 20. La mujer por fuerza (che si fonda sul travestirnento della donna in sembianze maschili, con un motivo che T. ha sfruttato in altre commedie, specie nella celebre Don Gil de las calzas verdes); 21. El condenado por desconfiado, uno dei drammi di valore universale (noto, prima di essere incluso nella collezione, col titolo: El mayor desconfiado y pena y gloria trocadas); 22. Próspera fortuna de don Álvaro de Luna, che costituisce la prima parte della seguente: 23. Adversa fortuna de Ruy López Dávalos; 24. Esto sí que es negociar (nota anche con il titolo La serrana de Escocia: seconda redazione di El melancólico, cfr. n. 5).

Appartengono alla Tercera parte (1634, edita prima della Segunda: evidentemente si tratta di una svista tipografica): 25. Del enemigo el primer consejo (composta dopo il 1630); 26. No hay peor sordo... (imitata da Scarron in Godellet duelliste); 27. La mejor espigadera (oppure: La nuera más leal y mejor espigadera, di tema biblico e ancora sonora della dolce poesia dell'originale, il "Libro di Ruth"); 28. Averígüelo Vargas (che allude nel titolo a Francisco de Vargas, vissuto alle dipendenze dei Re Cattolici); 29. La elección por la virtud (composta forse nel 1622: è la storia dell'elezione di Sisto V, che dà modo all'autore di disegnare con esperta leggerezza la vita monastica, di cui egli aveva diretta esperienza); 30. Ventura te dé Dios, hijo (con il sottotitolo: Que el saber poco te basta: un'azione assai inverosimile, ma con particolari e brevi scene di limpida evidenza); 31. La prudencia en la mujer; 32. La venganza de Tamar (di contenuto tragicamente grandioso, con un'intensità drammatica che non sfuggì a Calderón, tanto che nel suo dramma Los cabellos de Absalón se ne giovò con estrema fedeltà, soprattutto nell'atto terzo); 33. La villana de la Sagra; 34. El amor y el amistad (ristampata anche col titolo: Encontrar dos imposibles: mujer leal y amigo firme); 35. La fingida Arcadia (composta nel 1622, omaggio al genio di Lope de Vega); 36. La huerta de Juan Fernández (che risale al 1626, anch'essa con il motivo del travestimento femminile: cfr. n. 20). La quarta parte, anch'essa del 1635, comprende: 37. Privar contra su gusto; 38. Celos con celos se curan (apparsa già come di Lope de Vega); 39. La mujer que manda en casa (ristampata anche col titolo: La impia Jezabel, mujer del infeliz Acab); 40. Antona García; 41. El amor médico (composta forse nel 1625, con un procedimento assai affine a quello della Mujer por fuerza, cfr. n. 20); 42. Doña Beatriz de Silva (nota anche col titolo: Favorecer á todos y amar á ninguno; di argomento devoto, intorno alla fondazione del Convento dell'Immacolata di Toledo); 43. Todo es dar en una cosa: la prima parte di una trilogia sulla famiglia Pizzarro (anche col titolo: Hazañas de los Pizzarros), di andamento epico e tragico, con un senso fatalistico della storia; le altre due parti: 44. Las amazonas en las Indias; 45. La lealtad contra la envidia; 46. La peña de Francia (con il sottotitolo: La traición descubierta; il cui argomento si riconnette a un celebre santuario medievale presso Salamanca); 47. Santo y Sastre; 48. Don Gil de las calzas verdes, uno dei lavori più geniali di T. E finalmente la Quinta parte (1636) con le seguenti commedie: 49. Amar por arte mahr; 50. Los lagos de san Vicente, la cui scena è collocata nelle silenziose altitudini delle montagne, dal cui seno si rivela il miracolo della fede; 51. Escarmientos para el cuerdo (di argomento storico); 52. La república al revés (anch'essa tratta dalla letteratura storica di Roma); 53. El Aquiles (di contenuto classico e mitologico: un frammento dell'Odissea con la rappresentazione di Ulisse e Telemaco, e con l'intervento di Teti); 54. Marta la piadosa (nota anche col titolo La beata enamorada); 55. Quien no cae, no se levanta (di ispirazione edificante, con un linguaggio trasparentissimo); 56. La vida de Herode; 57. La dama de Olivar (con un tema che si riferisce agli inizî dell'Ordine della Mercé); 58. La Santa Juana (distinta in trilogia, e perciò composta di tre rappresentazioni). A queste vanno aggiunte le altre commedie, che pur non comprese nelle raccolte curate da T., si pubblicarono sotto il suo nome a mano a mano che egli le veniva componendo e rappresentando: 59. Los balcones de Madrid (composta da T. nel 1624); 60. Bellaco sois, Gómez (assai probabilmente è opera di T.; la sua struttura è analoga, per la trama e per i procedimenti stilistici, a quella di altre commedie di T.: cfr. i nn. 20, 41, 48, ecc.); 61. El burlador de Sevilla, y el combidado de piedra, apparsa nel 1630, senza nome d'autore e pochi anni appresso attribuita senza contestazioni a T. (rifusa poco dopo la metà dello stesso secolo con il titolo Tan largo me lo fiáis); 62. El cobarde más valiente (rielaborazione delle Hazañas del Cid, intorno alle avventure di un nipote dell'eroe, Martín Peláez); 63. La condesa bandolera ó la Ninfa del Cielo; 64. Desde Toledo á Madrid, indubbiamente di T., una fra le sue migliori; 65. En Madrid y en una casa (attribuita, ma a torto, al contemporaneo Rojas); 66. La firmeza en la hermosura; 67. El honroso atrevimiento (che è assai affine alla commedia di Lope: El piadoso Veneciano, e probabilmente i due autori si servirono della stessa fonte italiana); 68. La romera de Santiago (a cui corrisponde un'altra con lo stesso titolo di L. Vélez de Guevara, ma entrambe derivate da un romance; molti particolari ricordano la Gallega Mari-Hernández, cfr. n. 8): a questi settanta lavori, oltre a qualche altro estravagante, vanno aggiunte le commedie e gli autos che T. ha incluso nei Cigarrales e nel Deleitar aprovechando.

La complessità del teatro di T. è tale, che non si può ridurre a una formula estetica; egli respira la grande arte della Spagna, che mentre nella sua storia politica si avviava rapidamente verso un fatale declino, in sede estetica, e soprattutto nella creazione drammatica, elaborava quei grandi ideali universalistici, di tipo imperialistico e cattolico, che si erano formati nell'epoca dei Re Cattolici, di Carlo V e di Filippo II, e che a poco per volta seguivano anch'essi la parabola comune. Discepolo di Lope de Vega, come egli stesso si riconosceva incondizionatamente, T. partecipa dello stesso clima spirituale e della stessa fecondità fantastica del maestro, che aveva ormai trovato e divulgato una tecnica teatrale d'inesauribile produttività. T. attinge alle fonti comuni, con quella impressionante capacità di intuire - attraverso alla prosa biblica, nelle pagine della cronistica, nella novellistica medievale e italiana, nella liricità dei romances - la dialettica del dramma e di sorprendere l'umanità in azione, nel rapido evolversi dei momenti psicologici e mimetici. Un po' diseguale, rispetto a Lope de Vega, e perciò discontinuo nell'ispirazione, ove spesso s'affolta un'esuberanza di azioni e di figure che non riescono a mantenersi tutte sullo stesso piano fantastico, T. è tuttavia più lineare, più lucido, più intuitivo di fronte alla realtà psicologica; egli ha il dono di possedere e di tradurre senza ombre e senza lacune la storia di un temperamento individuale, e soprattutto ha il privilegio di convertire in diretta e attuale rappresentazione passionale ciò che inizialmente gli si presenta in forma di simbolo, sicché, fra tutti i grandi drammaturghi spagnoli, T. è il più concreto, il più "storico", quello che più direttamente sente il palpito dell'esperienza umana: è il più realistico, senza per ciò cadere nel frammentarismo empirico. Nei riguardi di Lope de Vega, che difficilmente si abbandonava al dramma simbolico, T. ha il vantaggio di avere investito con pari concretezza il teatro delle "idee", senza tuttavia soggiacere alle astrazioni della tesi e alle discussioni razionali. In questo senso egli è più vicino a Calderón de la Barca, a cui lo accomuna un forte senso dei valori concettuali e un'esperienza umana raccolta e misurata, che aveva modo di meditare anche i problemi religiosi e morali: in ciò entrambi assai lontani dall'esistenza turbinosa e appassionata di Lope de Vega. Anzi è proprio da questa ansia "ideale" che T. ha costruito uno dei drammi più potenti del teatro universale: El condenado por desconfiado (cfr. n. 21); ma a differenza di Calderón de la Barca, che rimane più fermo alle finalità simboliche e di proposito trasporta i dati della realtà umana nelle regioni astratte e metaforiche della vita concettuale, T. dissolve il mito razionale, che in questa commedia è costituito dal delicatissimo problema della predestinazione e del libero arbitrio, in un'avventura del tutto interiore, sentimentale, determinatasi per intimo travaglio, riuscendo a un miracolo di tecnica teatrale: l'equilibrio assoluto fra le finalità squisitamente e sottilmente programmatiche (e, per di più, di natura teologica e dommatica) e lo sviluppo graduale dell'azione, di cui l'aderenza alla realtà psicologica non soffre mai distacchi. T. ha potuto rappresentare in atto, con un'ardita concezione umano-religiosa le teorie del Molina: i due protagonisti, Paolo ed Enrico, ai quali Dio ha concesso in egual misura la "grazia sufficiente" senza tener conto dei loro meriti, incarnano la duplice sorte dell'umanità: di chi resiste alla "grazia" e perciò si condanna da sé stesso e di chi invece coopera con essa e ritrova le vie della salvezza. T. è giunto alla trama di questo dramma attraverso la novellistica tradizionale (un exemplum dalle Vitae Patrum e una parabola del Conde Lucanor di Juan Manuel) che immersa nella sua fantasia si trasfigurava in un simbolo umano di tutti i tempi.

Viceversa, in un altro capolavoro: El burlador de Sevilla y el combidado de piedra (cfr. n. 61), che per la prima volta crea il tipo immortale di Don Giovanni, T. muove da un'adesione esclusivamente realistica, che però nell'empito passionale del dramma si tramuta nei valori del simbolo concettuale: inizialmente la rappresentazione di Don Juan Tenorio intende mettere in evidenza il predominio della vita istintiva, aggressiva, rapace, immemore di qualsiasi norma morale e incurante d'ogni convenienza sociale, ma gradatamente l'azione si evolve verso il significato d'una "sacra rappresentazione", d'un terribile mistero medievale, specie nell'ultima scena, in cui la giustizia della morte si impersonifica nello scheletro statuario d'una delle vittime di Don Giovanni: e anche per questa scena, la personificazione della morte, che in Calderón de la Barca è frequente ma sempre mantenuta con l'immagine dell'astrazione, acquista per T. la corpulenza umana, fortemente individuata nella sua psicologia particolare. Quando trent'anni fa il problema delle fonti si orientava ancora verso la monogenesi dei motivi tematici, anche la leggenda di Don Giovanni, e più che di Don Giovanni, del "convitato di pietra", si faceva risalire per vie comparative a un fondo di folklore indoeuropeo e, più propriamente, germanico e nordico; ora, con metodo più concreto e storico, si riconosce il motivo fondamentale della leggenda nella tradizione più prettamente spagnola, di carattere medievale e cristiano, che ha le sue lontane radici nella concezione cattolica del peccato, e può anche discendere dai varî tipi di "Danza della morte" e di "Danze macabre", ma ritrova i suoi precedenti immediati nel romancero castigliano, allo stato di pura e fragile motivazione lirico-narrativa.

Questa potente capacità di sentire le ragioni profonde della vicenda umana, pur eludendo nello stesso tempo la piccola cronaca realistica e le ombre delle astrattezze simboliche, trova pieno riscontro nella struttura stilistica e linguistica di T., che è il poeta del Seicento spagnolo più limpido e più essenziale: egli, con vantaggio su Lope de Vega e su Calderón, non ha sentito le seduzioni del barocco e ha evitato, per naturale disposizione e per lirica consapevolezza, le mistificazioni e le aberrazioni della cultura contemporanea. Una siffatta temperanza, ch'era spirituale e lirica prima che linguistica, gli ha permesso di tradurre il giuoco della breve, rapida, maliziosa sentimentalità umana con una trasparenza che lo stesso Lope de Vega stentava a raggiungere, sicché commedie come Don Gil de las calzas verdes, El vergonzoso en Palacio, Desde Toledo á Madrid, Los balcones de Madrid, La villana de Vallecas, Por el sótano y el torno, e molte altre ancora, rimangono monumenti incomparabili di grazia e di comicita.

Ediz.: Comedias escogidas, a cura di J.E. Hartzenbusch, nella Bibl. aut. esp., V, Madrid 1866; Comedias, ediz. di E. Cotarelo y Mori (la migliore raccolta, anche se non completa), nella Nueva bibl. aut. esp., volumi 2, Madrid 1906-1907; Cigarrales de Toledo, ediz. di V. Said Armesto, Madrid 1914; El vergonzoso en Palacio e El burlador de Sevilla, a cura di A. Castro, nei Clásicos castellanos, Madrid 1922; 3a ed., 1932; Los tres maridos burlados (novella tratta dai Cigarrales de Toledo), a cura di M. Cl. Barbotti, Roma 1930.

Bibl.: Per la biografia si veda l'introduzione dell'ediz. citata di E. Cotarelo; inoltre: M. Menéndez y Pelayo, Estudios de crítica literaria, II, Madrid 1912, pp. 131-200; A. Morel-Fatio, "La Prudence chez la femme", drame historique de T. de M., nelle sue Études sur l'Espagne, III, Parigi 1904, pp. 27-72; A. Farinelli, Don Giovanni, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXVII (1896); G. Gendarmes de Bévotte, La légende de Don Juan, voll. 3, Parigi 1906-1911 (si veda la voce don giovanni, XIII, pp. 142-43); V. Said Armesto, La leyenda de Don Juan, Madrid 1908; Bl. de los Ríos Lampérez, Del siglo de oro, Madrid 1910, pp. 1-112, 229-275; id., El "Don Juan" de T. de M., in Archivo de invest. histor., I (1911), pp. 7-30; J. R. Lomba, La leyenda y la figura de D. Juan Tenorio en la literatura española, Madrid 1921; R. Menéndez Pidal, El condenado por desconfiado, in Estudios literarios, Madrid 1920, pp. 9-136; S. Griswold Morley, The use of the verse-forms (strophes) by T. de M., in Bulletin hispanique, VII (1905), pp. 387-408; id., El uso de las combinaciones métricas de las comedias de T. de M., ibidem, XVI (1914), pp. 177-208; J. Cejador y Frauca, El condenado por desconfiado, in Revue hispanique, LVII (1926), pp. 127-159; A. Valbuena, La literatura dramática espanola, Madrid 1930; A. H. Bushee, T. de M., 1648-1848, in Revue hispanique, LXXXI (1933); pp. 338-362; id., Bibliography of "La prudencia en la mujer", in Hispanic Review, I (1933), pp. 271-283; id., The Five "Partes" of T. de M., ibidem, III (1935), pp. 89-102; M. Romera-Navarro, Las disfrazadas de varón en la comedia, ibidem, II (1934), pp. 269-286. Si vedano infine (ma con cautela per quanto riguarda le attribuzioni) le pagine di L. Pfandl, Historia de la liter. nacional española en la edad de oro (trad. dal tedesco a cura di J. Rubió), Madrid 1933.