VECELLIO, Tiziano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VECELLIO, Tiziano

Charles Hope

VECELLIO, Tiziano. – Primogenito di Gregorio e di una Lucia, nacque a Pieve di Cadore probabilmente attorno al 1489.

La sua famiglia occupava una posizione di rilievo a Pieve, annoverando fra i suoi membri molti notai. La data della nascita è suggerita dal fatto che nel 1508 Tiziano risultava un pittore indipendente dal momento che in quell’anno ricevette l’incarico di affrescare la facciata laterale del fondaco dei Tedeschi a Venezia. Nel 1507 o 1508 anche il Giorgione lavorò al fondaco, di cui affrescò la facciata verso il Canal Grande. Oggi rimangono solo lacerti della decorazione, ma fino al XVIII secolo tutti coloro che commentavano il fondaco concordavano sulla superiorità del contributo di Tiziano. Da allora è stato generalmente convenuto, senza l’apporto di ulteriori giustificazioni, che Tiziano uscì dall’ombra del Giorgione solo dopo la morte di quest’ultimo, nel 1510.

I suoi primi biografi, Giorgio Vasari e Ludovico Dolce, scrivono che prima di adottare la pennellata compendiaria del Giorgione, da bambino Tiziano fu mandato alla bottega veneziana di Gentile Bellini e poi a quella di Giovanni Bellini. Vasari ricorda tre opere che presumeva Tiziano avesse dipinto prima degli affreschi del fondaco: un ritratto, oggi non più identificabile, una Fuga in Egitto (San Pietroburgo, Ermitage) e una pala d’altare con Raffaele e Tobia per la chiesa di S. Marziale a Venezia. La Fuga somiglia poco alle altre pitture di Tiziano, rendendone quindi incerta l’attribuzione. La pala con Raffaele e Tobia è certamente più tarda di alcuni decenni ed è oggi per lo più convenuto che Vasari l’abbia confusa con una pittura dello stesso soggetto per un’altra chiesa e ora nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. L’attribuzione a Tiziano di quest’ultimo dipinto risulta convincente poiché in esso appare un complesso di edifici presente anche in un piccolo Battesimo di Cristo (Roma, Musei Capitolini) menzionato da Marcantonio Michiel. Vasari assegnò inoltre a Tiziano il Cristo portacroce (Venezia, Scuola di S. Rocco), correggendo una sua precedente attribuzione al Giorgione. Indizi documentari suggeriscono che quest’opera fu dipinta nel 1508-09 per una cappella nella chiesa di S. Rocco (Anderson, 1977).

Le prime opere documentate di Tiziano sono tre affreschi con i Miracoli di s. Antonio nella Scuola del Santo a Padova, dipinti nell’estate del 1511. Essi sono resi in uno stile monumentale, naturalistico ed essenziale, piuttosto differente da quello allora diffuso a Venezia e nel Veneto. Risalenti allo stesso periodo sono due ritratti eseguiti con grande abilità, l’Uomo dalla manica blu e ‘La Schiavona’ (entrambi a Londra, National Gallery). Di poco successiva è una piccola pala d’altare, S. Marco in trono e santi (Venezia, S. Maria della Salute) che verosimilmente si deve collegare con l’epidemia di peste diffusasi a Venezia in modo particolarmente violento tra il 1511 e il 1514. È probabilmente da datarsi intorno al 1514 il cosiddetto Amor sacro e Amor profano (Roma, Galleria Borghese), che sembra sia stato dipinto in concomitanza del matrimonio del committente, Nicolò Aurelio, avvenuto in quell’anno. Il S. Pietro in trono con Jacopo Pesaro e papa Alessandro VI (Anversa, Musée Royal des beaux-arts) è anch’esso tra le opere importanti della fase iniziale della carriera di Tiziano; sebbene sia certa l’attribuzione, rimangono dubbi se l’opera sia stata realizzata dopo gli affreschi di Padova o addirittura prima di quelli del fondaco.

L’aspetto più controverso della prima produzione di Tiziano è il suo rapporto con il Giorgione. Fino a non molto tempo fa, infatti, la letteratura concordava sul fatto che per un certo periodo il loro stile fosse estremamente simile. Tale ipotesi era basata su una Venere (Dresda, Staatliche Gemäldegalerie) che era stata identificata con una pittura di questo soggetto già nella collezione Marcello e che, secondo Michiel e Carlo Ridolfi, sarebbe stata iniziata dal Giorgione e terminata da Tiziano. Secondo Ridolfi tale dipinto presentava un Cupido che teneva un uccellino. Sebbene la Venere di Dresda includesse un Cupido, ora coperto da un restauro, le ultime analisi tecniche evidenziano che egli non ha mai tenuto un uccellino in mano (Giebe, 1992). Ne consegue che l’identificazione della Venere di Dresda con la pittura nella collezione Marcello non è più sostenibile e non vi sono motivi, quindi, per dubitare che l’opera sia interamente di Tiziano, soprattutto perché vari elementi della composizione si ritrovano in altre pitture che sappiamo certamente sue.

La Venere ha poco in comune con il Concerto campestre (Parigi, Louvre) ora abitualmente ritenuto opera giovanile di Tiziano. Come il Concerto della Galleria Palatina a Firenze, il Concerto campestre è stato tradizionalmente attribuito al Giorgione fino a quando nel 1871 Joseph Archer Crowe e Giovanni Battista Cavalcaselle (1877-1878) sostennero che le due pitture fossero stilisticamente troppo diverse per essere di un medesimo artista e per giunta dello stesso periodo. Seguirono discordie sull’attribuzione di ciascuna delle due opere, ma nel contempo si formò un’opinione pressoché unanime che non potessero essere della stessa mano, finché Roberto Longhi, in differenti passi di un articolo del 1927 (pp. 218, 224), ritenne invece fossero entrambe di Tiziano, senza tuttavia spiegare chiaramente la cronologia di ciascuna delle due e senza motivare la sua posizione. Molti degli studi successivamente rivolti al primo Tiziano sono stati dedicati al tentativo di definire una plausibile cronologia del suo sviluppo in cui rientrassero entrambe le opere; ma nessuna delle soluzioni proposte finora ha ottenuto unanime accettazione. Coloro che hanno seguito Longhi hanno attribuito a Tiziano altre opere stilisticamente vicine al Concerto campestre e, tra questi, alcuni gli riferiscono adesso più di quaranta pitture assai differenti stilisticamente, ritenendo che sarebbero state prodotte nei primi sette o otto anni della sua carriera. Tale approccio è basato su due presupposti, nessuno dei quali, però, è necessariamente corretto: il primo è che oggi siamo a conoscenza dell’identità di tutti i più importanti pittori attivi a Venezia e nel Veneto attorno al 1510; il secondo è che in quel periodo Tiziano fosse meno coerente stilisticamente di tutti i suoi contemporanei.

Nel 1513 Tiziano presentò richiesta ufficiale al governo veneziano perché gli fosse consentito di contribuire al ciclo di pitture della storia di Venezia nella sala del Maggior Consiglio di palazzo ducale, in cambio della prossima sinecura governativa, la ‘senseria’, che si fosse resa vacante. Tiziano propose di dipingere la Battaglia di Spoleto, soggetto già offerto al Perugino, e non realizzato. Dapprima la sua richiesta fu accettata, a conferma del successo che aveva già acquisito; ma in seguito a obiezioni secondo cui non sarebbero stati rispettati i diritti di altri pittori, tra cui forse Vittore Carpaccio, i termini della concessione furono modificati. Alla morte di Giovanni Bellini nel 1516 a Tiziano fu affidata la sua tela incompiuta rappresentante la Sottomissione di Federico Barbarossa. Completata nel 1523, fu la prima di molte tele da lui realizzate per palazzo ducale, sebbene la maggior parte andò distrutta negli incendi del 1574 e del 1577.

Nella sua richiesta del 1513 Tiziano ricordava di essere stato invitato a Roma da papa Leone X, ma di aver preferito rimanere a Venezia. L’invito era stato emesso dal segretario privato di Leone X, Pietro Bembo, il cui ritratto, ora perduto, era già stato realizzato da Tiziano. Quest’episodio mette in evidenza l’abilità di Tiziano nell’attirare mecenati influenti, dote che lo contraddistinse sempre e che era basata in particolar modo sulla sua persona che suscitava immediata simpatia, spesso ricordata dai contemporanei, ma anche sulla sua abilità come ritrattista.

La ricompensa per l’incarico negoziato per il palazzo ducale comprendeva, oltre la sinecura, uno studio a S. Samuele e due assistenti, poi ridotti a uno. Ma il progetto andò a rilento, poiché in quegli stessi anni Tiziano risulta impegnato anche in altri lavori di considerevole rilievo. Nel 1518 fu inaugurata la sua Assunzione della Vergine per l’altare maggiore di S. Maria Gloriosa dei Frari; seppure non conosciamo la data della commissione, è verosimile che essa coincidesse con quella dell’elaborata cornice marmorea, completata nel 1516. L’Assunzione era la più grande pala d’altare mai dipinta a Venezia, per una delle più illustri chiese della città, ma fu anche radicalmente diversa da ogni altra pala precedente: nelle dimensioni delle figure e nell’eloquenza dei loro gesti, nel trattamento drammatico della luce e nell’uso possente del colore.

L’affermazione di Ridolfi, secondo cui i frati sarebbero stati inizialmente insoddisfatti fintantoché l’ambasciatore dell’imperatore non li persuase diversamente, non può esser corretta, perché un tale ambasciatore non si trovava all’epoca a Venezia; purtuttavia questo episodio sottolinea la novità dell’approccio di Tiziano.

In quest’opera egli sembra aver adottato alcune scelte stilistiche di pittori a lui contemporanei attivi a Roma e a Firenze, ma tuttora non sappiamo con esattezza in che modo essi fossero pervenuti alla sua attenzione. Comunque, sembra che il disegno preparatorio abbia giocato un ruolo molto limitato nella sua pratica artistica, per quanto alcune prove grafiche realizzate per xilografie, perlopiù attribuibili alla prima fase della sua carriera, mostrino la sua abilità come disegnatore.

La Madonna della famiglia Pesaro (1519-26) anch’essa per i Frari, fu altrettanto innovativa; in essa Tiziano rinunciò al tradizionale approccio veneziano alle pale d’altare, con la loro composizione simmetrica e con la struttura architettonica collegata a quella della cornice, proponendo invece la Madonna in posizione laterale. Le due enormi colonne collocate nel fondo non svolgono una funzione architettonica, ma sono state incluse specificatamente per creare un effetto scenico.

Nel 1516 Tiziano cominciò a lavorare per il primo dei suoi più importanti committenti al di fuori di Venezia, Alfonso I d’Este, duca di Ferrara. In quell’anno, mentre si trovava a Ferrara, dipinse il Tributo della moneta (Dresda, Staatliche Gemäldegalerie), che fu collocato sulla porta di un medagliere nell’appartamento privato di Alfonso. A quella data il duca aveva commissionato ai più importanti pittori di Venezia, Firenze e Roma un ciclo di grandi pitture mitologiche per un altro ambiente del suo appartamento. Tra queste, Giovanni Bellini aveva realizzato nel 1514 il Festino degli dei (Washington, National Gallery of art) e altre pitture erano state commissionate a Raffaello Sanzio e a Fra Bartolomeo. A seguito della morte di quest’ultimo nel 1517 la commissione passò a Tiziano, che dipinse l’Offerta a Venere (Madrid, Museo del Prado) nel 1518-19. Tiziano ricevette poi l’incarico di realizzare Bacco e Arianna (Londra, National Gallery), ma poiché la tela promessa da Alfonso per il lavoro gli fu inviata soltanto verso la fine del 1520 (se non più tardi), l’opera non fu completata fino agli inizi del 1523. L’ultima pittura di Tiziano per quest’ambiente, Gli Andrii (Madrid, Museo del Prado), fu realizzata quasi certamente negli anni 1523-24. Tiziano ridipinse probabilmente nel 1529 gran parte del fondo del Festino degli dei per renderlo visivamente omogeneo agli Andrii collocatogli accanto, sulla sinistra.

Trasferite nel 1598 a Roma e successivamente, due di esse, in Spagna, queste pitture mitologiche impressionarono gli artisti del XVII secolo, tra cui Pieter Paul Rubens, Antoon van Dyck, Nicolas Poussin e Diego Velázquez; ebbero minore influenza, invece, sui contemporanei di Tiziano, perché erano allora meno accessibili e perché in pochi avevano voglia o possibilità di spendere ingenti somme di denaro per acquistare pitture prive di contenuto moralizzante o religioso.

Sembra che Alfonso considerasse queste opere come ricreazioni di un genere pittorico dell’antichità classica noto attraverso la letteratura; l’Offerta a Venere e Gli Andrii sono infatti basati su descrizioni di Filostrato. Tali quadri erano pensati per un pubblico che percepiva la scultura classica come l’acme della perfezione. Detto ciò, le pitture non erano semplicemente o soprattutto archeologiche o antiquarie; piuttosto suggerivano una visione nuova e del tutto personale della mitologia classica, in cui le antiche divinità continuavano ad animare il paesaggio, per quanto invisibili ai moderni mortali.

Grazie ad Alfonso d’Este Tiziano entrò in contatto con suo nipote Federico Gonzaga, marchese e poi duca di Mantova. Tiziano era già stato a Mantova per un breve periodo alla fine del 1519 insieme a Dosso Dossi e nel 1523 era ritornato per dipingere, con poco preavviso, un ritratto, probabilmente del fratello minore di Federico, Ferrante, il quale era in procinto di partire per un lungo viaggio alla corte imperiale in Spagna. Fu in quest’occasione che Tiziano conobbe Pietro Aretino, il quale sarebbe poi divenuto uno dei suoi più grandi amici quando si trasferì a Venezia nel 1527. Jacopo Sansovino, che giunse nella città lagunare nel medesimo anno, avrebbe a sua volta stretto amicizia con entrambi. Fu probabilmente poco dopo l’arrivo di Aretino, e a seguito del suo consiglio, che Tiziano inviò in dono a Federico due ritratti, ora perduti: uno dello stesso Aretino e l’altro di Girolamo Adorno, l’ambasciatore imperiale a Venezia, che era morto nella città lagunare nel 1523. Federico rispose con un dono generoso e nel 1529 invitò Tiziano a Mantova per farsi fare il ritratto (Madrid, Museo del Prado). Nel medesimo anno, e probabilmente a Parma, Federico presentò Tiziano a Carlo V nella speranza di persuaderlo a farsi ritrarre, ma non ne seguì nulla.

All’inizio di questo decennio Tiziano aveva inoltre dipinto due pale d’altare per committenti al di fuori di Venezia: un polittico, commissionato dal legato pontificio Altobello Averoldi per la chiesa dei Ss. Nazzaro e Celso a Brescia (1519-22) e la Madonna con s. Francesco e Alvise Gozzi per una chiesa di Ancona (1520; ora Ancona, Museo civico). Secondo l’ambasciatore ferrarese a Venezia lo scomparto della pala Averoldi rappresentante s. Sebastiano, che ricorda molto da vicino uno dei due Prigioni di Michelangelo Buonarroti ora al Louvre di Parigi, era da ritenersi l’opera migliore eseguita da Tiziano fino ad allora.

Nel 1523 affrescò per il doge Andrea Gritti una cappella in palazzo ducale, distrutta nel XVIII secolo. Più tardi, nel corso del medesimo decennio, realizzò quella che fu per molto tempo considerata come la più impressionante tra le sue pale d’altare, ossia la Morte di s. Pietro Martire per la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia. La pala, probabilmente iniziata nel 1526, fu completata nel 1530 e distrutta da un incendio nel 1867. Come già per la Madonna della famiglia Pesaro Tiziano aveva acconsentito a dipingere questa pala per una ricompensa relativamente bassa, evidentemente attratto dalla possibilità di realizzare un’opera di dimensioni imponenti in una chiesa prestigiosa.

L’opera contemperava in modo quasi sistematico la caratteristica peculiarmente veneziana del ‘colorito’, reso attraverso l’illuminazione drammatica e la cura del paesaggio, con l’ideale del ‘disegno’, particolarmente caro all’Italia centrale, palesato attraverso le eroiche figure maschili, perlopiù nude e rappresentate attraverso potenti e complicati scorci. Tra tutte le pale d’altare tizianesche, questa fu la più copiata e quella che più influenzò la successiva produzione pittorica, soprattutto nel XVII secolo.

Cecilia, moglie di Tiziano, morì nell’estate del 1530. Poco è noto sul suo conto oltre al fatto che il matrimonio si svolse nel novembre del 1525, mentre era malata, e forse anche per legittimare i due figli avuti da Tiziano: Pomponio e Orazio. È spesso riportato che Cecilia fosse anche la madre di Lavinia, figlia di Tiziano, ma ciò non è verosimile per due motivi. Innanzitutto Lavinia si sposò nel 1555, una data assai tarda se fosse nata prima del 1530. Inoltre, le informazioni sul matrimonio di Tiziano con Cecilia provengono da alcune deposizioni risalenti al 1550, evidentemente rilasciate al fine di confermare la legittimità dei suoi figli maschi. Presumibilmente ciò fu fatto perché Orazio si era sposato nel 1547. Dal momento che Lavinia risulta legittima è verosimile che sia nata da un secondo matrimonio, ma la data di questo e il nome della madre non sono noti. È altresì verosimile che la madre di Lavinia morisse al più tardi nel 1550, poiché in questo periodo Tiziano ebbe una figlia illegittima, Emilia, la quale poi, nel 1568, sposò il veneziano Andrea Dossena.

Il rifiuto da parte di Carlo V di farsi ritrarre da Tiziano nel 1529 non ebbe conseguenze negative sulla relazione dell’artista con Federico Gonzaga, che sarebbe rimasto il più importante committente fino alla sua morte nel 1540, commissionandogli o ricevendo circa trenta pitture in quel periodo, la maggior parte delle quali sono però scomparse. Tra le prime fu la Madonna del coniglio (1530; Parigi, Louvre), nel cui paesaggio è compreso un pastore con le sembianze dello stesso Federico. Molte delle altre pitture realizzate da Tiziano sarebbero state usate da Federico come doni diplomatici. La più importante commissione di Federico fu una serie di undici pitture di Imperatori romani per un ambiente del suo palazzo, in cui erano accompagnate da dipinti più piccoli di Giulio Romano. Sebbene gli Imperatori (1536-40) siano stati distrutti da un incendio in Spagna nel 1734, sono noti grazie a numerose copie. Sconosciuta invece è la precisa entità della ricompensa di Tiziano da parte di Federico, ma sappiamo che comprendeva il beneficio di Medole per il figlio Pomponio. Tiziano fu inoltre al servizio della madre di Federico, Isabella d’Este, di cui realizzò due ritratti, uno dei quali è ancora esistente (1536; Vienna, Kunsthistorisches Museum).

Grazie a Federico, Tiziano entrò nuovamente in contatto con Carlo V, stavolta a Mantova, nel novembre del 1532. In quell’occasione, avendo avuto modo di vedere esempi dei suoi ritratti, Carlo finalmente acconsentì a farsi ritrarre. Completato a Bologna, il ritratto dell’imperatore a tre quarti, in armi e con una spada, è ora noto solo da copie. Del ritratto eseguito da Jacob Seisenegger di Carlo V a figura intera con un cane (Vienna, Kunsthistorisches Museum) vi è una copia (Madrid, Museo del Prado) la cui attribuzione a Tiziano è accettata dai più, ma non è molto convincente.

Al suo ritorno a Barcellona, nel maggio del 1533, Carlo V conferì a Tiziano il titolo di conte palatino e rimase in contatto con lui fino alla sua abdicazione nel 1556. Grazie alla sua vicinanza all’imperatore, Tiziano ottenne commissioni da vari importanti membri della sua cerchia. I due s’incontrarono nuovamente nel 1536 ad Asti, dove Tiziano si recò di nuovo con l’accompagnamento di Federico Gonzaga. L’imperatore, che gli aveva già concesso il significativo privilegio di poter esportare grano dal Regno di Napoli senza dover pagare le consuete tasse, lo invitò in Spagna, ma l’artista cercò ripetutamente di prender tempo, mentre intanto inviava in dono all’imperatrice Isabella un’Annunciazione, ora perduta. Tale opera, in realtà, era una pala d’altare commissionata per un convento di Murano e rifiutata dai committenti per il suo costo eccessivo. Tiziano fu ricompensato da Carlo V con un beneficio per Pomponio a Milano.

In questo periodo uno dei principali committenti italiani di Tiziano, a parte Federico, fu suo cognato, Francesco Maria I Della Rovere, duca di Urbino, che impiegò l’artista dal 1532 fino alla sua morte nel 1538. Meno facoltoso di Federico, Francesco Maria commissionò un numero minore di opere, le più importanti delle quali furono i ritratti dello stesso Francesco Maria (1536) e della moglie Eleonora Gonzaga (1536-37), oggi entrambi a Firenze (Gallerie degli Uffizi). Francesco Maria acquistò inoltre un ritratto di una figura femminile in abito blu, noto come La Bella (Firenze, Galleria Palatina), e nel 1538 suo figlio Guidobaldo, allora duca di Camerino, comprò la cosiddetta Venere di Urbino (Firenze, Gallerie degli Uffizi), raffigurante la stessa donna. Quest’opera non era stata commissionata da Guidobaldo; è possibile che fosse stata iniziata per il cardinale Ippolito de’ Medici, del quale Tiziano aveva dipinto il ritratto a Venezia nel tardo 1532 (Firenze, Galleria Palatina) e fosse rimasta nello studio dell’artista in seguito all’improvvisa morte del cardinale, avvenuta nel 1535.

In seguito a un riferimento a Tiziano da parte di Ludovico Ariosto nella seconda edizione dell’Orlando furioso (1532) il pittore apparve sempre più frequentemente nei testi a stampa, quasi sempre in termini estremamente elogiativi. Tra i contemporanei lo scrittore che più contribuì a stabilire la sua reputazione, soprattutto come ritrattista, fu Aretino, grazie alla pubblicazione dei sei volumi delle sue lettere tra il 1538 e il 1557.

Per quanto la ritrattistica fosse sempre più significativa, e probabilmente anche lucrativa, nel corso degli anni Trenta Tiziano continuò a realizzare importanti dipinti di grandi dimensioni per Venezia, fra cui, per palazzo ducale, la pittura votiva del doge Andrea Gritti (1531) e, per la sala del Maggior Consiglio, la cosiddetta Battaglia di Spoleto (completata nel 1538), entrambe poi distrutte da incendi.

La più grande opera superstite risalente a questo periodo è la Presentazione della Vergine (1534-38; Venezia, Gallerie dell’Accademia), preceduta dalla Madonna e santi (Roma, Pinacoteca Vaticana), dipinta per l’altare maggiore di S. Nicolò ai Frari. Quest’ultima fu probabilmente commissionata prima del 1520 e quando fu terminata nei primi anni Trenta presentò una composizione completamente diversa da quella inizialmente progettata.

Specialmente nella parte alta del dipinto si può individuare la mano del fratello di Tiziano, Francesco, che nel corso di quel decennio rientrò alla nativa Pieve di Cadore. Là, per quanto continuasse a praticare l’attività di pittore, si dedicò anche al commercio del legname, in collaborazione con Tiziano, il quale nel 1531 era andato a vivere nella parte settentrionale di Venezia, convenientemente vicino ai depositi di legname.

Dei primi anni Trenta è anche S. Giovanni Battista (Venezia, Gallerie dell’Accademia) per la chiesa di S. Maria Maggiore; risale probabilmente al 1538 circa S. Giovanni Elemosinario, destinato all’altare maggiore dell’omonima chiesa e spesso considerato, scorrettamente, più tardo.

Da allora Tiziano ridusse la produzione di pitture per chiese ed edifici pubblici veneziani. Risale al 1529 circa la commissione dell’unica pala d’altare terminata negli anni Quaranta, la Discesa dello Spirito Santo per l’altare maggiore di S. Spirito in Isola, la cui esecuzione evidentemente non era stata una priorità per l’artista. Installata nel 1541, la pittura fu danneggiata dall’umidità e quindi rimossa; nel 1544 fu collocata una pala che, probabilmente, era stata dipinta ex novo (Venezia, S. Maria della Salute). L’unica altra opera pubblica di grandi dimensioni realizzata per Venezia in questo decennio fu la pittura votiva del doge Pietro Lando per il palazzo ducale (1542-43), distrutta nell’incendio del 1574. È probabile che stilisticamente fosse simile all’Ecce Homo (1543; Vienna, Kusthistorisches Museum), realizzato per un membro di una ricca famiglia di mercanti di Venezia.

Tiziano continuò a dipingere un numero ingente di ritratti; fra questi, nel 1542, la figura intera del futuro cardinale Cristoforo Madruzzo (San Paolo del Brasile, Museu de arte; con due iscrizioni aggiunte che forniscono la data erronea del 1552) e quello della piccola Clarice Strozzi (Berlino, Gemäldegalerie).

All’inizio del 1540 Tiziano si recò a Milano per ricevere il beneficio per conto di suo figlio Pomponio; in quell’occasione ebbe dalla Confraternita di S. Corona, cui apparteneva la cappella omonima in S. Maria delle Grazie, l’incarico di dipingere Cristo coronato di spine, che completò entro l’inizio del 1543 (Parigi, Louvre). Fu di nuovo a Milano nell’agosto del 1541, quando Carlo V gli concesse una pensione annua di 100 scudi riscuotibile in quella città. Si rividero a Busseto nel giugno del 1543, in occasione dell’incontro dell’imperatore con il pontefice Paolo III, nel cui seguito era Tiziano. In quella circostanza l’imperatore prestò al pittore un ritratto dell’imperatrice morta nel 1538, in modo che lo utilizzasse come modello per altri ritratti. Uno di questi, oggi perduto, fu terminato nel 1544 e un altro (Madrid, Museo del Prado) risale probabilmente al 1545. All’epoca dell’incontro di Busseto Tiziano stava inoltre dipingendo il ritratto di Paolo III (Napoli, Museo di Capodimonte); in breve, lavorava allo stesso tempo per l’imperatore e per il papa, una situazione senza precedenti per un artista.

Il rapporto di Tiziano con la famiglia Farnese ebbe inizio nel 1542, quando ritrasse il nipote di Paolo III, il giovane Ranuccio (Washington, National Gallery of art), che allora soggiornava a Padova. È verosimile che Paolo III commissionasse il proprio ritratto l’anno successivo sulla scorta del successo di quello di Ranuccio. Fu probabilmente nel 1543 che Tiziano decise di fornire, o acconsentì di dipingere, per il cardinale Alessandro Farnese un nudo femminile; inizialmente molto simile alla Venere di Urbino, fu poi trasformato in una Danae (Napoli, Museo di Capodimonte), così descritta da Vasari, che vide l’opera, assieme a Michelangelo, quando Tiziano si recò a Roma nel 1545-46.

Quest’ultimo giunse nell’Urbe su invito di Alessandro Farnese, che tentò di persuaderlo a entrare al servizio della sua casa in modo permanente. L’elemento che rendeva attraente l’offerta sembra fosse la possibilità di altri benefici per Pomponio; se nel marzo del 1546 egli ricevette un beneficio appena fuori Venezia, non ne ottenne invece un altro più remunerativo nelle vicinanze di Serravalle (oggi quartiere di Vittorio Veneto). Oltre alla Danae a Roma Tiziano dipinse il triplo ritratto, non finito, di Paolo III e i suoi nipoti (Napoli, Museo di Capodimonte); disperso invece è un Ecce Homo per il pontefice ricordato da Vasari.

L’interesse di Tiziano per il beneficio di Serravalle era in parte motivato dal suo crescente coinvolgimento con quel luogo. Nel 1542 aveva ricevuto l’incarico di dipingere una grande pala d’altare, la Madonna con s. Pietro e s. Andrea, completata nella prima metà del 1547 (Serravalle, S. Maria Nuova). Ne seguì una lunga disputa sul compenso, determinata, almeno in parte, dal fatto che la pittura non sembrava del tutto autografa, risolta soltanto nel 1553.

Nel 1544 Tiziano accettò di dipingere un’altra pala d’altare, un trittico per la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo nel vicino paese di Castello Roganzuolo. La pittura, consegnata nel 1549, è mal conservata. L’opera fu pagata in parte in denaro e in parte in materiali edili, che servirono al pittore per farsi costruire un’abitazione. Infatti in questo stesso periodo acquistò molti terreni nella medesima zona. Il suo rapporto con Serravalle si rafforzò nel 1555, con il matrimonio di sua figlia Lavinia con un nobile locale, Cornelio Sarcinelli; ma già nel 1551 una delle sue nipoti, Cecilia Alessandrini, aveva sposato Celso San Fior, pure di Serravalle, con cui Tiziano aveva stretto rapporti negli anni Quaranta; sempre nel 1555 Lucia, sorella di Cecilia, sposò un altro residente della zona, Giuseppe Zuccato, che sembrerebbe un congiunto dei mosaicisti Francesco e Valerio Zuccato, amici di Tiziano a Venezia.

Sebbene Tiziano rimanesse in contatto con il cardinale Farnese durante il 1547, all’inizio del 1548 si recò alla corte di Carlo V ad Augusta con l’accompagnamento di sei persone tra servitori e assistenti, e vi rimase fino a settembre. Portò con sé per l’imperatore una Venere, oggi perduta, e un Ecce Homo (Madrid, Museo del Prado). Da allora i suoi più importanti e fedeli committenti furono gli Asburgo, soprattutto Carlo e poi suo figlio Filippo. Mentre era ad Augusta, la sua rendita milanese fu raddoppiata ed egli riuscì ad avviare o portare a termine almeno venti ritratti, il più importante dei quali fu il Ritratto equestre di Carlo V (Madrid, Museo del Prado). La maggior parte fu realizzata per la sorella di Carlo, Maria d’Ungheria, e andò distrutta nell’incendio del 1604 che avvolse il palazzo del Pardo, fuori di Madrid. Lungo la strada di ritorno per Venezia, Tiziano si fermò a Innsbruck, dove iniziò almeno cinque ritratti delle figlie di Ferdinando, fratello di Carlo V, anch’essi ormai perduti.

Poco dopo il rientro a Venezia, fu chiamato a Milano per incontrare il figlio di Carlo V, Filippo, allora in viaggio dalla Spagna alle Fiandre. In quell’occasione iniziò un ritratto a figura intera del principe, probabilmente corrispondente all’opera oggi al Museo del Prado, e cominciò due ulteriori versioni del medesimo ritratto, una per Antoine Perrenot de Granvelle, consigliere di Carlo V, e l’altra per Maria d’Ungheria. Per quest’ultima realizzò anche, all’inizio del 1549, Tizio e Sisifo (entrambi al Museo del Prado). Nel corso dell’estate e dell’inverno di quell’anno ebbe problemi di salute e, conseguentemente, non poté lavorare molto; fu probabilmente nell’estate del 1550 che Tiziano finì di dipingere per Filippo una Danae (Madrid, Museo del Prado), apparentemente un dono, come la precedente Venere per Carlo V.

Nel luglio del 1550 Filippo chiese a Tiziano di tornare ad Augusta, ma il pittore non si mosse fino agli inizi di ottobre, arrivandovi solo in novembre e rimanendovi poi fino al maggio successivo. È probabile che portò con se la Danae, che in seguito spedì in Spagna. Oltre a effigiare di nuovo Filippo e a realizzare almeno quattro ritratti per Maria d’Ungheria non sappiamo con chiarezza cos’altro dipingesse durante questa seconda visita. Certo è che Filippo gli concesse una pensione annuale di 200 scudi in Spagna, in aggiunta a un dono di 1000 scudi e alla somma di 200 scudi per suo figlio Orazio. Da allora Filippo fu il più generoso e costante committente di Tiziano. Negli undici anni successivi l’artista dipinse almeno dieci importanti opere di grandi dimensioni per lui, alcune di soggetto religioso, altre mitologiche, ma anche un certo numero di opere di piccolo formato.

Già nel 1552 aveva inviato a Filippo, allora in Spagna, S. Margherita (Escorial) e la Venere del Pardo (Parigi, Louvre); l’opera era rimasta nel suo studio forse perché originariamente pensata per Alessandro Farnese. Due anni dopo, quando era a Londra per sposare Maria Tudor, Filippo ricevette Venere e Adone (Madrid, Museo del Prado); sebbene quest’opera fosse allora detta formare una coppia con la Danae, in realtà era un po’ più grande. Fecero seguito Perseo e Andromeda (1556; Londra, Wallace Collection), Diana e Atteone, Diana e Callisto (1559; Londra, National Gallery, ed Edimburgo, National Gallery of Scotland) e il Ratto d’Europa (1562; Boston, Isabella Stewart Gardner Museum). L’unico significativo precedente veneziano per i dipinti mitologici per Filippo, detti allora poesie, erano i Baccanali per Alfonso d’Este. Ma le ‘poesie’ di Tiziano sono prive di riferimenti alla contemporaneità nell’ambientazione e sono dipinte in modo molto differente, con pennellate ampie, cosicché, come spiegava già Vasari (1568), da vicino niente è riconoscibile all’occhio, ma a distanza appaiono perfette. Questo modo di dipingere, continua Vasari, è «giudizioso, bello e stupendo, perché fa parere vive le pitture e fatte con grande arte, nascondendo le fatiche» (p. 815). Questo stesso stile peculiare fu usato in quasi tutte le pitture tarde di Tiziano, specialmente le più grandi, incluse quelle di tema religioso per Filippo, tra cui il Cristo crocifisso (1556 circa; Escorial), la Deposizione nel sepolcro (1559), l’Adorazione dei Magi (1560) e il Cristo nell’orto del Getsemani (1562; tutte e tre al Museo del Prado a Madrid).

In questo periodo l’opera principale di Tiziano per Carlo V fu la Trinità (Madrid, Museo del Prado), completata nel 1554, cui fecero seguito le due versioni della Madonna addolorata, una quello stesso anno e l’altra nel 1555 o 1556 (Madrid, Museo del Prado). Nel periodo anteriore al 1554 il maestro continuò a lavorare per Maria d’Ungheria, inviando almeno sette ritratti e molte altre pitture, nessuna delle quali ci è pervenuta intatta.

Lo stile tardo di Tiziano è inoltre ben riconoscibile nei principali quadri a noi giunti prodotti per committenti veneziani durante gli anni Cinquanta. Il più significativo è il Martirio di s. Lorenzo (Venezia, chiesa dei Gesuiti); probabilmente commissionato nel 1547, risultava ancora incompiuto nel 1557 e sappiamo fu terminato prima del 1564.

Opere meno degne di nota sono l’Annunciazione e la Trasfigurazione (Venezia, S. Salvatore), entrambe probabilmente risalenti ai tardi anni Cinquanta e non in buone condizioni; Vasari riferisce che Tiziano stesso non le considerasse di gran valore.

Alcuni documenti relativi a una disputa tra Tiziano e i frati di S. Spirito in Isola nell’inverno del 1552-53 si riferiscono probabilmente alle pitture del soffitto della loro chiesa (Venezia, S. Maria della Salute), sebbene nella letteratura esse siano spesso ritenute più antiche di un decennio circa (Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Archivio della Nunziatura di Venezia, II, reg. 548, cc. 8v, 86v, 91r, 94v-95r, 100r, 102r, 108rv, 115r, 120r).

Dopo il ritorno a Venezia da Augusta nel 1551, nonostante il fedele servizio prestato per gli Asburgo nel corso degli anni Cinquanta, Tiziano non ricevette alcun compenso da parte di Carlo e Filippo, forse a causa delle difficoltà finanziarie della famiglia imperiale. Tuttavia a partire dal 1559 cominciò a ricevere il pagamento delle sue pensioni sia in Spagna sia a Milano, così come il pagamento degli arretrati. Benché si verificassero altri ritardi nei pagamenti anche negli anni successivi, complessivamente Tiziano ottenne quasi tutto di quanto fosse titolato a ricevere, incluso un pagamento ex gratia a risarcimento del privilegio della mancata tassa sul grano del Regno di Napoli. In cambio, continuò a procurare pitture a Filippo, delle quali ben poche mostrano tracce di ampi coinvolgimenti dei collaboratori; questi dipinti offrono quindi l’idea più chiara delle sue priorità artistiche in età avanzata.

La prima significativa opera inviata al re dopo il 1562 fu L’ultima cena (1564; Escorial). È verosimile che sia stata eseguita con aiuti se non altro perché, nonostante sia stata ridotta, è a tutt’oggi molto grande. Originariamente concepita per i frati dei Ss. Giovanni e Paolo a loro fu consegnata una seconda versione, poi distrutta nell’incendio del 1571.

L’opera successivamente realizzata da Tiziano per Filippo fu il Martirio di s. Lorenzo (1567; Escorial). Questa fu una delle rare volte in cui il re specificò il soggetto, scelto in quanto l’opera era destinata all’Escorial, dedicato a s. Lorenzo. Essa è basata sulla precedente versione dello stesso soggetto oggi ai Gesuiti di Venezia, ma è più grande e ben differente nella composizione e vanta un’abilità nella resa delle diverse fonti di luce non riscontrabile in altre opere tizianesche. Insieme al Martirio di s. Lorenzo Tiziano inviò a Filippo una Venere con lo specchio oggi dispersa, ma di cui sopravvivono varie versioni; fecero seguito Il tributo della moneta (1568; Londra, National Gallery) e il grande Tarquino e Lucrezia (1571; Cambridge, Fitzwilliam Museum).

L’ultima consegna di pitture per Filippo fu inviata nel 1575 e comprendeva l’Allegoria della Battaglia di Lepanto, la Spagna che viene in aiuto alla Religione (entrambe a Madrid, Museo del Prado) e S. Gerolamo (Escorial). La maggior parte di queste pitture non ha i caratteristici segni delle opere prodotte con l’estesa collaborazione di assistenti: un tipo di produzione che di solito si ritiene, a buon diritto, comprendere soprattutto seconde versioni, tra cui la Venere e la Spagna. Il Tarquino e Lucrezia e S. Gerolamo sono infatti ambedue composizioni originali e non sono significativamente meno rifiniti di opere realizzate negli anni Sessanta. Ciò nonostante si è a lungo ritenuto che nei suoi ultimi anni Tiziano adottasse uno stile persino più cursorio e impressionistico delle opere degli anni Sessanta; fra gli esempi addotti vi sono la Pietà (Venezia, Gallerie dell’Accademia), la Punizione di Marsia (Praga, Národní Galerie) e la Morte di Atteone (Londra, National Gallery). Tuttavia non sussiste alcuna prova che queste tre pitture lasciarono lo studio del pittore quando era ancora in vita; ed è certo che la Pietà fu completata da Palma il Giovane dopo la morte di Tiziano. Caratterizzata dallo stesso stile è l’Incoronazione di spine (Monaco, Alte Pinakothek) posseduta dal Tintoretto, il quale probabilmente la ottenne dall’eredità di Tiziano. Ne consegue che l’idea secondo cui, durante i tardi anni Sessanta e Settanta, Tiziano avrebbe sviluppato un nuovo stile non è corretta. Le opere presunte eseguite in tale stile sono semplicemente non finite; ciò si accorda bene con il fatto che un’altra opera con una simile pennellata è un autoritratto (Berlino, Gemäldegalerie) della fine degli anni Quaranta, che sappiamo con certezza esser rimasto incompiuto.

Dai tardi anni Cinquanta nessun altro committente avrebbe potuto sperare di ottenere opere di Tiziano che fossero paragonabili per qualità con quelle prodotte per Filippo II. Perfino il cardinale Ippolito d’Este si dovette accontentare di una versione dell’Adorazione dei Magi di qualità inferiore (1564; Milano, Pinacoteca Ambrosiana), poiché la pittura da lui originariamente ordinata era stata inviata a Filippo nel 1560 (Madrid, Museo del Prado). Allo stesso modo, l’Ultima cena inviata al re era presumibilmente di qualità superiore alla versione per i Ss. Giovanni e Paolo; e i committenti delle tre enormi tele da soffitto per la sala del Consiglio di Brescia (1564-68, distrutte da un incendio nel 1575) si lamentarono del fatto che non erano autografe.

La maggior parte delle pitture che uscirono dalla bottega di Tiziano negli anni Sessanta e Settanta, eccetto quelle per Filippo, erano ripetizioni o variazioni di opere già esistenti e in esse il contributo del maestro deve essere stato, nella maggior parte dei casi, molto limitato. Ciò emerge chiaramente dalle versioni della Maddalena (Napoli, Museo di Capodimonte; collezione privata; San Pietroburgo, Ermitage), tra loro differenti, ma in un modo che non suggerisce uno sviluppo coerente dall’una all’altra. Negli anni Sessanta, inoltre, quasi s’interruppe la produzione di ritratti; l’ultimo esempio fu quello di Jacopo Strada (1568; Vienna, Kunsthistorisches Museum).

Non sappiamo molto della personalità artistica della maggior parte degli assistenti di Tiziano. Fino al suo ritorno a Pieve di Cadore, negli anni Trenta, sembra che Tiziano sia stato aiutato dal fratello Francesco. Un altro assistente di lungo corso fu Girolamo Dente, già presente nella bottega nel 1525, all’incirca quindicenne, ma che in seguito troviamo ad accettare parallelamente commissioni indipendenti. Il figlio Orazio, il cui stile non è ben definito, accompagnò Tiziano a Roma, dove realizzò un ritratto; egli fu coinvolto nello studio sino alla morte del maestro, sebbene non sappiamo con esattezza con quali mansioni, oltre alla gestione degli affari del padre. Un altro assistente fu Marco Vecellio, figlio di un cugino di Tiziano, che insieme ad altri partecipò nel 1566-67 alla realizzazione di alcuni affreschi a Pieve di Cadore sulla base di disegni del maestro. Tuttavia egli è documentato soltanto in due occasioni nello studio veneziano e il suo ruolo nella bottega potrebbe essere stato molto limitato. Per contro l’assistente più importante fu Emanuel Amberger, da Augusta, ripetutamente documentato come facente parte dello studio almeno dal 1565 in poi.

Tiziano morì a Venezia di febbre e senza testamento, il 27 agosto 1576, durante un’epidemia di peste e fu sepolto ai Frari il giorno successivo.

Meno di un mese dopo morì Orazio, vittima della peste. Ne seguì una lunga e spiacevole disputa per i beni del maestro, tra Pomponio, da cui Tiziano si era allontanato nell’ultimo decennio, e Sarcinelli, che agiva per conto dei figli di sua moglie, Lavinia. La disputa fu alla fine risolta con il passaggio delle proprietà tizianesche di Serravalle ai figli di Cornelio, mentre la parte restante dei beni immobili, soprattutto in Cadore e a Venezia, andò a Pomponio, che li distribuì ai suoi parenti, compresi i Dossena. La notizia secondo cui la casa di Tiziano a Venezia sarebbe stata saccheggiata dai ladri dopo la sua morte è falsa, sebbene alcuni beni, tra cui le pitture, furono presi da Cornelio e quasi certamente poi restituiti.

Nessun altro artista prima di Tiziano ebbe un numero così vasto di potenti committenti, sia in Italia sia all’estero. La sua reputazione fu diffusa e in parte perfino creata dal fatto che egli fu menzionato, mentre era ancora in vita, in almeno centocinquanta pubblicazioni (alcune poi riedite) e in molte di esse è detto pittore eccezionale. In seguito alla dispersione delle importanti collezioni in cui erano affluite moltissime sue opere diventarono più accessibili ai pittori in tutta l’Europa occidentale, esercitando così un’influenza ancora maggiore e certamente superiore a ogni altro artista italiano.

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