VICTORIA, Tomás Luis de

Enciclopedia Italiana (1937)

VICTORIA, Tomás Luis de

Higinio Anglès

Compositore di musica, nato ad Avila (Spagna) verso la metà del sec. XVI, morto a Madrid il 27 agosto 1611. È il più eminente compositore della scuola spagnola della polifonia sacra classica cinquecentesca. Nonostante gli studî di F. X. Haberl, F. Pedrell, R. Mitjana e quelli - recenti - di R. Casimiri, la biografia di questo maestro presenta ancora molti punti oscuri. Fino ad oggi nulla sappiamo, infatti, della sua infanzia e dei suoi primi studî, non essendo stati esplorati completamente gli archivî ecclesiastici di Ávila. Il Pedrell cercò invano colà l'atto di battesimo. Per il momento, grazie ai documenti trovati dal Casimiri in Roma, possiamo rettificare l'ipotesi del Pedrell, secondo la quale il V. sarebbe nato circa il 1530: Haberl e Mitjana si accostarono meglio alla realtà ammettendo il primo di essi come anno di nascita il 1540, il secondo ponendo tale anno tra il 1540 e il 1545. Se pensiamo a quel che avvenne agli altri maestri spagnoli del sec. XVI possiamo supporre che il V. sia stato fanciullo-cantore nel coro della cattedrale di Ávila e che abbia ricevuto la sua prima educazione seguendo le lezioni del maestro di cappella e organista della stessa cattedrale. Mancando una storia musicale di quella chiesa, non sappiamo nulla di certo.

Circa la prima educazione artistica del V., va rammentato che l'insegnamento musicale che s'impartiva ai fanciulli di cantoria nelle cattedrali spagnole durante il 1500 non si limitava al solfeggio, e ad un poco d'armonia con la corrispondente pratica organistica, ma s'inoltrava fino agli studî contrappuntistici superiori. Molti di quei fanciulli, lasciando il coro della cattedrale, conoscevano molto bene i segreti della polifonia del loro tempo. La musica religiosa che si praticava nelle cattedrali castigliane durante l'infanzia del V. era principalmente quella dei fiamminghi: A. Agricola, P. de la Rue, J. Després, N. Gombert, e quella degli spagnoli: I. Escobar, F. de Peñalosa, C. de Morales, B. de Escobedo, M. Robledo (gli ultimi quattro furono per qualche tempo cantori della cappella pontificia a Roma), F. de Pastrana, F. Guerrero, ecc. Il V. avrebbe dato segni della sua buona disposizione musicale già prima dei suoi quindici o sedici anni d'età, e a tale età i suoi maestri procurarono di dirigerla bene, affinché non s'avesse a sciupare un talento sì preclaro. Di qui la decisione presa da protettori potenti d'inviarlo a Roma, centro della polifonia sacra del tempo.

Allo scopo di comprendere il perché della partenza del V. per Roma va ricordato che già dai tempi più remoti i musici spagnoli - tranne rare eccezioni - non ebbero nome di buoni maestri se prima non avevano visitato l'Italia. Nel caso ciò non fosse loro stato possibile, essi non lesinavano tempo né mezzi per procurarsi il repertorio della musica italiana. Lo scambio musicale fra l'Italia e la Spagna durante i secoli XV e XVI non è ancora stato studiato quanto merita. Quando si conoscerà di più circa tali scambî, sarà possibile chiarire molti problemi circa lo stile e lo spirito di alcune forme musicali spagnole e circa l'influenza più o meno profonda che la musica italiana del tempo può avere esercitato sull'opera di varî maestri iberici. Al tempo di Alfonso V il Magnanimo, re di Catalogna e Aragona dal 1416 al 1458, di Sicilia dal 1416, di Napoli dal 1452, vediamo come presso la sua corte in Napoli si alternino musici italiani con altri venuti dalla Catalogna o da Valenza. I cantori spagnoli s'introdussero nella cappella pontificia già prima del pontificato di Callisto III (Alfonso Borgia; 1455-1458). La famiglia dei Borgia attrasse in Italia musici e cantori spagnoli. La polifonia aulica regnante in casa degli Sforza e della nobiltà italiana fu conosciuta dai maestri della corte spagnola. Tutte queste notizie dimostrano come i compositori spagnoli conobbero assai presto la polifonia italiana e come viceversa gl'Italiani conobbero la produzione dei musici spagnoli. È per questo che il repertorio della canzone amorosa della corte spagnola presenta certe analogie con le frottole e altre forme musicali italiane fra il tardo sec. XV e il principio del XVI. Queste notizie ci spiegano bene la presenza di cantori e musici spagnoli non soltanto presso la cappella pontificia, ma anche presso altre chiese di Roma e d'Italia. Altro fatto non abbastanza valutato è quello della stampa musicale spagnola del sec. XVI. Se eccettuiamo le opere dei compositori per vihuela e quelle degli organisti, edite a intavolature, dobbiamo riconoscere che l'editoria fu poco generosa per i musicisti, in Spagna. La mancanza di un'editoria nazionale fu la causa per la quale poterono giungere a stampa soltanto le opere di quei compositori che operarono nei centri d'Italia e delle altre nazioni d'Europa. C. de Morales, F. de las Infantas, T. L. de Victoria, per non citare che i maggiori, presentano le loro opere in edizione italiana: sola eccezione, due volumi del V., che ebbero stampa a Madrid.

L'ignoto protettore di V. lo mandò di certo a Roma perché egli si dedicasse non solo agli studî scolastici, ma questi alternasse con i musicali. In tutti i casi, certo è che il viaggio di V. in Italia rispondeva all'intento di far proseguire al giovane i suoi proprî studî, e inclinazione sua naturale era la musica; la sua presenza nella città di Roma mostra che i protettori lo volevano porre nell'ambiente più propizio che esistesse in Europa per soddisfare le inclinazioni del giovane venuto di Castiglia. Roma che anni prima aveva amorosamente educato il Palestrina riceverà ora tra i suoi discepoli il giovane Victoria. Precisamente nel 1352 si era inaugurato in Roma il Collegio Germanico. Nel 1565 si presenta a Roma per la prima volta il Victoria, come alunno di quel collegio. Se pensiamo che gli statuti di esso stabilivano che gli alunni non potessero entrarvi se non tra il loro quindicesimo anno e il ventunesimo, il V. dovette avere, al partir di Spagna per Roma, dai 15 ai 21 anni. Ciò basta a smantellare l'ipotesi affermata da Haberl, Pedrell e Mitjana, secondo la quale il V. sarebbe - al partirsene per Roma - già stato ordinato sacerdote e sarebbe già stato un provetto maestro compositore. Non meno inesatta l'idea che in Roma il V. abbia ricevuto lezioni di musica dal Morales e dall'Escobedo. Il Morales, cantore pontificio, era partito da Roma per la Spagna il 4 aprile del 1540. Da documenti trovati per primo dall'Anglés nell'archivio di Simancas si sa che il Morales servì da cappellano presso la cappella di Filippo II, e che - tornato a Roma - nuovamente partì per la Spagna il 9 maggio 1545. L'Escobedo, altro cantore pontificio assai celebre, passò per Segovia nel 1554 quando il V. era ancora in tenera età.

V. frequentò i corsi del Collegio fino a tutto il 1568 o ai primi del 1569. Bisogna rammentare, inoltre, che due figli del Palestrina, Angelo e Rodolfo, frequentavano anch'essi tali corsi, sicché è probabile che il giovane spagnolo entrasse presto in relazione col grande maestro romano. Durante questi anni, oltre che agli studî umanistico-religiosi, egli si dedicò principalmente alla musica. Egli stesso lo conferma nella dedica a Filippo II re di Spagna di un suo libro del 1583: "Dacché partii dalla Spagna per l'Italia e venni qui a Roma, oltre a dedicarmi a altri nobili studî, nei quali mi affrettai un poco, posi gran lavoro e studio nell'arte musicale", la quale arte "per certo istinto, per certo segreto impulso" era al V. sì naturale.

Nulla di sicuro sappiamo circa i maestri con i quali il V. principalmente studiò ne' primi anni della sua permanenza a Roma. Non è però temerario l'affermare che il primo sia stato il fiammingo J. de Kerle, in quel tempo maestro della cappella del cardinale Ottone di Truchsess, il gran protettore del Collegio Germanico. Il Kerle aveva certo già conosciuto altri spagnoli, i quali con lui formavano la cappella musicale di Massimiliano II d'Austria; tra essi ricorderemo M. Flecha. Sembra confermare questa ipotesi il fatto stesso che il Truchsess sarebbe stato il primo mecenate del V. a Roma, al quale il musicista dedicò il suo primo libro: Primicias de mi ingenio, del 1572 (Mottetti a 4, 5 e 6 voci). In ogni caso, la guida del Kerle non oltrepassò il 1568, perché si sa che in quell'anno il Kerle partiva col cardinale Truchsess alla volta di Augusta. Il Casimiri ammette, con sufficiente fondamento, che dal 1568 fino al '72 il V. abbia avuto lezioni dal Palestrina, dal 1566 al '71 maestro di canto al Collegio. Circa il 1569-70 il V. fu maestro e organista a S. Maria di Monserrato, chiesa degli Aragonesi, dei Catalani e dei Valenziani in Roma. Nel 1571 passò nuovamente al Collegio Germanico come "musico" precettore dei pueri, cioè - visto che colà ancora non esisteva una vera cappella musicale - dei fanciulli. Nel '73 fu nominato maestro di cappella al seminario romano diretto allora dai gesuiti, prendendo il posto lasciato nel '71 dal Palestrina per quello della cappella pontificia in S. Pietro. Nel 1575 Gregorio XIII donò al Collegio Germanico il vecchio palazzo contiguo alla chiesa di S. Apollinare, ciò che meglio fece sentire la necessità di fondare una cappella bene fornita. Il V., che nel Collegio Germanico era Moderator Musicae, si trovò tosto a passare quale maestro di cappella a S. Apollinare, con l'obbligo, tra l'altro, d'insegnarvi il canto fermo e il figurato. Nel marzo 1575 ricevette gli ordini minori e il 28 agosto dello stesso anno fu ordinato sacerdote nella chiesa di S. Tommaso degl'Inglesi. Nel 1578 abbandonava il Collegio Germanico. Per qual motivo? Da una parte, sembra che il V. fosse accolto al seguito dell'imperatrice Maria figlia di Carlo V e sposa di Massimiliano II d'Austria già nell'anno 1579. Ciò si deduce da una relazione che il V., a mezzo del 1611, indirizzò a Filippo III, nella quale egli scrive che "durante 24 anni" aveva servito quale cappellano alla suddetta principessa (morta nel 1603) che si era ritirata nel 1584 nel monastero delle Descalzas Reales di Madrid insieme con la figlia. D'altra parte, come fa rilevare il Casimiri, V. abbandonò il Collegio Germanico nel 1578 per diventare cappellano a S. Girolamo della Carità, dove egli passò 8 anni, 5 dei quali in compagnia di S. Filippo Neri. Fu in tale circostanza che si legò in stretta amicizia con il padre Felice Soto de Langa, musicista spagnolo appartenente all'oratorio di S. Filippo Neri e cantore pontificio.

Il V., che partecipava profondamente del misticismo dei suoi compatrioti S. Teresa, S. Giovanni della Croce e di tanti scrittori della Spagna cinquecentesca; e che, al pari di J. Escobar, F. de Peñalosa, C. de Morales, A. de Cabezón e di tanti compositori che l'avevan preceduto, era portato ad esprimere musicalmente questo suo vivo sentimento; il V., che nella sua musica pervasa da sensi drammatici e religiosi ricorda la pittura di un Greco o di un Ribera, si ritirava al fianco di S. Filipo Neri, direttore spirituale del Palestrina e centro d'attrazione della pleiade di musici e d'artisti della Roma del tempo. A ciò lo spingeva probabilmente il desiderio di spiritualizzare sempre più la propria musica, come quel Guerrero che fece un viaggia in Terrasanta unicamente per prepararsi a cantare il mistero della Croce di Cristo. A tal proposito conviene ricordare alcune parole da lui vergate nella dedicatoria dei Missarum libri duo (1583) al re Filippo II. Il V. vi dichiara di sentirsi ormai stanco di comporre musica e di desiderare dedicare i giorni che ancor gli restano alla contemplazione di Dio, come si pertiene a un sacerdote". Egli che, a dispetto della "soverchia audacia", vorrebbe ancora tornare al suo paese, pensa di non poterlo fare "a mani vuote", e così ha "pensato di dedicare al suo re postremum hunc ingenii partum".

Ma due anni dopo il V. pubblicava - nonostante tali disposizioni - il suo Officium Hebdomadae Sanctae, cui seguirono molti altri lavori. In ogni caso, con il suo ritiro presso Filippo Neri, il V., oltre che riconcentrarsi per scrivere la sua musica incomparabilmente devota, nella solitudine si poté impregnare sempre più delle opere di Animuccia, Soto de Langa e specialmente di quelle del suo maestro G. Pierluigi da Palestrina. Le dediche delle sue pubblicazioni del 1581, '83, '85, ci mostrano che il V., forse disilluso dai mecenati di questo mondo, rivolge le sue opere alla Vergine e alla SS. Trinità. Il suo Officium Hebdomadae Sanctae del 1585 fu il risultato e la sintesi dei suoi sentimenti mistico-drammatici vissuti da lui al fianco di S. Filippo durante i giorni del suo ritiro spirituale.

Nel 1579 egli riceve varî benefici semplicì da Gregorio XIII, per i quali dedica a questo pontefice i suoi Hymni totius anni del 1581. Nel 1585 riceve la cappellania e lascia S. Girolamo della Carità. Fu probabilmente dopo il 7 maggio 1585 ch'egli lasciò Roma per tornarsene in patria. Certo però, il 13 novembre del 1592, egli si trovava nuovamente in Roma, da quanto si può vedere nella dedica del II libro di Messe al cardinale Alberto d'Austria, che il V. firma e data da Roma. Così anche sembra ch'egli fosse quivi il 18 luglio 1593. Il che si deduce dalla festa che si celebrò quel giorno a Roma nella chiesa di S. Apollinare per celebrare la vittoria dei cristiani sui Turchi. Durante la Messa fu cantato il mottetto Surge, Debora, et loquere canticum, del V., oggi perduto; si tratta di un mottetto d'occasione, scritto espressamente per la celebrazione di quella vittoria riportata il 7 dello stesso mese.

Dall'anno 1596 al 1607 il V. vive in Madrid come cappellano dell'imperatrice Maria, nel 1584 ritiratasi nel convento delle Descalzas Reales di Madrid. Egli poté godere di sì alta protezione fino al 1603, anno in cui l'imperatrice venne a morte. Da quell'anno fino alla morte egli continuò nondimeno a servire presso quel monastero, come organista.

V., che nella sua persona, sintetizza il genio musicale di Spagna, non poté vedere consacrata né premiata la sua opera quanto essa meritava. Il Palestrina s'ebbe le massime distinzioni pontificie, Orlando di Lasso ricevette ogni sorta di onori da parte di re e di magnati. Il Victoria, che loro sopravvisse per 17 anni, e che a Roma era stato tanto stimato da papi, cardinali, regnanti e principi, terminò i suoi giorni quasi obliato, con un semplice incarico d'organista di convento.

Non è possibile comprendere tale disparità di sorti senza ricordare quel che dicemmo circa il misticismo e l'innata umiltà dal V. manifestati già dai Missarum libri duo del 1583. Finora non è stato possibile rintracciare nulla dei resti mortali del celebre maestro.

L'opera di V. è il più grande monumento della polifonia spagnola. V., Palestrina e Orlando di Lasso sono i tre maggiori compositori di musica sacra del sec. XVI. La produzione del V., riguardo alla mole, è molto inferiore a quella del Palestrina e di Orlando; riguardo al valore estetico, non lo è affatto. Secondo l'edizione curata da F. Pedrell la produzione del V. consta di 20 Messe, 44 Mottetti, 34 Inni, diversi Magnificat. Responsorî, un Officium Hebdomadae Sanctae e il celebre Officium Defunctorum. Questi due ultimi sono i massimi capolavori della polifonia religiosa del Cinquecento sulla vita dolorosa di Cristo e sulla speranza nella resurrezione. Uno studio estetico imparziale sul valore dell'opera di V. è ancora da scriversi.

Quanto allo stile, è da notare che il V. non traligna dalle vie tracciate dai vecchi maestri spagnoli: come quelli, egli si tiene al principio della naturalezza e della semplicità nella forma. Ciò equivale a dire che il V. sa esprimersi senza ricorrere al difficile e intricato contrappunto dei fiamminghi né a quello matematico e frigido di tanti maestri del tempo. V., educato al fianco del Palestrina, seguì insieme la semplicità e la naturalezza dello stile tradizionale spagnolo, e - in parte - quello del Palestrina; è per questo che la sua arte sorpassa in purezza quella degli altri maestri iberici e si accosta a quella del sommo maestro italiano.

V. nello scriver musica, si proponeva di commuovere e rapire lo spirito degli ascoltatori; come i letterati mistici e i pittori del secolo, seppe riunire il rigore stilistico con il carattere amabile a lui proprio. Il segreto di questa sua propria estetica consiste precisamente nel misticismo drammatico che seppe imprimere nelle sue opere; misticismo drammatico che va sempre accompagnato da un'espressività musicale già tipica spagnola, ma ora potenziata dal V. oltre il pensabile. Sotto tale riguardo non si sa che cosa più ammirare: se la dolcezza di O magnum Mysterium per la Natività, o il drammatismo emozionante della Passione di Cristo nell'Officium Hebdomadae Sanctae, o la pietà fiduciosa che s'espande dall'Officium Defunctorum.

Occorre rammentare che il V. non scrisse alcuna musica madrigalistica, dato che la sua estetica musicale seguì sempre il principio che la musica ha il compito di elevare le anime al loro creatore. Anche per questo egli non mai usò temi profani: a scrivere la sua musica di umiltà, adorazione e dolore gli bastano il repertorio gregoriano e gli appelli e lamenti di dolore e di amore che naturalmente salgono dal suo cuore.

In conclusione si può dire che - come nel Palestrina - così anche nel V. la ragione profonda dello stile è contenuta nella linea melodica. L'incontro della melodia e dell'armonia produce nella sua musica una forza emotiva incomparabile per mezzo della dissonanza. In ogni caso, per seguire ch'egli faccia i procedimenti tradizionali della polifonia del tempo e per riprender ch'egli faccia molti caratteri dello stile palestriniano, egli sa porre nella sua musica un segno inconfondibile di alto drammatismo mistico castigliano. Oltre a ciò, nella sua musica, noi incontriamo elementi tipici della scuola nazionale spagnola, dai quali non si potrebhe prescindere: tra gli altri, l'ascesa di 4ª diminuita fa ♯ - si ♭ tanto caratteristico poi negli organisti del sec. XVII, e l'intervallo di 2ª aumentata mi ♭ - fa ♯ tipico di alcune canzoni popolari iberiche.

Fino ad oggi non è stato possibile rintracciare un ritratto del V.; nonostante la loro splendida edizione, le sue pubblicazioni non recano mai sul frontespizio la sua immagine.

Bibl.: P. X. Haberl, T. L. de V., in Kirchenmusik-Jahrbuch, 1896; F. Pedrell, T. L. V., ecc., Opera omnia, VIII, Lipsia 1913; id., T. L. V., ecc., Valenza s. a. (ma 1918); H. Collet, Le Mysticisme musical espagnol au XVIe siècle, Parigi 1913; id., Victoria, ivi 1914; R. Mitjana, Estudios sobre algunos músicos españoles del siglo XVI, Madrid 1918; R. Casimiri, Il V., in Note d'archivio per la storia musicale, XI (1934), n. 2.

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