AREZZO, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

AREZZO, Tommaso

Mario Barsali

Nacque il 16 dic. 1756 a Orbetello in Toscana, da nobile famiglia siciliana, secondogenito del marchese Orazio, che allora comandava la guamigione dello Stato dei Presidi, e da Marianna Fitzgerald e Browne, di antico patriziato irlandese, nata a Dublino da Tommaso dei duchi di Leinster, gran scudiero del regno d'Irlanda. A otto anni fu mandato a Roma a studiare, prima al Nazzareno, il collegio dei giovani dell'alta nobiltà, poi diritto civile e canonico presso l'accademia ecclesiastica del Collegio Romano. Nel 1773 vestì l'abito ecclesiastico, e il padre gli ottenne dal re il decanato dalla cattedrale di Girgenti, con dispensa pontificia dagli ordini maggiori e dalla residenza; più tardi, nel 1781, fu creato cavaliere dell'Ordine di Malta. I titoli rappresentarono per l'A. utile prestigio e rendite, idonei a facilitargli la carriera di curia cui si indirizzava. Fu così vice legato di Bologna nel 1785; governatore di Fermo nel 1791, di Perugia nel 1793, di Macerata nel 1796; e poi governatore generale delle Marche e Piceno. L'occupazione francese interruppe il governo dell'A.: nel febbraio dei 1797 dovette abbandonare Ancona, nel dicembre fuggire da Macerata davanti alla divisione Dessolle chiamata dai giacobini locali; l'anno seguente, occupate nel gennaio dai Francesi le Marche, espulso da Roma nel febbraio Pio VI, l'A. si rifugiò in Sicilia. Qui, per la morte del padre e del fratello maggiore Raimondo, l'A. si trovò a capo della famiglia e di un cospicuo patrimonio.

Con l'ingresso a Roma, nel luglio 1800, del nuovo papa Pio VII, si andavano ricostituendo corte e curia. Nel gennaio 1802 all'A. era affidata l'ambasceria straordinaria presso la corte d'Etruria; per l'occasione, riceveva gli ordini sacri. Ma, nel frattempo, era scelto per la difficile nunziatura in Russia. Consacrato il 6 aprile arcivescovo in partibus di Seleucia, ricevette dalla Segreteria di stato il 27 aprile la nomina di ambasciatore straordinario a Pietroburgo. Dopo aver rinunziato in favore del fratello minore Giuseppe al titolo di capo famiglia, munito di facoltà e poteri di nunzio e fornito di una ampia Istruzione dal cardinale Gerdil, prefetto di Propaganda (vedila in M. j. Rouét de Joumel, Nonciatures, III, I, pp. 3-15), partì da Roma il 26 giugno con l'uditore Giulio Alvisini e, dopo essere stato bloccato per circa sette mesi a Vienna da sopraggiunte difficoltà diplomatiche tra le corti russa e romana, arrivò a Pietroburgo il 9 apr. 1803

Il ritardo da parte russa nella consegna all'A. del passaporto - concessogli come ambasciatore nel gennaio 1803 - aveva diversi motivi. Apparentemente, gli strascichi sul titolo di gran maestro dell'Ordine di Malta, già conferito al defunto zar Paolo I e non ratificato da Pio VI per motivi sia formali (rispetto dei regolamento dell'Ordine) sia sostanziali (sovrano acattolico a capo di un ordine religioso cattofico). Motivo più concreto, l'ostilità, all'arrivo di un legato apostolico, di Stanislao Siestrzencewicz, arcivescovo di Mogilev e cardinale, arrivo che non avrebbe mancato di annullare i suoi sforzi volti a trasformare la sua condizione di gerarca più alto della Chiesa cattolica in Russia in quella di capo effettivo dei cattolici russi (egli già aveva ottenuto dallo zar, col rescritto del 17 marzo 1799, il governo relativo a tutti gli affari spirituali della Chiesa e alle sue relazioni). Ma, in fondo, motivo sostanziale era lo scarso interesse del governo russo alla presenza di un nunzio: se poteva essere interessato a rapporti con un sovrano europeo e in particolare italiano, non lo, era a un ampliamento in Russia dell'autorità papale, né al consolidamento dei gruppi cattolici.

L'attività dell'A. era perciò condizionata da questo limite oggettivo, cui si aggiungeva, proprio nel periodo della sua missione, da una parte il progressivo affiancamento della Russia alla netta linea antifrancese dell'Inghilterra, dall'altra l'accostamento della S. Sede a Napoleone.

Le dettagliate istruzioni all'A. del Gerdil. possono, con relativa approssirnazione, essere raggruppate su tre punti. Soluzione, in termini canonicamente accettabi li, della questione del "Collegio ecclesiastico" (che avrebbe significato anche, in un certo senso, assicurare ai cattolici russi libertà di culto e di comunicazione con Roma); ripristino della organizzazione ecclesiastica (che era anche ristabilire gerarchia e metropolita per i Ruteni impedendone il passaggio al rito latino, riottenere ai basiliani i conventi passati agli ortodossi, riordinare le missioni nella Russia meridionale); soluzione di questioni finanziarie (esazione di un credito a favore della Propaganda Fide, delle tasse concistoriab, ecc.). Non tutte queste questioni poterono esser trattate e risolte daff'A.; altre poi ' impreviste e non meno irnportanti, richiesero notevole impegno pur con relativo risultato.

Una delle difficoltà per le precedenti nunziature Archetti e Litta, quella rappresentata dai gesuiti, si era intanto venuta risolvendo. Pio VII, col breve Catholicae Fidei (1801)ne aveva riconosciuta l'esistenza ufficiale in Russia. Col generale della Compagnia, p. Gabriele Grüber, influente e stimato negli ambienti di corte e ortodossi, l'A. mantenne utili buoni rapporti: era comune ad entrambi l'obbiettivo di ridurre i poteri straordinari e l'ingerenza del Siestrzencewicz. La corrispondenza diplomatica dell'A. contiene elogi dell'attività dei gesuiti (cfr. per tutta, A. a Consalvi, 28 ag. 1803 e 18giugno 1804, in Nonciatures, III, 1, pp. 240 ss., 690 s.), anche se i maneggi del P. G. Angiolini, inviato dal Grüber come procuratore generale della Compagnia in Italia col segreto scopo di ricostituirvi l'ordine, suscitarono irritazione.

La maggiore difficoltà per l'A. fu rappresentata dall'arcivescovo di Mogilev. Cogliendo a occasione la necessità di nominare vescovi suffraganei, il Si estrzencewi cz presentò richieste (trasmesse a Roma l'11 giugno 1803)per il titolo di legato della S. Sede, per la nomina dei suffraganei, per l'intera giurisdizione su tutti gli Ordini religiosi, per la potestà di secolarizzare dispensando dai voti solenni, per il rinnovo di tutte le facoltà concessegli da Pio VI. Alle richieste l'A. fece seguire alcune Informazioni ed osservazioni (allegate in A. a Consalvi, 28 giugno 1803, in Nonciatures, III, 1, pp. 177-184)sostanzialmente negative. Nel frattempo, l'A. prorogava all'arcivescovo di Mogilev, ma anche agli altri vescovi, le facoltà concesse dai predecessori, pur con limitazioni giudicate però a Roma insufficienti; e a Roma, il 9 sett. 1803, si riuniva una prima commissione cardinalizia. Sui nomi dei vescovi e sulle richieste si aprì una lunga questione, che occupa buona parte della corrispondenza. L'A. riuscì a far accettare quattro suffraganei, su cinque, graditi alla S. Sede; ma quanto ai poteri straordinari dell'arcivescovo di Mogilev, la tattica romana di espedienti e procrastinazioni fallì: partito l'A., un decreto dello zar (16 ag. 1804) confermava al Siestrzencewicz; diritti, privilegi e facoltà già accordate da Pio VI. Rimase perciò sotto la sua giurisdizione, attraverso il Collegio ecclesiastico, anche la facoltà teologica di ViIna con l'annesso seminario centrale.

Parallelamente al Sinodo ortodosso, un decreto di Alessandro I (9 dic. 1801) aveva eretto il Collegio ecclesiastico romano-cattolico, tribunale supremo presieduto di diritto dall'arcivescovo di Mogilev, istituendo una netta separazione tra gli affari spirituali e gli affari temporali e giuridici (passati per competenza al Collegio). Poiché il Siestrzencewicz aveva imposto la liturgia latina ai Ruteni uni ati dell'arcivescovato di Polotsk, gli sforzi dell'A. per ristabilire la gerarchia e il rito (per tutte, A. a Consalvi, 12 ag. 1803, e Allegati, in Nonciatures, III, 1, pp. 218-226) si conclusero con una soluzione per il momento favorevole: l'annessione al Collegio (decreto dello zar, 24 luglio 1804) di quattro assessori ruteni a fianco degli otto latini.

La precarietà della posizione diplomatica della S. Sede verso la Russia e l'inanità degli sforzi e dell'abilità dell'A. vengono alla luce con l'incidente Vernègues.

J. H. Gauthier Poët de Vernègues, realista francese naturalizzato russo nel settembre 1803, era stato espulso (11 ott. 1803) da Napoli, su richiesta dell'ambasciatore francese Ch.-J -M, Alquier, per la sua attività d'agente segreto, . Attraverso il cardinal Fesch, il Talleyrand ne richiese a Roma l'arresto il 22 novembre, ottenendo l'assenso pontificio. L'arresto (25 dic. 1803) aveva sollevato vivissime proteste del Lizakiewicz, ministro russo presso il re di Sardegna, e del Cassini, incaricato d'affari russo presso la S. Sede. La prevedibile indignazione russa per l'estradizione (4 maggio) del Vernègues (poco tempo prima era stato fucilato il duca d'Enghien), sottovalutata a Roma, mise fine alle relazioni russo-pontificie. Il Cassini lasciò Roma il 10 maggio 1804; il 14 giugno l'A. fu congedato senza avere ottenuto l'udienza imperiale; l'uditore Alvisini lasciò Pietroburgo il 7 ottobre.

Fino al novembre 1806, d'accordo col Consalvi, l'A. si fermò a Dresda, dove era arrivato l'8 ag. 1804, sperando nella ri presa delle relazioni: in fondo gli sfuggiva - e molto più ancora al Consalvi - il carattere definitivo della rottura, su cui non ebbe efficacia la liberazione del Vernègues ottenuta a fine dicembre da Pio VI I.

Il governo russo considerava ormai quello pontificio poco libero e troppo legato alla Francia: al più' come riconobbe l'A. (A. a Consalvi, 9 maggio 180 6, in Nonciatures, IV, 2, pp. 333 s.), si poteva trattare sulla base di un incaricato d'affari russo a Roma, - ma senza reciprocità a Pietroburgo. Quando l'ii nov. i 80 S Alessandro I passò per Dresda, l'A. non fu ricevuto dallo zar né dal ministro A. I. Czartoryski. D'altra parte, per la Segreteria di stato, Dresda poteva funzionare da buon osservatorio degli avvenimenti europei e russi; e la corrispondenza dell'A. è ricca d'inforinazioni, come del resto particolareggiata e interessantissima è la relazione finale dell'A. scritta al suo rientro in Italia (Relazione dello stato attuale delle Chiese Cattoliche esistenti nello Impero Russo, e degli affari trattati in tempo della Legazione Apostolica..., in Nonciatures, IV, 2, pp. 425-496). Le lettere all'A. del Consalvi, settimanali, sono dettagliate, ed è evidente lo scopo di far trapelare per suo mezzo certe particolarità dei punti di vista della Segreteria (sul viaggio di Pio VII in Francia, l'occupazione francese d'Abcona, ecc.).

Il 9 nov. 1806 l'A. era convocato improvvisamente - all'insaputa del Talleyrand - a Berlino da Napoleone, che lo incaricava di richiedere in termini ultimativi al papa la partecipazione al blocco continentale e alla confederazione italiana (v. dell'A. Relazione del mio abboccamento in Berlino..., in Nonciatures, IV, 2, pp. 413-419). Il 24 novembre l'A. lasciava Dresda per Roma e, dopo incontri e consultazioni con Pio VII, col cardinale Casoni - dal giugno nuovo segretario di stato - e altri cardinali, compilava la risposta negativa inviata al Talleyrand.

Nella diplomazia si diffuse la voce che Napoleone volesse servirsi del papa per sollevare i Polacchi. La voce, lanciata dall'ambasciatore sardo presso la S. Sede abate Traves (cfr. F. Corridore, La politica della S. Sede rispetto alla questione polacca e al blocco continentale, Torino 1900), era ripresa nella corrispondenza di W. von Humboldt residente prussiano a Roma (cfr. Napoléon et Pie VII, 1806-1807, docc. inédits de W. von Humboldt publiès par M. A. Lumbroso, in Revue Napoléonienne, XI[1911], vol. IX, 3, pp. 143-151).Ma nella corrispondenza e nella relazione dell'A. non ne è traccia.

Dopo l'occupazione di Roma da parte delle truppe francesi nel febbraio 1808, l'A. - che era progovernatore della città - fu arrestato il 6 settembre, condotto in Toscana e poi in Piemonte, e internato a Novara. Da qui, nel marzo 1811, fu confinato a Bastia in Corsica e, nel luglio 1812, chiuso nella cittadella di Corte per aver rifiutato il giuramento di fedeltà a Napoleone e l'adesione alla dichiarazione gallicana (il decreto 4 maggio 1812 era applicato anche ai nati nel dipartimento Tevere e Trasimeno). Riuscì a fuggire il 20 novembre e, dopo un'avventurosa clandestinità, a imbarcarsi per l'isola della Maddalena, dove giunse il 30 dicembre. Di queste peripezie l'A. ha lasciato uno scorrevole racconto (Miafuga da Corsica, Palermo 1903). Passato nel luglio 1813 a Cagliari, dove si era istallata la corte sabauda, vi rimase fino all'abdicazione di Napoleone; imbarcatosi per Genova col re Vittorio Emanuele, si recò a Savona ad incontrare Pio VII, rientrando in Roma il 24 maggio 1814

A Roma l'A. fu subito attivamente impiegato neff'opera di ricostruzione e riorganizzazione della Chiesa. Membro, il 28 maggio, della commissione d'inchiesta per la condotta di alcuni vescovi dello Stato pontificio; poi addetto, il 4 giugno, alla commissione cardinalizia per la riforma degli affari ecclesiastici; fu vicecommissario, il 7 giugno, dell'Inquisizione, e il 16 settembre esaminatore di sacri canoni per i promossi all'episcopato. Nel gennaio 1815 era incaricato dell'esame del progetto di riforma dell'università di Perugia; nel settembre era inviato per trattative alla corte granducale di Toscana.

Preconizzato cardinale dell'ordine dei preti nel concistoro segreto dell'8 marzo 1816, fu promulgato il 12 di quel mese col titolo di S. Pietro in vinculis (mutato poi nel 1820 con quello di vescovo suburbicario di Sabina). Il 29 aprile fu addetto alle congregazioni di Propaganda, dei Vescovi e Regolari, Concistoriale e delle Indulgenze. Nell'agosto fu creato legato di Ferrara, dove rimase fino al 1830.

Il governo ferrarese dell'A. non fu pacifico. Nelle crescenti agitazioni della Legazione l'A. cercò di arrivare dapprima a compromessi, concedendo perdoni politici in cambio di sottomissioni: ancora nel 1824, al cardinale Rivarola, inviava il 7 settembre una nota di cospiratori ferraresi mettendo in evidenza quelli che avevano ottenuto il perdono, a condizione di astenersi da attività politiche, e non potevano perciò essere perseguiti. Quando poi, per l'odiosità sollevata dai processi, fu attentato al cardinale Rivarola, e l'A. fu incaricato di dirigere a Ravenna i processi criminali, manifestò una notevole durezza (cfr. G. Ferraro-P. Antolini, Ferrara nella storia del Risorgimento italiano dal 1814 al 1821, Ferrara 1885, passim;M. Perlini, I processi politici del cardinal Rivarola, Mantova 1910, passim;U. Oxilia, Il card. Rivarola e l'attentato del 1826, in Rass. stor. del Risorgimento, XIII [1926], pp. 273 s.).

Alla morte di Pio VII l'A. entrò in conclave il 2 sett. 1823, schierandosi col partito dei moderati e diplomatici, e fu portato tra i papabili; partecipò al conclave seguito alla morte di Leone XII e a quello seguente la morte di Pio VIII, schierandosi con gli "albanisti". Nel novembre 1823 rifiutava la carica di luogotenente generale del regno delle Due Sicilie, come precedentemente quella di arcivescovo di Palermo. Il 5 luglio 1830 fu nominato vicecancelliere di S. R. Chiesa. Morì a Roma il 3 febbr. 1833.

Fonti e Bibl.: La corrispondenza diplomatica, da e per l'A., è stata edita da M. J. Rouet de Journel, Nonciatures d'après les documents authentiques. Nonciature d'A., 1802-1806, III, 1, Roma 1922; IV, 2, ibid. 1927; per i problemi delle carte e della nunziatura, e per la bibliografla, si vedano le esaurienti Prefazioni. Sulla nunziatura in particolare si vedano anche J. L. Renon, Les nonciatures en Russie, in Revue d'histoire diplomatique, XXXVIII (1924), pp. 98 ss.; M., J. Rouët de Journel, L'oeuvre de trois nonces pontificaux en Russie, in Revue des études slaves, XXIX(1953), pp. 41-47; G. Berti, Russia e Stati ital. nel Risorgimento, Torino 1957, pp. 121, 333-338, 564. Per i rapporti dell'A. coi gesuiti in Russia, e per il caso Angiolini, si rinvia alle fonti e alla bibliografia della voce Angiolini Gaetano, in Diz. Biogr. degli Italiani, III, pp. 288 s. Le carte familiari (Palermo, Arch. Marchesi Arezzo) sono state utilizzate da F. Lenzi, Un diplomatico orbetellano del tempo napoleonico: il card. T.A., Roma 1905, e in modo particolare da P. Arezzo, Quattro personaggi della famiglia Arezzo, Palermo 1910, pp. 113-174. Documenti in prevalenza dell'ex Regno delle Due Sicilie sono stati utilizzati in E. Cipolletta, Memorie politiche sui conclavi da Pio VII a Pio IX, Milano 1863, pp. 91, 101, 141, 145 ss., 154, 160-163, 165 s.; A. Mango di Casalgerardo, La luogotenenza generale in Sicilia offerta al card. T. dei marchesi di Arezzo, Palermo 1901; R. Moscati, Il governo napoletano e il conclave di Pio VIII, in Rass. stor. del Risorgimento, XX(1933), pp. 260 ss.; U. Oxilia, Tre conclavi, ibid., XX (1933), pp. 565, 567. Per altri docc. utili nell'Arch. di Stato di Napoli, v. Archivio Borbone. Inventario sommario, I, Roma 1961, nn. 281 e 702. Oltre le voci in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll.1667-1670, e in Diz. del Risorg. Naz., II, pp.107 s., e la bibliografia nelle opere fin qui citate, in particolare si vedano: A. Le Glav, Une victime de Napoléon, Mgr. A., Paris 1909; G. Bourgin, La France à Rome de 1788 à 1797, Paris 1909, pp. 162, 172, 174, 176 ss., 181 ss. e passim;O.F. Tencaioli, Una figura storica: il card. T. A., in Mediterranea, IX (1935), 2, pp. 4-15; 3, pp. 30-37; A. Silvestri, Il card. A. e il conte di Ferrere nei moti piemontesi del 1821, in Riv. letteraria, VII(1935), 5, pp. 11 ss.; A., Latreille, Napoléon et le St. Siège (1801-1808), Paris s. d. [ma 1935], vedi Indice;J. Kieyntjens, La S. Sede e il riscatto degli schiavi, in Arch. stor. ital., XCV(1937), 2, pp. 90 ss.; C. Trasselli, Processi politici romani dal 1792 al 1798, in Rass. stor. del Risorgimento, XXV(1938), p. 1616; J. Schmidlin, Histoire des Papes de l'époque contemporaine, I, 1, Lyon-Paris 1938; 2, ibid. 1940, vedi Indici; E.Consalvi, Memorie, a cura di M. Nasalli Rocca di Corneliano, Roma 1950, pp. 193 ss.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Regno delle due sicilie

Blocco continentale

Stato dei presidi

Stato pontificio

Collegio romano