DE CRISTOFORIS, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE CRISTOFORIS, Tommaso

Lauro Rossi

Nacque a Casale Monferrato (Alessandria) il 6 giugno 1841 da Paolo, avvocato, e da Antonia Manara, sorella del deputato Gaspare.

Compiuti gli studi secondari nel liceo della città, non ancora sedicenne entrò nell'Accademia militare di Torino, dalla quale uscì alla fine del giugno 1859 con il grado di sottotenente e destinato al 12° reggimento fanteria. L'anno successivo partecipò alla campagna delle Marche e dell'Italia centromeridionale, meritando a San Giuliano (Gaeta) la medaglia d'argento al valor militare (26 ottobre).

Nel 1866 prese parte, in qualità di aggregato allo Stato Maggiore, alla terza guerra dì indipendenza e quindi, nell'ottobre, fu inviato presso la divisione militare di Palermo per contribuire a soffocare la rivolta in atto nella città. Richiamato a Torino e assegnato al 56° reggimento, trascorse un periodo di relativa calma, dedicandosi a studi e letture e mettendo a punto la stesura di un libro di geografia. Maggiore nel 1880 e tenente colonnello nell'86, il 12 settembre dello stesso anno partì alla volta di Massatia, assumendo il comando del III battaglione fanteria d'Africa.

Dopo l'occupazione di Massaua (5 febbr. 1885) le truppe italiane si erano impossessate di alcune postazioni, tra cui Saati, a circa 30 chilometri da Massaua, rivendicata dal negus Giovanni in base al trattato Hewett (22 apr. 1884). Per questo ras Alula, che governava la regione di Hamasen confinante con i territori italiani, al principio del gennaio 1887, catturata una missione diretta nel Goggiam e inviato un ultimatum al generale Carlo Genè, comandante superiore delle truppe italiane in Africa, si diresse con 10.000 uomini alla volta di Saati. Questa località, presidiata da truppe di irregolari (i cosidetti "basci-buzuk"), venne fatta rafforzare dal Genè con due compagnie di fanteria e una sezione di artiglieria, che il 25 gennaio riuscirono a contenere un attacco abissino, rimanendo però a corto di viveri e di munizioni.

Al D., che comandava il presidio di Monkullo, il più vicino a Saati, fu ordinato allora dì partire immediatamente per portare i soccorsi necessari. Dopo aver mercanteggiato a lungo per procurarsi i cammelli per il trasporto, riuscì a mettersi in marcia all'alba del 26 gennaio con una colonna composta di poco più di 500 soldati di compagnie diverse (alcuni dei quali sbarcati appena 48 ore prima), di So basci-buzuk e fornita di due mitragliere Gatling. Per affrettare la marcia spinse in avanguardia alcune truppe ausiliarie, tralasciando però altre misure di sicurezza. Alle 8,20, ad un'ora circa da Saati, nei pressi di una località chiamata Dogali, gli esploratori segnalarono la presenza di forti concentramenti abissini. Consultatosi con i suoi ufficiali, il D. decise di accettare lo scontro, disponendo gli uomini a quadrilatero su una collinetta accanto alla carovaniera. Inceppatesi in poco tempo le mitragliere, egli inviò a Monkullo (a piedi, non a cavallo) una staffetta per segnalare la gravità della situazione. Soltanto un'ora dopo spedì un secondo corriere (questa volta a cavallo) per chiedere espressamente "uomini e cannoni". Nel frattempo, poiché l'altura occupata era minacciata di accerchiamento, fece ritirare la colonna su un colle retrostante, più elevato del primo; disponendo i soldati a semicerchio e impegnandoli in un fuoco violentissimo a lunga distanza.

Dopo che fu esaurita una buona scorta di munizioni, gli Abissini compirono una nuova manovra di accerchiamento e per i soldati italiani, ridotti a combattere all'arma bianca, non vi fu scampo. Quattrocentotrenta restarono uccisi, un centinaio feriti, mentre molti basci-buzuk riuscirono a fuggire durante il combattimento. La compagnia di soccorso, comandata dal capitano Tanturri, giunse troppo tardi e anche la ricerca dei feriti risultò affrettata e superficiale, tanto che per tre giorni continuarono a giungere alla spicciolata agli avamposti italiani decine di superstiti (tra i quali, unico ufficiale, il capitano C. Michelini). Anche il D. era caduto sul campo.

Anche tra le file abissine le perdite furono assai rilevanti: circa un migliaio tra morti e feriti.

In Italia le ripercussioni dell'evento furono vastissime e su Dogali e i suoi protagonisti si costruì una vera e propria leggenda. Ma al di là della retorica ufficiale (con la quale si sperava di placare il malumore soprattutto tra i ceti popolari), l'intera vicenda e il comportamento del D. in particolare hanno dato luogo a diverse considerazioni critiche. Sono state evidenziate la "leggerezza" con la quale sarebbe stata guidata la marcia della colonna (pattugliamento insufficiente, scarso interesse per i movimenti dell'avversario) e l'ingenua disposizione delle truppe che, schierate a quadrilatero, facevano fuoco in piedi, comandate da ufficiali in fascia azzurra, facilmente individuabili. Quanto ai motivi per i quali il D., di fronte alla difficoltà dell'impresa, optò per la resistenza ad oltranza piuttosto che per la ritirata (cosa che avrebbe potuto fare anche a combattimento iniziato, come precisò lo stesso ministro della guerra C. Ricotti Magnani) sono state avanzate due ipotesi. Da un lato il carattere deciso, impetuoso dell'ufficiale piemontese, disposto a qualsiasi sacrificio ("fino a morire", come scrisse in una lettera pochi giorni prima dell'avvenimento in Giusteschi, p. 8) per salvare la colonia; dall'altro la sottovalutazione delle risorse e delle capacità degli Abissini propria di tutto l'alto comando, convinto, più per preconcetto culturale che per reale cognizione, dell'indiscussa superiorità delle forze italiane anche rispetto ad un nemico molto più numeroso.

Ma al di là di questo, precise responsabilità nel disastro di Dogali vanno fatte risalire ad un grave errore tattico del generale Genè. Questi, infatti, decidendo di occupare Saati con regolari e cannoni, senza tenere conto del parere sfavorevole del ministro della Guerra, veniva a disperdere in un territorio assai ampio e per di più apertissimo un contingente militare esiguo (neppure 2.700 uomini). Per essere in grado di occupare e, quindi, di sostenere efficacemente il distaccamento di Saati, si sarebbe dovuto prima provvedere ad ampliare il presidio di Massaua, cosa che non fu fatta. Il D. e la sua colonna finirono così per scontare un errore di cui non furono né i soli né i maggiori responsabili.

Fonti e Bibl.: Atti parlam., Camera, Discussioni, legisl. XVI, tornate del 1°, 2, 3 febbraio e 31 maggio 1887; G. Baracconi, Dogali. Ricordi, Roma 1887; A. Brown, Gl'Italiani in Africa, in Nuova Antol., 16 febbr. 1887, pp. 708-733 (in part. pp. 723 s.); F. De Renzis, Alla riscossa, Roma 1887, passim; Dogali, Roma 1887, passim; Epistolario africano, a cura di P. Gibelli, Roma 1887, ad Indicem; T. Giusteschi, Ricordo di Dogali, Cremona 1887, pp. 23-26, 94-96; E. Rossi, La battaglia di Dogali, Roma 1887, passim; V. Mantegazza, Da Massaua a Saati, Milano 1888, passim; G. Redavid, Discorsi necrologici, Bari 1888, pp. 10-21; F. Martini, Nell'Africa ital., Milano 1891, pp. 62-67; G. Fumagalli, Bibliografia etiopica, Milano 1893; A. Bizzoni, L'Eritrea nel passato e nel presente, Milano 1897, pp. 448-50; N. Colajanni, Politica coloniale, Palermo 1891, p. 41; L'Africa ital. al Parlamento nazionale, 1882-1905, a cura della Dir. gen. degli Affari coloniali del Ministero degli Affari Esteri, Roma 1907, p. 117; F. Crispi, La prima guerra d'Africa, a cura di T. Palamenghi Crispi, Milano 1914, p. 18; Il valore italiano. Antol. storica, 1798-1913, Roma 1916, pp. 361, 366 s.; A. Oriani, Fino a Dogali, Bari 1908, pp. 330 s.; C. Coppellotti, La R. Marina e il combattimento di Dogali, in Riv. delle colonie italiane, V (1932), pp. 702-06; G. Civinini, Ricordo di Dogali, in Nuova Antol., 1° febbr. 1993, pp. 395-99; C. Zaghi, Le origini della Colonia Eritrea, Bologna 1934, p. 128; P. M. Bardi, Pionieri e soldati dell'Africa Orientale, Milano 1936, p. 321; R. Sertoli Salis, Storia e politica coloniale ital. (1869-1935), Messina-Milano 1936, p. 38; L. Dei Sabelli, Storia d'Abissinia, Firenze 1938, III, pp. 346-49; R. Ciasca, Storia coloniale dell'Italia contemp., Milano 1940, p. 160; G. Mastrobuono, I cinquecento martiri di Dogali, in Epopea italica, Roma 1954, pp. 73-76; G. Finali, Memorie, Faenza 1955, pp. 587, 647; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Toritio, 1958, pp. 218, 231-34, 239; Ministero degli Affari Esteri..., L'Italia in Africa, s. st-mil., I, L'opera dell'esercito, II,1, Africa Orientale (1868-1934), a c. di M.A. Vitale, Roma 1962, pp. 20 s.; U. Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Milano 1970, pp. 313-15; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VI,Milano 1970, p. 318; F. Bandini, Gli Italiani in Africa. Storia delle guerre coloniali (1882-1943), Milano 1971, pp. 57-59, 63; R. Rainero, L'anticolonialismo italiano da Assab ad Adua (1869-1896), Milano 1971, pp. 132, 213; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa orientale. Dall'Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, pp. 221 s., 231, 239-41, 253-55, 259 s.; G. Rochat-G. Massobrio, Breve storia dell'esercito ital. dal 1861 al 1943, Torino 1978, p. 116; J. Whittam, St. dell'esercito it., Milano 1979, p. 199; L. Ceva, Le forze armate, in St. della soc. it. dall'Unità ad oggi, Torino 1981, p. 109; A. Aruffò, Dogali o dell'imperialismo straccione, in Calendario del popolo, XI, (1984), 462, pp. 9868-74; Enc. militare, III,p. 404. Sugli echi suscitati dall'episodio di Dogali nell'opinione pubblica italiana, cfr. A. De Cesare-A. Pulce Doria, Dogali e l'Italia, Napoli 1887, passim.

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