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Moro, Tommaso

di Stefano De Luca - Enciclopedia dei ragazzi (2006)
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Moro, Tommaso

Stefano De Luca

Il padre dell’utopia

Sebbene la Chiesa cattolica abbia proclamato santo Tommaso Moro a causa della sua opposizione allo scisma anglicano del 1534, opposizione che pagò con la condanna a morte, l’umanista inglese deve in realtà la sua fama all’invenzione di una piccola parola destinata a un grande futuro. Egli scrisse infatti un romanzo nel quale si racconta di un’isola lontana, sulla quale è stata realizzata una società perfetta: il nome dell’isola, e dello stesso romanzo, era Utopia

Realismo e utopismo

Nato nel 1478 a Londra, dove fu giustiziato nel 1535, Tommaso Moro fu un importante uomo politico (arrivò a ricoprire la carica di cancelliere d’Inghilterra) e un fine umanista. Ed è alla sua conoscenza della lingua greca che si deve l’invenzione della parola utopia, derivata da òu («non») e tòpos («luogo»). Utopia è quindi il «luogo che non c’è». Ma probabilmente Moro giocò sul fatto che u poteva derivare anche da èu («bene»), nel qual caso utopia sarebbe il «luogo buono». Da allora utopia conservò questo duplice significato: qualcosa che non c’è, ma che sarebbe bello se ci fosse.

Se la parola era nuova, l’idea – quella di una società perfettamente giusta – era senz’altro antica: non a caso nell’opera di Moro troviamo un aperto elogio di Platone, nonché molte idee simili alle sue (in primo luogo, l’abolizione della proprietà privata).

La cosa singolare è che soltanto tre anni prima di Utopia (1516) era apparso il Principe, nel quale Niccolò Machiavelli aveva criticato tutti coloro i quali, a partire da Platone, si erano «immaginati repubbliche» inesistenti. Contro questo atteggiamento Machiavelli aveva affermato che in politica conta soltanto la realtà effettuale, ossia le cose come sono e non come dovrebbero essere (secondo i nostri desideri o i nostri ideali). Moro scelse la prospettiva opposta: alla società del suo tempo – che, così com’era, gli appariva profondamente ingiusta – egli contrappose una società ideale, un modello al quale gli uomini potevano ispirarsi al fine di modificare la realtà.

Così, per una di quelle singolari coincidenze di cui è disseminata la storia delle idee, all’inizio dell’età moderna apparvero quasi contemporaneamente due opere che sarebbero divenute il modello di due modi opposti di concepire la politica: il realismo e l’utopismo.

L’Inghilterra del 16° secolo e l’isola di Utopia

Nella prima parte del romanzo Moro traccia un quadro drammatico delle condizioni socioeconomiche dell’Inghilterra del tempo, attribuendolo essenzialmente alle enclosures, le recinzioni con le quali i proprietari terrieri avevano trasformato i terreni destinati alla coltivazione comune in più redditizi pascoli per le pecore. Molti contadini avevano perso il lavoro e a volte anche la casa: di qui il diffondersi del vagabondaggio e della delinquenza. Ciò dipendeva, secondo Moro, da un assetto sociale sbagliato: là dove esiste la proprietà privata e «tutto si misura col denaro non è possibile che la vita dello Stato si svolga giusta e prospera».

La controprova stava in ciò che il navigatore Raffaele Itlodeo aveva visto in uno dei suoi viaggi oceanici, quando era finito sull’isola di Utopia, regno della perfetta felicità. A Utopia – la cui descrizione occupa la seconda parte del romanzo – non esiste proprietà privata: in tutte le città esiste una piazza centrale dove ogni famiglia deposita ciò che ha prodotto e prende ciò di cui ha bisogno, senza necessità di denaro. Le leggi sono poche e semplici e le cariche politiche sono elettive. Tutti lavorano, praticando l’agricoltura e l’artigianato, il che permette di ridurre l’orario di lavoro a sole sei ore. Il resto della giornata è minutamente scandito, inclusi gli orari in cui riposare e dormire. Ognuno può usare il tempo libero come meglio crede, ma è vietato oziare. Lo stile di vita degli Utopiani è sobrio: niente lussi, niente beni superflui, vestiti uguali per tutti. Essi diffidano degli stranieri, ma se si tratta di scienziati li accolgono cordialmente.

Gli Utopiani, infine, detestano la guerra e praticano la tolleranza religiosa. Le differenti religioni hanno alcune credenze in comune: la fede in un Dio buono e provvidente, nell’immortalità dell’anima e in un aldilà in cui si viene giudicati. Gli atei non vengono perseguitati, ma non possono ricoprire cariche pubbliche e sono circondati dal generale discredito.

Vedi anche
utopia Formulazione di un assetto politico, sociale, religioso che non trova riscontro nella realtà ma che viene proposto come ideale e come modello; il termine è talvolta assunto con valore fortemente limitativo (modello non realizzabile, astratto), altre volte invece se ne sottolinea la forza critica verso ... Erasmo da Rotterdam Umanista (Rotterdam 1466 o 1469 - Basilea 1536); tradusse il nome Geert Geertsz nell'altro umanistico, con cui è universalmente noto, di Desiderius Erasmus. Orfano di padre e di madre, entrò a 12 anni nel convento agostiniano di Emmaus (o Steyn), nei Paesi Bassi, e in 5 anni vi acquistò una precoce erudizione ... William Tyndale Tyndale ‹tindl› (o Tindale), William. - Riformatore inglese (n. nel Galles tra il 1490 e il 1495 - m. Vilvoorde, Bruxelles, 1536). Ordinato prete (1521), al suo pensiero riformatore si deve in particolare The obedience of a christian man (1528), la cui composizione si inserì nella sua attività di traduttore ... Holbein, Hans, il Giovane Pittore e incisore (Augusta 1497 - Londra 1543). Allievo del padre, Hans il Vecchio, nelle sue opere si percepiscono chiari influssi del repertorio formale del Rinascimento italiano. In contatto con la cerchia umanistica erasmiana, acquistò fama di ritrattista, mostrando finezza di indagine psicologica ...
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Vocabolario
cavézza di mòro
cavezza di moro cavézza di mòro (o capézza di mòro) locuz. usata come s. f. [dallo spagn. cabeza de moro, propr. «testa di moro»]. – Particolare mantello del cavallo: v. capo di moro.
mòro¹
moro1 mòro1 s. m. e agg. [lat. Maurus «abitante della Mauritania»]. – 1. a. s. m. In origine, denominazione degli abitanti della Mauritania, estesa poi ad altre popolazioni africane, come per es. gli Etiopi, e in partic. ai musulmani che...
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