Torino

Il Libro dell'Anno 2006

Torino

«Da Palazzo Madama al Valentino

ardono l’Alpi tra le nubi accese...

È questa l’ora antica torinese,

è questa l’ora vera di Torino...» 

(Guido Gozzano)

La trasformazione di Torino

di Mercedes Bresso

19 marzo

Si chiude allo Stadio comunale di Torino la nona edizione dei Giochi invernali per disabili, che ha fatto seguito alla ventesima Olimpiade invernale. Al termine delle due manifestazioni, unanime in tutte le parti del mondo il coro di apprezzamenti per il capoluogo piemontese, che ha saputo mostrare un convincente volto di città moderna, ben organizzata, economicamente e culturalmente vivace.

Dalla produzione alla conoscenza

Torino e il Piemonte intero stanno vivendo da un paio di decenni un processo di trasformazione radicale dal punto di vista economico, sociale, strutturale. Un mutamento storico che può ricordare quello già vissuto o in corso in altre grandi città e altri distretti industriali dell’Occidente, in Europa e negli Stati Uniti, ma che è assolutamente originale. Tutto ciò sta portando con sé cambiamenti significativi nella vita di moltissimi cittadini, per tempi, organizzazione e stile di vita, ma anche nell’urbanistica stessa di Torino e nel paesaggio piemontese.

Per certi versi e in certi momenti questa mutazione è stata traumatica, a volte drammatica individualmente e collettivamente. Poco più di 20 anni fa l’economia era fortemente concentrata e condizionata dal settore auto e metalmeccanico. Un dato può sintetizzare al meglio la delicatezza del vissuto recente: passare dai circa 100.000 addetti impiegati dalla Fiat ai circa 20.000 di oggi, con effetti numericamente ancora più vistosi per l’indotto, è stato per forza doloroso, direttamente per le persone e le famiglie coinvolte, indirettamente per tutto il resto del sistema e della gente. Ma nel suo complesso è stata – e soprattutto è ora – anche una fase affascinante e stimolante per le opportunità, le prospettive e il rinnovato protagonismo della città e del territorio, che da questa situazione possono derivare. Anzi, stanno già derivando. Caratteristica fondamentale per il buon esito di questa metamorfosi economico-sociale è la forza culturale e progettuale della sua gente: una caratteristica che storicamente, almeno nell’ultimo secolo e mezzo, ha permesso di valorizzare Torino e tutta la regione come terreno di coltura di straordinari mutamenti e innovazioni, vere e proprie avanguardie in ogni campo, dall’arte alla tecnologia, dallo sport allo spettacolo, dalla scienza alla filosofia. Su tali qualità si sta rivelando decisivo l’innesto di una rinnovata capacità pianificatrice, cresciuta negli anni e piuttosto diffusa in tutta la società: da questa deriva la spinta decisiva. Resta forte l’esigenza di ricambio e rinnovamento anche per quel che riguarda la classe dirigente o, meglio, il capitale umano che è base essenziale dell’attivismo e della capacità di sviluppo del territorio in ogni suo settore. Ma anche in questo senso, qualche segnale positivo emerge e si registra una discreta vitalità.

In estrema sintesi: la città della grande industria manifatturiera si sta trasformando, pur mantenendo una forte presenza legata alla propria tradizione produttiva, nella capitale dell’innovazione tecnologica, del design, della formazione e della ricerca, con una specifica identità culturale e una nuova e forte attrattività turistica. Dalla società della produzione a quella della conoscenza. Tutto ciò legato comunque e indissolubilmente alle caratteristiche e alle vocazioni dell’intera regione.

L’azione di governo

Per favorire e accompagnare nel migliore dei modi questa trasformazione verso l’obiettivo finale, il modello di riferimento è quello delineato dall’Unione Europea con la strategia di Lisbona. La chiave per tornare a essere motore dello sviluppo italiano ed europeo, senza perdersi nel vano inseguimento della competitività con i paesi emergenti – soprattutto dell’Estremo Oriente – sul piano dei costi di produzione, è quella di rilanciare e puntare sulla qualità e la capacità di rinnovamento, oltre che, a livello politico globale, sull’esportazione e la diffusione dei diritti umani.

Esemplare e – posso dire con orgoglio – citato in questo senso come piccolo ma significativo intervento innovativo per quel che riguarda la politica industriale, è stato l’accordo siglato con la Fiat nell’estate 2005 da Regione, Comune e Provincia di Torino, che prevede l’acquisto di alcune aree dell’insediamento industriale di Mirafiori e della zona individuata come Campo volo ai confini con il Comune di Collegno, nella cintura nord-ovest della città, da parte di una società (Torino Nuova Economia) che riunisce le amministrazioni locali e la stessa Fiat. Gli interventi previsti dal protocollo si articolano sul piano finanziario (tra essi, la costituzione di un fondo chiuso in favore dell’indotto piemontese), organizzativo e di supporto all’attività di ricerca e sviluppo per le imprese della filiera della mobilità e includono interventi finalizzati a migliorare la formazione degli addetti operanti nel settore automobilistico. In seguito a questo accordo, che ha permesso di portare a Torino-Mirafiori una linea di montaggio della Fiat Grande Punto (non prevista in precedenza, con ovvi ulteriori gravi rischi di squilibrio per la comunità), è già stato siglato un altro accordo con il Politecnico di Torino per l’insediamento nella stessa area di Mirafiori della scuola di alta formazione sul design, corso di laurea di disegno industriale e ingegneria dell’auto.

Ricerca e innovazione, internazionalizzazione, accesso al credito e rafforzamento delle imprese, semplificazione, sviluppo locale e interventi anticiclici sono gli ‘assi’ del programma triennale d’intervento per le attività produttive su cui verranno costruite le misure per il finanziamento alla piccola-media impresa: a questa, in attuazione della legge nr. 34/04, rimasta non applicata, vengono destinati nel prossimo triennio 600 milioni di euro. Si tratta di un intervento senza precedenti, di oltre 200 milioni di euro all’anno, per le politiche di sviluppo della regione, che mira a sostenere un sistema essenziale per il Piemonte come quello delle piccole e medie imprese, senza dimenticare di raccordare i distretti produttivi alle politiche di sviluppo territoriale, selezionando gli obiettivi e intervenendo principalmente sulle criticità del nostro sistema: il bisogno di ricerca e innovazione, la debolezza sui mercati internazionali e la scarsa patrimonializzazione. Nel complesso, da Torino e dal Piemonte, ancora una volta, può venire ed espandersi al resto dell’Italia una forte spinta propulsiva allo sviluppo, a un nuovo sviluppo.

Importanza delle Olimpiadi

Le Olimpiadi invernali hanno rappresentato un momento di svolta e di spinta decisivo in questa lunga e complessa trasformazione. Non tanto o non solo per quanto è accaduto nella città tra i mesi di febbraio e marzo 2006, con uno straordinario successo organizzativo e il forte apprezzamento generalmente espresso per una città ‘scoperta’ in un colpo solo da tutto il mondo. Le ragioni della svolta hanno una radice più lontana, al momento della candidatura e nei giorni del successo nella corsa all’assegnazione dell’organizzazione dei Giochi da parte del Comitato olimpico internazionale. Per i torinesi, per i piemontesi si è trattato di una svolta decisiva, una svolta psicologica. Esisteva la coscienza delle potenzialità e delle eccellenze, nostre e del territorio, ma quel successo ha dato una nuova consapevolezza. E, infatti, da quei giorni di fine Novecento si sono moltiplicate le occasioni per ospitare eventi internazionali di ogni genere: quest’anno Torino divide con Roma il titolo di Città capitale mondiale del libro; tramite il Consorzio Torino Time, che riunisce amministrazioni pubbliche e università e politecnico, fa parte del Galileo Precise Timing Facility, progetto europeo di localizzazione satellitare dal grandissimo valore scientifico e dalle essenziali applicazioni nella vita quotidiana (dal funzionamento dei telefoni cellulari a quello dei computer); in città si terranno i Mondiali di scherma; nell’inverno 2007 si svolgeranno le Universiadi invernali. Intanto si lavora per ottenere a Torino una delle dieci aree che l’Unione Europea finanzierà con 2 miliardi di euro per diffondere le tecnologie dell’idrogeno, con il doppio obiettivo di dare ulteriore forza alla vocazione tecnologico-innovativa e di migliorare sensibilmente la qualità della nostra vita. Si possono ricordare ancora gli sforzi per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia (2011), per ospitare a Torino l’Expo del 2015, la continua ricerca di occasioni di visibilità internazionale e l’attrazione esercitata per l’insediamento di attività tecnologicamente innovative.

Uno dei punti di forza di questa grande, entusiasmante corsa al futuro è l’unità di intenti e soprattutto di azione che muove le amministrazioni pubbliche, l’Università e il Politecnico, la camera di commercio, le associazioni di categoria. È l’ulteriore conferma del fatto che alla base di questa trasformazione radicale ci sono – oltre alla necessità – una forte consapevolezza e una buona condivisione degli obiettivi e delle strategie. Un altro dei risultati già ottenuti, grazie a questo sostegno e impegno comune, è rappresentato dall’insediamento, nella nuova area di espansione del Politecnico, parte del rinnovamento urbanistico in atto, della struttura di ricerca sui motori diesel per la General Motors, che impegnerà fino a 350 addetti. Innovazione, ricerca, internazionalizzazione, attrattività: c’è tutto quanto si vuole alla base del nostro futuro.

Ricerca e internazionalizzazione

Torino, il Piemonte sono uno scrigno di risorse umane e ambientali, che stiamo finalmente imparando a sfruttare e valorizzare al meglio. Imprese, università e scuole, il patrimonio ambientale e culturale formano un pacchetto irripetibile e di straordinario pregio. Ma anche quello che può sembrare, e certamente è sembrato in alcuni periodi storici, uno svantaggio – ovvero una certa perifericità – può essere oggi una grande risorsa. La posizione di Torino è infatti un’opportunità da cogliere: nel cuore dell’Europa, a un passo da Francia e Germania, ma anche da quel Mediterraneo che tutti indicano come il nuovo, prossimo punto chiave dello sviluppo mondiale, e all’incrocio tra i grandi corridoi che attraverseranno l’Unione Europea da Est a Ovest e da Nord a Sud.

Oggi una politica di alleanza, di apertura, di responsabilità realmente federale, di cooperazione e di pace con altre regioni vicine per identità e cultura della tolleranza può dare un significato diverso al concetto di frontiera. L’espressione ‘Piemonte regione d’Europa’ significa diventare ‘frontiera attraente’, vale a dire centro di gravità, sia per le altre regioni italiane sia per una vasta area dell’Unione Europea. Anche per questo, e non solo per vocazione culturale, Torino è il luogo ideale dove far funzionare il cuore di un sistema basato su innovazione, ricerca e turismo. Nel pieno rispetto di questa visione prospettica e progettuale, la Regione ha approvato due leggi chiave: quella sulla ricerca e quella sull’internazionalizzazione, elaborate dall’assessore Andrea Bairati. La prima a essere varata è stata la legge sulla ricerca: un risultato importante, frutto del lavoro di un gruppo ampio in cui sono stati coinvolti tutti i protagonisti del settore. L’obiettivo esplicito è favorire il collegamento tra ricerca e impresa, intervenendo con finanziamenti sulla ricerca applicata, il trasferimento tecnologico, l’alta formazione, con programmi che colleghino università, centri pubblici e privati e imprese. La legge definisce i confini e le regole del sistema piemontese e le modalità con le quali i diversi attori potranno dialogare fra loro e contribuire a far crescere la competitività dell’intero sistema. Il testo prevede un significativo impegno finanziario, con un raddoppio delle risorse nei primi tre anni, passando da 40 a 160 milioni di euro, con l’obiettivo di arrivare nell’arco della corrente legislatura a muovere risorse per la ricerca che si avvicinino all’impegnativo 3% sul PIL, come l’Europa chiede ai paesi dell’Unione per attuare più celermente la strategia di Lisbona su innovazione e competitività. Prima di questa legge, il testo unico destinava alla ricerca 7 milioni di euro. Ora esiste un’indicazione pluriennale concreta e adeguata, che permetterà di accelerare gli investimenti a favore della ricerca e quindi della competitività del sistema produttivo. Il nuovo disegno pone livelli di governance diversi, si aggancia a criteri internazionali di valutazione dei progetti ex ante, in corso di realizzazione e in fase di valutazione delle ricadute sul mercato, e non polverizza le risorse, concentrandole su obiettivi strategici che saranno individuati dal Comitato piemontese per la ricerca. La legge genererà gli effetti positivi che tutti auspicano se si avrà la capacità di scegliere e se si porrà grande attenzione alle persone. L’elemento cardine saranno i giovani con alta qualificazione, i ricercatori, in particolare quelli attualmente precari. Tutto ciò non si realizzerà senza individuare adeguate competenze, senza potenziare la capacità di attrazione nei confronti dei ricercatori di altri paesi, senza sostenere l’azione internazionale dei nostri atenei e dei nostri centri di ricerca. È necessario fornire un supporto ai processi di capitalizzazione e internazionalizzazione delle imprese. Occorre, dunque, il massimo sforzo per aumentare i finanziamenti e creare un sistema di concertazione territoriale tra enti pubblici, atenei, banche, fondazioni private e aziende. In questo quadro e nel rispetto dell’impegno all’apertura verso l’esterno, di sfruttamento della nostra posizione di confine e delle caratteristiche del nostro sistema produttivo, si pone anche la legge sull’internazionalizzazione, un provvedimento che intende favorire la razionalizzazione, il coordinamento e l’efficacia dell’economia piemontese che, per sue caratteristiche sedimentate e per la prospettiva di cui continuiamo a parlare, conta moltissimo sui rapporti con il resto del mondo. Con l’approvazione di questo testo, la Giunta regionale promuove un processo di unificazione di tutte le realtà piemontesi che attualmente si occupano di internazionalizzazione, con la creazione di una società prevalentemente a partecipazione pubblica che assicuri minor dispersione e maggiore coordinamento, oltre a minori sprechi. Nasce così una holding regionale che ha il compito di rafforzare la presenza piemontese sui mercati esteri e di promuoverne prodotti e servizi.

L’internazionalizzazione delle imprese è un passaggio imprescindibile per lo sviluppo della competitività del sistema imprenditoriale. In questi anni si è attuato un riposizionamento geografico della nostra partecipazione estera che ha dato risvolti positivi. Il sistema ha percepito e si è riorganizzato. Questo l’obiettivo principale: fare sistema, quindi racchiudere sotto una holding regionale, con grande sforzo di sintesi, una collaborazione di tutti gli attori del settore. La holding costituirà la valorizzazione istituzionale del sistema. Le attività della società si atterrano alle linee di indirizzo espresse da un apposito comitato. L’economia piemontese deve proiettarsi con successo sui mercati internazionali. Per consolidare questo slancio, il contributo dell’ente pubblico deve qualificarsi in termini di scelte, sostenendo le imprese in grado di internazionalizzarsi. Queste, a loro volta, dovranno costituire un riferimento per le altre in termini di crescita competitiva.

Nell’ottica della promozione internazionale, le Olimpiadi sono state certamente, per Torino e il Piemonte, una grande opportunità di visibilità e una straordinaria scintilla per la nostra consapevolezza, ancor più che occasione di rilancio. Ma certamente è stata fondamentale la possibilità, che solo un evento di tale portata concede, di cambiare volto, dare nuovo smalto e una spinta decisiva alla trasformazione – già in atto ma con tempi inevitabilmente più lunghi – urbanistica e infrastrutturale.

Opere infrastrutturali

Dal giorno in cui l’organizzazione dei Giochi 2006 venne assegnata a Torino, molto è cambiato. Torino ha imparato a vincere, a far valere la competenza della sua gente, la bellezza e la ricchezza culturale del proprio territorio per conquistare spazi e impegni a livello internazionale, in campo scientifico, economico, sportivo. Ma a pochi mesi dalla conclusione dei Giochi invernali, possiamo dire che anche sul piano materiale l’occasione unica e irripetibile è stata colta. Molte infrastrutture sono state realizzate e sono state realizzate bene, sfruttando al meglio i grandi investimenti messi in campo. La Regione ha lavorato essenzialmente su due fronti: da un lato coordinando la ‘cabina di regia’ istituzionale, dall’altro lato finanziando con gli enti locali le ‘opere di accompagnamento’ dei Giochi, cioè tutte quelle non legate strettamente all’evento sportivo e al territorio direttamente coinvolto. In capo all’ente, inoltre, per disposizione della legge nr. 285 del 2000, promulgata appositamente per l’evento Torino 2006, c’è stata anche la procedura di Valutazione ambientale strategica, concordata con il Ministero dell’Ambiente e dei Lavori pubblici e attuata tenendo presenti gli studi di compatibilità elaborati in sede di Comitato olimpico organizzatore.

La ‘cabina di regia’ ha contribuito al raccordo tra i diversi piani istituzionali (Comuni sede dei Giochi, Provincia, Regione, Governo centrale) e ad aiutare l’Agenzia olimpica e il Toroc al rispetto del cronoprogramma delle opere. Essa, inoltre, ha colto l’occasione dei Giochi per promuovere un certo numero di opere stradali e infrastrutturali connesse alla realizzazione dell’evento e per estendere il beneficio a quelle province e aree piemontesi escluse dalle gare olimpiche. Si tratta di circa 110 interventi: un vasto programma, che ha mosso investimenti per circa 360 milioni di euro, di cui 170 della Regione e 190 provenienti da Comuni, Province e Comunità montane, con il quale vengono messi in risalto non solo il sistema-neve, ma anche quello termale, le aree turistiche montane, i parchi e le aree protette, sempre nell’ottica di una valorizzazione delle eccellenze del ‘sistema’ territoriale.

L’opera della ‘cabina di regia’ è stata un altro eccellente esempio della collaborazione, non solo istituzionale, che ha permesso l’efficienza e il positivo risultato dell’avventura organizzativa olimpica e che sta permettendo un’operatività e un’unità di azione essenziali soprattutto in questo momento storico. Un meccanismo agile e concreto, che ha fatto e farà da guida per affrontare e risolvere molte altre occasioni di sviluppo per tutto il territorio, e che deve essere un modello esemplare per tutti quei settori nei quali il coordinamento e la capacità operativa possono spesso fare la differenza tra noi e qualche altro concorrente.

Ammontano a circa 8 miliardi di euro gli investimenti complessivi per le opere infrastrutturali, alcune delle quali inserite nella Legge Obiettivo, costruite per i Giochi o che da essi hanno trovato un impulso decisivo per essere realizzate: destinati all’Alta Velocità Torino-Milano, all’autostrada Torino-Pinerolo, all’ammodernamento della Torino-Milano, alla linea 1 della metropolitana di Torino e all’ampliamento dell’aeroporto di Caselle.

Da qualche mese si lavora per la gestione del cosiddetto post-olimpico. Si sta dando vita alla Fondazione che si occuperà della promozione del territorio olimpico, di guidare la riconversione degli impianti, della manutenzione e gestione dei siti: sarà formata da Regione, Provincia, Comune di Torino e tutti i Comuni olimpici, Coni, Toroc (fino al suo scioglimento) e Sviluppo Italia. Non è escluso che, in corso d’opera, entrino a far parte della Fondazione anche i Comuni che non sono stati coinvolti direttamente dalle Olimpiadi, ma che possono trarre interesse dall’attività di promozione e coordinamento di questa struttura, come per esempio il Monte Rosa o le vallate cuneesi. Servono 40 o 50 milioni di euro di capitale iniziale, un investimento accettabile se si considera che la gestione e la promozione degli impianti possono creare ricadute fino a 150 milioni di euro l’anno. L’obiettivo è quello di coinvolgere il territorio e renderlo in grado di avere una fonte di ricavo costante.

Abbiamo studiato a fondo la situazione, analizzando i costi di gestione degli impianti nelle diverse ipotesi di conduzione normale, conduzione olimpica, sport event e a impianto chiuso. Un lavoro che si è esteso all’analisi dei possibili ricavi e dell’assetto giuridico delle concessioni, oltre che al confronto con le città che in passato hanno ospitato i Giochi invernali e alla conoscenza dell’effettiva capienza ricettiva delle montagne piemontesi. I costi di gestione degli impianti sono stati valutati in 7,5 milioni di euro l’anno, nel caso in cui gli impianti restino chiusi, 17 milioni di euro l’anno a esercizio sportivo normale, 19 milioni di euro l’anno a esercizio con gare e pubblico.

Risulta evidente la convenienza a utilizzare gli impianti in assetto ‘gara’ per la ricaduta che tale condizione potrebbe avere sull’economia piemontese, anche in termini di immagine. L’intenzione è comunque di non frammentare le dotazioni olimpiche, ma di gestirle nel loro insieme affinché non si venga a verificare quello che è successo a Torino dopo Italia ’61 né quello che sta accadendo ad alcuni impianti delle Olimpiadi di Atene.

Il turismo

L’analisi della situazione olimpica e post-olimpica si associa a un altro punto fondamentale nella disamina della trasformazione di Torino e del suo territorio, nello sviluppo e completamento del progetto e della nostra visione futura: la ‘costruzione’ di un’economia turistica piemontese, altro tassello chiave. La nostra regione ha in questo senso grandi potenzialità, ma fino a oggi ha risentito della mancanza di un piano strutturale in grado di trasformarla in un polo d’attrazione internazionale. La promozione del territorio è stata insufficiente e i dati sulle presenze di turisti in Piemonte sono decisamente insoddisfacenti se confrontati con quelli di altre regioni italiane o straniere confinanti. Il tentativo è quello di implementare in modo consistente i numeri del mercato turistico regionale in termini di offerta di posti letto e giro d’affari: da 60 a 120 giorni l’anno di pernottamenti con un incremento stimato tra 50 e 160 milioni di euro (da notare che tutti i precedenti paesi organizzatori dei Giochi Olimpici invernali hanno raddoppiato le cifre dopo l’evento). I ricavi deriveranno dall’attività di villaggi, hotel e seconde case.

Per le Olimpiadi, la Regione ha investito 5 milioni di euro in una campagna pubblicitaria internazionale per offrire a livello internazionale una nuova immagine del Piemonte, che duri ben oltre il periodo delle gare. Abbiamo anche lavorato per migliorare e potenziare l’ospitalità: il risultato è stato un aumento della capacità ricettiva con 1500 posti letto in più a Torino e 3000 in tutto il Piemonte. Sono state aperte nuove strutture a 4 e 5 stelle e sono state incrementate nuove forme d’accoglienza, dalle aziende agrituristiche alle seconde case, ai bed&breakfast.

Per costruire opportunità di sviluppo è necessaria una politica di programmazione su progetti mirati: insieme con l’assessore al Turismo, Giuliana Manica, si è scelto di avvalerci di un consulente di nota esperienza, Martin Brackenbury, già presidente della Federazione internazionale dei tour operator, con il quale si sta lavorando alla realizzazione di un piano turistico regionale articolato in vari piani d’area, per preparare e strutturare il rilancio del turismo, soprattutto dopo il traino eccezionale offerto dai Giochi invernali. L’effetto Olimpiadi andrà così a sommarsi alla serie di altre azioni intraprese in questi mesi per il rilancio del Piemonte. Il processo avviato prevede la creazione di gruppi di attività nel settore sia pubblico sia privato con l’obiettivo di costruire progetti condivisi di politica, pianificazione e sviluppo dell’intero sistema turistico del Piemonte. Le strategie saranno costruite per mirare a segmenti di consumatori ben definiti, scegliendo la migliore combinazione costi/benefici sui canali per raggiungere il nostro obiettivo di mercato. Sono già operativi i gruppi di lavoro per il distretto dei Laghi e si stanno preparando interventi per il ‘sistema montagne’, che interesserà tutte le montagne piemontesi, per l’area delle Langhe e del Roero e per il ‘sistema terme e benessere’, che coinvolge le province di Asti, Alessandria e Cuneo. Per quanto riguarda Torino, i possibili filoni su cui si ragiona sono il turismo congressuale legato al mondo dell’impresa e dell’associazionismo, lo sviluppo dei soggiorni brevi e il segmento degli eventi speciali in grado di attrarre sia i residenti sia i visitatori.

Una fase cruciale nel processo di costruzione di un Piemonte forte e competitivo anche turisticamente riguarda poi il sistema culturale. Il nostro asso nella manica è sicuramente il circuito delle residenze sabaude, una rete di 23 edifici storici che rappresentano i nostri ‘Castelli della Loira’, il marchio culturale che potrà caratterizzare la regione in Italia e all’estero e che consentirà di posizionarci nel contesto internazionale. Al progetto di restauro, valorizzazione e gestione delle residenze, affrontato nel suo complesso con l’intesa di programma fra Regione e Governo del 2000, dal 1997 sono stati destinati oltre 400 milioni. Tra il 2007 e il 2010 è prevista la chiusura di tutti i cantieri. Anche in questo caso, come è avvenuto per i Giochi invernali, sarà fondamentale rispettare il cronoprogramma dei lavori per essere pronti ad accogliere al meglio un’altra grande sfida che attende il Piemonte: le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Piemonte ed Europa

In conclusione, il tessuto per far crescere ancora il Piemonte è l’Unione Europea. Il Piemonte dovrà essere protagonista in Europa in qualità di regione dell’istruzione e della formazione, un’area in prima fila nella costruzione dell’economia della conoscenza e nella realizzazione di politiche capaci di assicurare opportunità di lavoro tanto alte nella qualità quanto solide nei diritti; di regione dell’innovazione adottando i principi dello sviluppo sostenibile, nel rispetto delle risorse per le generazioni future; di snodo strategico tra i collegamenti che attraversano l’Unione; di regione di pace e cooperazione, tolleranza e inclusione, per affermare diritti di piena partecipazione sociale e civile di tutti. Per questo la Giunta ha varato una legge regionale contro tutte le discriminazioni che può diventare un esempio per molte altre Regioni italiane. Allo stesso modo, si vuole che la forza e il valore dell’innovazione segnino indelebilmente ogni iniziativa anche in campo sociale, come è stato nell’elaborazione del Piano socio-sanitario regionale, che prevede la ristrutturazione e il rinnovamento del patrimonio sanitario del Piemonte con un contestuale potenziamento del capitale di uomini e donne, decisivo per il buon funzionamento dell’intero sistema e per consentire anche in questo senso una crescita concreta e sensibile della qualità della vita.

Si sta andando, insomma, verso una Torino che torna a crescere grazie a scelte strategiche, perfettamente adeguate alla tradizione culturale del territorio. Un Piemonte che mette a frutto la propria capacità di lavoro e le proprie competenze per progettare un futuro attrattivo per i giovani e migliorare la qualità della vita e dell’ambiente, costruire una società innovativa, tollerante e inclusiva che garantisca pari opportunità, accoglienza a tutti e che favorisca la partecipazione e la responsabilità delle donne, dei piemontesi emigrati che vogliono rientrare, delle nuove cittadinanze, rilanciare gli investimenti, combattere precarietà e fragilità del lavoro, restituire ai giovani la possibilità di progettare autonomamente il loro futuro affettivo e professionale, incrociare i corridoi strategici, mettendosi ‘in rete’ in Italia (con la Valle d’Aosta, la Lombardia e la Liguria in primo luogo), ma anche con il Sud dell’Europa (Catalogna, Rhône-Alpes e regione lionese) per fare federalismo serio, per avere autonomia e peso politico sia all’interno dei confini nazionali sia nell’Unione Europea.

Cenni di storia

Torino sorge alla confluenza della Dora Riparia con il Po, in un’area alluvionale delimitata a oriente da una serie di colline. In questa zona nel 3° secolo a.C. si insediarono le tribù dei Taurini, popolazione derivata dalla fusione di stirpi celtoliguri con popolazioni galliche migrate oltralpe alla ricerca di pianure coltivabili. Il caratteristico impianto urbanistico ortogonale, a reticolato, che il centro di Torino ancora conserva è quello dell’antica Augusta Taurinorum, città romana della regione XI augustea (Transpadana), fondata nel 29-28 a.C. come colonia militare nel territorio dei Taurini, su cui, con ogni verosimiglianza, già precedentemente era stata estesa la cittadinanza romana. Eretta forse sul luogo dell’antica capitale dei Taurini (Taurasia), Augusta Taurinorum divenne ben presto un centro importante: da lì partivano la via verso le Gallie per la valle della Duria e le Alpes Cottiae e la via che sulla sinistra del Po conduceva a Ticinum (Pavia) e Placentia. Della città romana, della quale è noto il percorso delle mura con torri quadrate che racchiudevano l’abitato di forma rettangolare, è ancora visibile una delle porte, detta Palatina. Dentro il palazzo Madama, in piazza Castello, rimangono incorporate le torri della Porta Praetoria orientale; in via della Consolata sono visibili le fondamenta della torre angolare nord-ovest della cinta. Lungo via XX Settembre sono i resti del teatro e forse il duomo è costruito sull’antico Capitolium. Fra il 5° e il 6° secolo, mentre tutte le città subalpine scomparvero o decaddero, Torino conservò una notevole importanza grazie alla sua posizione geografica mediana nella regione subalpina, assurgendo anche a sede vescovile. Caduta in possesso dei re longobardi, forse già nel 569 dopo la caduta di Milano, divenne sede di un vasto ducato, baluardo del regno longobardo. I Franchi ne fecero poi il centro di una contea e signori franchi conservarono la città e la contea anche nel primo periodo del regno d’Italia. Verso il 940 il re Ugo collocò in Torino, come conte, Arduino Glabrione, con il quale si stabilì nella città una dinastia, che dominò per un secolo e mezzo con grande fortuna e costituì la Marca di Torino. Il periodo marchionale, specialmente quello del marchese Olderico Manfredi, rappresentò un momento di grande prosperità. Verso la fine dell’11° secolo si affermò l’autorità del vescovo e dei visconti della città. Umberto II di Savoia, erede dei diritti sabaudi sulla marca, assunse il titolo di conte e di marchese di Torino, ma non riuscì a occupare la città, probabilmente per l’opposizione dell’Impero, preoccupato che i valichi alpini fossero dominati da territori sabaudi su entrambi i versanti. I suoi successori continuarono a rivendicare i loro diritti su Torino, sempre scontrandosi con l’opposizione degli imperatori. Nel 1159 Federico Barbarossa riconobbe al vescovo la completa signoria comitale su Torino e su tutto il suo territorio. Nello stesso periodo cominciò a farsi sentire di nuovo la minaccia sabauda, finché nel 1235 la lunga lotta fra Torino e il conte di Savoia parve finire con un trattato perpetuo di pace e di amicizia. Nel 1237 Federico II impose a Torino il governo di un suo capitano imperiale. Nel 1270, piegata la potenza astigiana da Carlo d’Angiò, anche Torino dovette riconoscere la signoria angioina, dalla quale nel 1276 passò a quella di Guglielmo VII marchese di Monferrato, che nel 1280 fu costretto da Tommaso III di Savoia a cedergli la città. I conti di Savoia rispettarono in parte l’autonomia cittadina. Nel 1285 Torino e i territori italiani dei Savoia furono concessi come feudo della contea di Savoia da Amedeo V al nipote Filippo Savoia-Acaia, che prese possesso della città nel 1295. Avendo però Filippo stabilita la sua residenza a Pinerolo, lasciò al Comune torinese la possibilità di una vita autonoma. L’ultimo della stirpe Savoia-Acaia, il principe Ludovico, fondò nel 1404 l’università, il cui atto di nascita è costituito da una bolla del papa avignonese Benedetto XIII.

Nel 1418, lo spegnersi della linea Savoia-Acaia diede il via all’unificazione definitiva dello Stato sabaudo. Il duca Amedeo VIII provvide a riunire amministrativamente le vecchie e le nuove province del suo Stato e stabilì a Torino la capitale dei territori sabaudi subalpini. La città divenne poi il centro dell’attività diplomatica e politica dei Savoia, nonché la base dove si organizzarono varie spedizioni militari. Nell’aprile 1536 la città fu occupata dai francesi, i quali, intendendo farne il caposaldo delle loro posizioni italiane, organizzarono intorno a Torino un considerevole sistema di fortificazioni. Quando, per il trattato di Blois, Emanuele Filiberto poté entrare in Torino (1563), vi stabilì definitivamente la capitale dello Stato sabaudo, spostandola da Chambéry, e vi raccolse tutti gli uffici del governo. Per Emanuele Filiberto Francesco Paciotto costruì una nuova cittadella sul fianco occidentale della città (1564), di cui resta solo un poderoso mastio. Sotto Carlo Emanuele I, Ascanio Vittozzi progettò piazza Castello (1584) e tracciò al di là delle mura romane la via Nuova (via Roma); Vittozzi definì anche le facciate degli edifici, i quali risultarono così uniformi nell’allineamento prospettico della via rettilinea. Carlo di Castellamonte continuò l’opera di Vittozzi, prolungando la via Nuova con la costruzione di dieci isolati verso sud, al di là della piazza San Carlo che egli stesso progettò in forme composte e severe (1637), fino alla Porta Nuova. Gli ampliamenti mantennero l’impianto reticolato della città romana, secondo un modello di città ‘ordinata’ e austera – con strade e grandi corsi allineati, e lusso riservato all’interno degli edifici di governo e nobiliari – che contraddistinguerà anche gli interventi successivi, divenendo la caratteristica principale di Torino.

La popolazione, che nell’età comunale e signorile non aveva oltrepassato i 5000-6000 abitanti, giunse nel 1570 a circa 30.000. Nel 1640 Torino fu assediata dai francesi intervenuti a sostegno della duchessa Cristina, vedova di Vittorio Amedeo I e reggente per il giovane Carlo Emanuele II, che era in lotta con i cognati, il cardinale Maurizio e il principe Tommaso di Carignano, appoggiati dalla Spagna. Nonostante un esercito spagnolo fosse intervenuto contro i francesi, il principe Tommaso dovette arrendersi e la città fu consegnata alla duchessa Cristina. In realtà, durante tutto il regno di Carlo Emanuele II (1638-75) Torino rimase sotto il controllo della Francia. Su incarico di Carlo Emanuele II, Amedeo di Castellamonte progettò la lunga, rettilinea via Po; a lui si deve inoltre il Palazzo Reale (1658), dalla semplice, monumentale facciata. Al 1633-38 risale la sistemazione definitiva del Castello del Valentino, sulla riva del Po. Importanti contributi al rinnovamento di Torino diedero anche Francesco Lanfranchi (palazzo di Città, chiesa della Visitazione) e Guarino Guarini, cui si devono la chiesa di S. Lorenzo, il palazzo Carignano (1678), il collegio dei Nobili (ora Accademia delle Scienze, sede del Museo Egizio) e la cappella della Sacra Sindone (1668), nella quale si conserva il lenzuolo che secondo la tradizione avvolse il corpo di Gesù Cristo, possesso dei Savoia dal 1453 trasferito da Chambéry a Torino da Emanuele Filiberto. Gravemente danneggiata da un incendio nel 1997, la cappella è stata restaurata nel 2005; nella cripta della basilica del Ss. Sudario nel 1998 è stato allestito il Museo della Sindone.

L’autonomia dello Stato sabaudo fu ripristinata da Vittorio Amedeo II, che con l’appoggio della popolazione difese la città contro i tentativi di Luigi XIV di impadronirsene, tentativi culminati nel rovinoso assedio posto dai francesi nel 1706, nel corso della guerra per la successione di Spagna. La difesa della città da parte dei torinesi fu assai energica (si ricorda l’eroico gesto di Pietro Micca); dopo tre mesi gli assedianti non erano riusciti nel loro intento, nonostante la perdita di circa 10.000 uomini. Il 7 settembre le forze imperiali e piemontesi si unirono e mossero all’attacco dei franco-spagnoli i quali, vista la situazione disperata, presero la fuga. Nel 1713 con il trattato di Utrecht Vittorio Amedeo II ottenne la Sicilia con il relativo titolo regio, cambiato poi nel 1720 in quello di re di Sardegna.

Sotto il regno di Vittorio Amedeo II, venne affidata a Filippo Juvarra la progettazione di un terzo ampliamento che, con l’espansione verso ponente (Porta Susina e l’attuale Porta Palazzo) e la costruzione di 18 isolati, segnò la pressoché totale scomparsa dell’architettura medievale dal centro storico. Juvarra completò le costruzioni di Venaria Reale ed eresse, tra le opere principali, le chiese del Carmine, di S. Cristina, di S. Croce e di S. Filippo Neri, i palazzi Martini di Cigala, Birago di Borgaro, la facciata occidentale e lo splendido scalone interno di palazzo Madama e, negli immediati dintorni della città, il casino di caccia di Stupinigi e la basilica di Superga, fatta costruire da Vittorio Amedeo II in ricordo della vittoria sui francesi. L’arte di Juvarra ebbe largo seguito a Torino specialmente per opera di Bernardo Vittone e di Benedetto Alfieri; quest’ultimo ampliò il palazzo di Città, lavorò al palazzo Solaro del Borgo (già Caraglio), al palazzo di Giustizia, iniziato da Juvarra, e a quello Chiablese, costruì il Teatro Regio (di cui resta solo la facciata originale) e il Teatro Carignano. Vittorio Amedeo II, con l’appoggio anche di ministri e di una nuova burocrazia di estrazione borghese, varò una serie di riforme istituzionali, come la ‘perequazione’ dei tributi, l’istituzione di un nuovo catasto, la formazione delle Intendenze, che risultarono fondamentali per lo sviluppo della città. Il consolidamento dell’industria serica e l’organizzazione di un nuovo sistema stradale centralizzato su Torino furono determinanti per la crescita economica, cui corrispose un sostanziale incremento demografico: nel 1715 la città contava circa 55.000 abitanti, alla fine del secolo 90.000. Nel 1798 Torino fu occupata dai francesi, che ne fecero il capoluogo del dipartimento dell’Eridano. Conquistata nel 1799 dalle truppe austro-russe del maresciallo Aleksandr V. Suvorov e riconsegnata nominalmente al governo sabaudo, ripassò in mano dei francesi nel 1800 e restò annessa alla Francia dal 1801 al 1814. In quegli anni iniziò lo smantellamento della cinta fortificata, che coincise con la fine del modello sabaudo di città. Dopo l’abdicazione di Napoleone, la monarchia sabauda fu reintegrata con re Vittorio Emanuele I. Con la Restaurazione, l’attività degli arsenali e quella delle nuove industrie attirarono a Torino, ormai capitale del più importante Stato italiano, numerosi elementi dalle province: nel 1830 la popolazione, che era molto diminuita durante il periodo napoleonico, toccò 100.000 abitanti. Nel 1831 salì al trono Carlo Alberto, il cui regno rappresentò uno dei momenti cardine della storia cittadina. Carlo Alberto protesse le arti, fece erigere monumenti, fondò la Biblioteca reale, la Galleria sabauda, l’Armeria reale, l’Accademia Albertina delle Belle Arti e la Deputazione reale della storia patria. Ancora più importante l’azione politica, condotta sotto l’ispirazione di Vincenzo Gioberti e Massimo D’Azeglio e sfociata in una serie di iniziative miranti a rafforzare lo Stato e a svecchiarne le strutture: riforma dei codici, abolizione dei diritti feudali, agevolazioni all’agricoltura e al commercio. Torino non risentì della sconfitta di Carlo Alberto nella Prima guerra d’indipendenza (1848-49), anzi conobbe subito dopo un periodo di slancio, mentre l’immigrazione politica da tutte le regioni italiane la rendeva capitale morale di tutta l’Italia. Lo slancio crebbe ulteriormente dopo il 1861, quando divenne capitale dell’Italia riunita. Nella seconda metà del 19° secolo sorsero nuovi quartieri dalle linee architettoniche eleganti e nel contempo fedeli alla tradizione locale; quasi tutte le piazze e i giardini della città furono ornati di monumenti; nel 1863 Alessandro Antonelli iniziò la costruzione della caratteristica Mole (dal 2000 sede del Museo nazionale del cinema), che domina il panorama della città e porta il nome del suo progettista; nel 1866-68 fu costruita la stazione di Porta Nuova, uno dei più eleganti esempi di architettura industriale dell’Ottocento. Nel 1865 il trasferimento a Firenze della corte, del governo e degli organi centrali della burocrazia statale costituì un grave danno per Torino, la cui popolazione scese da 220.000 a 190.000 abitanti. Ma la città superò la crisi assai presto, avviandosi a diventare un grande centro industriale. Della ripresa diede la prima testimonianza l’Esposizione generale del 1884, al Parco del Valentino, risistemato per l’occasione. Altre grandi esposizioni si tennero nel 1898 e nel 1911. Alla fine dell’Ottocento si registrò, a causa dello sviluppo industriale e della formazione di un proletariato urbano, la fine di quell’equilibrio architettonico e sociale che era stato caratteristico della città. Mentre, infatti, l’urbanistica settecentesca prevedeva la coesistenza, nel medesimo isolato e spesso nel medesimo edificio, di residenze patrizie e abitazioni popolari, la forte immigrazione conseguente alla crescita economica condusse progressivamente alla nascita dei primi quartieri operai. Sin dagli albori l’industria si imperniò sul settore metalmeccanico, che già nel 1889 impiegava il 40% degli operai. In particolare, l’industria automobilistica fu la specializzazione dominante: nel 1907 le case produttrici di autoveicoli erano 37, poi il fallimento di 27 di esse consentì l’affermazione e l’egemonia della FIAT (Fabbrica italiana automobili Torino), la cui presenza da allora e per tutto il 20° secolo è rimasta il cardine intorno a cui ha ruotato l’economia torinese, non limitandosi al sistema produttivo automobilistico, ma esercitando una notevole influenza sull’intero indotto e sulla formazione di società di servizi, oltre che sulla generica struttura urbana. Un altro settore che ebbe considerevole importanza nei primi decenni del Novecento fu quello cinematografico: a Torino furono prodotti i primi film italiani e, negli anni successivi, tutti quelli di maggior successo nazionale e internazionale.

Dopo la pausa determinata dalla Prima guerra mondiale, il comparto automobilistico e quello siderurgico ripresero la loro espansione, favorita negli anni successivi anche dalla politica coloniale fascista. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale l’industria torinese si convertì in industria bellica. I danni creati al patrimonio edilizio e alle fabbriche dai bombardamenti del 1942 furono ingenti, causando anche una drastica riduzione della produzione e di conseguenza un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita della classe operaia. Nel marzo del 1943 iniziarono i primi scioperi operai contro il carovita, la fame, le sofferenze e i sacrifici imposti dalla guerra. Nel settembre dello stesso anno la città fu occupata dai tedeschi. L’occupazione durò fino al 30 aprile 1945. Il 3 maggio gli Alleati entrarono nella città già liberata dalle forze della Resistenza.

Terminato il conflitto, iniziò la faticosa opera di ricostruzione. Il Comune di Torino fu molto attivo nella realizzazione di nuove case popolari. In particolare il quartiere della Falchera si presenta come una delle migliori soluzioni nell’ambito dell’edilizia residenziale sovvenzionata italiana. La ripresa economica fu guidata dalla FIAT, che in quegli anni divenne un vero e proprio centro di potere. Il richiamo dei suoi stabilimenti determinò una nuova forte ondata di immigrazione, soprattutto dal Veneto e dal Meridione, che provocò una serie di drammatici problemi, dall’abitazione ai servizi, a conflitti di mentalità e cultura, a cui Torino era impreparata e che la città ha superato nei decenni successivi solo con grande difficoltà. Nel 1961, anno in cui con l’esposizione internazionale Italia ’61 fu celebrato il centenario dell’Unità, Torino superava il milione di abitanti, era uno dei maggiori poli d’attrazione industriale italiani e appariva come una vera metropoli economica. Al boom si collegarono tuttavia forti tensioni sociali, che sfociarono nelle proteste del ’68 e nell’autunno caldo degli operai. Scioperi e vertenze si susseguirono negli anni Settanta, quando al boom subentrò la crisi. Nel 1975 per la prima volta la FIAT, che risentiva degli effetti della crisi petrolifera, fece ricorso alla cassa integrazione. Ai conflitti degli anni Settanta seguì nel decennio successivo un clima di maggiore pacificazione, cui contribuì la ripresa della FIAT, arrivata a utili record grazie al lancio di nuovi modelli. Dal punto di vista amministrativo un evento importante aveva intanto rappresentato l’istituzione dell’area metropolitana torinese, definita con decreto regionale del 1972 e comprendente 52 Comuni limitrofi, ordinati secondo due corone concentriche. Da allora si può osservare come la diminuzione della popolazione residente nel Comune di Torino sia stata parzialmente compensata dall’aumento nei Comuni della prima e della seconda corona metropolitana.

Negli ultimi due decenni del Novecento una serie di trasformazioni economiche ha modificato l’immagine di Torino come città fondata sul controllo della grande impresa, a causa della crisi dell’industria tradizionale e delle trasformazioni organizzative da essa subite a seguito dell’ingresso di capitali esteri. La tradizione manifatturiera, in particolare la specializzazione meccanica e automobilistica, ha tuttavia continuato a rappresentare un patrimonio di conoscenze, competenze, saperi tecnici e pratici, reti di relazioni (non solo economiche, ma anche sociali e culturali) sul quale si sono costituite nuove esperienze imprenditoriali e nuove specializzazioni produttive che hanno diversificato la base economica del sistema metropolitano torinese. Ma soprattutto è iniziata anche per Torino una fase postindustriale, con il passaggio di addetti dall’industria al terziario e il trasferimento di attività produttive al di fuori dell’area metropolitana. Il complesso industriale del Lingotto può essere assunto quale simbolo di questa evoluzione: il vecchio stabilimento FIAT, opera di Giacomo Matté Trucco considerata tra le più significative della prima architettura funzionale (1915-21), è stato ristrutturato (1988-94), secondo il progetto dell’architetto Renzo Piano, per ospitare, tra l’altro, lo spazio espositivo del Lingotto Fiere, il nuovo auditorium, una delle sale musicali più moderne e apprezzate d’Europa, e la Pinacoteca Gianni e Marella Agnelli. La differenziazione e la modernizzazione dell’economia torinese avvengono dunque in tre direzioni distinte: innovazione tecnologica, incremento del terziario ‘relazionale’, incremento del turismo culturale. La prima, che si concretizza soprattutto in innovazioni di processo piuttosto che di prodotto, interessa principalmente il settore dell’elettronica e della robotica. Per quanto riguarda il terziario relazionale e il turismo culturale, è opportuno ricordare che il Lingotto è sede di alcune importanti fiere, quali il Salone dell’automobile e il Salone del libro. La transizione alla fase postindustriale si è accompagnata a un intenso lavoro di riqualificazione urbana e di riassetto urbanistico della città, reso necessario dalla presenza di ampi spazi dismessi dall’industria e dall’obsolescenza delle infrastrutture e di gran parte del tessuto residenziale. Dal punto di vista della popolazione il fenomeno attualmente più caratterizzante è, come in molte altre città italiane, la forte immigrazione di extracomunitari, che rappresentano più del 4% della popolazione residente. La loro presenza ha turbato la società pacificata degli anni Ottanta e ha cambiato il volto di interi quartieri, come S. Salvario e Porta Palazzo.

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