TORNIELLI BRUSATI DI VERGANO, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TORNIELLI BRUSATI DI VERGANO, Giuseppe

Giovanni Tassani

– Nacque a Novara il 12 febbraio 1836 dal conte Eugenio e da Luisa Gallarati Scotti.

La madre morì di parto nel generarlo. Il padre sposò nel 1840 la cognata Giuseppina, che perse anch’essa la vita nel 1843 nel dare alla luce la secondogenita Fanny. Anche la sorella maggiore di Giuseppe, Camilla, sposata al conte Alessandro Lazari di Gifflenga, morì di parto nel 1858 nel generare Virginia, che anni dopo Tornielli, sposato a Olga Rostopčin, nipote del generale russo Fëdor Vasil′evič Rostopčin, adottò considerandola come una figlia.

Laureatosi nel 1858 in giurisprudenza a Torino, già l’anno dopo Giuseppe accompagnò Massimo d’Azeglio nelle Romagne e fu segretario del governatore di Ferrara. Ammesso per concorso come volontario al ministero degli Esteri nel dicembre del 1859, crebbe nella segreteria di Stato di piazza Castello a Torino, alla severa scuola del barone Luigi Bartolomeo Cravosio e nel clima cavouriano che Emilio Visconti Venosta al ministero e Costantino Nigra, ambasciatore a Parigi, continuavano a incarnare. Addetto di legazione a Costantinopoli nel 1860 e indi segretario, fu chiamato al gabinetto particolare del ministro nel settembre del 1862, poi nel febbraio seguente fu destinato a Pietroburgo – ove conobbe e sposò Olga Rostopčin – e inviato ad Atene dal luglio del 1864.

Capo di gabinetto, dall’8 ottobre 1867, dei ministri Pompeo di Campello, e poi Luigi Federico Menabrea, si applicò con il segretario generale Raffaele Ulisse Barbolani a studiare un nuovo ordinamento del ministero, più semplice nella struttura e più adatto ai problemi anche economici di legazioni e consolati. Quando, con decreto 22 marzo 1868, fu abolito il gabinetto – che Francesco Crispi anni dopo volle ristabilire – Tornielli fu incaricato di reggere la ricostituita divisione politica del ministero, di cui era titolare Visconti Venosta. Alla caduta della Destra, Tornielli, uomo di fiducia e primo cerimoniere del re, rappresentò la continuità in politica estera, subentrando al dimissionario Isacco Artom nella carica di segretario generale, dopo essere stato promosso a inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe. Godette sempre della fiducia di Agostino Depretis, della cui politica internazionale divenne – secondo il giudizio di Federico Chabod – il ‘vero ispiratore’, fino al luglio del 1879, salvo la parentesi tra giugno e dicembre del 1878 con il governo di Benedetto Cairoli e il ministro Luigi Corti che lo sostituì con Carlo Alberto Maffei di Boglio. Proprio in quei mesi si svolse il Congresso di Berlino, con ‘sensale’ Otto von Bismarck, sulla questione balcanica e dell’Oriente, fortemente studiata e seguita da Tornielli, ove l’Italia ‘delle mani nette’ – secondo la teoria di Corti – non seppe svolgere un ruolo attivo.

Tornato segretario generale, Tornielli poté, stante l’interim agli Esteri di Depretis, ancor più incidere nel ministero. Divenuto senatore il 16 marzo 1879, a settembre fu nominato inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Belgrado, ove fu trattenuto pochi mesi e, considerato russofilo e antiaustriaco, fu inviato a Bucarest nel dicembre di quello stesso anno. Vi rimase otto anni, fino a tutto il 1887. Tra gli innumerevoli rapporti, scrisse nel 1885 un’esemplare memoria sulla Romania di oltre cinquecento pagine, data alle stampe dal ministero.

Da quell’osservatorio Tornielli, ragionatore dotato di pensiero strategico maturato negli anni alla Consulta, carattere freddo ma franco, tenace e misurato, insistette a tutti i livelli sulle connessioni tra problema slavo e russo, Impero asburgico e le esigenze di sicurezza dell’Italia, iniziando anche la riflessione sui possibili ‘compensi’ territoriali che, in alternativa all’irredentismo, avrebbero potuto caratterizzare la politica estera italiana.

In quegli anni non mancò di presiedere o partecipare a commissioni per il riordino delle carriere e l’ammissione ai concorsi diplomatici e consolari. Al momento della firma della Triplice Alleanza (1882) con il più giovane collega e amico Alberto Pansa si espresse criticamente sul patto e tale ‘peccato originale’ non mancò di riverberarsi negativamente su di lui, con giudizi espressi o azioni dietro le quinte da parte austriaca e germanica, ogni volta che si prospettò una sua possibile ascesa a ministro degli Esteri – nel 1881, 1887, 1896, 1898 – o a un’importante ambasciata: Pietroburgo 1883 e 1885, Costantinopoli 1885.

Con l’avvento al governo di Crispi nel 1887, la posizione di Tornielli conobbe momenti di difficoltà, come del resto avvenne per altri diplomatici e funzionari, spostati e rimossi anche contro il parere del re. Alla Consulta Crispi volle limitare il ruolo del segretario generale a favore della nuova figura politica del sottosegretario, di quella del capo di gabinetto e dei cinque fidati capidivisione. Pressioni germaniche convinsero Crispi a deviare la carriera di Tornielli, nominandolo infine ambasciatore a dicembre, ma nella periferica Madrid. Qui restò quasi due anni per poi approdare a Londra nell’ottobre del 1889. Anglofilo, non riuscì però a conquistare la simpatia del primo ministro Robert Cecil Salisbury, al quale ricordava con insistenza la sua condiscendenza verso la politica francese nel Mediterraneo. Quella che voleva essere una battuta in un suo intervento nel novembre del 1893 nell’ambito del banchetto del Lord mayor’s day divenne un caso, che gli fu a lungo rimproverato. Rispondendo al mayor, George Tyler, che aveva evocato la simpatia riscontrata dai marinai inglesi nelle acque italiane, Tornielli sottolineò come il fatto fosse naturale, definendo invece strane e insolite le feste fatte in Francia ai marinai della flotta russa. Vedendo nella battuta una ritornante tendenza italiana a voler collegare l’Inghilterra alla Triplice, la stampa francese più nazionalista polemizzò con Tornielli, descrivendolo a torto come gallofobo.

Nella sua politica africana Crispi, che contava sull’avallo britannico, dovette registrare la diversa opinione di Tornielli: volle allora richiamarlo da Londra, nel settembre del 1894, proponendogli Pietroburgo e, al suo cortese rifiuto, lo pose a disposizione. Tornielli salutò la regina Vittoria a dicembre e partì per Novara. A gennaio furono giocate varie carte, compresa un’ipotesi di nuovo ministero Saracco con Tornielli agli Esteri. Alla fine, stante il riscaldamento dei rapporti con la Francia per il suo aiuto clandestino all’Abissinia, Crispi riuscì, contro il parere del re e all’insaputa dei ministri, a richiamare da Parigi l’ambasciatore Costantino Ressmann, considerato troppo filofrancese. Il posto di Parigi si aprì così per Tornielli, grazie al convincimento esercitato dal ministro degli Esteri Alberto Blanc su Crispi circa le capacità dell’uomo, al di là delle differenze d’impostazione politica e diplomatica. Stampa e parte del mondo politico francese non accolsero positivamente la scelta del nuovo ambasciatore, nel clima di un’italofobia diffusa nell’opinione pubblica, dopo l’eccidio di Aigues-Mortes nel 1893 e l’assassinio, nel 1894 per mano anarchica italiana, del presidente Sadi Carnot. Tornielli, sin dai primi giorni del suo arrivo a Parigi nel marzo del 1895, volle marcare una più forte presenza italiana nella capitale, affittando l’Hôtel de Galliffet, in rue de Grenelle, come sede dell’ambasciata, che aprì poi al mondo politico, diplomatico e culturale e alla numerosa e crescente comunità italiana, che si vide da lui ben rappresentata e riconosciuta. Fu affiancato da consiglieri e segretari capaci, tra i quali Raniero Paulucci di Calboli che lo seguì da Londra, ove aveva sposato sua nipote Virginia, madre – tra il 1893 e il 1894 – di Fulcieri e Camilla.

Il governo di Rudinì, succeduto a Crispi dopo Adua, vide il ritorno di Visconti Venosta agli Esteri e consentì, con l’impegno di Tornielli, l’allentamento della tensione con la Francia, attraverso la firma, alla fine di settembre del 1896, di un accordo sulla Tunisia che fissava uno statuto per i residenti italiani, preliminare del superamento della decennale guerra doganale italo-francese che avvenne con la firma di un trattato di commercio nel novembre del 1898. Il ‘triplicismo corretto’ – cioè temperato da sempre migliori rapporti con Francia e Inghilterra, quello che venne definito un ‘colpo di timone’ in politica estera – trovò adesione in Tornielli, che registrò la stima per Visconti Venosta – «finalmente un vero ministro degli Esteri» (Serra, 1950, p. 51, n. 32) – da parte del primo ministro Gabriel Hanotaux. Ma l’avvento di Emile Barrère all’ambasciata a Roma nel febbraio del 1898, nomina inutilmente osteggiata da Tornielli per le idee radicali dell’uomo, segnò un elemento di crisi nella sua permanenza parigina. Tornielli chiese allora a Visconti Venosta, nel marzo del 1898, di essere trasferito a Londra, insofferente anche per il modo in cui veniva trattata l’ambasciata italiana, e in particolare l’addetto militare, colonnello Alessandro Panizzardi, coinvolto ad arte nell’affaire Dreyfus attraverso una grave montatura, rivelatasi poi tale, ma basata su falsificazioni costruite dai servizi segreti francesi e difese politicamente in Parlamento. L’affaire, in cui operò in funzione anti-italiana una forte corrente nazionalista dello stato maggiore, si rivelò in effetti una complicazione nel processo di distensione tra Francia e Italia. Per ragioni di prudenza e ‘non ingerenza’ Tornielli fu invitato da Roma a non prendere sull’affaire una pubblica posizione, ma ciò non impedì all’ambasciatore di spiegare, con rapporti e colloqui, le sue ragioni innocentiste volta a volta a Théophile Delcassé, a Ludovic Trarieux e a Joseph Reinach, contribuendo con ciò alla finale dichiarazione di completa innocenza di Alfred Dreyfus nel 1906. Sull’affaire lasciò esporre Paulucci di Calboli, che con lui collaborò specie sui temi dell’emigrazione. Visconti Venosta si guardò bene da togliere Tornielli da Parigi, anche se avviò un suo rapporto con Barrère, in ciò autorizzato da Delcassé, in tema di zone d’influenza in Nordafrica.

Con l’avvento di Giuseppe Zanardelli al governo (1901-03) e di Giulio Prinetti agli Esteri, l’attivismo e l’influenza di Barrère crebbe, sia sul piano diretto degli accordi internazionali, raggiunti il 30 giugno 1902, sia – anche in vista del rinnovo della Triplice – del suo influsso sull’opinione pubblica italiana nelle parti irredentiste e radicali che vedevano con simpatia la Repubblica francese trasformarsi, con Émile Combes, da moderata a radicale. Le due visite di Stato – di Vittorio Emanuele III a Parigi, nell’ottobre del 1903, e del presidente Emile Loubet a Roma, nell’aprile del 1904 – videro Tornielli sulla linea Zanardelli e poi su quella del governo Giolitti, con Tommaso Tittoni agli Esteri, posizione a lui certamente più omogenea. Una stampa ostile nel 1904 volle descrivere Tornielli propenso alle dimissioni e in disgrazia politica, ma Giovanni Giolitti lo difese: e Tornielli, dopo la Legion d’onore nel 1903, ricevette il 20 settembre 1904 la gran croce della Ss. Annunziata. Alla seconda Conferenza internazionale dell’Aja (1907), su disarmo e arbitrato obbligatorio, Tornielli fu segretario e primo delegato italiano, imponendosi per capacità di conciliazione. Decano del corpo diplomatico, morì a settantadue anni in ambasciata, a Parigi, il 9 aprile 1908.

Ebbe solenni funerali di Stato nella capitale francese il 13 e a Novara il 15 aprile 1908.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Ministero Affari Esteri, ad vocem; Archivio di Stato di Forlì, Archivio Paulucci di Calboli, al cui interno si trovano le Carte Tornielli.

Documenti diplomatici italiani, s. 1 e s. 3, passim; T. Tittoni, Da Nigra a T. Dal Congresso di Parigi alla Conferenza dell’Aja, in Nuova Antologia, 1° agosto 1907, pp. 510-516; Id., Nel campo diplomatico, ibid., 16 aprile 1908, pp. 727-735; L. Salvatorelli, La Triplice Alleanza. Storia diplomatica 1877-1912, Milano 1939, ad ind.; E. Serra, Camille Barrère e l’intesa italo-francese, Milano 1950, ad ind.; F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari 1951, ad ind.; E. Serra, G. T. B. di V., in Storia e politica, II (1963), 3, pp. 336-363; E. Decleva, Da Adua a Sarajevo. La politica estera italiana e la Francia 1896-1914, Bari 1971, ad ind.; R. Paulucci di Calboli, Parigi 1898. Con Zola, per Dreyfus. Diario di un diplomatico, a cura di G. Tassani, Bologna 1998, ad ind.; Id., Journal de l’année 1898. Au coeur de l’Affaire Dreyfus, Paris 1998, ad ind.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/T_l2?OpenPage.

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