Training autogeno

Universo del Corpo (2000)

Training autogeno

Paolo Pancheri
Massimo Biondi

Il training autogeno è una tecnica di rilassamento e autodistensione; proposta dal neurologo berlinese J.H. Schultz negli anni Trenta del 20° secolo, essa ha trovato buona diffusione e applicazioni in diversi campi tanto in psicologia clinica quanto in medicina. Il training autogeno è stato oggetto in Europa e negli Stati Uniti di numerosi studi e ricerche allo scopo di valutare il tipo e l'entità delle modificazioni somatiche a esso associate e la sua efficacia nel trattamento di varie patologie stress-dipendenti.

Definizione e origine

Il training autogeno può essere collocato nell'ambito delle varie tecniche terapeutiche non farmacologiche brevi, in una posizione a metà tra tecniche di rilassamento e stati di autoipnosi. Dei due termini che compongono la denominazione di questa procedura, training (dall'inglese to train, "esercitare, addestrare") sottolinea l'allenamento graduale da essa previsto, mentre autogeno indica come gli effetti psicofisici si generino da sé nel corso della sua pratica. Il training autogeno è stato spesso presentato come uno 'yoga occidentale', date le apparenti somiglianze tra le due pratiche in rapporto ad alcuni aspetti tecnici e alle modificazioni somatiche prodotte. In realtà esistono profonde differenze. Il training autogeno è una semplice tecnica di concentrazione mentale passiva in grado di procurare alcune modificazioni psicofisiche; lo yoga (v.) implica invece un atteggiamento attivo e non è identificabile con la mera pratica di esercizi, poiché costituisce parte integrante di un più ampio sistema filosofico e religioso. Storicamente il training autogeno ha origine in alcune osservazioni risalenti all'inizio del 20° secolo che mostravano come pazienti addestrati all'ipnosi fossero in grado di produrre da soli stati di autoipnosi, utili per combattere fatica e disturbi dolorosi. J.H. Schultz approfondì queste prime osservazioni cercando di sviluppare e mettere a punto una tecnica attraverso la quale il soggetto potesse apprendere ad autoindurre uno stato psicofisico particolare. Egli basò la procedura soprattutto su due principi, riduzione della stimolazione esterna e concentrazione passiva su formule mentali, che sono divenuti appunto gli ingredienti essenziali del training autogeno.

Procedure

Lo svolgimento abituale del training autogeno richiede un ambiente tranquillo, al riparo da stimoli e rumori disturbanti, in penombra, con temperatura né calda né fredda, un abbigliamento comodo che eviti indumenti aderenti, una postura che elimini ogni fonte di tensione muscolare, come per es. sedere su una poltrona o giacere su un lettino, con gli arti abbandonati, il capo lievemente reclinato in avanti e gli occhi chiusi. È fondamentale un atteggiamento psicologico di quiete, per il quale vengono utilizzate formule verbali autoindotte specifiche, quale, per es., "io sono perfettamente calmo". Deve essere evitato un atteggiamento attivo, di sforzo per raggiungere l'obiettivo. Anche se è possibile apprendere il training da testi divulgativi, è preferibile che esso sia condotto sotto la guida di un esperto. Il training autogeno è costituito da una serie di esercizi 'inferiori', strettamente psicofisiologici, e da una serie di esercizi 'superiori', più strettamente psichici. Gli esercizi inferiori sono sei: esperienze di pesantezza, di calore, del cuore, del respiro, del plesso solare, della fronte; sono basati su uno stato di concentrazione passiva sull'esperienza sensoriale relativa a ciascuno dei punti citati. Per es., l'esercizio di pesantezza riguarda i muscoli scheletrici e l'esperienza viene indotta da formule come "il braccio destro (sinistro) è pesante" da ripetersi 5 o 6 volte; l'esercizio del calore concerne il sistema vascolare periferico e si fonda sulla concentrazione su formule come "il braccio destro (sinistro) è caldo"; l'esercizio del cuore verte sull'allenamento alla concentrazione passiva su sensazioni cardiache e viene indotto mediante formule come "il cuore batte del tutto calmo", oppure "il cuore batte calmo e regolare". Ciascuno degli esercizi richiede una pratica di alcune settimane, fino a che la procedura non diventi automatica e naturale. A seconda dei soggetti e dei casi, l'intera serie può comportare un tempo da 4 a 8 mesi. Il training prevede sedute della durata di circa 30-45 min, da effettuarsi con la supervisione di un terapeuta. Gli esercizi superiori presuppongono la completa padronanza del ciclo inferiore. A differenza dei cicli inferiori, vanno condotti soltanto da psicoterapeuti esperti in seguito a un'attenta selezione dei soggetti. Essi sono basati sulla concentrazione passiva su esperienze esclusivamente psichiche, quali la ricerca del colore personale, la visualizzazione di oggetti concreti oppure astratti, la realizzazione di esperienze simboliche. Sotto la guida del terapeuta essi permettono un rapporto stretto con contenuti inconsci, per es. sviluppando la capacità di 'interrogare il proprio inconscio' e favorendo nel soggetto un contatto più diretto con sé stesso. Va osservato come nella pratica clinica, a differenza della trattazione basilare sviluppata da Schultz nei due classici volumi sul training autogeno, la grande maggioranza delle applicazioni riguardi gli esercizi inferiori, e come la letteratura scientifica e sperimentale disponibile sia pressoché limitata a essi.

Applicazioni

Il training autogeno è stato utilizzato in soggetti normali e, a scopo terapeutico, in individui sofferenti di patologie psichiche e somatiche. Sono stati effettuati molti studi sperimentali che hanno indagato le modificazioni psicofisiologiche da esso indotte. Nella maggior parte dei casi un training correttamente eseguito conduce a uno stato di attivazione del sistema trofotropo dell'organismo (il sistema del 'riposo'): tale stato è caratterizzato dalla riduzione dell'attivazione neurovegetativa ortosimpatica e, contemporaneamente, dall'aumento dell'attivazione parasimpatica. Si riscontrano frequentemente anche una diminuzione della tensione muscolare, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell'attività elettrodermica, la tendenza a una sincronizzazione dell'attività elettroencefalografica e la riduzione del consumo di ossigeno. Studi controllati di confronto hanno comunque dimostrato che in generale il training autogeno produce modificazioni simili a quelle di altre tecniche di rilassamento (per es., il rilassamento progressivo, il biofeedback, tecniche yoga, la risposta rilassante), sebbene la sua procedura sia fondata su meccanismi e tecniche di induzione differenti, come la concentrazione passiva. Nei soggetti normali è applicato fondamentalmente come tecnica di rilassamento e come training antistress; esso è stato, per es., impiegato nella preparazione psicofisica di atleti, nella preparazione al parto oppure in quella a interventi chirurgici. Sono numerose le applicazioni in campo psichiatrico, soprattutto nei disturbi d'ansia, nelle somatizzazioni, nell'insonnia, nei tic. Il training autogeno non è invece indicato nel trattamento di disturbi depressivi ed è controindicato in individui con disturbi di personalità, disturbi schizofrenici o in soggetti a rischio di decompensazione psicotica, data la possibilità di alterazioni mentali in seguito all'induzione di esperienze di concentrazione passiva e di focalizzazione su esperienze di stati mentali interni. In medicina è stato utilizzato per disturbi somatici e psicosomatici, soprattutto quelli influenzati da situazioni acute o croniche di stress emozionale, come, per es., cefalea, colite spastica, ulcera peptica e gastrite, ipertensione arteriosa essenziale, casi selezionati di asma bronchiale, patologie dermatologiche, disturbi cardiovascolari funzionali, patologie dolorose funzionali, come il dolore lombare, e in altre condizioni di minore gravità. Studi controllati hanno dimostrato la superiorità del training autogeno rispetto al non trattamento; mentre studi controllati di confronto con altre tecniche di rilassamento hanno offerto risultati sovrapponibili. Tuttavia, il training autogeno è stato studiato e impiegato pressoché esclusivamente in medicina, psicologia e psichiatria attraverso l'applicazione degli esercizi del ciclo inferiore. Scarsa è la documentazione scientifica controllata riguardo agli esercizi superiori. Prima di decidere l'instaurarsi del trattamento sono necessarie una corretta diagnosi e una valutazione sia somatica sia psicologica del caso da parte di un medico o di un terapeuta esperto nella tecnica. Tale valutazione è opportuna anche per soggetti normali. Il rapporto costi-benefici va considerato caso per caso a seconda del problema, ma è in linea generale soddisfacente. Il training autogeno può essere maggiormente impegnativo come tempi e costi rispetto ad altre tecniche di rilassamento più brevi ad apprendersi e altrettanto valide sul piano strettamente psicofisiologico. Sotto il profilo pratico è stato osservato che soggetti diversi manifestano capacità e facilità diverse nell'apprendere a rilassarsi, alcuni rispondendo meglio e più velocemente al training autogeno, altri, invece, a tecniche di rilassamento di tipo differente. Va sottolineato infine come nella maggioranza dei casi di soggetti che si rivolgono al training autogeno per il trattamento di disturbi psichici o somatici gli effetti benefici siano legati, così come accade per le altre tecniche di rilassamento, alla pratica costante, quotidiana e condotta in diverse situazioni della procedura appresa, e come quindi la continuità e la disponibilità del soggetto siano essenziali per il mantenimento del beneficio.

bibl.: m. biondi, Psicosomatica nella pratica clinica, Roma, Il Pensiero Scientifico, 1992; g. eberlein, Gesund durch autogenes Training, Düsseldorf, Econ, 1973 (trad. it. Sani col training autogeno, Milano, Feltrinelli, 1975); j.h. schultz, Das autogene Training, 2 voll., Stuttgart, Thieme, 1964 (trad. it. Milano, Feltrinelli, 1968).

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